Per il penultimo appuntamento del public program della mostraBuddha10 il MAO Museo d’Arte Orientale ospita Le Salamanda per una performance che mescola dub, house lo-fi, rullanti reggaeton, ritmi dembow, ambient e sintesi vocale in un avvolgente bozzolo di toni armoniosi.
Le Salamanda sono un duo di dj e produttrici di musica ambient leftfield di Seoul composto da Uman Therma (Sala) e Yetsuby (Manda). Il duo si è fatto conoscere al pubblico internazionale con i primi due album: Allez! (Good Morning Tapes, 2020) e Sphere (Metron Records, 2021) e con i mixtape che realizzano per diverse stazioni radio globali tra cui Seoul Community Radio, NTS e LYL.
Il titolo del nuovo album “ashbalkum” (Human Pitch) deriva da un modo di dire coreano che indica la consapevolezza che la “realtà” altro non è che sogno. Espressione di un ambient ultraterreno, il quarto disco del duo, dischiude un portale verso un universo parallelo, dove verità e fantasia sono la stessa cosa.
Un mondo onirico costruito da paesaggi sonori ambientali e ritmi minimali, un punto di vista affascinante su come interagiamo con il mondo che ci circonda, dove il linguaggio, la natura e il nostro stesso essere sono infinitamente mutevoli.
Il calendario completo degli eventi sul sito.














Il tema, in arte, si perde nella notte dei tempi. Ma “Cos’è un ritratto? … Se lo chiedete all’artista vero (non quello ‘che bel ritratto: sembra una fotografia!’), vi risponderà che è raccontare un’anima, il suo sentire, la sua personalità. Non è così facile”. E no, non è così facile. Ha ben ragione Donatella Taverna, cui si deve insieme a Francesco De Caria e ad Alfredo Centra la curatela della rassegna, dedicata – in collaborazione con il “Museo Franchetti”, la “Fondazione Gazzera”, le “Collezioni De Caria – Taverna” e altre private – alla “Ritrattistica” piemontese del Novecento. Selezionati con grande oculatezza, sono 33 (per una buona sessantina di opere) gli artisti ospitati, fino al prossimo 1° aprile, nelle Sale del torinese “Collegio San Giuseppe”.
in tal senso, Romano Gazzera (Cirié, 1908 – Torino, 1985) – il pittore dei “fiori giganti, parlanti e volanti”, nonché delle sarcastiche “scimmie (o cani) in costume” – di cui il “Collegio” di via San Francesco da Paola presenta un rigoroso “Autoritratto” con occhiali e un surreale (anch’egli in “beffarda” divisa) “Ritratto di De Chirico” (1950), suo grande amico che di lui diceva essere uno dei pochi artisti “capaci di sentire la bella materia”. Interessante, fra gli “autoritratti”, anche quello materico-grumoso di un gioiso Gigi Morbelli (Orsara Bormida, 1900 – Torino, 1980), in cui l’artista alessandrino – allievo di Luigi Onetti, anche lui presente in mostra con un toccante “Ritratto di giovinetto” – inserisce con gesto pop nel dipinto gli oggetti “costitutivi dell’immagine”: gli occhiali a pince nez e la tavolozza. Piacevolissimo.
Di non minore suggestione la “maniera nera (o a nerofumo) a berceau” (2010) della torinese Luisa Porporato, così come l’“Autoritratto” un po’ maudit di un giovane Michele Tomalino Serra (Cossano Belbo, 1942– Torino, 1997), accanto a quello “dimesso” di Pino Mantovani o ai due piacevolmente autoironici del vignettista Gianni Chiostri. Di amore coniugale ci raccontano invece l’accademico “gesso” del ’42 dono di nozze di Giovanni Taverna (Alluvioni Cambiò, 1911 – Torino, 2008) alla moglie “Marisa” (Margherita Costantino) – ricambiato dalla stessa, pittrice e ceramista di vaglia, con un penetrante amorevole ritratto – così come l’olio su tela del ’74, “Grazia…Grazia”, omaggio affettuoso di Pippo Leocata alla consorte, ritratta “in doppio” e in forme volutamente “sfumate”: in primo piano, nell’aggraziata compostezza di giovin fanciulla (indosso un leggero vestito hig style di seta a fiori), alle spalle, in un gioco di sottili velature, la stessa, qualche anno dopo, in corsa con la vita.
realizzato su avorio dalla miniaturista Elisa Tosalli, i teneri “Ritratto di bambino” di Stefano Borelli e la piccola “Chiara” di Guido Bertello. Di misteriosa antica sacralità tradotta in suggestive cifre simboliche ci parlano le magnifiche figure (“Elisa” e “Rossele”) di Luigi Rigorini, così come la “Conchiglia magica per Mara” di Guido De Bonis, partecipe marginalmente negli anni Sessanta del movimento torinese dei “Surfanta”, verso cui pare simpatizzare anche Eugenio Colmo Golia, nel suo “Venez, mes poissons”. Ritratti come esercizi di nobile “accademia”, dove la puntualità del segno tende a indagare e a privilegiare l’“umanità”, oltre alla pura definizione dell’“essere umano”, troviamo ancora nelle opere di Evangelina Alciati, di Alda Besso (Giò), di Mario Caffaro Rore e di Rosanna Campra, per continuare con Ercole Dogliani, Laura Maestri, Jean-Louis Mattana, Nini Pietrasanta, Mina Pittore, Maria Teresa Prolo, Rita Scotellaro, Adriano Sicbaldi, Enzo Venturelli – “Arcimboldo” novecentesco con le sue “figure-robot” dalle forme geometrizzate.
