All’Alfieri sino a domenica la nuova commedia dell’autore/attore napoletano

Salemme e il povero cristo con un cuore nuovo

“Anche stavolta vorrei che il pubblico si divertisse molto”, aveva scritto Vincenzo Salemme presentando la sua nuova commedia Con tutto il cuore. Attore, commediografo, regista e sceneggiatore, cresciuto alla scuola di Eduardo e di Luca De Filippo, capocomico, una piccola attenzione in tre titoli di Moretti, e poi i Vanzina e Brizzi, Martone e Tornatore, un altro titolo, “Compromessi sposi”, in arrivo nei prossimi giorni, i successi teatrali e le trasposizioni cinematografiche, volto ormai notissimo, a sprazzi ospite del tavolo di Fazio crocevia di quanto di meglio possa oggi proporre la cultura (e la pubblicità) italiana, magari adesso s’è pure aperto un’altra strada, di romanziere, dando alle stampe per Baldini&Castoldi il giallo “La bomba di Maradona”. Insomma, un gran bel successo. E la gente lo riempie d’applausi, non può fare a meno della lucetta del telefonino ma torna immediatamente a lui, s’accalca sotto il palcoscenico per stringergli la mano, assorbe come una spugna ogni sua battuta.

Lo si è visto l’altra sera all’Alfieri (repliche sino a domenica13), dove Salemme è tornato dopo il successo degli scorsi anni e il divertimento s’è ripetuto. Perché Salemme ha teatralmente il potere della scrittura, fervida, torrenziale, spiritosissima, certo debordante, dove le battute azzeccate lasciano il posto ad altre dello stesso peso nel giro di una manciata di secondi e poi quella faccia che affoga nell’amarognolo anche quando le mani si rimbalzano tiri infuocati di trovate. E in quella faccia il pubblico si riconosce. Questa volta ha inventato un piccolo uomo, in quattro e quattr’otto un povero fesso, un datatissimo professore di lettere che contrariamente a quanto lui dice il preside e i colleghi vedono tutti come una enorme disgrazia, un omino che spaesato è entrato senza capirne nulla in un ingranaggio più grande di lui e pronto a inghiottirlo. Subisce un trapianto di cuore e non sa che quel cuore è quello di un delinquente, morto assassinato, che nelle ultime volontà sussurrate alla feroce genitrice s’è fatto promettere che il suo cuore possa vivere ancora in chi dovrà vendicarlo. Ottavio Camaldoli di carattere, buono, pacifico, remissivo, non ne ha che uno e quello vuol tenersi e non ha nessuna intenzione di trasformarsi in truce assassino. Già ha una moglie da cui vive separato ma che continua a spillargli arredamento e quattrini con l’aiuto del nuovo compagno, non raccoglie nemmeno gli affetti della figlia che vive con lui, si lascia prendere in giro da un tale che ignorando ogni cosa del corpo umano “fa” l’infermiere, si ritrova in casa una budinosa badante indiana che altri non è che Gennaro da Pozzuoli. E altre tristezze di contorno.

Un atto unico, un lungo atto unico, un’ora e cinquanta minuti di risate senza sosta. Un pubblico fragoroso e osannante. Se poi la prima ora è spesa dall’autore per stra/inquadrare la vita la morte e i miracoli del protagonista, se uno svolgimento che segua l’antefatto ammazzatorio che abbiamo visto davanti ad un antico sipario del “Barbiere” di Rossini tarda a venire, se il povero attore che interpreta lo pseudo infermiere è messo lì a far proprie quasi in pieno mutismo anche le vicende del nonno del pover’uomo, mentre Ottavio racconta e racconta e racconta ancora, non fa nulla. Prevalgono quelle risate, che a volte sono capaci di contagiare anche gli attori in scena. Insomma una grande festa. E se l’autore difetta nello stiracchiare una penna che non gli sta ferma tra le dita, l’attore non demorde, viene in suo soccorso alla grande, la vince su tutti i fronti. Per il resto della serata si tirano le fila del racconto e teatralmente il gioco s’aggiusta. Ma il pubblico non se n’è nemmeno accorto.

 

Elio Rabbione