L’isola del libro. Speciale Natale
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria / In questa puntata dell’Isola del libro dal sapore natalizio ecco 10 libri dell’anno letti per voi, che sarebbero da portare assolutamente su un isola deserta e con i quali trascorrere ore magiche. 10 autori e titoli da non perdere e da regalare.
1 ) Gaia de Beaumont “Scusate le ceneri: biografia romanzata di Dorothy Parker” -Marsilio- euro 9,50
Questo è davvero un libro splendido. Più che una biografia, è “un romanzo liberamente ispirato” alla vita dell’americana Dorothy Parker (1893 – 1967). Un’ icona del XX secolo, emblema di fascino, raffinatezza e snobismo intellettuale nella New York degli anni 20 e 30. Fu giornalista di grido, scrittrice, poetessa, amica di artisti e del bel mondo dell’epoca.
Nasce con l’altisonante cognome Rothschild e, anche se la sua famiglia non ha connessioni con l’omonima banca, conosce e frequenta tutti i posti alla moda.
A 21 anni è assunta da Vogue come assistente editoriale: ma ha talento, è geniale ed ambiziosa. Così da semplice autrice di didascalie fotografiche diventa una firma di punta. E’ amica di grandi scrittori – Hemingway, Fitzgerald, Dos Passos-. Con Robert E. Sherwood fonda -ed è l’anima- della cosiddetta Tavola Rotonda (nel mitico Hotel Algonquin di New York); celebre anche come “circolo vizioso” dove si incontrano artisti, intellettuali e giornalisti che miscelano lavoro e divertimento. Dottie firma pezzi ferocemente acuti, autoironici, e prende brillantemente in giro il mondo dorato che frequenta.
Nella vita privata colleziona 2 aborti, 3 mariti e vari amanti bellissimi, più giovani di lei. Attanagliata da un perenne senso di angoscia, cerca di annullarlo con l’alcol e ripetuti tentativi di suicidio. La parabola della sua vita è discendente; invecchia presto e male, gli ultimi anni sono intrisi di povertà e solitudine, ed è stroncata da un infarto a 73 anni. Le ceneri del titolo sono quello che resta di lei dopo la cremazione. Dispone che sull’urna venga scritto “Scusate le ceneri”… che nessuno reclamò per ben 21 anni.
2 ) Isabelle Allende “Lungo petalo di mare” -Feltrinelli- euro 19,50
E’ la bellissima e travagliata storia del medico Victor Dalmau, scappato dalla guerra civile spagnola nel 1939, grazie all’aiuto di Pablo Neruda che noleggiò il piroscafo Winnipeg e portò più di 2000 repubblicani -in fuga dal regime franchista- in Cile. A bordo della nave ci sono Victor e la giovane pianista Roser Bruguera, i cui destini si uniscono indissolubilmente nel paese che è un “lungo petalo di mare e neve”. Tra amori passionali, matrimonio di facciata e poi unione profonda; attraversando pagine storiche durissime, come il golpe che nel 1973 fece cadere il presidente cileno Salvador Allende e consegnò il paese alla spietata dittatura dei colonnelli e alla morte di migliaia di desaparecidos. Non solo una grande storia d’amore, ma anche di rifugiati politici, esilio, migrazioni e ricerca di identità. Tutte cose che lei ha vissuto sulla sua pelle; è infatti la nipote del presidente socialista Salvador Allende destituito da Pinochet, e fu costretta all’esilio.
Per questo romanzo -con echi che richiamano il capolavoro assoluto della Allende “La casa degli spiriti”, del 1982, da cui l’omonimo film con Jeremy Irons- si è ispirata alla vita vera dell’esule Victor Pey, che conobbe in Venezuela. Lo incontrò 40 anni fa e solo ora si è decisa a raccontare la sua storia. Lui è morto -a 103 anni e lucidissimo fino alla fine- 6 giorni prima che lei potesse mandargli il manoscritto.
La scrittrice ha conosciuto personalmente anche Neruda; lei era una giovane giornalista e lui si rifiutò di concederle un’intervista dicendo che inventava troppo per il mestiere che faceva e che avrebbe dovuto invece dedicarsi alla narrativa. Ha seguito il consiglio ed oggi è la scrittrice di lingua spagnola più letta al mondo con 22 romanzi, tradotti in 35 lingue e 67milioni di copie vendute.
3 ) Sandro Veronesi “Il colibrì” -La nave di Teseo- euro 20,00
E’ il secondo Premio Strega che Veronesi si porta a casa (dopo quello nel 2006 con “Caos calmo”)
ed è la bellissima storia di una vita raccontata con la profondità a cui ci ha abituati. L’esistenza è quella dell’oftalmologo Marco Carrera, soprannominato “il colibrì” -come il piccolo uccello, apparentemente fragile- perché la sua statura sembrava aver segnato una battuta d’arresto. Nasce nel 1959 in una classica famiglia borghese fiorentina, e finisce i suoi giorni (in pagine che vi lasceranno il segno) in un ipotetico futuro 2030. In mezzo a questi poli opposti c’è la sua avventura umana, con gli sgambetti che il destino può fare, e ci sono i personaggi che abiteranno la sua vita.
Come la nipotina orfana Miraijin, che lui cresce con amore infinito e che diventerà una leader e concreta speranza di una nuova era per l’umanità.
I dolori nella vita di Marco sono una costante, ma lui è un colibrì e nella tempesta resiste tenacemente in volo sbattendo forsennatamente le ali. E dopo tanto peregrinare, arriva la fine che, coraggiosamente, sceglie per se, orchestrando la scena in un modo che già da solo vale tutto il romanzo.
4 ) Jeanine Cummins “Il sale della terra” -Feltrinelli- euro 18,00
Acapulco, Lydia e il figlio di 8 anni, Lucas, sono in bagno quando sentono i colpi a raffica che massacrano la loro famiglia – 16 persone- riunite in cortile per festeggiare la quinceañera di una nipote. Miracolosamente riescono a scampare alla carneficina; ma da quel momento saranno soli al mondo e braccati dai narcotrafficanti.
Iniziano così 400 pagine a perdifiato che narrano l’allucinante corsa verso los Estados Unidos, di una giovane donna e del suo piccolo-grande ometto, genio della geografia. E il romanzo ci catapulta in qualcosa che per noi è inimmaginabile.
“Il sale della terra” è la sconvolgente storia della loro fuga: su treni da prendere in corsa col rischio di essere spappolati, incontri con personaggi dall’umanità dolente, profonda e varia, alcuni pronti a fregarli, altri invece amichevoli. Un’Odissea che Jeanine Cummins -scrittrice spagnola, cresciuta nel Maryland, residente a New York- ha scritto dopo lunghe e approfondite ricerche, viaggiando da un lato all’altro del confine, per dare voce e rendere omaggio alle “migliaia di storie che non sentiremo mai”.
5 ) Romana Petri “Figlio del lupo” -Mondadori- euro 19,50
Veleggia tra romanzo e biografia lo splendido ritratto che Romana Petri dedica a uno dei massimi scrittori americani, Jack London, svelandoci gli anfratti della sua anima, gli alti e bassi della sua vita.
Amava definirsi “figlio del lupo” e presentiva di morire giovane perché il fuoco che aveva dentro “..aveva la fame di un lupo”: non si sbagliava, nato nel 1876 morì a soli 40 anni nel 1916. Una vita breve, ma in continua azione, tra mille mestieri, sempre nel tentativo di tenere insieme realtà e letteratura. Il carattere impetuoso, l’assenza del padre biologico compensata dall’affetto per il padre adottivo John London; il peso della madre Flora che parlava con gli spiriti dei defunti e mal sopportava le donne a cui si legò.
Donne che furono determinanti, ognuna a modo suo, a partire dalla giovane piccolo-borghese Mabel che non capì il suo talento. Poi l’affascinante ed enigmatica intellettuale russa Anna, che considerava anima gemella. La prima moglie Bessie, sposata con scarsa convinzione, che gli darà due figlie, ma non il tanto atteso erede maschio. Per ultima, l’amica Charmain che si trasformò in amante e poi seconda moglie, restandogli accanto fino all’ultimo respiro.
6 ) Ilaria Bernardini “Il ritratto” -Mondadori- euro 19,00
Valeria Costas è una famosa scrittrice 55enne che per 25 anni è stata l’amante dell’imprenditore di successo Martín Aclà, sposato con la pittrice Isla Lawndale con la quale ha messo al mondo tre figli. Dalla radio Valeria apprende che Martín ha avuto un ictus e da quel momento la sua vita vira bruscamente.
E’ semplicemente magnifico questo romanzo della scrittrice milanese 43enne Ilaria Bernardini, che parla di amore, tradimento, rimpianti, fraintendimenti, omissioni, segreti, lutti e ferite inferte dalla vita.
Valeria che è sempre rimasta nell’ombra, ora sprofonda nel terrore di non poterlo più rivedere. E cosa s’inventa per avere sue notizie e potergli stare più vicina? Chiede alla moglie di Martin di farle un ritratto da usare per la copertina del suo nuovo libro. Isla accetta, riesuma tele e pennelli, e invita Valeria a posare per lei nella sua casa londinese.
Trama a dir poco geniale e carica di suspense. Inizia così il via vai dell’amante nella casa di Martin,
in una situazione ambigua e anche pericolosa perché Valeria più volte, di soppiatto, si infila nella stanza in cui lui, incosciente, è tenuto in vita dai macchinari.
E come andrà a finire? Gustatevi il romanzo fino alla sorpresa finale.
7 ) Woody Allen “A proposito di niente” -La Nave di Teseo – euro 22,00
E’ un’autobiografia ricca di ironia, amori, figli, amarezza, malinconia e tanto cinema quella dell’84enne Woody Allen, regista e artista poliedrico di incommensurabile talento.
E se vi state chiedendo se narra anche la bruttissima storia con Mia Farrow, sappiate che alla vicenda riserva pagine al vetriolo in cui chiarisce una volta per tutte come sono andate le cose.
Parte dagli inizi, a soli 16 anni, con l’inventiva che lo contraddistingue e lo porta a scrivere battute al fulmicotone per radio, cinema, tv; poi 60 anni di carriera in cui ha scritto e diretto una cinquantina di film, che spesso ha reso memorabili con la sua recitazione in ruoli da protagonista (uno per tutti, l’esilarante “Provaci ancora Sam”).
Nel libro ci sono gli incontri con grandi personaggi, le sue fobie, tanti aneddoti e capitoli
dedicati ai suoi matrimoni e convivenze. Poco meno di 400 pagine che scorrono alla velocità della luce…
8 ) Joël Dicker “L’enigma della camera 622” -La Nave di Teseo- euro 22,00
Il nuovo travolgente e camaleontico thriller dello scrittore ginevrino (diventato famoso con “La verità sul caso Harry Quebert”), questa volta è ambientato in un hotel di lusso sulle Alpi svizzere.
Il romanzo è una sorta di gioco di specchi tra finzione narrativa e autobiografia, perché a mettersi sulle tracce del mistero che avvolge la camera 622 -nella quale 15 anni prima era avvenuto un delitto- è un giovane scrittore che assomiglia parecchio a Dicker… e riesce a risolvere un classico intrigante cold-case.
Tutto ruota intorno alla banca Ebezner, da più di 300 anni saldamente nelle mani della stessa famiglia, con la carica di presidente tramandata per generazioni di padre in figlio; ma ora le cose sono cambiate e l’incarico andrà a chi si dimostrerà davvero all’altezza.
E’ così che si scatena la lotta tra Macaire Ebezner e il brillante Lev Levovitch, affascinante self made man; i due si contenderanno anche la bellissima Anastasia (moglie di Macaire).
Movimentano ulteriormente la trama altri personaggi carichi di mistero, divoranti ambizioni, rapporti familiari complessi e controversi, amori e tradimenti, appuntamenti mancati e occasioni perdute, avvelenamenti e intrighi, in un folgorante susseguirsi di colpi di scena e con un epilogo insospettabile…632 pagine che non vorreste mai finire.
9 ) Nino Haratischwili “L’ottava vita (per Brilka)” -Marsilio- euro 24,00
E’ un romanzo mastodontico (1127 pagine), ma dentro c’è tutto ed è magnifico.
100 anni di storia – più precisamente “Il secolo rosso” – che travolgono le vite dei protagonisti: un mix sapientemente dosato di famiglia, amore, utopie, fughe, segreti, tradizioni, ribellione, sacrificio, passioni, codardia, coraggio, torture, tradimenti, aborti, assassinii, e molto altro ancora in
un’ altalena di tragedie collettive e private.
Voce narrante è quella di Niza che ricostruisce la saga degli Jashi, famiglia borghese benestante che deve la sua ricchezza al capostipite, industriale che ha inventato una ricetta segreta della cioccolata, tramandata attraverso 5 generazioni di donne incredibili.
Fortissime nell’affrontare il vortice storico che vede la Georgia dapprima governata dagli zar, poi indipendente, in seguito bolscevica e sovietica -tra terrore, purghe e gulag-. Dilaniata da 2 guerre mondiali, l’assedio di Leningrado, la Guerra Fredda, la Primavera di Praga, la perestrojka, la caduta del Muro… fino ad arrivare alla tris nipote Brilka nata nel 1993. Un romanzo che il “New York Times” ha definito «commovente, straziante, sublime».
10 ) Domenico Dara “Malinverno” -Feltrinelli- euro 18,00
Protagonista e voce narrante di questo romanzo è Astolfo Malinverno: uomo sensibilissimo, zoppo, malinconico e con la capacità di comprendere a fondo i dolori altrui. Vive a Timpanara, dove sorgono una cartiera e un maceratoio dai quali escono e si librano nell’aria volumi, fogli di giornale, pagine varie e assortite che diffondono il morbo della lettura tra gli abitanti.
Astolfo è il bibliotecario del paese e il guardiano del cimitero. La sua giornata è equamente divisa tra le due mansioni, e la storia mescola in modo meraviglioso vita, dolori, gioie, vezzi, amore, follie, sacrificio e morte che si amalgamano nei vari personaggi e nei misteri inerenti all’esistenza terrena e all’al di là.
Tra le pagine più sublimi, quelle in cui Astolfo si innamora della foto di una donna misteriosa che campeggia su una pietra tombale priva di nome e date. Un colpo di fulmine e l’inizio di un mistero. Poi conosciamo altri dolenti; da chi vuole essere unito in matrimonio con un defunto, a chi, straziato
dalla morte del suo cane, è riconoscente ad Astolfo che con pietas fuori dal comune lo seppellisce nel camposanto, dove il padrone è destinato a raggiungerlo… perché anche gli animali hanno un’anima. E ancora c’è chi crede a una formula numerica come teorema per calcolare il sopraggiungere della morte, chi registra voci e sussurri dall’oltretomba e tanti altri personaggi incredibili.
Un libro tutt’altro triste, perché sciorina poesia, amore, sentimenti profondi e la favolosa sensibilità di Astolfo che capisce l’amore indissolubile che può legare i sopravissuti a chi non c’è più.
Anno nuovo… band nuova
Caleidoscopio Rock USA Anni 60 ??
Si contano a centinaia le bands garage rock americane che negli anni Sessanta impostarono le proprie sessioni di incisione (45 giri o acetati) “al risparmio”.
Ed era alquanto difficile poter confezionare prodotti accettabili alla luce di spese ridotte all’osso, anche perché tutti ben conosciamo il vecchio proverbio che recita “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca…”. Eppure parecchie bands tendevano ad incaponirsi, magari propendendo all’utilizzo di buona strumentazione ma con apparecchi di presa di suono del tutto inadatti e talvolta perfino dozzinali per il suono rock. Già in altri articoli feci riferimento a studi di registrazione “adattati”, “di fortuna”, ricavati in stanze d’albergo riutilizzate o perfino in sottotetti di vecchi edifici, da cui non potevano che scaturire suoni di livello mediocre, quasi imbarazzanti. Una band “meteora” che rientrò pienamente in questa casistica fu “The Insane”, gruppo sorto nell’area tra Southington, Plainville e Bristol (Connecticut), composto da studenti di liceo: Jerry Talbot (chit), Bill Tomlin (chit), Gary Shea (b), Peter Brown [(V), org], Bill Buckland (batt). La band nacque il 1 gennaio 1967 e probabilmente investì la maggior parte del “budget” in area manageriale ed esibizioni “live”, affidandosi ben presto alla guida del manager Ken Griffin e all’agenzia Christopher Productions. L’area di azione era abbastanza estesa e copriva tranquillamente 4 stati: Connecticut, Massachussets, New York e Rhode Island; il repertorio si basava su rock&roll, soul e “cover” di varie bands (“in primis” The Who). A differenza di altri gruppi (che nemmeno la videro col binocolo la sala di registrazione…), “The Insane” riuscirono già entro luglio 1967 a tenere una sessione di incisione in una palestra di liceo a Thomaston (Connecticut), con intermediazione e supervisione di Gary Przybylski. A dispetto dell’”entourage” si può facilmente evincere che il prodotto finale tradisca uno scarso investimento sul versante discografico, materializzatosi nell’unico 45 giri: “I Can’t Prove It” [Pete Brown] (side B: “Someone Like You” [Brown – Buckland]), con etichetta Allen Associates. Come detto ad inizio articolo, è probabile che in questo caso si fosse in presenza di apparecchi di presa di suono inadatti, ben denotato dal fatto che la batteria è davvero troppo invasiva ed il suono vocale è contaminato e quasi gracchiante; inoltre anche la fase di mixaggio risultava sommaria, confermata da uno squilibrio lampante tra voce principale e “back vocals”, in cui le seconde, in più punti, sovrastano la prima quasi annullandola. In seguito riprese il fitto calendario di “gigs”, specialmente in Connecticut (tra Hartford, Bristol e Middletown)e Massachussetts (Springfield e Worcester), esteso tra autunno 1967 e primavera 1968, quando ebbe luogo un secondo tentativo di incisione, questa volta sostanzialmente abortito e concretizzatosi solo in acetati mediocri. La mancata incisione assestò un colpo non trascurabile all’entusiasmo della compagine, specialmente se si pensa che, come sempre, si avvicinava inesorabile il fatidico “bivio” del college, vero banco di prova per la “tenuta” di molte bands di adolescenti americani. “The Insane” non fecero eccezione, sciogliendosi nell’estate 1968 a fronte anche della chiamata in esercito, ostacolo insormontabile per migliaia di altri gruppi musicali dell’epoca.
Gian Marchisio
Casellati, voce libera e coraggiosa
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Nel silenzio più assoluto del Colle più alto che si limita a frasi generiche o a proposte di governi di legislatura che non gli spettano, il discorso del Presidente del Senato Elisabetta Casellati per gli auguri rivela una terzieta’ e un’ indipendenza di giudizio che le fa molto onore

Protagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino
Laureata in economia e commercio all’Università Cattolica di Milano, dopo uno stage presso l’agenzia di pubblicità McCann-Erickson, Federica Toscanini ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia. Un’azienda fondata nel 1920 che da quattro generazioni è un punto di riferimento internazionale per la produzione di portabiti e soluzioni per appendere capi di abbigliamento, accessori e scarpe. Una realtà imprenditoriale circondata dai boschi e dai torrenti della Valsesia che da sempre è attenta a contenere l’impatto delle produzioni sulle risorse naturali: una strategia che dimostra il rispetto della Famiglia Toscanini nei confronti del pianeta e dei suoi abitanti. Tra le buone pratiche adottate ci sono l’utilizzo di legnami provenienti da foreste controllate e valutati in maniera indipendente da enti accreditati in conformità ai principi della buona gestione forestale, un sistema organizzativo basato sul non spreco e sulla responsability di ogni dipendente, l’impiego di vernici a base acqua e pellami eco-friendly che provengono da concerie italiane certificate. Last but not least, questi lungimiranti imprenditori si sono occupati del recupero delle centrali idroelettriche dismesse lungo il corso dei fiumi Sesia e Mastallone e l’energia prodotta è conferita al gestore della rete elettrica, contribuendo così a ridurre l’uso dei carburanti fossili per il fabbisogno energetico.
Protagoniste di Valore ha incontrato Federica Toscanini, Marketing & Sales Director di questa impresa che vanta clienti come Valentino, Chanel, Loro Piana, Max Mara e Givenchy per citarne alcuni e che, in occasione del centenario che ricorre quest’anno, ha avuto l’onore di ricevere un francobollo emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico e appartenente alla serie tematica “Le Eccellenze del sistema produttivo ed economico”.
Dal fashion all’hôtellerie, i vostri portabiti uniscono qualità e design. Come vengono concepiti?
“La nostra azienda lavora in due modi: da un lato recepiamo gli input dei clienti che ci chiedono di risolvere un problema, ad esempio ci domandano portabiti per esporre in modo creativo un capo, oppure hanno un concept definito dal loro ufficio stile e noi lo produciamo. Dall’altro lato, invece, siamo noi che con curiosità e passione ideiamo nuovi modelli o ricerchiamo nuovi materiali e tecniche di personalizzazione. Circa 20 anni fa, con mio fratello, abbiamo iniziato a provare materiali diversi giocando con il sughero e il plexiglass, che in quei tempi era poco usato. A proposito di questo materiale, ricordo che pochi giorni dopo aver creato i prototipi ci contattò Jean Paul Gaultier perché voleva dei portabiti in vetro. Mi recai a Parigi e mostrai le nostre creazioni in plexiglass che piacquero così tanto che vennero scelte. Il problema è che, trattandosi di prototipi, non erano ancora stati industrializzati per cui passammo l’intera estate a produrli! Alla base di ogni nostro prodotto ci sono l’entusiasmo, l’amore per ciò che facciamo e la ricerca della qualità. D’altronde, è nel DNA del nostro territorio realizzare prodotti di eccellenza. Secondo noi il portabito deve valorizzare la vestibilità del capo e deve presentarlo nel miglior modo possibile. Ecco perché studiamo nuove forme, curiamo i dettagli e creiamo oggetti capaci di distinguersi per il design e per i materiali”.
Da sempre vi ispirate alla filosofia delle 3R: Reduce, Re-use, Recycle. Quali comportamenti virtuosi adottate in azienda?
“In questo ambito siamo stati degli inconsci precursori e già negli Anni ‘70 mio padre utilizzò dei silos per lo stoccaggio di trucioli e segatura che in inverno venivano bruciati in una caldaia per riscaldare gli uffici e il reparto produttivo. Lui da sempre ha puntato sui valori che ci hanno tramandato gli anziani. Un tempo in Valsesia le manifatture avevano una propria centrale idroelettrica che forniva energia ai telai. Nel tempo queste furono dismesse e lui, tra la fine degli Anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, acquistò una centrale idroelettrica che, tra l’altro, diede luce alla prima lampadina del Sacro Monte di Varallo, e nel 1986 la rimise a regime. All’epoca venne considerato un eccentrico, invece seppe creare una cultura famigliare legata alle centrali idroelettriche e infatti nel tempo ne abbiamo acquistate altre ed oggi produciamo energia 20 volte superiore al fabbisogno necessario all’azienda”.
Da quattro generazioni trasmettete valori a favore della collettività e del contesto in cui vivete. Qual è il vostro segreto?
“Veniamo da una terra dalla quale abbiamo ricevuto tanto e abbiamo recepito la cultura del fare bene. Mio fratello ed io siamo cresciuti secondo una regola semplice: Manca ‘ncó ‘n plûch (manca ancora un pelucco) in pratica mai accontentarsi del primo risultato per passare dal ben fatto all’eccellenza. Il prodotto perfetto ha proporzioni corrette: non c’è niente da aggiungere e niente da togliere. Noi lavoriamo così da sempre e queste caratteristiche ci vengono riconosciute sia in Italia che all’estero. Un altro segreto è che siamo affidabili e io stessa dico sempre che la mia scrivania è la prosecuzione di quella dei clienti perché ci identifichiamo nei nostri committenti e per noi la parola data è un valore. Il nostro team di lavoro, infine, ha un senso di appartenenza alla famiglia allargata Toscanini e si impegna nel raggiungimento degli obiettivi. Un aspetto fondamentale che ci rende orgogliosi delle persone che collaborano con noi”.
Siete Bee Respectful. Come è nata l’iniziativa di produrre miele?
“Un giorno un signore anziano che non conoscevamo passò a chiederci se in estate poteva portare le arnie nei nostri terreni e mio padre, in modo austero ma cordiale, acconsentì. Ovviamente le api producono il miele e abbiamo quindi deciso di metterlo in vasetti con il nostro logo e regalarlo ai clienti. L’idea è piaciuta molto e questo miele dal sapore delicato è diventato il trait d’union che unisce il nostro lavoro, il territorio della Valsesia e le partnership che abbiamo creato negli anni”.
Donna per lei significa?
“Spesso si parla di quote rosa come se si trattasse di una zavorra necessaria per una questione di immagine, invece ritengo che per le aziende sia un valore aggiunto avere delle donne nel proprio organico. Faccio un esempio: nel mondo dell’arredo abbiamo un cliente che anni fa divenne padre e gli feci recapitare il miele e dei mini portabiti decorati appositamente per la sua bambina. Quando tempo dopo mi recai nella sua sede, lui mi elogiò dicendo che nella sua azienda c’erano per lo più uomini e che puntavano su numeri e schemi, mentre noi donne abbiamo un approccio più morbido e rotondo. Secondo me la donna sa porre attenzione su aspetti che spesso non vengono considerati dagli uomini. Purtroppo viviamo in un mondo pensato da uomini per uomini, mentre credo che le aziende abbiano un’opportunità in più con il contributo femminile. In Toscanini i commerciali sono donne, forse perché hanno una maggiore attenzione ai dettagli e alle procedure oltre che una sensibilità diversa, che personalmente considero un valore. Da mia nonna alla mamma alla zia, nella nostra impresa le donne sono state delle colonne portanti, in prima persona o magari dietro le quinte. Sicuramente mio padre è stato un vulcano di creatività, ma con lui ci sono sempre state figure femminili che hanno avuto un ruolo strategico”.
IL FOCUS DI PROGESIA
I Valori dell’azienda Toscanini sono:
- Sviluppo sostenibile;
- Azienda human centric;
- Valorizzazione dei dipendenti.
Oltre il prodotto
Toscanini è un’azienda che ha fatto del rapporto con i suoi clienti un vero punto di forza: “noi siamo il loro collante, la memoria storica dei clienti” spiega Federica Toscanini. Il team di Toscanini è riuscito a costruire un rapporto duraturo e di fiducia con i clienti, e ciò permette di conoscere in modo approfondito le scelte che ogni cliente ha fatto nel corso del tempo e sulle basi di queste trovare le migliori soluzioni.
Federica Toscanini, infatti, afferma che non si sentono dei fornitori, ma dei collaboratori dei loro clienti. Le loro azioni sono finalizzate non solo alla soddisfazione del cliente diretto, ma anche a garantire un’esperienza di alto livello al cliente finale.
“Il nostro obiettivo è andare oltre il prodotto” afferma Federica Toscanini quando racconta come vengono coinvolti i clienti durante la scelta dei loro portabiti: “offriamo loro una vera esperienza. Il nostro prodotto deve essere toccato. Chiediamo ai clienti di chiudere gli occhi e sentire al tatto le rotondità, il peso, il materiale e ogni dettaglio”.
Dal 1920 ad oggi l’azienda Toscanini ha saputo creare un rapporto unico con la clientela, diventando un vero e proprio punto di riferimento sul mercato, riuscendo a fondere la tradizionale qualità alle azioni di ricerca e sviluppo orientate ad offrire prodotti innovativi e in linea con le esigenze dei clienti.
Passione e dedizione
“Il senso di appartenenza dei collaboratori verso l’azienda è fortissimo. La volta in cui è emerso chiaramente è stato il giorno dell’emissione del francobollo Toscanini per i 100 anni di attività” racconta Federica Toscanini. Le persone che lavorano con noi in azienda non sono dipendenti, ma collaboratori che affrontano ogni giorno il proprio lavoro con grande passione e dedizione verso il cliente.
La presenza della famiglia è forte in azienda ed è vissuta come parte integrante della squadra. “Siamo sul campo accanto ai collaboratori, condividiamo la quotidianità, le criticità e le soluzioni” spiega Federica Toscanini. Questa gestione delle risorse umane è funzionale all’approccio customer centric e al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Un tesoro
L’azienda Toscanini, prima di occuparsi di portabiti, produceva coltelli. Le meravigliose pagine di un taccuino datato 1916 di Giovanni Toscanini, nonno di Federica, mostrano modelli di coltelli, disegnati con particolare attenzione ai dettagli e alle rifiniture, elemento distintivo che caratterizza ancora oggi i prodotti Toscanini. Il taccuino è un vero e proprio tesoro, della famiglia e dell’azienda Toscanini, un oggetto capace di evocare emozioni e stupore per i disegni e le annotazioni scritte. In particolare, in una pagina intitolata “Comandamenti della vita” sono scritte le riflessioni di Giovanni Toscanini attraverso le cui parole emerge una grande personalità. La storia dell’azienda e quella della famiglia Toscanini, sono fortemente intrecciate tra loro e sono raccontate nel libro “Toscanini, l’arte di appendere” che è stato pubblicato in occasione dei 100 anni di attività.
Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino
Il Natale profano
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“Realismo magico” torinese
Torino vista dal mare /7 Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.
«Dopo la guerra sono venuto a Torino perché mi sembrava la città più adatta allo sviluppo della mia arte. Questa città quadrata, ordinata, mi sembrava che era proprio il posto dove io dovessi vivere ed ho per fortuna trovato una casa, ed è sempre stata quella sin da allora, che io amo moltissimo, silenziosa, è a piano terreno, piccolo giardino, un cortile, dove io sto con i miei cani, […] ed io vivo tranquillo, non sento automobili, non sento i tram, non sento nulla […] e la pittura proprio mia, veramente mia, è incominciata allora con il quadro L’Attesa, il Tiro a segno, La donna e l’armatura, Silvana Cenni, la mia vera pittura è cominciata allora, forse quella pausa lunga (della guerra) mi ha giovato in un certo senso, mi ha fatto fermentare germi che erano ancora in me e che non potevano avere sviluppo altro che, forse, in mezzo a questi dolori, la morte di mio padre […]»
La casa di cui parla Felice Casorati è la sua casa studio nel cuore di Torino, in via Mazzini 52, abitazione che lo ospitò fin al suo ultimo giorno torinese. Un angolo silenzioso, fuori dal tempo, con la facciata della palazzina interna del cortile di stile neoclassicoche circonda il piano terra dove lì troviamo casa Casorati. Ho scoperto casualmente quella casa in cui il pittore aveva risieduto, e come spesso accade quando ci si ritrova a camminare tra le strade e i luoghi che furono abituali di uomini del passato, le suggestioni visive che esse donano possono farti scoprire nostalgica di epoche mai vissute
Il nostro artista nasce a Novara sul finire del ‘800, 1883, ma la carriera militare del padre lo costringe a numerosi trasferimenti;compie quindi i suoi studi accademici a Padova, ma sviluppa il suo linguaggio pittorico tra le variegate suggestioni di molteplicicittà. Un linguaggio fatto di simbolismo, decorazioni art nouveau, di chiara ascendenza klimtiana, espressione di uno spirito giovane e sperimentatore.
È però a Torino che Casorati trova la sua città perfetta, scelta per stabilirvisi con la famiglia dopo la morte del padre avvenuta nel 1917.
Allo stesso modo di come accadde per Friedrich Nietzsche, anche Felice Casorati trovò qui il suo porto sicuro, dal quale però non volle mai salpare.
In questa città, da lui definita come ordinata, quadrata, nell’essere austera e misteriosa allo stesso tempo, trovò le condizioni ideali per la sua pittura, trasformandola e maturandola in quella pittura che nel tempo lo ha identificato.
A Torino assunse subito un ruolo di spicco nella vita culturale della città, diventando attivo frequentatore di Pietro Gobetti e fondando la società artistica Fontanesi, ha quindi vissuto e assaporato appieno la vita cittadina e come d’obbligo per molti artisti le ha dedicato varie opere.
Frugando tra i lavori dell’artista ho scovato alcune opere di Casorati, realizzate in momenti e per motivi diversi nel corso della sua attività, che raccontano perfettamente la sua Torino, la sua maniera di leggerne i particolari attraverso un linguaggio semplice ed essenziale.
I luoghi da lui descritti sono sempre iscritti all’interno di spazi prospettici sapientemente costruiti, le atmosfere sono tranquille, a volte enigmatiche, i colori usati sono tenui, a tratti non sempre realistici ma che restituiscono con sapienza il valore delle forme.
Tutto è sospeso in una atemporalità di chiaro influsso metafisico, c’è il senso dell’attesa, c’è suggestione, c’è la luce che indaga, c’è poesia, elementi che contribuiranno a delineare il “realismo magico” di cui si farà promotore insieme agli altri artisti di Novecento.
Anche con il passare degli anni, raccontando lo sviluppo industriale di Torino, grazie a un dipinto pubblicitario che la Fiat gli commissionò, riuscì sempre a mantenere quel ricercato equilibrio tra finzione e realtà.
L’arte di Felice Casorati è quindi declinazione perfetta di una relazione duratura, composta e senza tempo con la città di Torino.
Annachiara De Maio
Onorificenze e real-politique
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Il maresciallo jugoslavo Tito responsabile dell’infoibamento di circa 15 mila italiani del confine orientale e di un vera e propria pulizia etnica in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia venne insignito della gran Croce al merito della Repubblica italiana
E venne anche gratificato della Legion d’onore francese. E‘ una consuetudine diplomatica lo scambio reciproco di onorificenze tra capi degli Stati in visita all’estero. C’è chi in Italia in varie occasioni ha chiesto l’annullamento di quel riconoscimento a Tito. Io non mi unii mai a quella richiesta che rivela la non conoscenza delle consuetudini diplomatiche. Sulla Legion d’onore a Tito nessuno ebbe mai da eccepire. Adesso per il conferimento della legion d’onore al presidente egiziano il cav. Corrrado Augias e altri intendono restituire a Macron la Legion d’onore per non essere equiparati al presidente egiziano che, tra l’altro, ha firmato con Macron importanti accordi commerciali, come già accadde per l’Italia in tempi recenti. Giusto protestare per il giovane Regeni, se le stesse anime candide si fossero scadalizzate per Tito e per tanti capi di stato che ebbbero onorificenze da paesi democratici, pur essendo sistematici violatori dei diritti umani più elementari. L’ex comunista Augias è il tipico esempio di chi protesta a senso unico. Ad esempio, non ebbe mai una parola per lo scienziato Sacharov imprigionato dai sovietici. Eppure, avendo 85 anni, quelle vicende liberticide in Unione Sovietica, le ha vissute, mantenendo il più assoluto e conformistico silenzio verso l’Unione Sovietica. Il Cav. Augias fu anche deputato europeo dell’ex partito comunista. Qualche diritto in più a protestare ha la Bonino che però non restituisce la Legione che ebbe quando era ministro degli Esteri e sa cosa sia la real- politique. Il caso Regeni e’ vergognoso, ma cosa si dovrebbe dire di chi sta armeggiando vigliaccamente per privare della medaglia d’oro al valor civile alla memoria conferita da Ciampi alla studentessa infoibata Norma Cossetto, come sta succedendo a Reggio Emilia? Non si fa politica con le legion d’onori, ma semmai con la diplomazia ; quella italiana ha al vertice di Maio che dimentica i pescatori rinchiusi nelle prigioni libiche da mesi e ha fatto molto poco per Regieni. Sarebbe comunque interessante sapere che meriti abbia Augias per aver ottenuto la legion d’onore e non l’ordine di Lenin che sarebbe stato assai più meritato, anche se il giornalista è stato corrispondente della Rai da Parigi.
La sanità malata e le responsabilità della politica
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / In due recenti articoli relativi alla pandemia e al come è stata affrontata in Italia e nelle diverse regioni non ho esitato a scrivere di ghigliottine e di tintinnar di manette
