Rubriche- Pagina 77

“In fondo sei solamente quello che io non ho”

Music tales, la rubrica musicale

In fondo tu non sei bella

In fondo io non ti amo

In fondo sei solamente

Quello che io non ho”

Ho scoperto da poco tempo questa chicca di Niccolò Fabi presente nella sua raccolta “Diventi inventi” del 2017, e mi sono meravigliata di come sia capace di descrivere piccoli momenti quotidiani in un modo così intenso e poetico da farti rivivere e rielaborare la tua storia.

Non amai Fabi dal primo momento, non io.

Poi mi imbattei in “costruire” e scoprii che l’uomo di “Capelli” che proprio non apprezzavo affatto, si era avvicinato al mio cuore molto più di quanto avrei potuto pensare.

Non dirò nulla di questo brano, mi importa poco come sia stato partorito o vomitato. Mi importa cosa

smuove” in me.

“Dicono che nel corso della nostra vita abbiamo due grandi amori.

Uno è con cui ti sposi o vivi per sempre, forse diventerà il padre o la madre dei tuoi figli, e sarà quella persona con cui ottieni il massimo rapporto per stare il resto della tua vita accanto a lei o lui.”

Poi dicono che c’è un secondo grande amore, una persona che perderai sempre di continuo. Qualcuno con cui sei nato già connesso, si chiama “Chimica” dicono, ma a volte anche la forza della chimica impedisce di raggiungere un lieto fine. Fino a quando un certo giorno smetteranno di provare. Si arrenderanno e cercheranno quell’altra persona, e finiranno anche per trovarla ma non è quello che volevano.

Ma vi assicuro che non passeranno una sola notte, senza pentirsi e senza sentire il bisogno di un solo bacio, o magari discutere ancora una volta.
Tutti sanno di cosa sto parlando, perché mentre state leggendo questo,
vi è venuto il suo nome in testa.

Si libereranno di lui o di lei fisicamente, smetteranno di soffrire forse mentalmente, riusciranno a trovare la pace ( la sostituiranno con la calma) ma vi assicuro che pregheranno ogni giorno per aver un contatto anche solo per litigare o discutere.
Perché, a volte, si sprigiona più energia discutendo con qualcuno che ami, che facendo l’amore

con qualcuno che apprezzi.

Ricordate il filo rosso del destino?! Una leggenda che ha origine cinese che narra così:


“Un filo rosso invisibile collega coloro che sono destinati a ritrovarsi, indipendentemente dal tempo, luogo o circostanze. Il filo rosso può essere allungato, tirato, ingarbugliato, ma non si romperà mai.”

Paulo Coelho

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=QMk11JtZdd0&ab_channel=stefy573

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Woody Allen  “A proposito di niente”    -La Nave di Teseo –  euro  22,00

E’ un’autobiografia ricca di ironia, amori, figli, amarezza, malinconia e tanto cinema quella dell’84enne Woody Allen, regista e artista poliedrico di incommensurabile talento.

E se vi state chiedendo se narra anche la bruttissima storia con Mia Farrow, sappiate che alla vicenda riserva pagine al vetriolo in cui chiarisce una volta per tutte come sono andate le cose.

Allan Stewart Konigsberg (questo il suo vero nome) muove i primi passi in una famiglia yddish a Brooklyn, col padre che la sera gli sciorinava storie di gangster, mentre la madre gli ricordava Groucho Marx.

Poi gli inizi della sua strepitosa carriera a soli 16 anni con l’inventiva che lo contraddistingue e lo porta a scrivere battute al fulmicotone per radio, cinema, tv, “New Yorker”, e ad esibirsi nei locali notturni. Il resto è storia nota: 60 anni di carriera in cui ha scritto e diretto una cinquantina di film, che spesso ha reso memorabili con la sua recitazione in ruoli da protagonista (uno per tutti, l’esilarante “Provaci ancora Sam”).

Nel libro racconta gli incontri con personaggi del calibro del commediografo Arthur Miller -col quale concordò che “la vita non ha senso”- con registi europei che ammirava, con attori e attrici –“la bellezza di Scarlett Johanson è radioattiva”- e tanti aneddoti. Emergono le sue fobie, come quella di entrare a un party, e la sua visione esistenziale: già a 5 anni vedeva non il bicchiere, ma la bara mezza piena.

Ci sono succosi capitoli dedicati ai suoi matrimoni e convivenze. Il primo con Harlene, il secondo e tormentato con Louise Lasser che gliene fece di tutti colori, la scoperta di Diane Keaton come attrice e compagna di vita per qualche anno e amica per sempre.

Poi la sventura di incappare in Mia Farrow: nata in una famiglia borderline che ha prodotto casi di alcolismo, tossicodipendenza, suicidi, problemi con la legge, forse è stata anche molestata dai fratelli. Allen scrive: “Ero sorpreso di come fosse cresciuta in quel campo minato di follie assortite e ne fosse uscita non solo illesa ma anche affascinante…” Errore di valutazione madornale che gli rovinerà la vita.

13 anni insieme -anche se ognuno a casa sua- la Farrow che recita nei suoi film, ma soprattutto colleziona figli adottivi, meglio se hanno degli handicap, da esibire in pubblico per glorificare la sua persona. Però dietro le quinte, tra le mura domestiche è tutt’altra faccenda. Due pesi e due misure. La Farrow ha disinteresse, scatti d’ira e picchia regolarmente gli orfanelli che ha raccolto; mentre sviluppa un innaturale e morboso attaccamento al figlio Fletcher e dà il peggio di sé quando scopre che Woody Allen si è innamorato di Soon-Yi, figlia adottiva che lei maltrattava con indicibile cattiveria.

Manipolatrice all’ennesima potenza, la Farrow lo accusa di aver molestato un’altra figlia adottiva, Dylan: gli scatena addosso false testimonianze e plagia la prole fino a convincere Dylan di essere stata davvero violata.

Lo scandalo è enorme e, anche se il regista è stato scagionato, la portata del danno è sintetizzata dall’ostracismo che soprattutto in America vede Allen come un reietto. Il fattaccio risalirebbe al 1992 eppure ancora oggi il cinema e parte del mondo intellettuale credono alla campagna denigratoria del figlio Ronan (col quale non ha più contatti fin da quando aveva 4 anni, e nemmeno con Dylan da quando ne aveva 7).

A consolare il genio c’è il matrimonio con Soon-Yi che dura da 25 anni, alimentato da un amore costante e due figlie da crescere. Questo e molto altro in poco meno di 400 pagine che scorrono alla velocità della luce….

 

 

Joanne Ramos  “La fabbrica”  -Ponte alle Grazie –   euro  18,00

La fabbrica è Golden Oaks, una vera e propria azienda in cui giovani donne di etnie diverse e classi sociali disagiate vengono reclutate come “madri surrogate” per ricconi di tutto il mondo. E’ semplicemente magnifico questo romanzo di esordio di Joanne Ramos, nata nel 1973 a Manila, nelle Filippine, e dall’età di 6 anni cresciuta in America (nel Wisconsin), laureata a Princeton, un’esperienza di lavoro nel settore finanziario e poi questo libro-bomba che tocca temi attuali e dolenti.

Protagonista è Jane, di origine filippina, con una figlia piccola da sfamare e crescere; vive in un dormitorio e lavora in famiglie benestanti newyorkesi. Poi sua cugina le prospetta una strada diversa e lei si ritrova a Golden Oaks, struttura hi-tech a due ore da Manhattan, incinta e madre surrogata per una “cliente”.

La fabbrica funziona così: diretta da Mae Yu -ambiziosa donna d’affari- ospita ragazze per lo più di etnie sfortunate (filippine, latinoamericane, afroamericane) o del ceto medio americano impoverito. Ma c’è anche Reagan, giovane americana bianca laureata con lode che cerca di smarcarsi dal controllo paterno. Sono tutte madri surrogate alle quali sono stati impiantati ovuli che devono portare in grembo, proteggere e far sviluppare al meglio, seguendo il rigido protocollo dell’azienda: nutrirsi in modo salutare, tenersi in forma con attività fisica mirata, riposare e prendersi cura di sé e dei figli delle committenti. Per tutto questo vengono ampiamente remunerate.

Ma per chi si accollano la gestione dei feti per 9 mesi? Le clienti a volte anonime, altre no, sono spinte da più fattori: troppo in là con gli anni per portare a termine una gravidanza, troppo impegnate, sterili o anche solo vanitose e viziate che non vogliono sformare i loro corpi.

Comuni denominatori delle ospiti della fabbrica sono dubbi, sensi di colpa, terrore di abortire e perdere tutto. Alcune vedono la gestazione come un mero lavoro; altre sono convinte che aiutare altre donne a diventare madri sia un’azione nobile… e ben venga se remunerata.

Il romanzo è ispirato a storie vere che la Ramos ha raccolto; non vuole dare risposte, ma pone grandi domande come: “cosa c’è di giusto o sbagliato nell’esistenza?”, “che valore ha la vita?”.

 

Carlo H. De Medici   “I topi del cimitero”   – Cliquot Edizioni –  euro 18,00

Ecco una curiosa riscoperta, quella del giornalista, scrittore, illustratore e studioso di scienze occulte Carlo H. De’ Medici, della cui vita si sa poco: a partire dalla data di nascita, probabilmente il 29 agosto del 1887, mentre quella della morte non è pervenuta. Era figlio di un banchiere ebreo parigino e per anni visse a Gradisca d’Isonzo, fu vicino agli ambiente delle scienze esoteriche e alchemiche, e dai suoi scritti si evince che s’interrogava sul senso della vita.

I racconti de “I topi del cimitero” fanno parte dei suoi  “Racconti crudeli” del 1924 e colpiscono il lettore a pugno duro come solo la letteratura gotica sa fare, anche se in realtà è difficile classificarli.

I suoi personaggi, raccontati rigorosamente  in prima persona sono “anime nate –morte” che parlano da un imperscrutabile al di là e mettono a nudo l’anima tormentata dell’autore che scandaglia cosa sia la morte, cosa venga dopo o cosa ci sia nell’universo infinito.

I racconti narrano di topi che profanano una chiesa, della bellissima Marta la “taciturna” priva di senno e di materia grigia che fende la folla chiassosa al braccio di un’anziana signora. O ancora di due enigmatiche sorelle incontrate su un piroscafo che lo turbano profondamente «..baciavo Lodovica, e sognavo Luisa…Stringevo al mio petto la mia nuova amante, e chiamavo l’assente. Fuggii per non impazzire».

Nelle pagine fa capolino anche madama La Morte, alla taverna delle “Tre bare”, che si rivela essere una vecchia megera amante delle gozzoviglie e del vino (che non regge e la spinge a scatti d’ira).

E tra le figure femminili «…belle come sono belle le donne che amiamo in sogno» c’è anche Isabella che muore tra le braccia dell’amato.

Questo ed altro nella raccolta che testimonia quanto l’autore fosse affascinato dal decadentismo, influenzato da Poe e Huysmans, e si destreggiasse abilmente in racconti particolarmente esoterici.

Insomma un piccolo prezioso volume che l’editore Cliquot ha strappato dall’oblio arricchendolo anche con le illustrazioni goticheggianti disegnate da De Medici stesso, per meglio raccontare patti col diavolo, profezie, visioni e allucinazioni, fantasticherie varie e godibilissime.

 

Zadie Smith  “Questa strana e incontenibile stagione”  -BigSur –  euro 8,00

Sono 6 saggi sul periodo della pandemia e del lockdown da Covid 19 in cui la scrittrice (nata a Londra nel 1975 da padre inglese e madre Giamaicana)– tra marzo e maggio 2020- ha messo a nudo il tema più che mai attuale .

Lei abituata a viaggiare e dividere la sua vita tra Londra e New York (dove insegna scrittura creativa alla New York University) ha dovuto far fronte a una brusca frenata e sciorinato nero su bianco le sue riflessioni, tra idee politiche, esperienze personali, ragionamenti e spunti vari.

Analizza a fondo come «..l’unico modo per  uscire da qualcosa è attraversarlo. Cercare di conservare un po’ di spazio per sé stessi nell’affollata sfera domestica…».

Ed ecco pagine in cui possiamo riconoscerci e rivivere come abbiamo reinventato i nostri spazi, i rapporti di convivenza, le attività lavorative.

Zadie Smith riassume un caleidoscopio di esperienze nuove: dalla donna sola chiusa in un appartamento in cui la solitudine si fa ancora più opprimente, alle persone catapultate 24 ore su 24 in una famiglia in cui privacy e tempo vanno ridefiniti.

Niente è stato facile perché il virus si è diffuso velocemente, infettando non solo le persone ma anche famiglie, comunità e Stati, senza guardare in faccia nessuno, perché come scrive Zadie Smith «Al virus non importa chi sei».

Vi ricordate di mangiare abbastanza frutta?

MANGIARE CHIARO / Non smetterò mai di ricordare l’importanza di un adeguato consumo quotidiano di frutta.

La sento troppo spesso trattare come un qualcosa di extra, che tanto anche se non viene portata in tavola tutti i giorni che problema c’è.
Che poi
ehi, è piena di zucchero, quindi meglio lasciar stare! Beh, no, proprio no. Insieme alla verdura è un alimento fondamentale e dovrebbe trovarsi alla base della nostra alimentazione quotidiana. Entrambe sono ricche di vitamine, minerali e fibre e hanno un ruolo protettivo nella prevenzione di malattie croniche come patologie cardiovascolari, neoplastiche e respiratorie. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda un consumo di frutta e verdura di circa cinque porzioni al giorno (“fivea day”), inserite nel contesto di un regime alimentare e stile di vita di tipo mediterraneo, che non solo si rivela favorevole al raggiungimento o mantenimento diun buono stato di salute, ma è anche in linea con il rispetto dell’ambiente. 

Pensate che “in Italia, meno di 5 adulti su 10 consumano non più di 2 porzioni al giorno di frutta o verdura, 4 su 10 ne consumano 3-4 porzioni, mentre solo 1 su 10 ne consuma la quantità raccomandata dalle linee guida per una corretta alimentazione, ovvero 5 porzioni al giorno (five a day)”.

Possiamo fare di meglio, dai. Oltretutto potete mangiare la frutta quando volete: prima dei pasti, a colazione, dopo pranzo o dopo cena, come spuntino. Basta che la consumiate.

2-3 porzioni al giorno da 150 g e passa la paura. E non dimenticate la verdura!

Fonti: https://www.epicentro.iss.it/passi/dati/frutta

Vittoria Roscigno

 

Vittoria Roscigno, classe 1995, laureata con lode in Dietisticapresso l’Università degli studi di Torino e con il massimo dei voti nella Magistrale in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università degli studi di Firenze. Ha conseguito i titoli di “Esperta in nutrizione sportiva” e “Nutrition expert” mediante due corsi annuali e sta attualmente frequentando un Master di II livello in Dietetica e Nutrizione Clinica presso l’Università degli studi di Pavia. Lavora in qualità di dietista presso le strutture HumanitasGradenigo e Humanitas Cellini, oltre a svolgere attività di libera professione a Torino.

 

  • “Che la scienza e la buona forchetta siano sempre con te”

Sito: vittoriaroscigno.it

Instagram: @dietistavittoriaroscigno

Facebook: Dott.ssa Vittoria Roscigno – Dietista

Arriva il corso di cucina della Cuoca Insolita!

Vi segnaliamo il corso di cucina della Cuoca Insolita.

Martedì 22 settembre impareremo 3 ricette deliziose per una merenda sana e nutriente.

Farai passo-passo tutte le ricette. Scoprirai che si possono fare miracoli con attrezzi da cucina semplicissimi, che sicuramente hai già anche a casa tua. L’atmosfera è amichevole e rilassata: qui non c’è nessuna competizione! Alla fine assaggerai tutto quello che hai cucinato tu!
Sarai accolto con un piccolo aperitivo di benvenuto, riceverai tutto il materiale didattico, il grembiule e un omaggio a fine corso

 

Siete pronti a imparare 3 che faranno impazzire grandi e piccini?

1) Pangoccioli: i panini dolci al cioccolato buoni e soffici come tutti li conosciamo

2) Nuvolette in padella: delle focaccine morbidose buone così o da farcire, preparate con lievito naturale.

3) Tacchino al forno: con 5 minuti di preparazione e senza sporcare neanche la teglia, resterà morbidissimo e facile da tagliare, pronto per il panino!

Ci vediamo il 22 settembre, dalle 19 alle 22, da STUDIOFOOD33, in Via dei Mille 33 a Torino, clicca qui per scoprire tutto sul corso e iscriverti. In omaggio riceverai una shopping bag firmata de La Cuoca Insolita e uno sconto del 10% in tutti i negozi del Torino Outlet Village.

Chi è la Cuoca Insolita

Elsa Panini, biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare, in cucina da sempre per passione, qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole cambiare abitudini a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina a tema. Il punto fermo è sempre regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano (anche per i bambini), si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di allergie. Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie materie prime di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Vigdis Hjorth  “Eredità”  -Fazi –   euro  18,50

In Norvegia Vigdis Hjorth è un’autrice famosa ed ha conquistato fama internazionale proprio con questo romanzo, pubblicato nel 2016 nel suo paese ed ora tradotto da Fazi. “Eredità” ha vinto premi prestigiosi, è nella Longlist dell’americano National Book Award 2019, e si discute su quanto sia auto fiction, ovvero realtà o finzione letteraria? Lasciate perdere questa querelle, piuttosto fate caso alla bellezza del romanzo e all’abilità dell’autrice nel raccontare con estrema finezza psicologica.

La famiglia norvegese del romanzo è gelida quanto basta, a suo modo spietata. Voce narrante è quella di Bergljot che narra traumi del passato e un presente difficile.

La sua è una famiglia complicata dalla quale ha preso le distanze da oltre 20 anni; nasconde un segreto indicibile che ha segnato tutta la sua vita e spalancato il baratro nei confronti dei familiari.

I suoi genitori in là con gli anni, decidono di fare testamento per i loro 4 figli. Il primogenito Bard, Bergljot e le sorelle Asa  e Astrid; le più vicine in tutti i sensi ai genitori, alle quali destinano le due case al mare. Un lascito sperequato, un’ingiustizia e un tradimento perché il loro valore affettivo travalica quello economico e apre crepe abissali tra gli eredi.

Quando il padre muore la questione diventa improrogabile e porta a galla antiche rivalità, abusi in famiglia, gelosie e sudditanze affettive.

Scoprirete cosa ha determinato il distacco della protagonista dalla sua famiglia altamente disfunzionale e che la ferita è ancora aperta.

Un libro che vale la pena di leggere perché affronta tematiche profonde, sonda i meandri affettivi dei protagonisti ed è scritto divinamente…

 

 

Banana Yoshimoto  “Il dolce domani”   -Feltrinelli –  euro  12

Libro snello per un argomento mastodontico: come sopravvivere alla morte di chi amiamo?

La scrittrice giapponese ce lo dice in appena 104 pagine, spaziando dal dolore sconvolgente alla stentata sopravvivenza di chi resta con ricordi che fanno male. Ma racconta anche come si può tornare alla vita.

Protagonista e voce narrante è la 28enne Sayoko, rimasta vittima di un incidente d’auto insieme al suo compagno e grande amore, lo scultore Yȏichi. Lui muore sul colpo, lei si ritrova semiagonizzante con un bastone di ferro conficcato nella pancia… e se prima credeva che la vita potesse essere eterna, ora lo schianto è contro la dura realtà: «La morte è sempre a un passo da noi».

Quella di Sayoko e Yȏichi era una bellissima storia di amore, intimità e profonda comprensione in una relazione a distanza che riusciva a stare in equilibrio, con lui che viveva a Kyoto e lei a Tokyo. Il destino sferra il suo colpo mortale a fine estate mentre tornano da un soggiorno alle terme…e  per lei nulla sarà mai più come prima.

Il romanzo è la cronistoria di come  Sayoko affronta il dolore al risveglio in ospedale, tra traumi fisici e soprattutto lo strazio soverchiante per la morte di Yȏichi.

Anche se i due non erano sposati il loro era un legame talmente saldo che i genitori di lui la trattano in tutto e per tutto come la vedova del figlio.

Ma lei sente di aver ormai perso la sua “Mabui”, ovvero l’anima. E a Okinawa si dice che se ti cade il “Mabui” devi tornare a raccoglierlo nel punto in cui è caduto. Ecco quello che si appresta a fare, tra mille difficoltà  interiori e tanta nostalgia, Sayoko.

Un libro che parla di morte, ma anche di tanta speranza, scritto dopo il terremoto e lo tsunami di Fukushima e dedicato dall’autrice alle popolazioni colpite.

 

 

Kathleen  Rooney  “Lillian Boxfish si fa un giro”  -8tto Edizioni-  euro 19,00

Non si può non amare la protagonista e voce narrante di questo gioiello, pubblicato da una nuova e coraggiosa casa editrice fondata da 4 donne intraprendenti, esperte di editoria e con un palato letterario finissimo e di alto livello.

Lillian è un’arzilla e divertentissima vecchietta di 85 anni che festeggia sola soletta l’ultimo giorno dell’anno 1984 a New York  -che non è solo lo sfondo del romanzo, ma la grandiosa e affascinante coprotagonista- e lo fa camminando avvolta nella sua pelliccia, agghindata a festa.

Una lunga passeggiata anche nei ricordi della sua vita che sciorina in pagine magnifiche, piene di ironia, intelligenza e sensibilità; leggere e profonde allo stesso tempo.

Negli anni 20 Lillian era arrivata nella Grande Mela e aveva trovato lavoro come copywriter per il grande magazzino di lusso Macy’s.  Brillante, arguta, divertente e determinata era diventata in poco tempo una leggenda del mondo pubblicitario, la prima donna in questo campo e pagata profumatamente.

Poi il colpo di fulmine per Max, l’attesa del figlio e la fine del lavoro, perché negli anni 30 le donne con figli non sapevano neanche cosa fossero le tutele della maternità.

Lillian camminando farà incontri che aprono spiragli nei suoi ricordi e riportano a galla successi e gioie, ma anche fallimenti e rinunce.

Un romanzo che vi trascinerà senza sosta, terapeutico perché pieno di ironia e saggezza, ispirato alla vera storia di Margaret Fishback, il primo pubblicitario donna più pagato al mondo. Un gioiello da non perdere, che vi lascerà dolcezza e buonumore a iosa.

 

 

Glenn Cooper  “Il sigillo del cielo”  – Editrice Nord-  euro   20,00

Al centro di questo thriller c’è una misteriosa pietra nera, fulcro dei destini di vari personaggi che viaggiano su tre piani temporali diversi – tra umano e divino- con svolte inaspettate e continue.

La storia inizia con il famoso archeologo 62enne Hiram Donovan che, durante uno scavo in Iraq nel 1989, trova sepolta nella sabbia una pietra levigata a specchio. Un disco di ossidiana, perfettamente piatto e rotondo, 10 cm di diametro, uno di spessore… e quando un raggio di sole ne colpisce la superficie, qualcosa di inspiegabile accade allo scienziato. Contravvenendo alla sua etica, non dichiara la scoperta, la nasconde e la invia alla moglie, in America, per studiarla con calma in un secondo tempo. Peccato che il destino abbia in serbo per lui una morte violenta, mascherata da incidente.

Massachusetts, ai tempi nostri, il figlio di Hiram, Carl, che ha seguito le orme paterne ed è University Professor ad Harvard, deve fare i conti con la morte dell’anziana madre Bes. E’ stata assassinata nel suo lussuoso appartamento di Park Avenue a New York, messo a soqquadro ma dal quale sembra non sia stato rubato nulla.

Carl affronta il dolore e, insieme alla fidanzata Jessica, smonta la casa materna, trovando la busta spedita oltre 30 anni prima dal padre, ancora sigillata. Da quel momento in poi anche le loro vite saranno in pericolo.

Terzo piano temporale all’indietro, nel 1095 a Mosul dove tutto ha inizio, con il monaco Daniel Basidi che parla con gli angeli….

A mozzarvi il fiato sarà l’ossessione per questo oggetto che ha travolto imperatori, religiosi e avventurieri, una minaccia per  il mondo che tocca a Carl affrontare.

Non smentisce la sua bravura Glen Cooper, uomo dai mille talenti e selfmade-man, in questo romanzo in cui innesta anche la sua laurea in archeologia ad Harvard. Nel suo curriculum c’è anche un dottorato in medicina ed è stato a capo di un importante industria di biotecnologie. Non basta, oltreché autore del best seller “La biblioteca dei morti” al quale sono seguiti altri romanzi di successo è anche sceneggiatore e  produttore cinematografico.

 

 

 

 

 

Allergie e intolleranze alimentari: ecco come proteggersi da test inutili

MANGIARE CHIARO / Il magico mondo dei fuffa-test. Quante volte abbiamo sentito nominare le allergie e le intolleranze alimentari e gli innumerevoli “test diagnostici” in commercio che vengono spacciati come soluzione a tutti i nostri mali?

Ecco, partiamo dall’inizio e facciamo un po’ di chiarezza, che le basi non guastano mai. Intanto, allergie e intolleranze alimentari rientrano nel calderone delle “Reazioni Avverse agli Alimenti” e tra tutte sono le più frequenti, ma NON sono la stessa cosa.

Le allergie alimentari sono reazioni immunologiche mediate da anticorpi della classe IgE che reagiscono verso componenti alimentari di natura proteica.

Per farla semplice: io mangio ad esempio una pesca fresca, il mio sistema immunitario riconosce una componente proteica della pesca chiamata profilina, la etichetta come “pericolosa”, libera quindi IgE e scatena la reazione allergica.

La sintomatologia è variegata, da gravi reazioni sistemiche a sintomi locali e più lievi, in base al tipo di proteina che scatena la reazione delle IgE.

A chi ci si deve rivolgere per la diagnosi? Esclusivamente all’allergologo, che tramite un iter diagnostico ben preciso (anamnesi clinica in primis e successivamente test validati) arriverà a sciogliere il bandolo della matassa.

I responsabili della maggior parte delle reazioni allergiche alimentari sono latte, uova, arachidi, pesci, frutta secca, soia, crostacei, verdura e frutta.

Intolleranze alimentari: cosa sono

Passiamo ora alle intolleranze alimentari, che provocano sintomi talvolta simili a quelli delle allergie, ma non sono dovute ad una reazione del sistema immunitario e soprattutto variano in base alla quantità ingerita dell’alimento non tollerato.

Inoltre, altri fattori possono portare ad una sintomatologia sovrapponibile a quella delle intolleranze, come ad esempio delle abitudini alimentari scorrette oppure alterazioni gastrointestinali.

Si distinguono principalmente tre tipi di intolleranze: da difetti enzimatici (intolleranza al lattosio), da sostanze farmacologicamente attive, da meccanismi sconosciuti (es.: intolleranze da additivi). L’iter diagnostico non prevede né santoni né test dai nomi strani, ma un approccio multidisciplinare che coinvolge l’allergologo (per escludere allergie alimentari), il gastroenterologo ed eventualmente un professionista della nutrizione (dietista, nutrizionista o dietologo) se è necessario correggere le abitudini alimentari. 

Spoiler: se vi hanno “diagnosticato” un’intolleranza con qualche metodo particolare, per dirne una con un prelievo di sangue e dosaggio delle IgG, l’unico risultato attendibile e tangibile è l’alleggerimento del vostro portafogli. Già, tutta fuffa. L’unico test scientificamente validato per accertare un’intolleranza alimentare è il breath test per il lattosio.

Quali sono i test da evitare?

Vi lascio qui di seguito una carrellata di test da cui stare alla larga:

  • Test di provocazione-neutralizzazione intradermico
  • Test di provocazione-neutralizzazione sublinguale
  • Kinesiologia Applicata
  • Vega test
  • Sarm test
  • Biostrenght test
  • Biorisonanza
  • Iridologia
  • Analisi del capello
  • Pulse test
  • Strenght test
  • Riflesso cardio auricolare
  • Test citotossico
  • Dosaggio delle IgG 4

L’argomento è molto più che vasto, sintetizzare tutto in un articolo è impossibile. Il mio scopo è quello di fornirvi qualche strumento in più per poter essere maggiormente critici e consapevoli.

Non fatevi prendere in giro, non sprecate i vostri soldi. Scegliete con criterio a chi affidare la vostra salute.

FONTI: https://www.siaip.it/upload/1985_Documento_Alimentazione_e_stili_di_vita_.pdf

Vittoria Roscigno

Vittoria Roscigno, classe 1995, laureata con lode in Dietistica presso l’Università degli studi di Torino e con il massimo dei voti nella Magistrale in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università degli studi di Firenze. Ha conseguito i titoli di “Esperta in nutrizione sportiva” e “Nutrition expert” mediante due corsi annuali e sta attualmente frequentando un Master di II livello in Dietetica e Nutrizione Clinica presso l’Università degli studi di Pavia. Lavora in qualità di dietista presso le strutture Humanitas Gradenigo e Humanitas Cellini, oltre a svolgere attività di libera professione a Torino.

-“Che la scienza e la buona forchetta siano sempre con te”.
Sito: vittoriaroscigno.it
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Facebook: Dott.ssa Vittoria Roscigno – Dietista

Delude Christopher Nolan per una storia fragorosa, dove gioca con il tempo e annoia

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione / “Tenet” inaugura la stagione cinematografica

 

Confidando negli strilli pubblicitari o nelle parole benauguranti di certi ben informati, Tenet sarebbe dovuto essere il film con le più ampie capacità di riportare la gente al cinema. Il che dovuto non soltanto ad una programmazione di inizio stagione fatta di curiosità e di sospirata liberazione dai ristretti sche(r)mi televisivi, ma soprattutto alla necessità di un (buon) cinema visto (e gustato) in sala, con tutte le sacrosante paure e difese di e da pandemie, contagi, ricadute e ogni altra apocalisse; e poi alla grande opera di un regista che negli ultimi vent’anni ha disseminato lo schermo di tanti capolavori, da Insomnia ai vari Batman, da Inception a quel Dunkirk del ’17, suddiviso in triplice visione tra cielo, mare e terra, che tanto abbiamo amato.

Certo di questi tempi vorranno dire qualcosa i 400mila euro d’incasso il primo giorno di proiezioni italiane, certo è stato davvero l’occasione giusta per riaprire le porte al cinema, il giorno sognato: ma l’ultimo titolo di Christopher Nolan si chiude con le pagine finali dell’amaro in bocca per un’opera che in una sceneggiatura estremamente trombona ha rovesciato strizzate d’occhio agli 007 come a noiosi trattati fisico/filosofici, affondati nella percezione e nell’uso del tempo alla rovescia, immersi nel piacere di mescolare e rimescolare le carte, con il menefreghismo più assoluto nei confronti di un pubblico in attesa e orante. Non ci si può affidare al bum bum bum di certe scene fragorose, impetuose, tonanti, tra fiamme e spari; non ci si può affidare al crash di un enorme aereo che come un arrabbiato uccellaccio si cala sull’hangar di un aeroporto e ne fa strage; non ci si può divertire per l’ennesima volta di fronte a inseguimenti di auto, con montaggi superveloci, dai cui interni, da uno all’altro, rimbalzano palleggi di rossi contenitori di parti di armi; non si può pendere dalle labbra di una dottissima scienziata indiana che di tanto in tanto rispunta in aiuto nostro (e forse del regista) a farci partecipi di un qualche chiarimento che, a costo di passare per deficienti, lascia davvero il tempo che trova.

E non chiedetemi della trama, pasticciata, arruffata, chiusa in se stessa con tanto di arroganza, stupidamente didascalica a tratti, che s’impegna oltre misura ad annaspare in un mare che poteva rimanere un poco più liscio con buona pace di tutti, magari benignamente per noi povera di dialoghi nella prima parte e poi grondante parole e termini che un buon vocabolario in aula di proiezione farebbe fatica a chiarire. Alla Storia più o meno recente si riallaccia l’inizio, con tanto di truppe in tenuta antisommossa che irrompono nel Teatro dell’Opera di una non meglio identificata città di Santa Madre Russia (forse Kiev, ma non ha molta importanza) per mandare l’intero pubblico nel mondo dei sogni. La parola d’ordine diventa sventare la terza guerra mondiali e di lì in avanti si comincia a lavorare. E a confondere. Panorami diversi e suggestivi (Mumbai, la Costa amalfitana, Londra, Oslo in tutta la sua bellezza, gran bello spettacolo: persino le sotterranee città dell’URSS, proposteci come fantasmi, portano una loro bella suggestione), due giovani eroi, un nero e un bianco – John David Washington, il figlio di Denzel e la scoperta di Spike Lee, e Robert Pattinson, una carriera di ex vampiro alle spalle, all’occorrenza capace pure di affiancare la saputella indiana per buttare nel calderone qualche idea in più: entrambi facilmente sostituibili con qualsiasi altro collega rimasto a Hollywood – che non peccano certo di fiducia reciproca e che si devono buttare in missioni pressoché suicide, proiettili che sparati dalla solita pistola hanno ora la sorpresa di invertire la traiettoria e rientrare nell’arma (e come i proiettili anche i personaggi hanno questo vizio del vado e rieccomi qua), algoritmi e una nebulosa ragnatela dentro cui, alzando bene le orecchie, ci si accorge che viene pure scomodato il “Quadrato del Sator” nascosto in qualche cognome o società (ricordate le enigmatiche cinque parole latine, esempio di palindromo, qui capace di impossessarsi e governare il mondo intero, enigmaticamente lette da sinistra a destra e viceversa sui banchi di scuola?), un cattivissimo Kenneth Branagh che accarezza un simile sogno accanto ad una bionda e longilinea moglie (di un attimo erotico tra primi piani di visi occhi e altre parti corporali della signora, manco a parlarne) che non gioca ad altro che a mettergli il bastone tra le ruote e che anzi non ci pensa su dallo scaraventare il mare il poveretto pur di vederlo morto, azioni catapultate nel futuro che hanno già avuto a che fare con il passato, incontri al vetriolo veri o immaginati, azioni contemporanee viste ai nostri occhi diverse, è sufficiente che un vetro le separi e ce le renda come è piaciuto a Christopher Nolan: con l’inghippo dello sdoppiamento dei protagonisti. Qualcuno, per un paio di volte almeno, ha il buon gusto di avvertirci “non tentare di capire, senti soltanto”. Il rovinoso finale altro non è che la resa dei conti tra il micidiale cattivone e consorte, con la domanda “di tutto il resto come scriviamo la parola fine?”

Nolan non è mai stato facile, è tortuoso, espone una sua filosofia e tu dovresti già esser lì, tremante davanti a lui, come il più preparato degli studenti. Certo non è mai bassamente banale, ti fa lavorare ad ogni immagine. In altre occasioni ha saputo tuttavia intrappolarci con acutezze, con montagne russe che ti piaceva un sacco salire e ridiscendere, con la curiosità allegra di addentrarti in certi meccanismi, in sulfurei giochi di specchi, in passaggi improvvisi, in liquefazioni pronte a ricomporsi immediatamente: qui ha soprattutto il sopravvento il cinema del movimento, del guazzabuglio meccanico, del giochino proposto in ogni suo attimo per testimoniare i 200 e passa milioni di dollari spesi nell’operazione. Ti alzi dalla poltrona e di Tenet ti porti a casa davvero poco. Anzi pochissimo. Nelle mani di Nolan, che ne è rimasto del povero spettatore che cercava un altro capolavoro e una inaugurazione di annata cinematografica diciamo con qualche leggero entusiasmo?

Leo amore di mamma

Qua la zampa / È di razza blasonata ma non si da’ troppe arie. Anzi, è un tipo alla mano: gli basta mangiare, giocare e dormire a volontà.

Leone, per gli amici Leo, il piccolo Scottish  Fold  British che vedete in foto, è il gatto adorato e viziatissimo di “mamma” Dani. Come darle torto? Inviateci le fotografie dei vostri animali da compagnia con una breve “nota biografica“, le pubblicheremo sul Torinese!