
Il Pd è dato tra il 32,2-34,4%. Nel centrosinistra i Moderati non sono stati inseriti nel sondaggio, particolare non irrilevante, poiché a Torino raccolgono sempre un risultato significativo, soprattutto alle Comunali. Ncd da prefisso telefonico
A poco più di sei mesi dal voto per le Comunali torinesi, secondo il sondaggio commissionato da Forza Italia ad Alessandra Ghisleri di Euromedia Research (la sondaggista “personale” di Berlusconi) e anticipato dalla redazione torinese di Repubblica, il centrodestra è fuori dai giochi per Palazzo Civico. La vera sorpresa (annunciata) sono i grillini che candidano Chiara Appendino sindaco e che andrebbero al ballottaggio con il centrosinistra e raccoglierebbero tra il 28.5 e il 30 per cento dei consensi, come secondo partito dopo il Pd, dato tra il 32,2-34,4%. Nel centrosinistra i Moderati non sono stati inseriti nel sondaggio, particolare non irrilevante, poiché a Torino raccolgono sempre un risultato significativo, soprattutto alle Comunali. Certo è che Piero Fassino non dorme sonni tranquilli, con un rischio pentastellato così rilevante. Il centrodestra nel suo insieme viene invece dato tra il 20 e il 25 per cento: FI 8-10%, Fdi 2-3%, Ln 10-12%. Dopo tante schermaglie interne, pare ormai molto probabile la candidatura a sindaco del notaio Alberto Morano, unico nome spendibile e di peso nella coalizione che una volta vedeva Forza Italia come partito – guida. Ncd è stimato tra lo 0,5 e l’1,5%, cifre da prefisso telefonico e da riunioni di partito in cabina telefonica. La sinistra rosso antico di Airaudo oscillerebbe tra il 6 e l’8%, più o meno come gli azzurri berlusconiani. Tanti gli indecisi oscillano tra il 18 e il 20%.
(Foto: il Torinese)
Motori al massimo per la prima edizione de Il Gusto del Natale, l’evento e mercatino natalizio che si svolgerà al Borgo medievale di Torino
Il pubblico esulta plaudente per le kermesse nazionalpopolari , ma siamo sicuri che queste sagre da strapaese in formato gigante, non vadano a detrimento del decoro di una città ormai riconosciuta capitale del bello, dell’arte e della storia?
(sempre gradito, per carità) il municipio fa bene a derogare rispetto alle norme vigenti che non consentono “baracconi” nelle piazze auliche?
AVVISTAMENTI / 




limitata al confronto dei numeri di biglietti staccati, ci ha convinti, però, a occuparcene fin da subito. I dati che vedremo, in effetti, suoneranno, per molti, come un’assoluta novità.
Quello relativo al semplice numero dei visitatori è un dato che va trattato con attenzione. Quando ci si misura con il numero di ingressi, infatti, può essere utile chiedersi se i biglietti siano stati venduti a prezzo pieno o ridotto, o se siano stati ceduti gratuitamente. Tutte informazioni che, ovviamente, consentono di farsi un’idea più precisa. Se il prezzo medio di un biglietto oscilla in un range compreso tra il costo dell’ingresso ridotto e quello dell’intero, il dato può essere considerato positivo. Se, al contrario, il prezzo medio si colloca molto al di sotto della tariffa ridotta, siamo in presenza di un problema: ad abbattere il prezzo non può essere stata, infatti, che un’amplissima diffusione di biglietti omaggio. Il che, naturalmente, deve portare a una riconsiderazione del significato da attribuire al numero degli ingressi. Un ingresso a pagamento, infatti, vale molto più di un ingresso omaggio, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’effettivo interesse del pubblico nei confronti del museo.
anche quando è gestita al meglio, è in grado di sopravvivere con le sue sole forze: di norma, le entrate derivanti dalle biglietterie e da servizi accessori come bookshop e caffetterie risultano di gran lunga insufficienti a sostenere i costi connessi alla vita di un museo. Risulta centrale, quindi, il ruolo delle istituzioni pubbliche, a cui si affiancano normalmente le fondazioni bancarie e, molto più di rado, alcuni sponsor privati. Sono questi tre soggetti a fornire ai musei le risorse di cui hanno bisogno per continuare a esistere. Generalmente, la metà dei finanziamenti erogati in sostegno delle istituzioni culturali proviene dagli enti pubblici (Ministeri, Città, Regione e, quando ancora esisteva, Provincia); l’altra metà viene erogata dalle Fondazioni bancarie attive sul territorio. Da un certo punto di vista, occorre chiarirlo, è giusto che sia così. La cultura, per definizione, non risponde alle leggi del mercato. Il più delle volte, la tutela e la conservazione di monumenti e opere d’arte richiede di far fronte a spese altissime. Va considerato, inoltre, che la funzione di un museo non è semplicemente quella di accogliere visitatori. Il museo è un’eredità da trasmettere alle prossime generazioni, ed è al tempo stesso un centro di studio, ricerca e divulgazione: tutte attività costose e generalmente prive di ritorni economici.
La domanda da porsi, quindi, non riguarda tanto il “se”, ma il “quanto”. Quanto è grande l’intervento economico pubblico nella vita di un museo? E quanto pesano questi finanziamenti, se confrontati con le entrate derivanti dalla biglietteria e dagli strumenti di autosostentamento di cui il museo può disporre? Sotto questo profilo, come vedremo, il sistema museale torinese presenta delle significative disarmonie. Il Museo Egizio, con le proprie attività, è in grado di procurarsi oltre la metà delle risorse necessarie. Il Castello di Rivoli, per sopravvivere, ha bisogno di erogazioni pubbliche e private pari all’83% delle entrate complessive. Se, insomma, i biglietti staccati a Rivoli sono 106.355, e se i fondi forniti al museo dagli enti pubblici toccano gli 1,8 milioni, si può dedurre che il contribuente spenda circa 16,90 euro per ogni visitatore del museo. Se ai fondi pubblici si aggiungono quelli forniti dalle Fondazioni bancarie, risulterà come il costo virtuale di ogni singolo biglietto superi i 37 euro, così ripartiti: il visitatore paga mediamente 3,72 euro; gli enti pubblici 17 e altrettanti le fondazioni bancarie.
addetti. Complessivamente, nel 2014, le istituzioni qui esaminate hanno dato lavoro a 414 impiegati, a cui andrebbero aggiunti altri 600 lavoratori circa, tra bigliettai, custodi e addetti alla sicurezza, qui non considerati perché soci o dipendenti di cooperative e società vincitrici di gare d’appalto, che operano nei musei in quanto fornitrici di servizi. Numeri parziali, ovviamente, dal momento che non riguardano l’intero comparto culturale torinese (e tanto meno il suo indotto, rappresentato da bar, negozi, ristoranti, alberghi). Non si può negare, però, che i dati ci forniscano dei chiari indizi circa la difficoltà – e forse l’impossibilità – di compensare l’abbandono di Torino da parte della Fiat con il semplice rilancio dell’“industria culturale”: un comparto difficile, gravato, peraltro, dall’incapacità cronica di produrre attivo, se non, appunto, nelle attività dell’indotto.
Da poco ampliato e completamente riallestito, il Museo delle Antichità Egizie è stato, l’anno scorso, uno dei fiori all’occhiello della cultura torinese, e ciò non soltanto in relazione al prestigio delle sue collezioni, ma anche dal punto di vista dei conti. Anche se, nel 2014, il museo era visitabile solo parzialmente, in attesa del termine dei lavori che si sono conclusi lo scorso marzo. Le presenze sono state 568.688: un numero altissimo, che nel 2015, dopo il raddoppio delle superfici espositive, è certamente destinato a salire. Le entrate da attività proprie si sono avvicinate ai 2,5 milioni di euro, superando di qualche centinaio di migliaia di euro l’ammontare dei fondi ricevuti dagli enti pubblici e dalle Fondazioni Bancarie. La spesa media del singolo visitatore (comprendente il biglietto e gli acquisti al bookshop e in caffetteria) ammonta a euro 4,35: una cifra molto bassa, che si spiega con il basso costo dei biglietti destinati a bambini e ragazzi di età inferiore ai 15 anni (un euro) e a quello praticato con le scolaresche. I servizi di biglietteria e custodia delle sale sono stati affidati a una cooperatva. Il personale direttamente dipendente dal Museo conta 18 addetti, alcuni dei quali part time. Il costo dei dipenenti, corrispondente a 878.843 euro (in media, 48.824 euro a lavoratore), pesa sulle uscite complessive per il 18,83%.
Nel 2014, con 605.321 biglietti staccati, il Museo Nazionale del Cinema è stato il secondo tra i musei torinesi più visitati. Un risultato molto positivo, che acquista un valore ancora maggiore se si considera il buon numero di biglietti venduti a prezzo intero, con una spesa media di 7,86 euro a visitatore. A complicare le cose, nella gestione del museo, è l’alto numero di dipendenti – 84 – che sulle uscite totali pesa per circa 3,2 milioni di euro (poco più del 37% del totale delle spese). Una voce di uscita molto pesante, è vero, ma che, a differenza di quanto accade al Castello di Rivoli o negli spazi espositivi della Fondazione Torino Musei, non supera le entrate garantite dalle attività istituzionali del museo: oltre 4,7 milioni. Molto sostanziosi sono anche i finanziamenti provenienti da enti pubblici e fondazioni: oltre 8 milioni di euro, che ne fanno il museo maggiormente finanziato dell’area torinese. La Fondazione Torino Musei, infatti, riceve circa 10 milioni, ma li deve ripartire tra GAM, Palazzo Madama, Museo d’Arte orientale e Borgo Medievale. Se il denaro erogato dagli enti pubblici – circa 4 milioni – viene posto in relazione con il numero di biglietti venduti, risulterà come l’apporto del contribuente al funzionamento del museo ammonti a circa 6,5 euro per ogni biglietto staccato: una cifra che risulta in linea con il contributo medio erogato dal “pubblico” a tutti i musei del torinese.
Nella nostra indagine, il castello di Rivoli è stato citato più volte. Abbiamo fatto riferimento al limitato numero di ingressi, poco più di 106 mila, e al basso basso prezzo medio dei biglietti (3,72 euro), dovuto a un pubblico composto soprattutto da studenti fruitori di ingressi a prezzo ridotto, se non gratuito. Se posto in relazione con l’immensità degli spazi del museo, il numero dei dipendenti – 29 – può apparire congruo. Meno comprensibile è il costo medio del lavoro: oltre 56 mila euro per addetto, a fronte di una media che nelle altre realtà prese in considerazione non arriva a toccare i 40 mila euro. Solo l’Egizio, infatti, supera quella soglia (arrivando a poco meno di 49 mila euro a lavoratore). Negli altri musei, il costo di un lavoratore oscilla tra i 36 e i 38 mila euro annui.
Il numero dei visitatori del Museo dell’Automobile, 173 mila, forse non rende giustizia a questa eccezionale raccolta di veicoli d’epoca, né allo splendido allestimento realizzato da François Confino, in grado di raccontare, insieme a quella dell’auto, una vera e propria storia del costume. La spesa media dei singoli visitatori si colloca leggermente al di sotto della media dei musei qui esaminati (5,64 euro a persona, contro una media generale di 6,14). Sono proprio queste, a ben vedere, le voci di bilancio su cui sarebbe necessario far leva al fine di migliorare il rapporto tra finanziamenti esterni (pari al 63,64% delle entrate) e ricavi da attività proprie (pari al 36,36%). Relativamente contenuto è, infatti, il numero degli addetti (in tutto 10) e altrettanto basso è il loro costo unitario, pari a circa 38 mila euro annui. Percentualmente, rispetto alle entrate complessive, le erogazioni di enti pubblici e fondazioni bancarie risultano più contenute rispetto a quelle riservate ad altre istituzioni museali. Ciò in ragione del contributo, piuttosto significativo, offerto ai conti del museo dalla Fiat Chrysler Automobiles.
Dal momento dell’inaugurazione, nel 2007, la Reggia di Venaria si colloca sistematicamente al primo posto tra i musei più visitati in Piemonte, e tra i primi in Italia. E ciò a dispetto della posizione decentrata e della mancanza di una collezione vera e propria, che la fa apprezzare, più che per gli oggetti esposti, per il suo carattere evocativo. Il calo degli ultimi anni è tuttavia innegabile. Nel 2014, i visitatori del complesso sono stati 631.693, a fronte dei 698.000 dell’anno precedente e del milione sfiorato nel 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Nonostante questo, i dati di bilancio evidenziano una buona performance. Molto apprezzabile è la quota delle entrate da attività proprie, superiore al 45% del totale (i proventi autonomi ammontano a poco meno di 6,5 milioni; quelli derivanti da fondazioni ed enti pubblici toccano i 7,8 milioni). Significativamente alta è, poi, la spesa pro capite dei singoli visitatori (9,5 euro): la cifra più alta fra quelle relative ai musei qui analizzati, spiegabile, tra le altre cose, con la gestione diretta di servizi aggiuntivi come caffetteria, bookshop e organizzazione di eventi. I lavoratori direttamente dipendenti dal Consorzio a cui fa capo la Reggia sono 54, al costo medio di 37.335 euro: un costo unitario piuttosto basso, se confrontato a quello medio delle diverse istituzioni museali (42.590 euro). Il costo del lavoro della Reggia, pari a 2.016.129 euro, rappresenta il 31,11% delle entrate da biglietteria, bookshop, caffetteria e affitto di spazi.
I dati relativi alla Fondazione Torino Musei presentano luci e ombre. Liquidando in partenza il tema della Rocca del Valentino, una realtà in profonda crisi ormai da anni, alla disperata ricerca di idee per un rilancio, partiamo dal dato delle visite alla Galleria d’Arte moderna, a Palazzo Madama e al Museo d’Arte Orientale. Il MAO, con poco meno di 57 mila visitatori, rappresenta ancora una realtà piccola e non sufficientemente conosciuta. I numeri, tuttavia, se paragonati a quelli degli anni scorsi, appaiono decisamente incoraggianti: sembra essersi attivato, infatti, un significativo trend di crescita, forse legato alla decisione, da parte dei suoi amministratori, di dedicare un importante spazio alle mostre temporanee. Vedremo tra qualche mese se la tendenza risulterà confermata anche per quest’anno. Diverso è il caso di una realtà consolidata come il Museo di Palazzo Madama, uno degli spazi più suggestivi di tutto il panorama museale torinese. I visitatori, in questo caso, sono stati 254.000. Poco più alto è il dato relativo alla GAM, che evidenzia, però, un aspetto problematico. Se, infatti, alle casse della GAM sono stati staccati oltre 262.000 biglietti, occorre aggiungere che ad ammirare le collezioni permanenti del museo è stato solo un quinto dei visitatori. Gli altri vi si sono recati unicamente per vedere alcune importanti mostre, a partire da quelle realizzate in collaborazione con il Musée d’Orsay di Parigi. Si ripresenta, insomma, anche alla GAM, il problema di pubblico già riscontrato al Museo d’Arte Contemporanea ospitato nel Castello di Rivoli. Tutti gli altri dati relativi alla Fondazione Torino Musei devono essere affrontati nel loro complesso.
Al termine della fase di sviluppo culturale e di immagine iniziata a Torino al principio degli anni 2000, culminata nel 2011 con i 150 anni dell’Unità d’Italia e proseguita anche oltre, con alcune importanti iniziative, si sente la necessità di tirare qualche somma. Non senza considerare, naturalmente, la crisi economica che ha colpito Torino e il Paese a partire dal 2008, portando con sé, tra le altre cose, degli importanti tagli al comparto della cultura, ovvero all’ambito su cui, negli ultimi due decenni, la città aveva puntato molte delle sue carte. 

Sarà un Natale coi Fiocchi, per il quinto anno consecutivo. Dall’1 dicembre al 10 gennaio, tornano le iniziative promosse dal Comune che culmineranno nel Capodanno in piazza dedicato quest’anno alle bande musicali: ospite d’onore Vinicio Capossela. Ogni fine settimana è dedicato a un tema, dal circo al gioco, dalla magia alle fiabe, senza dimenticare l’accoglienza e il rispetto delle culture. Un nuovo albero di Natale, alto 18,60 mt e con 43 mila lampadine colorate illuminerà piazza Castello.


