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“Intel volge infine il suo sguardo altrove: verso il Veneto e la Puglia. Come mesi fa la gigafactory Stellantis, anche la multinazionale statunitense dei microchip non sceglie il Piemonte come sua sede. Tutto ciò mentre Stellantis sigla un accordo sul nuovo hub elettrico di Mirafiori che sancisce la chiusura dello stabilimento Maserati di Grugliasco. La crisi produttiva del Piemonte prosegue inesorabile” – dichiara il Capogruppo di Liberi Uguali Verdi ed esponente di Sinistra Ecologista, Marco Grimaldi.
“È evidente che il Ministro Giorgetti, che ha sprecato parole su un presunto ‘futuro di investimenti’ provenienti dall’Europa per la nostra regione, non ha in mente alcun progetto di rilancio di questo territorio” – prosegue Grimaldi. – “Viene da chiedersi se certe dichiarazioni fossero unicamente funzionali alla campagna di Damilano, o se tutta la cura mostrata verso Torino e verso l’accordo con Intel sia svanita nel momento stesso in cui alla guida della città è stato scelto qualcun altro. Ma è evidente anche l’assenza della Giunta regionale sulla vicenda. Sono certo che il Sindaco Lo Russo saprà mostrare un atteggiamento e un’attenzione diversa a queste tematiche, immaginare e perseguire una ripresa del settore produttivo per il Capoluogo e non solo”.
Il Popolo della Famiglia, preso atto della iniziativa promossa dalla fondazione FUORI, mirante ad ottenere l’istituzione di un museo della storia dell’omosessualità, consapevole di rappresentare una minoranza che si è espressa tuttavia con un importante consenso a Torino e nelle altre città in cui si è votato, invia una lettera aperta al Sindaco neo eletto e al governatore della Regione. Ecco il testo
All’Attenzione del presidente della Regione Piemonte
Alberto Cirio
e del sindaco di Torino
Stefano Lo Russo
Il Popolo della Famiglia, partito non ancora presente in Parlamento ma attivo dal 2016 anche nella nostra città e Regione, in nome dei consensi ottenuti in questi ultimi 5 anni, da parte di migliaia di cittadini torinesi e italiani, tali da accreditarlo come il partito extraparlamentare attualmente più forte, consapevole di essere l’unico partito che dà voce alla “minoranza” delle centinaia di migliaia di famiglie torinesi e piemontesi, oscurata in termini di influenza mediatica, ma non in determinazione e convinzione, si rivolge alla Vostra attenzione avanzando le seguenti proposte con un preciso obiettivo: rendere Torino la capitale della famiglia per l’anno 2022.
Chiediamo pertanto a codesta Amministrazione di non trascurare quanto una minoranza convinta può con tenacia perseguire. Ci attendiamo ascolto e collaborazione affinché le famiglie torinesi siano considerate come effettivi destinatari degli impegni assunti in campagna elettorale, tenendo presente le reali emergenze e non improvvisate manovre propagandistiche pensate per drenare il denaro dei contribuenti a vantaggio di chi già si avvale di enormi contributi, anche a livello internazionale.
Vi invitiamo infine con convinta determinazione a farvi carico, in particolare, di tutte quelle centinaia di migliaia di torinesi che non sono andati a votare. Credo che a questi nostri concittadini e connazionali si debba rendere giustizia di un bene lasciato loro con il sacrificio dei nostri padri e ora gettato alle ortiche.
Per il Popolo della Famiglia Piemonte
Lucianella Presta
Coordinatore regionale
Elezioni amministrative 2021
DI GIAN GIACOMO MIGONE
In primo luogo vi sono i fedelissimi, coloro che partecipano direttamente alla vita del partito di centro – sinistra e che ne votano le candidature. Tanti ex comunisti che votano per candidati per lo più ex democristiani, sempre nel nome della Ditta. Sono un numero decrescente, pur sufficiente a contribuire ad altrettante vittorie amministrative. A costoro vanno aggiunti i fedelissimi dei partitini di sinistra, le Ditte minori, che in questa occasione, nel secondo o anche al primo turno, scelgono, talvolta negoziano, quello che ritengono il male minore. Nei casi in cui sono stati concordati candidati comuni, si sono allineati una frazione di votanti M5S.
Vi sono poi i voti di cittadini, indipendenti di sinistra e non, per una moltitudine di ragioni più o meno insoddisfatti della qualità delle forze politiche organizzate, dei candidati – non occorre usare l’*, tutti maschi! – e dei loro programmi, che hanno deciso di ingurgitare la minestra che veniva loro propinata.
In questa occasione – favorita, non dimentichiamolo, dalla legge elettorale che in sede di ballottaggio costringe ad una scelta netta – queste due categorie di elettori di centro – sinistra nel segreto dell’urna hanno deciso di convergere. Sarebbe importante comprendere il perché. Sottopongo a chi legge alcune ragioni convergenti. E’ da studiare l’importante e virtuosa eccezione di Savona laddove la convergenza è stata esplicita e preventiva.
Chiunque abbia modo di confrontarsi con l’umanità circostante, non importa se di città o di paese, avverte immediatamente un rifiuto adirato e/o rassegnato non soltanto dei partiti, ma della politica in quanto tale. Chi ha fatto l’esperienza di porgere un volantino, non importa per quale causa virtuosa, se lo è visto per lo più rifiutare come si trattasse di materiale osceno. Le spiegazioni sono tante – non ultima la modalità con cui i media trattano la politica, illuminandone gli aspetti deteriori – ma il risultato è quello di una crescente fragilità delle istituzioni di cui un numero, che ci auguriamo crescente, di cittadini democratici sentono il dovere di farsi carico.
E’ innegabile che il moltiplicarsi di presenze violente, culminanti nella devastazione della sede nazionale della CGIL alla vigilia del voto, ha acuito questo senso di urgenza e anche di identità democratica, costituzionale, antifascista. Il sindacato, pur con le sue pecche, ha saputo cogliere e rappresentare questo momento che potrebbe costituire una svolta in un modo di sentire collettivo. I cinquecentomila di Piazza San Giovanni, i milioni che anche da lontano hanno ascoltato, in primo luogo, le parole di Landini, si sono sentiti rappresentati da esse. Non capitava da molto tempo. Va anche riconosciuto che la presenza di esponenti politici, da Letta a Conte, ha contribuito allo spirito unitario del momento.
Resta la consapevolezza che quanto conquistato in questi giorni deve resistere alla prova dei fatti. La cronaca politica locale e nazionale può facilmente logorare e sbriciolare quanto conseguito in queste giornate di un autunno non proprio caldo. Soprattutto, come disse Mao, viviamo tempi interessanti, in cui rivolgimenti ma anche contraddizioni colossali sembrano irrimediabilmente fuori dalla nostra portata, anche se permeano la nostra quotidianità.
Questa tappa elettorale, e quanto l’ha preceduta, forse presenta l’occasione per un nuovo inizio per la sinistra italiana. Per cogliere l’occasione, i vincenti di oggi dovranno interpretare i bisogni anche di coloro che non vi hanno partecipato. Non basteranno le schermaglie all’interno di una maggioranza parlamentare ridondante che di fatto delega i propri poteri anche costituzionali ad un esecutivo paternalista, soprattutto ligio ai poteri forti che governano il pianeta. Occorreranno analisi puntuali con obiettivi precisi, coerenti con i bisogni di una maggioranza sociale di fatto esautorata, oltre che con una visione largamente prefigurata nella nostra Costituzione. Stimoli utili, anche di linguaggio, provengono dalla sinistra del partito democratico degli Stati Uniti, guidata da Bernie Sanders. In una situazione non dissimile da quella italiana – siamo in una fase trasformativa che accomuna larga parte dell’Occidente – nemmeno per un istante essa rinuncia a denunciare le contraddizioni profonde che dividono il paese e a negoziare, nella situazione data, quanto è possibile ottenere di obiettivi esplicitamente dichiarati.
«Nei mesi scorsi avevamo richiamato l’attenzione della Regione Piemonte sui disagi e disservizi che colpiscono gli utenti della linea SFMA Torino-Ceres, in particolare i pendolari che da Caselle o Borgaro cercano di raggiungere il centro di Torino, sollecitando l’introduzione di correttivi per migliorare la situazione da qui all’inizio 2023, quando finalmente saranno completati i lavori per il passante ferroviario ed entrerà in funzione il collegamento tra le valli di Lanzo con il centro cittadino. Invece, tutti i problemi paiono essere irrisolti, a Borgaro il servizio navetta è spesso in ritardo o sovraffollato, con i pendolari costretti a “lottare” per accaparrarsi un posto su bus già pieni, con il rischio di non riuscire a salire e rimanere a piedi. Scene che si ripresentano identiche ogni singolo giorno, ormai da troppi mesi, come puntualmente segnalato dall’Osservatorio Torino-Ceres. Per questo ho presentato un’Interrogazione, perché gli abitanti di quei territori non possono soffrire un altro anno e mezzo in queste condizioni, e i viaggi per studio o lavoro non possono trasformarsi in un’odissea quotidiana»: lo afferma il consigliere regionale Alberto AVETTA. «La linea SFMA Torino-Ceres e la Strada provinciale 1 sono le sole grandi infrastrutture di collegamento tra le Valli di Lanzo e Torino. I disagi e i disservizi che continuano a verificarsi sono inaccettabili, una ripetuta mancanza di rispetto verso chi vive nelle vallate piemontesi. Chiederemo alla Regione Piemonte di ascoltare le richieste dei pendolari, potenziando urgentemente il servizio extraurbano, eventualmente inserendo più corse da e per Cirié per sgravare la tratta Caselle-Torino a favore dei cittadini di Caselle e Borgaro. Miglioramenti strutturali del trasporto pubblico locale sono l’unico modo per evitare il riprego da parte dei cittadini sul mezzo privato».
A Giovanni Paolo Fontana, nell’ambito della trasmissione ‘Scritto, letto, detto’, l’onorevole Segni ha ribadito la tesi che ha illustrato nel testo, ovvero che il cosiddetto ‘Colpo di Stato’ su una gigantesca fake news (oggi verrebbe chiamata in questo modo) e che fu l’inizio di una campagna mistificatoria che ha colpito la Repubblica. Riproponiamo, di seguito l’intervista che Il Torinese.it aveva realizzato a maggio di quest’anno con l’autore, ricca di spunti interessanti che offrono una diversa chiave di lettura della storia recente.
Il “Piano Solo’, del quale le generazioni più giovani hanno quasi perso memoria, negli anni Sessanta fu un argomento di grande e delicata attualità. Si trattava di un piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico, fatto predisporre nel 1964 da Giovanni de Lorenzo, durante il suo incarico di comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Nel 1967 L’Espresso uscì con un titolo ad effetto 1964 Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di stato’. I giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari sostennero che Antonio Segni, all’epoca dei fatti presidente della Repubblica e de Lorenzo fecero pressione sul Partito Socialista che rinunciò alle riforme ed accettò di formare un secondo governo Moro perché preoccupato dall’attuazione di tale piano. Poche settimane fa si è tornato a parlare nuovamente di quanto accadde 57 anni fa con un libro di Mariotto Segni, edito per i tipi della Rubbettino, che legge quanto accadde allora da tutt’altra angolazione ed il titolo è eloquente: “Il colpo di stato del 1964 – La madre di tutte le fake news”. L’autore è figlio di Antonio Segni, parlamentare nella Democrazia Cristiana, poi fondatore del Patto Segni dopo un breve transito in Alleanza Democratica, e propugnatore di diverse battaglie referendarie, tra cui quella che portò all’abolizione della preferenza multipla. Dal 2004 non ha più incarichi parlamentari (l’ultimo è stato a Strasburgo) e l’ultima campagna referendaria con Parisi e Di Pietro fu quella stoppata dalla Corte Costituzionale. E’ stato anche docente della cattedra di diritto civile all’Università di Sassari. Nel libro, che è molto documentato e si legge agevolmente, sottolinea che lo scoop dell’Espresso, che diede il via ad una vera e propria campagna di stampa che dipinse la Democrazia Cristiana come un partito golpista, fu in realtà una gigantesca fake news, la prima della storia repubblicana e forse la più imponente. Abbiamo chiesto a Mariotto Segni quale sia stata la genesi del libro e le motivazioni che l’hanno spinto a scriverlo a distanza di tanti anni
“Questo libro è nato in modo singolare e mi si potrebbe chiedere perché non l’ho scritto prima. Tre anni fa, nel 2018, ricorrevano i 40 anni del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro. Nel rileggere i giornali che ripercorrevano la sua vita e la sua vicenda mi capitò di leggere anche alcuni articoli che rievocavano in modo arbitrario le vicende del 1964. Ho effettuato una rilettura attenta degli stessi e mi sono accorto che la narrazione era rimasta sostanzialmente inalterata in 50 anni. Ho lavorato per quasi tre anni e avanzando nella ricerca del materiale mi sono reso conto che era stato raccontato un pezzo di storia italiana con una costruzione falsa. Come documenti mi sono basato sull’archivio Antonio Segni e, per una strana circostanza, a casa ho trovato una cassetta con molte lettere e documenti che poi ho richiamato nel libro e prodotto come allegati. Ma nel rileggere il tutto la scoperta più grande, più significativa e più singolare è stato il costatare come documenti conosciuti erano stati raccontati in modo diverso se non opposto”.
All’epoca fece scalpore la proposta di Cesare Merzagora che si propose per guidare un governo di tecnici svincolato da partiti. Certo che i tempi sono davvero cambiati se pensiamo ai governi di Lamberto Dini, su incarico del presidente Scalfaro, o di Monti, nominato dal presidente Napolitano …..
“In realtà quella di Merzagora era una autocandidatura, in realtà è mia convinzione che mio padre non fosse d’accordo su un Governo Merzagora ma pensasse piuttosto ad un monocolore DC”.
Per l’ipotesi di colpo di stato che sarebbe maturato nel 1964 e che indica come una gigantesca fake news ante litteram quale sarebbe stata la ragione alla base ?
“Non saprei dirlo, credo che sia stato il desiderio di un grande scoop. Eugenio Scalfari su ciò ha costruito la sua carriera di giornalista. In ogni caso questo ha influenzato fortemente tutto il corso degli anni Sessanta. Da lì è iniziato il racconto della Democrazia Cristiana golpista. Il risultato di questa predicazione è stata una campagna che dipingeva l’Italia come ad un passo dal colpo di Stato e la Dc come partito pronto a fare il golpe pur di sbarrare la strada al Pci. La narrazione successiva ha poi rafforzato la tesi scalfariana che ha fatto partire tutto dal luglio 1964, con l’azione golpista nella quale sarebbero stati coinvolti il Presidente della Repubblica e l’Arma di Carabinieri.
Antonio Segni era contro il centrosinistra ?
“Mio padre non aveva una preclusione politica di principio, riteneva che si dovesse fare più avanti nel tempo e che l’esperienza dei due anni del Governo Fanfani (che aveva l’appoggio esterno del Psi) costituisse un pericolo enorme per il Paese. E non dimentichiamo la preoccupazione angosciata di Guido Carli, l’allora Governatore della Banca d’Italia, cui si aggiungevano quelle della stampa e della Cee”.
Che rapporto ha sviluppato con Scalfari ?
Lui e Repubblica appoggiarono fortemente la prima parte della campagna referendaria, come Montanelli. Con Scalfari c’è stato un buon rapporto ma nella vicenda in questione le sue responsabilità sono evidenti. La campagna sul presunto golpe del 1964 ha fatto molto male all’Italia. Paolo Mieli negli anni Novanta, in polemica con Scalfari disse “Avete dato la spinta psicologica al terrorismo rosso, se dite ai giovani che c’è uno Stato violento si fornisce ai giovani il motivo per rispondere con la violenza”.
Che reazioni ha avuto l’uscita del libro ?
“E’ da poche settimane in libreria. Ho sentito parecchi amici che mi hanno detto che riapre il discorso non solo sulla crisi del 1964, ma anche di ciò che è seguito. Mi auguro che sia l’inizio di una revisione storica, di un cammino più lungo”.
Il suo libro si chiude con una interessante appendice di documenti. E tutto o c’è ancora qualcosa da aggiungere ?
“In questa pubblicazione ho utilizzato tutto quanto era possibile utilizzare. C’è un punto, però, che ancora non è accertabile ed è quello dell’ipotesi del coinvolgimento del Kgb in questa vicenda. Non è chiaro perché gran parte del materiale che proviene dall’archivio del Kgb e dal Cremlino è ancora ampiamente secretato in quanto è stato consegnato così dal Governo Inglese. Ho chiesto all’archivio storico del Senato ma il Governo italiano è tenuto a seguire le indicazioni di quello britannico”.
Qual è il suo ricordo di Antonio Segni ?
“Con un padre che per tutta la mia giovinezza è stato al centro politico italiano si può essere o contestatori o tifosi e io sono stato un suo tifoso. Era un uomo dal carattere difficile, certamente, ma di grande sentimento e di grande spessore.”
Massimo Iaretti