ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 620

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Ztl: vorrei che  non passasse un’idea a danno dei negozianti e anche dei torinesi  che non potrebbero accedere al centro ,di fatto nel corso dell’intera giornata, se non  in bus o taxi. Tutto ciò che oggi può danneggiare le aziende che reggono e affrontano una  crisi che ha portato molti a chiudere, andrebbe, non foss’altro per ragioni di buon senso, osteggiato con tutti i mezzi possibili”

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Il nuovo libro di Elisabetta Chicco

E’ appena uscito, edito da Castelvecchi, il bellissimo ed assai documentato libro “Nietzsche .Psicologia di un enigma” di Elisabetta Chicco Vitzizzai, nota ed apprezzata scrittrice torinese. Laureata all’Università di Torino in Estetica e in Psicologia Clinica, è autrice di romanzi di successo, anche se nel saggio rivela doti non indifferenti di ricercatrice e di studiosa di rango che difficilmente convivono in una narratrice  di straordinaria fantasia e creatività come è Elisabetta.Il libro coniuga una riflessione sull’opera filosofica di Nietzsche  con lo studio della sua vita e della sua personalità.Particolare interesse assume il capitolo sulla fine del filosofo. L’indagine rigorosa condotta attraverso la lettura  approfondita del suo epistolario contribuisce significativamente  all’evoluzione degli studi nicciani ,una italianizzazione consentita da Umberto Eco. Il libro fa anche  implicita giustizia delle tante sciocchezze scritte su Nietzsche  da sedicenti germanisti torinesi del passato, incredibilmente presi sul serio anche  dall ‘editore Einaudi.L’autrice che si è cimentata con la narrativa,la poesia,il teatro e anche con la pittura (è figlia del notissimo ed apprezzato artista Riccardo Chicco(un pilastro della storia dell’arte novecentesca, non solo torinese)è, a sua volta, una protagonista della vita intellettuale subalpina, prima come docente nei Licei di stato ,poi come scrittrice e come conferenziera  di rara seduzione intellettuale. Remo Bodei, uno dei maggiori filosofi italiani che ha scritto una lunga prefazione al libro, ha scritto che l’opera della Chicco è “una sfida alle leggende tenacemente sopravvissute sulla vita e il pensiero di Nietzsche”. Una parte del libro è ovviamente dedicato al soggiorno torinese del filosofo a Torino.

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Alassio, il “Toscana”, ”L’Unità” 

Una domenica di quasi cinquant’anni fa andai ad Alassio con una mia compagna di liceo. Era uno dei miei primi viaggi in cui guidavo la Fulvia  che mi aveva regalato mio padre per la maturità. Era primavera e la città del Muretto era illuminata di sole. Non c’era la folla domenicale che c’è adesso. Si parcheggiava con facilità. Era la Alassio di Mario Berrino, il pittore che aveva ridato ai torinesi il piacere della vacanza al mare dopo gli anni tormentosi della guerra. Andammo a pranzare in un ristorante che non conoscevo, il “Toscana” ,che c’è anche oggi ed è sempre piacevole come allora. Entrai in quel locale  con la mazzetta dei giornali, la più visibile ,casualmente, era la testata dell’”Unità”. Un cameriere  torinese che faceva la stagione al “Toscana” – è un fatto incredibile ,ma vero –  dopo avermi portato una sogliola alla mugnaia (allora, noi torinesi, apprezzavamo ,da veri provinciali, quasi soltanto quel pesce di mare )mi sussurrò testualmente :”Compagno, dì che non è cotta, così te ne porto un’altra”. Quel giornale, in quel clima di svolte epocali di sinistra, dava un senso-diciamo così- di  fortissima appartenenza, oggi impensabile .Per fortuna dei ristoratori, ma soprattutto nostra…  Non era del tutto casuale che quel cameriere fosse torinese.

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Francesco Barone  il filosofo della libertà 

 Il torinese Francesco Barone è stato uno dei più grandi filosofi della scienza, docente all’Università e alla Scuola Normale  di Pisa dove la baronia di  Augusto Guzzo nella Facoltà filosofica torinese costrinse  il laico Barone ad emigrare. Un po’ come accadde a Mario Fubini  a causa di Giovanni Getto che era sì cattolico, ma  che con i suoi allievi ,lui rigorosissimo fino al paradosso, si rivelò molto liberale.  L’altro sabato ho parlato di Barone  a lungo  con il suo allievo prediletto Marcello Pera,  mio amico da una vita.  Era figlio di un tipografo de “La stampa” alla quale collaborò per anni con elzeviri di grande valore. Lo aveva chiamato al giornale  Carlo Casalegno. Poi lo esclusero da quella collaborazione, cui teneva moltissimo. Ci soffrì molto. Scriveva importanti  articoli  sull’Illuminismo e sui rapporti tra filosofia e scienza ,ma si occupava anche  di università e di scuola con grande  coraggio e  assoluto anticonformismo, denunciando gli errori del ’68 e i pericoli della violenza contestatrice a cui si oppose tenacemente, e inutilmente, a Pisa come preside di Facoltà. La stessa città dove D’Alema e Mussi furono protagonisti di una contestazione un po’ troppo esagitata. Pera, nel corso della nostra conversazione lo ha definito “un liberale torinese  di temperamento, prima ancora che di cultura”. Non avrebbe  potuto dire meglio. 

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I cavalieri di gran croce romani 

A Torino con Antonio Maria Marocco, Paolo Emilio Ferreri, Enzo Ghigo, SIlvio Pieri, Mario Garavelli, Carlo Callieri, Giovanni Quaglia e pochi altri  fondammo in prefettura , esattamente dieci anni fa ,l’associazione nazionale degli insigniti del cavalierato di gran croce , l’equivalente italiano della Legion d’onore francese. Poi l’associazione trasmigrò a Roma, come forse era indispensabile e sicuramente inevitabile. Tutto ciò che nasce a Torino è destinato a finire a Milano o a Roma. L‘altra sera abbiamo festeggiato la Pasqua con il presidente Raffaele  Squitieri , presidente della Corte dei Conti. Di tanti cavalieri torinesi l’unico dei fondatori presente ero io. Ma è stato bello conversare con tanti amici provenienti da ogni parte d’Italia: prefetti, ambasciatori, docenti universitari, generali. Nel mio tavolo ho conosciuto un grande medico di Bologna che scrisse il testo una canzone di Lucio Dalla. L’associazione è una grande risorsa per la Repubblica ,una riserva di uomini e di donne al servizio dello Stato. Non a caso, tra noi, c’era anche il prefetto Tronca che a Milano e  a Roma si è distinto per le sue doti e per la sua onestà.

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Tom e il cimitero Sud

Mi ha sorpreso che lo storico vicesindaco di Chiamparino, Tom Dealessandri , sia invischiato in una vicenda relativa al crac del CSEA ,il consorzio per la formazione professionale partecipato dal Comune di Torino. Mi auguro per lui che si risolva nel migliore dei modi e che la Magistratura contabile accerti la sua non responsabilità per una vicenda per cui sono stati condannati sul piano penale amministratori  del CSEA.  Non ho mai conosciuto di persona il mitico Tom del decennio chiampariniano che fu anche assessore ai cimiteri. In occasione di un funerale in quello squallido cimitero torinese costruito a misura dei casermoni di via Artom -il Cimitero Sud, p oi ribattezzato da Beppe Lodi Cimitero Parco- scoprii una raccapricciante  lapide , piuttosto vistosa. in un settore del cimitero che riportava  parole che mi parvero  irrispettose dei morti: “Salme indecomposte”. Fotografai la lapide e la mandai ai giornali. Dopo circa un mese di silenzio si fece sentire anche l’assessore che non trovò fuori posto quell’iscrizione e scrisse che ,al massimo, era questione di punti di vista e di sensibilità personale. Mi rimase in mente la risposta dell’assessore e vice sindaco di Torino. Forse avevo torto io, ma la burocrazia non può essere sempre insensibile ed aver sempre ragione, anche quando sbaglia, non rispettando la dignità delle persone.

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ZTL fino alle 19 

Molti commercianti del centro torinese hanno affisso  sulle loro vetrine  un modesto foglio  senza commenti polemici,denunciando l’idea folle che l’amministrazione comunale ha in mente: estendere la zona ZTL fino alle 19 ed estenderne anche i confini. Non vorrei che qualche zelante vigile contestasse  loro l’affissione abusiva del foglio. Soprattutto vorrei che  non passasse un’idea a danno dei negozianti e anche dei torinesi  che non potrebbero accedere al centro ,di fatto nel corso dell’intera giornata, se non  in bus o taxi. Tutto ciò che oggi può danneggiare le aziende che reggono e affrontano una  crisi che ha portato molti a chiudere, andrebbe, non foss’altro per ragioni di buon senso, osteggiato con tutti i mezzi possibili. Il timido foglietto di carta bianca non basta

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LETTERE (scrivere a quaglieni @gmail.com)

Ho letto il suo ricordo di Giovanni Sartori che mi è piaciuto, ma perché ha taciuto la sua contrarietà all’immigrazione islamica ? Non è da lei.

                                                                             Giuseppe Lomonaco

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Ho scritto di getto il ricordo di Sartori pochi minuti dopo aver appreso della sua morte. Ho citato la sua difesa di Oriana Fallaci e la sua polemica contro Gino Strada. Ho dato erroneamente per sottintesa la sua posizione critica sui rapporti con l’Islam. Andava invece citata e andava anche aggiunto che egli venne esaltato come critico di Berlusconi,ma successivamente  isolato e censurato per aver denunciato i pericoli insiti nell’islamismo. La mia preoccupazione,per altri versi, era quella di evidenziare la statura di uno studioso di straordinario valore che pochissimi politici italiani hanno letto. E ne vediamo (e ne paghiamo)le conseguenze.

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“I tagli mettono a rischio la Torino culturale e turistica”

“Il momento è duro e le casse pubbliche sono vuote, ma mi appello alle istituzioni, locali e nazionali affinchè con i tagli non si interrompa un processo più che decennale che ha portato Torino, con la sua eccezionale offerta culturale, alla ribalta internazionale”. A parlare è il presidente della Fondazione Torino Musei, Maurizio Cibrario, a proposito dei tagli alla cultura. “Ho incontrato la sindaca Chiara Appendino due giorni fa – così l’Ansa riporta  le sue parole a margine della presentazione della Notte Bianca dei Musei Reali  – e mi è sembrata  molto preoccupata anche lei. Mi auguro che insieme a tutti i soggetti preposti si trovi al più presto una soluzione. E’ in gioco il futuro di Torino. Basta un attimo a perdere quel posto guadagnato con così tanta fatica e progettualità”.

 

(foto: il Torinese)

Mostar, il parroco senza chiesa

FOCUS / di Filippo Re

Parroco senza chiesa in una città divisa tra cattolici e musulmani all’interno di una Federazione dove domina l’Islam. Il parroco è don Kreso Puljic che dalla collina di Mostar in Bosnia-Erzegovina, osserva i minareti che, dall’altra riva del fiume, svettano alti nel cielo e sovrastano l’abitato. La Federazione è quella Croato-Bosniaca in cui i musulmani sono l’80% e i croati cattolici il 20% mentre più a nord c’è la Repubblica serbo-bosniaca. Direttore della Caritas di Mostar negli anni della guerra 1991-1995 don Kreso è parroco dal 2010 a San Tommaso Apostolo, sulla collina bianca di Mostar.

I croati cattolici vivono nei quartieri occidentali della città e sono 50.000, a est ci sono 40.000 musulmani tra vecchie e nuove moschee. “A Mostar siamo più numerosi degli islamici ma nella Federazione Croato-Bosniaca siamo una minoranza di cattolici sotto la maggioranza islamica in continua espansione. Non c’è al momento ostilità tra noi e loro ma siamo ugualmente in grande difficoltà e ci sentiamo dimenticati dal mondo.

Don Puljic, come vivono i cattolici nella sua città, siete preoccupati?

R L’islamismo avanza, dilaga sotto i nostri occhi, ma non possiamo farci niente. Prima della guerra, in Bosnia, vivevano poco meno di un milione di cattolici ma adesso sono solo 420.000. Da una decina di moschee si è passati in poco tempo a quaranta luoghi di culto islamici. Ma ciò che preoccupa di più è l’arrivo di capitali dall’estero per islamizzare la regione. C’è il rischio che la Federazione Croato-Bosniaca diventi uno Stato unico, tutto islamico.

Teme per il futuro?

R Sì, abbiamo paura. Le moschee, nella nostra Federazione, sono già centinaia, almeno 400, e il denaro arriva a pioggia dai Paesi arabi, dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi, dal Qatar ma anche dalla Turchia e dall’Iran. Comprano tutto, terreni per costruire moschee e nuovi quartieri, allargando la superficie di paesi e città. Sarajevo, per esempio è una città tutta musulmana.

Cosa succede a Sarajevo?

R Sarajevo, a 130 chilometri da Mostar, è una città quasi tutta musulmana e continua a espandersi. Attorno alla capitale è nata una nuova città araba di 40.000 abitanti. Ci sentiamo come soffocati da una marea islamica che continua a salire.

 

L’Isis non è poi così lontano da Mostar…

R Il pericolo jihadista è una realtà anche in Bosnia dove è cresciuto l’estremismo islamico e da qui si va a combattere nel Vicino Oriente. I campi di addestramento dell’Isis sono lontani, a 200 chilometri a nord del capoluogo dell’Erzegovina ma sappiamo che centinaia di bosniaci, circa 400 uomini armati, sono andati in Siria per unirsi alle milizie del Califfo. Ma ora tornano dopo la sconfitta del Califfato e con quali obiettivi?

Intanto nella Mostar cristiana soffia il vento dell’integralismo…

R Un certo timore serpeggia anche da noi dove si è formato un movimento giovanile wahabita sostenuto e finanziato dai sauditi che predica rigore e stretta osservanza della legge islamica e coranica. Lo teniamo d’occhio ma sappiamo che trova facilmente nuovi seguaci.
L’allarme non si ferma all’islamismo dilagante ma investe direttamente la sua chiesa che in realtà non c’è ancora.

Don Puljic fa il parroco in un ex magazzino di mobili trasformato nella parrocchia di San Tommaso Apostolo.

R A Mostar non è facile essere cristiani. Non esistono enti culturali e religiosi in grado di venire incontro ai problemi dei cattolici, di soddisfare le loro richieste. Di conseguenza molti se ne vanno, finiscono nella vicina Croazia o emigrano in Germania e in America. Questo è il grande problema di Mostar. C’è molta disoccupazione e si cerca lavoro altrove oppure si finisce nella criminalità e nella tossicodipendenza. L’esodo dei croati da Mostar non si arresta. Prima della guerra erano centomila e ora sono la metà.
La parrocchia però si riempie di fedeli nei giorni festivi..

R E’ una grande gioia vederla piena di gente, ci sono molti giovani, è un segno di speranza per un futuro che non si annuncia agevole. Qui per i giovani ci sono poche strutture educative e di svago, manca il teatro, manca una cultura cristiana, evangelica. Organizzo corsi di lingue e di computer, seguo tanti universitari e cerco di aiutarli in senso spirituale.

Don Puljic guarda con ottimismo al futuro.

R Prima di tutto vogliamo costruire la nostra chiesa parrocchiale. Il progetto edilizio è pronto da tempo, manca ancora qualche permesso ma contiamo di averlo in breve tempo. La realtà amministrativa a Mostar è paradossale: il sindaco c’è ma manca il Consiglio comunale poiché non si vota da otto anni. Poi toccherà all’oratorio, a una sala per le attività culturali e a tre sale per il catechismo e gli incontri con i ragazzi. In tre-quattro anni dovremmo farcela.Occorre denaro e l’aiuto di tutti.

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Per offerte e contributi per la parrocchia di San Tommaso Apostolo di don Krèso Puljic ci si può rivolgersi all’Associazione Maria Madre della Provvidenza onlus (AMMP) in corso Trapani 36 a Torino che proprio a Mostar ha costruito un orfanotrofio e aperto una cooperativa agricola.

 

Filippo Re

(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)

Gli “Stra… fatti a mano” Marika e Fabio devono la loro fortuna ai Minions

SECONDA PUNTATA – Viaggio nel vasto mondo degli hobbysti, tra chi per sopravvivere alla crisi sta cercando di trasformare in mestiere una passione

 

Marika e Fabio, sotto il cartello “Stra… fatti a mano”, realizzano capi d’abbigliamento e accessori rigorosamente artigianali. Creazioni che esaltano tutto l’estro creativo della loro anima di stilisti autodidatti, concentrati su tessuti resistenti e modelli comodi, di fattura semplice. Approdati da quattro anni tra li hobbysti che espongono prodotti frutto del proprio ingegno nelle fiere cittadine, devono la loro fortuna a una ricca produzione di cappelli raffiguranti i supereroi mascherati dei fumetti, ma soprattutto ai personaggi di “Minions”, il film d’animazione del 2015 che in un batter d’occhio è riuscito a conquistare i cuori di grandi e piccini. Quarantenni, compagni di vita e di lavoro, Marika e Fabio sono arrivati “sulla strada” con il loro gazebo per disperazione. “Non riuscivo a trovare lavoro”, racconta Marika. “Qualche ora in bar e ristoranti a fare la cameriera, ma nulla di più stabile. Così – prosegue – ho incominciato a ricamare, a confezionare accessori in maglia e cotone lavorando con i ferri e l’uncinetto. La domenica mattina partivo con i miei borsoni di merce e passavo la giornata alle feste di quartiere a cercare di vendere quanto realizzato durante la settimana”.

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Poco tempo dopo anche Fabio rimane disoccupato: il ristorante in cui lavora chiude, e pure lui si ritrova in mezzo alla strada. La ricerca di un’altra occupazione non dà i risultati sperati, e prima che la depressione prenda il sopravvento Marika gli prospetta l’unica soluzione che riesce a intravvedere: “Ho comprato due pacchetti di Fimo, glieli ho messi in mano e gli ho detto di produrre bigiotteria”. “Il Fimo – spiega Fabio – è una pasta tipo il pongo, che si presta ad essere plasmata e modellata. Ho così incominciato a fare anelli, orecchini, ciondoli”. Al di là della passione e dell’entusiasmo che ci mettono, sono tempi difficili. La produzione va bene, ma le vendite scarseggiano. Poi, di colpo, per puro caso, la fortuna bussa alla loro porta. “Ho fatto per il mio fratellino – racconta Marika – un cappellino raffigurante i Minions e ho postato la foto su Facebook. E’ stato un successo. Immediatamente siamo stati sommersi di ordini: tutti volevano un cappellino come quello”.

 

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Per far fronte alle richieste anche Fabio impara a lavorare all’uncinetto. “Oggi è una scheggia, neppure io che lo uso fin da quando ero bambina sono così brava e veloce”, commenta Marika, mentre Fabio maneggia l’arnese con padronanza e maestria.  Sull’onda del boom e dell’inaspettato e notevole incremento degli incassi, decidono di lasciare la strada e affittare una casetta di legno all’ingresso dell’Area 12, il centro commerciale al confine tra Torino e Venaria. “Era un po’ come avere un negozio”, ricordano. Poi, però, il canone di locazione aumenta. Non ce la fanno più a far fronte alle spese. Lasciano la casetta, rispolverano il vecchio gazebo e ricominciano a girare i mercati della domenica. “I Minions ci hanno dato da mangiare per tre anni. Ad agosto uscirà un nuovo film, speriamo che il miracolo si ripeta”, raccontano, rivelando che il loro sogno è quello di riuscire, un giorno, ad aprire un negozio tutto loro, con annesso un laboratorio i cui tenere corsi per insegnare a creare, con le proprie mani, oggetti, accessori e capi d’abbigliamento.

 

Paola Zanolli

 

 

Il VolTo del volontariato

A Torino un Centro Servizi di eccellenza 

 

Esiste a Torino, unica nel suo genere, una “casa virtuale di tutti i volontari”. Si tratta di VolTo, il Centro Servizi per il Volontariato di Torino e Provincia, con sede in via Giolitti 21, che testimonia come la nuova legge 106 del 2016 relativa al settore del no profit sia in Piemonte già una realtà. Presidente di VolTo è Silvio Magliano, vicepresidente Vicario Luciano Dematteis.

 

“VolTo – spiega il suo presidente Silvio Magliano – è il risultato di un percorso condiviso nel mondo del volontariato, è nato il 1 gennaio del 2015 dalla fusione dei due centri di servizio già esistenti, “Volontariato, Sviluppo e Solidarietà” (VSSP) e Idea Solidale; con ben 1400 associazioni accreditate è uno dei maggiori in Italia. Il Centro Servizi per il Volontariato ha stilato per il 2017 una Carta dei servizi, che rappresenta il compendio di tutte le attività e opportunità che il Centro mette a disposizione delle organizzazioni di volontariato. Questa carta trae origine dall’analisi delle loro richieste e bisogni, ottenura stilando un questionario. Alcuni di questi servizi sono rivolti a una spiccata vocazione alla promozione multimediale, che è sensibile alle nuove frontiere come il web e il video. Uno dei servizi che consideriamo più prezioso è quello di consulenza, comprendente le prestazioni professionali che il CSV offre a sostegno e qualificazione delle OdV ( Organizzazioni di Volontariato ), nello sviluppo delle varie attività ordinarie e progettuali. Non manca neanche un importante servizio, quello dell’Ufficio stampa, che fornisce il supporto alla promozione delle attività e delle iniziative delle OdV,   tramite redazione e diffusione di comunicati stampa e la pubblicazione di articoli sul sito del Centro Servizi.”. “Un’importante novità – prosegue Silvio Magliano – nata dalla collaborazione tra il Centro Servizi VolTo e la School of Management dell’Università degli Studi di Torino è rappresentata dall’Accademia dell’Iniziativa sociale, presentata lo scorso 4 aprile nella nostra sede in via Giolitti 21.

Si tratta di una scuola di alta formazione in cui innovazione e ricerca sono al servizio   del terzo settore, e, di conseguenza, anche del volontariato, attraverso una serie di corsi altamente qualificanti. Rappresenta una delle sfide più affascinanti che lega il mondo del profit a quello del terzo settore. Il Centro Servizi VolTo da quando è nato, infatti, si propone tra i suoi compiti essenziali la formazione dei volontari che, nella società attuale, non può più essere improvvisata”. VolTo promuove anche l’organizzazione di campi di volontariato o solidarietà internazionale, che sono esperienze a breve termine, da dieci giorni a tre settimane, dove piccoli gruppi di volontari provenienti da tutto il mondo lavorano insieme, impegnati   in svariate attività, quali la ristrutturazione di edifici, anche scolastici, campi di scavi archeologici o ambientali, l’animazione con bambini, le attività con i rifugiati. Sono presenti anche campi per gli under 18 e per le famiglie. Un’altra iniziativa di cui si è fatto promotore VolTo è “Erasmus per giovani imprenditori”, un programma di scambio cofinanziato dalla Commissione europea, nell’ambito del progetto “Giove” – Giovani volontari in Europa, capace di offrire a giovani o aspiranti imprenditori   l’opportunità di imparare il mestiere da professionisti già affermati, che gestiscono piccolo e medie imprese in un paese UE, attraverso soggiorni e stage di lavoro da 1 a 6 mesi.

 

Mara Martellotta

INVESTIRE NE “LE NOTTI D’ORIENTE”: SE PO’ FA’, MA…CONSAPEVOLMENTE (E BECCATI ANCHE LA RIMA)

Esemplificativamente: un messaggio informativo tratto dal sito Borsaitaliana fatto bene, pur con scontate( d’altra parte bisogna pur vendere) lusinghe implicite per attirare il risparmatore “goloso” ormai abituato a rendimenti pari a zero da anni( 10% o 5,25% di cedola annua – ma il fatto che sia lorda del 26%, anche se è una nozione comune, lo si deve andare a leggere nei dettagli- con immagine di bellezza femminile etnica come testimonial, slurp!), e che consente a chi legge una scelta consapevole, a partire dalle serie storiche pubblicate chiaramente in forma grafica del cambio TRY e INR contro EUR e dagli scenari di rischio. Detto questo, non pochi i dubbi sull’opportunità per un risparmiatore di arrischiarsi su terreni che lo espongono a una perdita potenziale in teoria illimitata( che ne si sa, ad esempio, se la Turchia deflagrerà o meno a 2 anni di distanza) a fronte di un pagamenti per il rischio che non è detto che rappresenti un upfront accettabile.

Obbligazioni Societe Generale a tasso fisso in TRY e INRil pagamento delle cedole, il rimborso del capitale, le operazioni di acquisto e vendita sul mercato secondario sono regolati in Euro,

mailing.sginfo.it

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link:

https://paoloturatitactica.wordpress.com/2017/04/03/investire-ne-le-notti-doriente-se-po-fa-ma-consapevolmente-e-beccati-anche-la-rima/

Exor, due donne nel board con Elkann e Marchionne

Exor, la “cassaforte” del gruppo Agnelli, ha chiuso il 2016 con un utile consolidato di 588,6 milioni rispetto ai 744,5 milioni del 2015, un anno eccezionale in cui erano state realizzate operazioni importanti come la cessione di Cushman & Wakefield. Sulla variazione negativa di 155,9 milioni incidono  le minori plusvalenze sulla cessione di partecipate (566,7 milioni, di cui 521,3 milioni relativi alla cessione di C&W Group). Dividendo invariato:  0,35 euro, per un totale di 8,21 milioni. restano nel nel board John Elkann e Sergio Marchionne, come presidente e ad e vicepresidente, ed entrano due donne: Melissa Bethell, managing director di Bain Capital, e Laurence Debroux, ceo Heineken. Fuori Vittorio Avogadro di Collobiano, Giovanni Chiura, Mina Gerowin e Jae Yong Lee. 

 

 

 

(Foto: il Torinese)

Stazioni sciistiche, 8 milioni dalla Regione

Sono 8 i milioni di euro che la Giunta regionale metterà a disposizione dei gestori delle piccole e grandi stazioni sciistiche piemontesi per l’innevamento programmato, la sicurezza delle piste e le spese di finanziamento delle microstazioni. L’importo stanziato da una delibera è suddiviso a metà, per le stagioni 2014-2015 e 2015-2016, ognuna delle quali a favore delle spese sostenute dalle stazioni nel corso di un anno di attività. I fondi per le due stagioni passate sono ulteriormente divisi su due capitoli: innevamento programmato e sicurezza delle piste (a cui sono destinati il 90%) e spese di funzionamento delle microstazioni. “Grazie a questa delibera recuperiamo due annualità, dando un segnale importante e concreto su quanto questa Giunta sia impegnata a sostegno del comparto neve, che in alcuni territori costituisce un pilastro fondamentale dell’economia e della vita delle comunità locali – dichiara Antonella Parigi, assessore alla Cultura e al Turismo della Regione Piemonte – Sul fronte degli investimenti e dell’innovazione, intanto, stiamo lavorando per riuscire a reperire ulteriori risorse”. Il bando, che fa riferimento alla legge regionale 2/2009 sulle norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport montani invernali ed estivi, è stato formulato rispettando le recenti modifiche alla legge, approvate dal Consiglio regionale nel gennaio scorso.

Tra gli interventi per cui gli operatori possono fare richiesta di finanziamento ci sono la manutenzione delle piste per l’eliminazione di ostacoli rimovibili o il ripristino dell’equilibrio idrogeologico e ambientale, la posa di reti fisse, materassi e barriere, i servizi di vigilanza e di primo soccorso, nonché i costi legati all’utilizzo di personale e per l’innevamento programmato.

 

Donatella Actis -www.regione.piemonte.it

Regione: le strategie di inclusione dei nomadi

“La Regione non ha un ruolo di gestione ma di programmazione strategica”. Questa è la risposta dell’assessora regionale ai Diritti civili, Monica Cerutti, alla richiesta di comunicazione sulle politiche della Giunta regionale di gestione ed inclusione delle popolazioni nomadi, svolta nel corso del Consiglio regionale del 5 aprile. La richiesta, ribadita in apertura di seduta, era stata formulata dal capogruppo azzurro, Gilberto Pichetto, in base alle notizie, apparse sui media, sul coinvolgimento di soggetti pubblici e cooperative nella gestione del sistema della solidarietà. In attuazione della Strategia nazionale di inclusione delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti, “nel febbraio del 2014 – ha spiegato l’assessora – è stato istituito il Tavolo regionale composto dai rappresentanti delle amministrazioni periferiche statali, degli uffici regionali, degli Enti locali, delle associazioni e degli organismi della società civile impegnati nella tutela dei nomadi come Aizo Rome e Sinti Onlus, Idea Rom, Opera Nomadi e Romanò Ilo. Il Tavolo si occupa di approfondire i quattro assi individuati – lavoro, salute, casa e istruzione – allo scopo di contribuire al monitoraggio e all’attuazione delle politiche regionali”. L’assessora ha ricostruito l’iter delle riunioni, comprese quelle territoriali che coinvolgevano, via via, i soggetti dei territori coinvolti.

“Dopo un primo giro di incontri, su ciascuna tematica, attualmente è in fase di approfondimento il tema dell’abitare”. È stato Maurizio Marrone ad aprire il dibattito lamentando la mancanza delle risorse necessarie alla realizzazione di politiche risolutive oltre al coinvolgimento, nella gestione del problema, di cooperative da tempo indagate dalla magistratura. Concluso l’intervento del capogruppo di Fratelli d’Italia, il proseguimento del dibattito è stato rinviato alla prossima seduta. Sono già iscritti a parlare Gian Luca Vignale (Misto-Mns), Nadia Conticelli (Pd) e Claudia Porchietto (FI).

Ab – www.cr.piemonte.it

Giovanni Sartori fuori dagli schemi

di Pier Franco Quaglieni *

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La morte di Giovanni Sartori priva la cultura politica italiana di uno dei suoi maestri più autorevoli, uno dei più lucidi studiosi della democrazia liberale o,meglio, della liberaldemocrazia.

Era il maggior scienziato italiano della politica della seconda metà del Novecento,come Pareto e Mosca lo furono nella prima metà del ‘900. Tra i suoi allievi Giuliano Urbani, Domenico Fisichella, Stefano Passigli, tre studiosi molto diversi tra loro. Questa eterogeneità dimostra che Sartori era davvero un maestro e che non intendeva creare una sua scuola,commentano di fare sicuramente i cattivi o i mediocri professori. Sui temi sui cui Sartori si è cimentato ,raggiungendo livelli davvero internazionali, c’era stata una prevalenza in Italia, per lunghi decenni , degli ideologi rispetto agli studiosi. Egli superò questo divario che ha pesato in modo enorme sulle arretratezze del dibattito politico in Italia. Molti hanno un’idea di lui molto limitata,magari ricordandolo ospite brillante di molte trasmissioni televisive in cui prevaleva inevitabilmente il battutista rispetto allo studioso.

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Si potrebbe banalizzare Sartori ,definendolo in termini giornalistici come l’inventore del Mattarellum e del Porcellum,di cui vide acutamente i limiti. Si potrebbe parlare di lui come di uno dei primi antiberlusconiani e, successivamente, come di uno dei critici più corrosivi di Renzi e del renzismo. Sono famose le sue battute al vetriolo e la sua sincerità volte disarmante. esiste una vulgata sartoria che va tenuta distinta e distante dallo studioso di razza.Ma anche il batterista non fu mai a senso unico . Prese posizione a favore di Oriana Fallaci e si dichiarò ostile alla demagogia filantropica di Gino Strada, definì “cieco” un certo pacifismo che sventolava la bandiere arcobaleno,parlò di un paese “conformista che si è ormai seduto sulle poltrone”,con un definizione che faceva pensare a Ennio Flaiano.Rifiutò “l’equilibrismo che non è nella mia natura,”dicendo chiaro e tondo:”Io mi comprometto”. Aderì a “Libertà e Giustizia”, un covo di giacobini irrecuperabili e molto settari,ma successivamente ne prese le distanze perché il suo liberalismo non gli consentiva di stare insieme a certi compagni di strada.

 

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Sarebbe però ingiusto ricordare degli aspetti contingenti, e quindi effimeri, nei confronti di uno studioso che è stato ,insieme a Nicola Matteucci ,il più originale e insieme il più classico studioso di quella che Bobbio ha definito la “Democrazia realistica”. Sartori va oltre l’antitesi liberalismo /democrazia e va anche oltre Guido De Ruggiero, che nella sua storia del liberalismo aveva intravisto la necessità di superare quell’antitesi. Secondo Sartori <<nella seconda metà del XIX secolo l’ideale liberale e quello democratico sono confluiti l’uno nell’altro ma, fondendosi, si sono confusi>>.

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Lo studioso fiorentino aveva colto la confusione,denunciando anche l’opportunità di eliminarla . Molto opportunamente egli amava citare Tocqueville: <<Ciò che è il massimo di confusione nello spirito è l’uso che si fa delle parole democrazia e spirito democratico>>. La sua cultura lo portava a riprendere la lettura dei Classici,per dirla con Bobbio, <<senza il piacere di apparire un novatore(…),come se fossero arrivati i barbari a bruciare la biblioteca di Alessandria>>. Ancora Bobbio affermava che <<le biblioteche in genere non bruciano più ,ma si sono talmente ingrandite da assomigliare sempre più alla Biblioteca di Babele>>.Oggi la situazione è forse ancora peggiorata perché le biblioteche non sono più frequentate adeguatamente perché internet ha sostituito la carta stampata,una scorciatoia troppo facile e pressapochista verso un sapere superficiale e quindi assai vicino al non sapere. Giovanni non si è mai lasciato sedurre dalla demagogia che ha pervaso il confronto politico italiano e ha sempre ritenuto che la democrazia non sia un governo senza élites,ma il governo delle élites in concorrenza tra di loro. La democrazia per lui è infatti <<un sistema etico-politico nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere di minoranze concorrenti>>.

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Quella di Sartori è una concezione politica coraggiosamente individualistica in un contesto in cui le masse sembrano essere diventate le protagoniste della storia,magari a loro insaputa e a posteriori. Uno spunto attualissimo della sua lezione è il ripudio di Rousseau e di una democrazia diretta che, riducendo i problemi a scelte radicali e contrapposte,impedisce la discussione,la sola che chiarisce le idee e consente di elaborare le soluzioni più idonee. La democrazia attraverso la rete è solo finzione,come dimostra anche la cronaca recente. Mi diceva una volta Spadolini,suo collega e amico a Firenze, che aver letto o non aver letto Croce faceva la differenza. Io ho vissuto di persona questa verità scomoda, fino a pochi decenni fa, totalmente controcorrente. Credo che aver letto o non aver letto Sartori o averlo liquidato come un rompiscatole incontentabile,ci consenta o non ci consenta di capire la profonda crisi in cui si dibatte la democrazia italiana. Lo stesso dibattito referendario dell’autunno 2016 ci ha rivelato l’arretratezza di classi politiche che non si sono anche formate sui libri,confondo gli slogan con la politica. Certo i libri non bastano,ma un politico non attrezzato culturalmente si rivela anche inadeguato a contribuire ad orientare l’opinione pubblica,specie nei momenti storici cruciali. Per Sartori i problemi della democrazia passavano anche attraverso la selezione ,oltre che la elezione,per consentire quella che Bobbio ha definito <<l’elezione del migliore>>.

 

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Il mio ricordo di Sartori passa inevitabilmente anche attraverso il magistero di Bobbio che fu “un liberale a tre quarti”,per dirla con Dino Cofrancesco. Bobbio vedeva dei limiti nella democrazia liberale perché il sistema economico liberista è amorale in quanto fondato esclusivamente sulla legge della domanda e dell’offerta,anche se Luigi Einaudi aveva affermato il primato della morale rispetto all’economia, senza ambiguità. Sartori fu anche un uomo divertente,con la battuta sferzante che non gli derivava solo dall’essere toscano. Amava la convivialità e le belle donne. Ho di lui ricordi molto piacevoli ed averlo frequentato a Firenze fu un’occasione per vivere qualche ora di puro diletto intellettuale e umano. Ricordo che una volta vicino a noi si sedette Fanfani in compagnia della moglie,a piazzale Michelangelo,nel giardino del ristorante “ Alla loggia”. Ebbi modo di conoscere attraverso il dialogo che nacque con Sartori, un Fanfani piacevolissimo,anche lui con la battuta mordace,un vero “maledetto toscano”,ma anche molto simpatico. Ascoltandolo nelle sue reprimende antidivorziste,non lo avrei mai immaginato così come mi apparve in un’estate della fine degli anni ’70.

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Ma di Sartori, oggi,nel momento della sua morte, prevale ,su tutto, il ricordo dello studioso di razza che ha onorato la cultura italiana nel mondo. Se l’Italia l’avesse ascoltato di più, se alcuni avessero letto qualche suo libro,non saremmo nella palude,forse non vivremmo in un momento cruciale in cui i populismi rischiano di soppiantare l’esile pianta della democrazia e di uccidere l’ancora più esile pianticella della libertà.Spero di essere troppo pessimista, ma i segni di una probabile catastrofe sono evidenti, quasi come nel primo dopoguerra italiano. Sartori anche oggi ci indica la strada maestra per vivere una nuova primavera italiana:la difesa della democrazia rappresentativa,la sola che possa consentirci di pensare all’Europa a cui guardarono Luigi Einaudi, Ernesto Rossi e Gaetano Martino; la difesa della politica intesa come passione civile e impegno etico, oltre le miopie settarie e le semplificazioni manichee, al servizio del Paese. In una parola, l’Italia civile contro l’Italia barbara a cui troppi italiani stanno guardando con simpatia.

* Direttore del Centro Pannunzio