ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 467

Alla scoperta delle Pastiglie Leone con il CDVM

Il Club Dirigenti Vendite & Marketing dell’Unione Industriale, organizza un viaggio all’interno di una consolidata realtà imprenditoriale torinese che ha saputo coniugare tradizione ed innovazione

Giovedì 23 gennaio prossimo, nell’ambito delle visite alle realtà imprenditoriali capaci di coniugare un passato di pregio ad un presente vincente, il CDVM ( Club Dirigenti Vendite & Marketing dell’Unione Industriale di Torino) organizza un nuovo appuntamento del ciclo “Sales & Marketing Innovation”. Si tratta, questa volta, di un viaggio alla scoperta della storica fabbrica delle Pastiglie Leone srl. La sua sede è a Collegno, in via Italia 46.

Titolo particolarmente emblematico di questo evento, occasione unico di dialogo con il direttore marketing dell’azienda torinese, è ” Il marketing al servizio della dolcezza “.

Risale al 1857 la data di fondazione di questo storico marchio torinese, anche se originariamente il suo fondatore, Luigi Leone, aprì la sua bottega nella cittadina di Alba, per poi trasferirsi pochi anni dopo nel capoluogo subalpino. Sicuramente l’elemento trainante dell’azienda sarebbe stato costituito dalle celebri pastiglie confezionate nelle tradizionali scatole di latta. Nelle botteghe dei tempi passati esse prendevano posto negli scaffali in legno;  venivano e vengono tuttora prodotte utilizzando aromi, estratti ed essenze capaci di farne esaltare profumo e fragranza. I loro colori sono assolutamente inconfondibili, ve ne sono di dissetanti al mirtillo, limone ed arancia, mandarino e violetta o fragola; digestive alla menta,  camomilla, genziana, rabarbaro o fernet. La fabbrica Leone non è solo sinonimo delle celebri pastiglie, ma anche delle gelatine, liquerizie, caramelle gommose, assenzio e cioccolato. Proprio l’assenzio, il celebre liquore tipico della belle Epoque, immortalato nell’omonimo dipinto di Degas, viene prodotto secondo la ricetta antica dei distillati della Val de Travers.

“Abbiamo scelto di visitare una storica azienda come quella delle Pastiglie Leone – spiega il presidente del CDVM, dottor Antonio De Carolis  – in quanto essa continua ad applicare in modo vincente l’antica ricetta di coniugare il suo forte legame con il passato con una salda capacità di guardare al futuro. Da tempo la fabbrica è proprietà della famiglia Monero, che già un tempo era distributrice dei prodotti Leone e che, alla morte del suo fondatore Luigi Leone nel 1934, ne rilevo’ l’attività su iniziativa di Gisella Balla Moreno. Molto ampio il mercato dell’export di questa azienda, che spazia dalla Francia, Spagna, Germania,  Regno Unito ed Est europeo, fino agli Stati Uniti, il maggiore Paese extraeuropeo in cui vengono vendute le pastiglie Leone. I gusti più richiesti nell’export sono la cannella e la violetta”.

Mara Martellotta

Le vignette di Mellana

Riprendendo la felice tradizione ottocentesca dei giornali torinesi Il Fischietto e il Pasquino, questa settimana, alla faccia del politically correct, mi dedico ai Papi

D’altra parte Salvini, Trump, Renzi Conte  ecc… sono venuti persino a nausea a chi fa della satira, mai un guizzo di originalità che uno. Si ripetono con monotonia.  Invece ai Papi bisogna fare tanto di zucchetto   ( zucchetto o papalina o pileolo o solideo è il loro candido cappuccio ) perché riescono sempre a fare qualcosa di originale.
Claudio Mellana

Crescono il numero di donatori e i trapianti “combinati”

Donazione e trapianto di organi in Piemonte nel 2019, eccellenza e innovazione del sistema sanitario regionale

Il Piemonte riconferma nel 2019 gli ottimi numeri che caratterizzano l’attività di donazione di donazione e trapianto di organi e tessuti, coordinata dal Centro Regionale Trapianti.

I dati dell’attività sono stati illustrati oggi nel corso di una conferenza stampa presenti l’assessore alla Sanità, Luigi Icardi, il direttore del Centro regionale Trapianti, Antonio Amoroso, il coordinatore regionale Donazioni e Prelievi di Organi e Tessuti, Anna Guermani ed il direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, Silvio Falco.

Per l’assessore Icardi“Il Piemonte continua ad essere il riferimento nazionale per le attività di donazione e trapianto di organi: un dato ormai consolidato che ci stimola ad aumentare il nostro impegno su questo fronte. Un ringraziamento doveroso a tutti i professionisti responsabili dei programmi di trapianto e alle loro equipe per il lavoro che svolgono. Un grazie anche alle famiglie ed ai donatori che con la loro generosità consentono di salvare tante vite umane.”

I numeri

Sono stati effettuati 435 trapianti di organo: 232 di rene, 148 di fegato, 25 di cuore, 23 di polmone e 6 di pancreas. 59 trapianti (e solo di rene) sono stati effettuati nell’ospedale di Novara, gli altri nella Città della Salute e della Scienza di Torino (367 alle Molinette e 6 all’ospedale pediatrico), che si conferma tra gli ospedali al vertice di questa attività in Italia. Lo scorso anno l’ospedale torinese ha superato la soglia degli 8.000 trapianti eseguiti.

Trapianti “combinati”: Città della Salute riferimento nazionale

Ciò che contraddistingue la Città della Salute a livello nazionale non è solo il numero degli interventi eseguiti, ma anche la varietà dei programmi di trapianto che è in grado di offrire (si trapiantano tutti gli organi, sia negli adulti sia nei bambini), e la complessità degli interventi eseguiti, come il trapianto simultaneo di più organi nello stesso ricevente (i cosiddetti trapianti “combinati”).

Non c’è ospedale in Italia che possa proporli in maniera così estesa. Nel 2019 sono stati eseguiti alle Molinette trapianti combinati di rene e fegato (in un caso utilizzando solo un segmento epatico), 4 trapianti combinati di rene e pancreas, 1 di fegato e pancreas, 1 di cuore e polmoni, e addirittura un trapianto combinato di fegato-polmoni-pancreas.

La qualità dei programmi di trapianto può essere misurata dal tasso di successo raggiunto: se si considerano solo i trapianti eseguiti dal 2010 in poi, a 5 anni sono vivi il 93% dei pazienti che hanno ricevuto un trapianto di rene. Nel caso dei trapianti degli altri organi, senza i quali gran parte dei pazienti non potrebbe sopravvivere (per questo chiamati anche “salvavita”), quasi il 90% di coloro che hanno ricevuto un trapianto di fegato sono in vita a 5 anni dall’intervento, lo sono circa il 74% dei trapiantati di cuore, e la metà di chi ha ricevuto un trapianto di polmoni. Indici in continuo miglioramento ed in gran parte sopra le medie europee.

Donazioni in aumento

Il Piemonte si distingue per l’elevato numero di donatori di organi, da sempre è una delle prime regioni per numero di donatori deceduti. Nel 2019 i donatori sono stati 137 (30,4 per milione di popolazione), il terzo miglior risultato degli ultimi dieci anni, possibile grazie alla sensibilità dei cittadini, alla professionalità dei sanitari dei centri di donazione e al coordinamento della Rete Trapiantologica. Sono stati coinvolti 32 dei 34 Presidi Ospedalieri che hanno una terapia intensiva, dimostrando l’eccellenza della nostra rete ospedaliera.

Nel 2019 sono cresciuti i programmi di donazione di organi da soggetto con cuore fermo (DCD): sono tre gli ospedali (Maria Vittoria, Giovanni Bosco e Molinette) capaci di gestire questa forma di donazione molto complessa per tecnica e organizzazione, che permette di aumentare il numero degli organi disponibili per i trapianti.

Diminuiscono le opposizioni alle donazioni

Nel 2019 le opposizioni alla donazione sono scese al 25%, il dato più basso degli ultimi 15 anni, ed è raddoppiata la percentuale dei donatori la cui volontà era presente nel Sistema Informativo Trapianti (dall’9% del 2018 all’attuale 18%). A questo concorre il fatto che in Piemonte sono 976 i Comuni (popolazione raggiunta 4.186.748) in cui è possibile esprimere la volontà al momento del rinnovo della carta di identità.

Trapianti da donatore vivente

Si registrano anche segnali molto positivi nei trapianti da donatore vivente: questo è possibile nel caso del trapianto renale. Nel 2019 i trapianti di rene da donatore vivente sono aumentati in maniera significativa (41 nel 2019 rispetto ai 32 nel 2018, +23%). E più di 4.500 piemontesi (oltretutto di età tra 18 e 35 anni) si sono messi a disposizione nel 2019 per donare le loro cellule staminali emopoietiche o CSE (midollo osseo). Oggi in Piemonte sono più di 55.000. Superato anche il traguardo di 500 donazioni di CSE.

Trapianti complessi ed esiti eccellenti

I centri di trapianto del Piemonte – avendo grande esperienza e così ampia disponibilità – attraggono i pazienti con patologie complesse da tutta Italia. Nel caso degli organi salvavita, circa la metà dei pazienti trapiantati giunge da fuori regione, nel caso del trapianto del rene circa un quarto. L’esito del trapianto è collegato a molti fattori: la bravura dei chirurghi, l’attenzione degli anestesisti, la preparazione delle equipe infermieristiche, ma anche l’esperienza e capacità dei diversi specialisti che devono seguire i pazienti nelle diverse fasi, dall’immissione in lista al follow-up del trapianto.

Responsabili dei Programmi

Un ringraziamento è stato rivolto ai responsabili dei diversi programmi e alle loro equipe. Per la Città della Salute di Torino sono: Luigi Biancone per il trapianto di rene nell’adulto, Renato Romagnoli per i trapianti di fegato e di pancreas, Mauro Rinaldi per i trapianti di cuore e polmoni, Carlo Pace Napoleone per il trapianto di cuore pediatrico, e Bruno Gianoglio per quello renale pediatrico. A Novara, il responsabile del programma di trapianto renale è Vincenzo Cantaluppi.

(da sinistra, direttore Falco, assessore Icardi, dottoressa Guermani, professor Amoroso)

“Riaprite la biblioteca Carluccio”

Riceviamo e pubblichiamo / La biblioteca Carluccio di via Monte Ortigara 95, nel quartiere Pozzo Strada, è chiusa da 5 anni.

“Un disservizio davvero notevole considerato che è l’unica biblioteca non solo del quartiere, ma anche dell’intera Circoscrizione 3”

Un quartiere senza biblioteca, senza un luogo in cui poter studiare, leggere, approfondire, organizzare eventi e dibattiti, è un quartiere meno attrattivo. Perché la biblioteca oltre ad essere un importante punto di riferimento culturale, in cui promuovere conoscenze e competenze, è anche un fondamentale luogo di incontro.

Per questo, il 30 marzo 2019 più di 100 persone hanno partecipato al sit-in che ho promosso per chiedere la riapertura della biblioteca. Un momento di grande partecipazione in cui abbiamo lanciato un messaggio molto chiaro: rivogliamo la Carluccio aperta e pienamente usufruibile.

Ma a quasi un anno di distanza, nonostante altre iniziative che ho portato avanti, quali i presìdi sul territorio e la presentazione di diverse interpellanze dirette all’Amministrazione Comunale, la stessa Amministrazione, dopo aver promesso la calendarizzazione dell’apertura prima di Natale, ha di nuovo posticipato la riapertura (senza specificare una data) tramite un comunicato stampa pubblicato il 24 dicembre 2019.

Per tale motivo ho deciso di promuovere una petizione online per chiedere la riapertura della biblioteca. In una settimana sono già state superate le 500 firme.

La petizione resterà attiva finchè la biblioteca non riaprirà.

Allego qui, per maggiori dettagli e informazioni, il link della petizione:

Nicolò Lagrosa  Consigliere di Circoscrizione 3 Torino

Scontrino elettronico: i vantaggi per i consumatori

Di Patrizia Polliotto, Avvocato, Fondatore e Presidente del Comitato Regionale del Piemonte dell’Unione Nazionale Consumatori

 

Dal 1° gennaio 2020 è scattato l’obbligo di emissione dello scontrino elettronico per tutti gli esercenti

Al nuovo sistema devono attenersi artigiani, albergatori, ristoratori, partite Iva al regime dei minimi e forfettari con redditi annui inferiori ai 65.000 euro e tutti quegli operatori economici che emettono ricevute fiscali.

Il passaggio al nuovo sistema era già entrato in vigore dal luglio dello scorso anno per circa 200mila soggetti che nel 2018 avevano dichiarato un volume d’affari superiore a 400.000 euro.

L’Agenzia delle Entrate ha invece posticipato al 30 giugno 2020 l’introduzione delle sanzioni per chi non rispetterà l’obbligo.

Per sostituire o aggiornare i registratori di cassa, omologandoli così ai nuovi registratori telematici, gli esercenti hanno dovuto spendere tra gli 800 e i mille euro. Si tratta di una spesa che però è stata in parte ammortizzata da un contributo statale, sotto forma di credito d’imposta, pari al 50% della cifra investita. Il contributo arriva a un massimo di 250 euro in caso di acquisto e di 50 euro in caso di adattamento. Con il nuovo sistema gli esercenti non dovranno più tenere il regime dei corrispettivi, conservando le copie dei documenti commerciali rilasciati ai clienti.

Con i registratori telematici l’Agenzia delle Entrate è infatti in grado di acquisire tempestivamente e correttamente i dati fiscali delle operazioni effettuate durante il giorno per metterli poi a disposizione degli operatori Iva o dei loro intermediari. Per non incorrere in sanzioni, la trasmissione dei dati fiscali attraverso i registratori telematici dovrà essere eseguita dagli esercenti nella stessa giornata in cui è stata effettuata la vendita o al massimo entro e non oltre 12 giorni.

Presidio in piazza Castello: i lavoratori Mahle ricevuti da Cirio

«La Regione non accetterà altra soluzione che non sia la revoca del licenziamento, per consentire il tempo necessario al salvataggio degli stabilimenti di La Loggia e Saluzzo

Che si tratti di una riconversione, ipotesi per cui chiediamo all’azienda di chiarire quanto questa possibilità sia fondata, o di qualunque altra strada percorribile».
Sono le parole del presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio , al termine dell’incontro stamattina a Torino con una rappresentanza di lavoratori della Mahle. Presente all’incontro anche l’assessore al Lavoro Elena Chiorino , che nei giorni scorsi ha sollecitato il Mise per la convocazione del tavolo di crisi. «Ognuno deve fare la propria parte – ha spiegato l’assessore Chiorino – chiederemo che al Mise siano rappresentati tutti i soggetti coinvolti, compresa la Provincia di Cuneo, Città Metropolitana e i Comuni di La Loggia e Saluzzo. Quando si tratta di difendere il lavoro non possono esserci divisioni politiche o istituzionali, ma occorre lavorare tutti nella stessa direzione per raggiungere gli obiettivi». Il tavolo al Mise dovrebbe essere in programma per il 29 gennaio, come anticipato al presidente Cirio telefonicamente dal vice capo di Gabinetto del Ministro Patuanelli , Giorgio Sorial , durante l’incontro di questa mattina.

Gli Alpini incontrano le scolaresche di Rivoli

Ieri presso la Caserma “Ceccaroni”, sede del Reggimento logistico “Taurinense”, ha preso il via il  progetto “Alpini a Scuola 2020 – La Protezione Civile A.N.A. Associazione Nazionale Alpini incontra la scuola”,  patrocinato dal Comune di Rivoli e organizzato dal locale Gruppo dell’Associazione Nazionale Alpini.

Il progetto è finalizzato a far conoscere alle nuove generazioni, attraverso un percorso didattico di educazione civica, le tradizioni e i valori fondanti dello spirito alpino tendendo la mano ai piccoli alunni, in qualità di cittadini del domani, quali depositari dell’insegnamento tratto dal sacrificio di quanti immolarono la propria vita per la Patria e il bene della collettività.

Accolti dal Comandante di Reggimento, Colonnello Giulio Arseni, circa 300 tra alunni e docenti hanno preso parte alla cerimonia dell’Alzabandiera, alla presenza del Vice Sindaco di Rivoli, Laura Adduce, e ad una significativa rappresentanza dell’Associazione Nazionale Alpini, guidata dal Capo Gruppo Carlo Cattaneo.

Particolarmente toccante per i giovani ospiti è stato il momento della deposizione di una corona commemorativa in onore della Medaglia d’Oro al Valor Militare Maggiore Mario Ceccaroni, cui è intitolata la caserma, nel 79° anniversario dell’avvenuta morte in combattimento, durante il secondo conflitto mondiale. Grande coinvolgimento è stato dimostrato dalle scolaresche nel corso della visita alla caserma, in particolare quando i piccoli ospiti hanno avuto la possibilità di rivolgere le loro domande direttamente a due giovani alpini dell’Esercito e ad alcuni rappresentanti dell’Associazione Nazionale Alpini.

L’attività, che ha evidenziato ancora una volta lo stretto legame che unisce il personale del Reggimento logistico “Taurinense” ai cittadini rivolesi e agli Alpini in congedo, proseguirà nei prossimi mesi con una serie d’incontri in aula, con la partecipazione di volontari ANA di Protezione Civile che racconteranno la storia e il funzionamento della Protezione Civile nelle sue diverse componenti e i maggiori rischi che riguardano il territorio in cui è collocato il plesso scolastico, ponendo l’attenzione sugli aspetti relativi ai comportamenti corretti da assumere in caso di emergenza.

Lo scorso 21 dicembre il Reggimento Logistico “Taurinense”  ha ricevuto l’attestato di Civica Benemerenza del Comune di Rivoli, “per l’abnegazione ed il valore con cui, in Patria e all’estero, ha servito e serve il Paese testimoniando i più alti valori ai quali si ispirano l’Italia tutta ed il Comune di Rivoli terra di reclutamento Alpino”, sancendo ufficialmente il profondo rapporto di stima tra la Città ed i suoi Alpini.

Libia, speranze dalla Conferenza di Berlino

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FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

L’obiettivo della Conferenza di pace sulla Libia in programma domenica a Berlino è quello di far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori della crisi libica, grandi potenze, potenze regionali e alleati che da quasi dieci mesi si combattono nel Paese nordafricano

Sarà il primo passo importante per avviare un processo politico che dovrà pacificare e stabilizzare la Libia. Mentre sul terreno il cessate il fuoco sembra tenere si continua a negoziare tra speranze di una tregua permanente e timori di una ripresa delle ostilità su larga scala.

 

L’ostacolo principale è costituito dall’atteggiamento del generale Khalifa Haftar che non ha firmato l’accordo di Mosca e se ne è andato sbattendo la porta. Il documento siglato nella capitale russa, secondo l’uomo forte di Bengasi la cui offensiva militare è possibile grazie all’appoggio russo, avrebbe ignorato alcune delle sue richieste tra cui quella di far entrare le sue truppe a Tripoli, di formare un governo di unità nazionale e di far ritirare le forze turche insieme alle milizie alleate giunte dalla Siria.

 

L’intesa di Mosca, poi saltata per il dietrofront di Haftar, prevedeva la sospensione dell’intervento turco nel Paese, l’invio di militari russi per la supervisione del cessate il fuoco, il rientro dei soldati nelle caserme e il disarmo delle milizie. Una forza di peacekeeping non armata dell’Onu prenderebbe posizione tra le truppe avversarie. Nonostante la fragile tregua la situazione sul terreno resta piuttosto complicata. La Libia ha due governi rivali dal 2014 e la guerra tra le forze delle due fazioni ha distrutto l’economia del Paese nordafricano alimentando il flusso dei migranti, bloccando le forniture di petrolio e favorendo i gruppi jihadisti. La Turchia appoggia Sarraj a Tripoli, sede del governo riconosciuto dall’Onu, mentre la Russia è con il generale Haftar aiutato da centinaia di mercenari russi agli ordini di Putin. Ma gli altri alleati di Haftar non sono favorevoli alla tregua. Vorrebbero infatti che il leader della Cirenaica conquistasse Tripoli per spazzare via il regime di Sarraj sostenuto dalla Fratellanza musulmana appoggiata da Turchia e Qatar. Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita consideranno terroristi i Fratelli musulmani e temono che in Libia si insedi un regime islamista filo-turco.

 

Ma al di là del processo politico in corso la Libia si sta avviando verso la divisione del territorio. La parola d’ordine che risuona con forza nel Maghreb è infatti spartizione del territorio libico in zone di influenza. Una Libia metà russa e metà turca, la Cirenaica alla Russia e la Tripolitania alla Turchia. É ciò che Erdogan e Putin vogliono per il futuro del Paese nordafricano ma prima di raggiungere l’obiettivo devono costringere Khalifa Haftar, alleato dei russi, e Fayez al Sarraj, fedelissimo dei turchi a far tacere le armi e a stabilizzare il territorio. Il negoziato di Mosca è il primo passo per arrivare a una pax russo-turca da gestire sul campo attraverso i rispettivi alleati locali che però sono nemici tra loro. I russi ci sono già da tempo in Libia attraverso gruppi di mercenari schierati con il generale Haftar mentre i primi soldati turchi sono appena sbarcati a Tripoli insieme a miliziani siriani armati da Ankara che aiuteranno le tribù vicine al primo ministro al Sarraj.

 

In Libia rispunta così il disegno geopolitico già creato nel nord della Siria da russi e turchi. Per entrambe le potenze si tratta di un ritorno dal sapore storico e nostalgico. I russi erano presenti ai tempi di Gheddafi, fin dagli anni Settanta, con basi militari, armi e consiglieri e con la caduta del colonnello libico furono costretti a lasciare il Paese nel quale sono pronti a tornare oggi per riottenere quei contratti militari ed energetici perduti con il crollo del regime di Gheddafi. I russi conoscono bene la Libia. I primi rapporti commerciali e di forniture di armamenti risalgono alla metà degli anni Settanta con Gheddafi che faceva incetta di armi russe. L’Unione Sovietica è stato il principale fornitore del colonnello libico inviando nei porti di Tripoli e Bengasi navi cariche di carri armati, mezzi blindati, cannoni, aerei ed elicotteri da assalto. Un legame privilegiato continuato fino alla caduta del Muro di Berlino. Con Eltsin al Cremlino i rapporti si sono raffreddati e sono ripresi in grande stile nel 2008 quando Putin si è recato in Libia per firmare una serie di accordi, dalla realizzazione di una ferrovia tra Bengasi e Sirte a una collaborazione sempre più stretta tra il colosso russo Gazprom e la compagnia petrolifera nazionale libica, all’apertura di basi militari e all’aumento della vendita di materiale bellico.

 

Tra i piani dello zar russo c’è anche quello di ottenere uno sbocco sul mare in Cirenaica con l’appoggio di Haftar dopo aver mantenuto il porto di Tartus in Siria durante la guerra civile. La Russia è pienamente rientrata nel grande gioco libico da primo attore e insegue interessi economici e strategici da spartirsi con Erdogan. Dal canto suo, il sultano turco sfoglia pagine di storia ottomana: “siamo tornati nei luoghi dove i nostri antenati hanno scritto la storia” ricordando che “Ataturk è rimasto ferito in Libia e che prima della guerra italo-turca del 1911 questi territori ci appartenevano. La difesa dei nostri interessi comincia ben oltre le nostre frontiere. La Turchia continuerà a difendere i suoi interessi in Iraq, in Siria e nel Mediterraneo”. A differenza che in Siria, Ankara non ha bisogno di occupare la Libia ma garantirsi un governo amico e alleato a Tripoli per tutelare i propri interessi direttamente dal Bosforo come avveniva al tempo dell’Impero dei sultani quando nella Tripolitania ottomana regnavano dinastie locali con al vertice un bey (governatore di provincia) che, nominato da Costantinopoli, governava la sua provincia con ampia autonomia politica. Il piano di Erdogan è quello di far tornare la Turchia in Libia per rifondare un Califfato economico e politico e mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sui contratti per ricostruire il Paese. L’eventuale accordo finale consentirebbe da un lato di soddisfare gli interessi economici e geopolitici di turchi e russi in Libia e dall’altro di dividersi un Paese ricchissimo di idrocarburi. Con questa posta in palio l’asse tra Mosca e Ankara non dovrebbe correre seri pericoli. L’incidente di cinque anni fa quando un jet russo fu abbattuto da un missile turco in Siria sembra un ricordo molto lontano. I rapporti tra le due potenze vanno a gonfie vele anche in altri settori. Mosca ha venduto alla Turchia i sistemi antimissili S-400 e sta costruendo la prima centrale nucleare turca ad Akkuyu.

 

L’inaugurazione, pochi giorni fa a Istanbul, del Turkstream, il gasdotto che trasporta il metano russo in Europa attraversando il territorio turco rafforza ancora di più i già saldi legami tra Russia e Turchia e non frena le rivendicazioni di Ankara verso i giacimenti di gas nel mare attorno a Cipro dopo la contestata intesa marittima ed energetica stipulata a novembre con Sarraj. Reggerebbe un’eventuale pax russo-turca? I giannizzeri di Erdogan cavalcheranno insieme ai cosacchi dello zar nei deserti libici? Se guardiamo al passato, tra russi e turchi non regnò mai la pace e le guerre tra le armate ottomane e quelle zariste sono state innumerevoli. Va ricordato che la strana alleanza, storicamente quasi paradossale, tra la Turchia e la Russia in Siria e magari domani anche in Libia ha del miracoloso. Mai nella storia le due nazioni sono state così vicine e legate da un Patto. Antichi e potenti imperi, ottomano e zarista, rialzano la testa e tornano a giocarsi la partita da soli. Mosca e Istanbul risvegliano sogni imperiali, i negoziati che contano si fanno nelle due città e soprattutto a Istanbul, capitale di fatto come un tempo Costantinopoli, dove Erdogan riceve i potenti della terra. Il cessate il fuoco è fondamentale: se Sarraj dovesse essere sconfitto, per Erdogan sarebbe la fine delle sue ambizioni in terra libica. E se l’asse russo-turco si spezza i giannizzeri del sultano torneranno presto a scontrarsi con i soldati dello Zar.

dal settimanale “La Voce e il Tempo” 

Una donna erede dei Savoia? Idea di parità che merita rispetto

Di Pier Franco Quaglieni

Il principe Vittorio Emanuele, Duca di Savoia e Principe di Napoli, capo della Casa,  ha decretato la fine della medievale legge Salica  che regolava la successione al trono dei soli figli maschi

Con questo provvedimento si è stabilito un criterio di parità uomo-donna che solo i parrucconi incipriati non accettano e stentano a capire. La sedicente consulta dei sedicenti senatori del regno con sede a Saluzzo, provincia di Cuneo, ha stabilito, non si sa in base a quale titolo,  che Vittorio Emanuele non poteva abolire  la legge Salica.
La monarchia inglese è un esempio virtuoso di alternanza tra re e regine che ha fatto la storia  della Gran Bretagna  e costituisce la forza della monarchia britannica. Semmai l’abolizione di questa legge obsoleta forse avrebbe potuto decretarla Umberto II di Savoia che fu re aperto alle novità più avanzate e varò il voto alle donne, anche perché scelse come suo ministro il socialista Falcone Lucifero, uomo che ebbe un ruolo determinante nella nuova monarchia voluta da Umberto II è fondata sull’autogoverno di popolo e sulla giustizia sociale.
Che abbiano da eccepire dei  repubblicani convertitisi improvvisamente  alla Monarchia in tarda età, appare una cosa eccentrica ed incomprensibile. Questi signori di Saluzzo e dintorni vogliono stabilire nella loro arroganza del tutto autoreferenziale niente meno che   la linea di successione  nella millenaria dinastia sabauda. Vittorio Emanuele ha stabilito del tutto   legittimamente   la successione del capo della Casa. Il suo matrimonio con una borghese  fu una scelta controcorrente che prefigurò una visione moderna della monarchia che andava oltre certi schemi.
L’Italia e’ una repubblica dal 1946 e non è in agenda un cambio istituzionale, ma va  riconosciuto al Principe sabaudo  il diritto di una scelta che gli fa molto onore. Il Duca d’Aosta che porta  casualmente solo nel nome Amedeo la gloria del Principe dell’Amba Alagi che morì eroicamente in prigionia a Nairobi, ha voluto sgomitare rispetto al legittimo erede, supportato dalla sedicente consulta che si è autoproclamata tale. Forse è il caso che lui e suo figlio facciano un passo indietro. Una donna erede dei Savoia è un’ idea molto convincente che merita rispetto e non tollera personalismi dinastici  che contrastano con  la grande storia sabauda del passato. Umberto II che chi scrive ha conosciuto di persona, sarebbe indignato del comportamento di Amedeo e dei sedicenti  consultori. Come sarebbero indignati dignitari di corte come Vittorio Prunas Tola e Umberto Provana di Collegno che fecero della fedeltà al re una ragione di vita.Un altro mondo che esige rispetto ed è un esempio
ancora oggi.
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(nelle foto grandi il prof. Quaglieni con Emanuele filiberto di Savoia e Umberto II)

Rete oncologica in Bosnia grazie a Città della Salute

Nasceranno una Rete Oncologica ed un programma di Screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella in Bosnia Herzegovina, grazie alla Città della Salute di Torino ed alla Rete Oncologica del Piemonte, progetto finanziato dall’Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri

 

Nasceranno una Rete Oncologica ed un programma di Screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella in Bosnia Herzegovina. Un grande progetto di cooperazione internazionale che vede protagonisti i professionisti della Città della Salute di Torino e della Rete Oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta, finanziato dall’Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.

Nel quadro dell’Accordo di gemellaggio tra la Regione Piemonte ed il Kantone di Zenica-Doboj, il Protocollo d’Intesa tra la Città della Salute, le Facoltà di Medicina dei due Paesi, il Ministero della Salute Federale della Bosnia Herzegovina ed il Ministero Cantonale di Zenica, coordinati dall’ONG RE.TE., è partito il progetto, finanziato per circa 800 mila euro. Nei prossimi tre anni la Città della Salute di Torino è chiamata a fornire tutta la propria esperienza nella gestione e realizzazione dei servizi afferenti alla Rete Oncologica ed ai programmi di Screening.

Si è riunito ieri, presso la sede della Rete Oncologica di Piemonte e Valle D’Aosta, il gruppo di riferimento per la gestione e realizzazione del progetto, che coinvolge la Città della Salute di Torino nella realizzazione di una Rete Oncologica e di un programma di Screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella in Bosnia Herzegovina.

L’incontro di ieri, al quale hanno partecipato, Giulio Fornero, in rappresentanza della Direzione aziendale; Oscar Bertetto, direttore della Rete Oncologica di Piemonte e Valle D’Aosta; Libero Ciuffreda e Silvana Storto, in rappresentanza delle specialità oncologiche necessarie al progetto; Umberto Ricardi e Mauro Papotti, in rappresentanza della Scuola di Medicina; e Livia Giordano, quale referente del CRPT; Daniela Guasco e Luca Giliberti, quali coordinatori del progetto a nome di RE.TE. ONG, è servito per aggiornare tutti i partecipanti sulla situazione locale in Bosnia dalla quale partire per impostare un piano operativo di tutte le azioni e procedure necessarie.

Lo stesso gruppo si recherà in Bosnia Herzegovina a metà febbraio per una prima missione operativa di lavoro con gli omologhi colleghi in Bosnia.

Le prime mosse passeranno dalla costituzione di un comitato scientifico misto italo-bosniaco per la verifica degli effettivi avanzamenti del progetto e della capacità locale di promuovere questi servizi.

Questo progetto, ufficialmente iniziato con l’incontro di ieri, è finanziato dalla Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.

Così come nella tradizione di questo partenariato si potranno curare le patologie tumorali in Bosnia Herzegovina.

A  partire dal dicembre 1995, subito dopo la devastante guerra nei Balcani, Rete Ong, in collaborazione con la Regione Piemonte, èimpegnata in azioni di cooperazione con il Cantone di Zenica Doboj. Una parte di esse si sono sviluppate in ambito sanitario con progetti di supporto all’assistenza medica rivolta alla popolazione, in particolare con l’implementazione locale di un programma pilota di screening presso l’ospedale Cantonale di Zenica.

L’insieme di queste azioni, oltre ad aver incrementato il livello di assistenza sanitaria,  ha dato origine a protocolli di intesa tra diversi Enti italiani e bosniaci, per la realizzazione congiunta di azioni di cooperazione in ambito sociale, della formazione universitaria e sanitaria.

Il  progetto propone un’insieme di azioni secondo i  seguenti assi di intervento:

1) La sensibilizzazione ed educazione della popolazione con la diffusione delle 12 raccomandazioni del Codice Europeo contro il Cancro, per ridurre il rischio di sviluppare un cancro. https://cancer-code-europe.iarc.fr

2) La realizzazione locale di un’attività di screening per il tumore della mammella e di implementazione dello screening dei tumori della cervice uterina, secondo un modello già utilizzato nel Progetto Prevenzione Serena della Regione Piemonte.

3) L’attivazione di un progetto di Rete Oncologica, secondo il modello della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, eventualmente da estendere progressivamente agli altri Cantoni della Bosnia Herzegovina.

Questi tre ambiti di azione sono tra loro strettamente collegati e permetterebbero di sviluppare un Servizio Sanitario, in grado di diagnosticare e prendere in carico i pazienti affetti dalle più diffuse patologie tumorali, secondo standard medici riconosciuti a livello europeo ed internazionale.

 

I dati epidemiologici, relativi a incidenza, mortalità e disabilità in Bosnia sono stati raccolti attraverso i database dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) e dei database del Globocan Cancer Observatory dell’Agenzia per la Ricerca contro il Cancro (IARC).

 

Dal punto di vista epidemiologico, dalle stime dell’IHME, in Bosnia l’88% dei decessi nella popolazione femminile è dovuto a malattie croniche non trasmissibili (MCNT). Dei circa 18.000 decessi femminili che ogni anno sono imputabili ad una MCNT, circa 3700 sono causati da tumori. Considerando insieme gli anni di vita persi e gli anni di vita trascorsi con disabilità (Disability Adjusted Life Years –DALYs), le MCNT causano ogni anno tra le donne in Bosnia Erzegovina circa 450 mila DALYs (di questi circa 85 mila DALYs causati dai tumori). Molto rilevante è l’aumento delle MCNT, ed in particolare delle neoplasie, tra le donne bosniache negli ultimi anni 20 anni 1. Sulla base di tali dati e considerando che la tendenza all’invecchiamento della popolazione avrà anche un impatto in termini di aumento del carico assistenziale da patologie croniche non trasmissibili, è cruciale cercare di ridurne l’occorrenza o ritardarne l’insorgenza 2. Negli ultimi anni la ricerca ha mostrato una correlazione tra l’impatto delle MCNT e dei tumori e lo sviluppo umano. Condizioni socioeconomiche sfavorevoli e bassi livelli di sviluppo umano significano spesso bassi investimenti nelle infrastrutture di salute, servizi sanitari ed educativi, dunque minore disponibilità di risorse per il miglioramento della salute pubblica e delle iniziative di prevenzione e controllo dei tumori (Fonte).

In Bosnia Erzegovina, malgrado non esista un registro ufficiale è evidente dai dati pubblicati dall’IHME, che tra le donne, in particolare nella fascia 50-69, i tumori sono la principale causa di morte (41,7% della mortalità totale) e di disabilità (22,7% dei DALYs totali).

Il tumore al seno è la prima causa di morte tumorale tra le donne in Bosnia con il 7,4% della mortalità totale, seguito dal 6,3% dei tumori ai polmoni e bronchi e al terzo posto i tumori del colon-retto con il 4,9%. 1

 

  1. Institute for Health Metrics and Evaluation. Global Burden of Disease (GBD). Washington 2014. www.healthdata.org/gbd
  2. Fries JF et al. Compression of Morbidity 1980-2011: a focused review of paradigms and progress. J Aging Res 2011;2011:261702.