ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 405

Ponte o tunnel? Ecco i rischi

Un ponte od un tunnel che collegasse la Calabria alla Sicilia, specie nel geologicamente famoso “Messina Strait” ovvero nello Stretto che separa l’Italia peninsulare dall’isola siciliana, unirebbe due zone appartenenti a due differenti macro-aree geologiche, connettendo in modo rigido i lembi di una delle aree sismologicamente più attive del Mediterraneo: vista la complessità, alcuni scienziati lo chiamano puzzle tettonico.

Nonostante sia la struttura che la configurazione sismologica dell’area non siano completamente comprese in tutta la loro dinamica ed in tutta la loro possibile evoluzione, mancando ancora sistemi di equazioni differenziali in grado di predirne l’intensità ed il verso in merito ai prevedibili futuri macro-spostamenti, a causa del numero delle variabili in gioco, è comunque possibile farsi un’idea dei rischi del collegare Reggio Calabria a Messina. Guardando il risultato dei rilevamenti degli scorsi decenni, riassunto nella immagine qui allegata, si evidenza in modo palese una serie di importanti faglie sismologiche, fra le quali quella propriamente detta dello Stretto di Messina , quella di Capo Peloro e quella di Scilla. La complessa rete tettonica in quella zona appare controllata da configurazioni indipendenti e sovrapposte, con zone di sub-duzione della placca su cui si trova la Calabria con moto relativo difforme dai movimenti propri della parte occidentale della Sicilia. La tendenza dinamica delle due placche, quella africana e quella europea, su cui rispettivamente si trovano Sicilia e Calabria, è tale da determinare uno scorrimento relativo molto irregolare sulla direttiva sud-ovest / nord-est: un eventuale collegamento viario, ferroviario e/o una galleria sarebbero esattamente a cavallo dell’interfaccia fra tali placche continentali. Dissipatori energetici e vari altri possibili accorgimenti strutturali per rendere il comportamento di tale eventuale costruzione il più possibile spostato nel cosiddetto campo plastico, ovvero soluzioni strutturali atte ad assorbire almeno parzialmente l’energia di tali micro-movimenti tellurici, sarebbero del tutto inutili vista la situazione geosismica. Prevedibili macro-spostamenti dovuti a subduzione tettonica, nei prossimi anni, in qualunque momento, potrebbero generano regimi tensionali compressivi potenzialmente catastrofici, con faglie inverse capaci di generare violenti terremoti come quello già visto all’inizio del Novecento. In parole più semplici, il voler creare un sistema di trasporti pubblici con strutture poste sopra, ad esempio un ponte di una o più campate, o sotto la superficie del mare, ovvero un tunnel, per collegare Calabria a Sicilia, sarebbe come voler tenere chiusa, durante una giornata di vento, una giacca a vento utilizzando una cucitura di un solo filo di cotone posta a cavallo della “zip” frontale i cui lembi accostati siano già parzialmente aperti ed esposti all’aria. I circa centomila morti del terremoto di Messina del 1908 tragicamente ci ricordano gli effetti catastrofici del costruire strutture in zone a tale altissima probabilità di rischio sismico: dopo il COVID-19 ed il ponte di Genova, ci mancherebbe soltanto un’altro evento di tale gravità, il cui potenziale numero di vittime ed il cui ammontare di danni sarebbero assolutamente inaccettabili rispetto agli eventuali benefici di un tale oneroso
collegamento: sarebbe soltanto un’altra tragedia ampiamente prevedibile da tutto il mondo scientifico.

Carlo Viberti

Via l’amianto da scuole e ospedali

Oltre un milione di euro. Pubblicato il bando regionale, richieste presentabili fino al 30 ottobre 2020

La Regione Piemonte destina oltre un milione di euro ai Comuni, alle Province, alla Città metropolitana di Torino, alle Asl e alle aziende ospedaliere per la bonifica di manufatti contenenti amianto in scuole e ospedali. Lo prevede un bando pubblicato il 6 agosto sul Bollettino ufficiale regionale, dedicato alla presentazione delle istanze di contributo per l’assegnazione delle risorse. A darne notizia è l’assessore all’Ambiente della Regione Piemonte.

Il bando vede una disponibilità attuale di 1.161.800 euro. Fra i beneficiari sono esclusi i Comuni inseriti nella perimetrazione del sito di interesse nazionale di Casale Monferrato, che usufruiscono degli incentivi stanziati da Stato e Regione per la bonifica dell’omonimo sito.

Il bando prevede che gli edifici e le strutture oggetto di bonifica siano di esclusiva proprietà dei soggetti richiedenti. I contributi per la realizzazione delle attività di bonifica sono destinati alla copertura del 100% dei costi di rimozione, trasporto e smaltimento, Iva compresa, e del 100% degli oneri per la sicurezza, Iva compresa. L’importo massimo del contributo regionale assegnabile per ogni singola istanza è pari a 250.000 euro.

Il termine per presentare le richieste di contributo agli uffici della Direzione regionale Ambiente, Energia e Territorio è fissato al 30 ottobre 2020. Gli interventi dovranno essere realizzati e rendicontati entro il 30 novembre 2022.

La documentazione contenente i termini e le modalità di presentazione delle istanze di contributo è disponibile nella sezione del sito web della Regione Piemonte relativa ai bandi di finanziamento:

https://bandi.regione.piemonte.it/contributi-finanziamenti/bando-lassegnazione-contributi-realizzazione-interventi-bonifica-rimozione-manufatti-contenenti

Immobili, mercato in calo

Abitare Co.: nel I trim. 2020 frena il mercato immobiliare in Piemonte, con un calo delle compravendite del -11,7%. Torino prima per compravendite, a Verbania la maggiore flessione (-24,6%)

Nel I trimestre 2020 il mercato immobiliare residenziale piemontese segna una battuta d’arresto, soprattutto a causa del lockdown. Secondo l’elaborazione del Centro Studi di Abitare Co. Abitare Co.società di intermediazione immobiliare focalizzata sulle nuove residenze–, sui dati forniti dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, le compravendite di abitazioni nella regione sono calate rispetto allo stesso trimestre del 2019 del -11,7% (la media nazionale è del -15,5%), con 10.642 transazioni. Il Piemonte si posiziona tra le regioni al 4° posto in Italia per numerosità e al 18° posto per calo percentuale più marcato.

A livello territoriale, nel I trim. 2020 si registra una flessione delle compravendite in tutte le province, con i valori più marcati a Verbania (-24,6% sul I trim. 2019). Seguono Novara (-16,7%), Asti(-14,9%), Vercelli (-14,4%), Torino (-11,6%), Biella (-11,2%), Alessandria (-9,7%), e Cuneo (-4,1%).

Le province che hanno registrato il maggior numero di compravendite sono state, nell’ordine, Torino (6.041), Cuneo(1.390), Alessandria (893), Novara (800), Asti (448), Verbania(379), Biella (352) e Vercelli (339).

E sul fronte dei prezzi? Tra le città capoluogo di provincia, Verbania è la più cara, con prezzi che si attestano a 2.050 al mq,seguita da Cuneo con €1.800, Torino con €1.650, Novara con €1.150, Asti con €1.100, Vercelli con €920, Alessandria con €880 e Biella con €720.

Comprare oro a 2000 dollari?

In questi giorni dal deposito di Paperon de’ Paperoni le urla di gioia soffocano il rumore del caotico traffico di Paperopoli: sono quelle del papero più ricco del mondo che, tuffandosi nelle sue monete d’’oro, vede il loro valore crescere di un fantastiliardo al giorno…

, perché il metallo giallo, che lo zio di tutti i paperi tesaurizza,cresce apparentemente senza limiti ed ha sfondato il “muro” che sembrava invalicabile di 2.000 dollari l’oncia (una misura inglese che vale 28,35 grammi).

Uscendo dai fumetti e tuffandoci nella realtà, conviene fare alcune riflessioni sul fenomeno.

ALTI E BASSI: NON SEMPRE UN AFFARE

Tesaurizzare l’oro è una forma d’investimento che risale alla notte dei tempi; perché mettere da parte il metallo giallo ha affascinato milioni d’investitori.

E chi accumula sterline auree, marenghi o krugerrand, oggi si frega le mani guardando con commiserazione chi preferisce comprare un appartamento o sottoscrivere BTP…

Ma vale veramente la pena tesaurizzare l’’oro o non è meglio usarlo come ogni altra forma d’investimento, cercando di sfruttare periodi positivi, ma vendendolo, invece, quando l’onda del rialzo rischia di creare una bolla speculativa?

Per rispondere è bene guadare fatti e cifre.

Dall’inizio del millennio ad oggi il prezzo è salito da 270 a 2.050, un rialzo impressionante del 650%; ma dal 1995 al 2001 il prezzo è sceso da 400 a 270 (con una flessione del 32%). E nel più lungo periodo, notiamo che nel 1981 la quotazione era (guarda caso…) 400 dollari, quindi nei 14 anni dal 1981 al 1995 il rendimento è stato nullo!

Diverso il discorso per uno speculatore attento e capace: nel 1860, ad esempio, durante la guerra civile americana, la quotazione dell’oro passò da 22 a 60 dollari l’oncia, triplicando il valore in pochissimo tempo. Ma, appena sopraggiunta la pace, la quotazione tornò sui precedenti livelli

Alla fine della seconda guerra mondiale (dopo ottanta anni) il prezzo era arrivato a 35 dollari l’oncia (guadagno del 50%, niente rispetto ad investimenti alternativi in un periodo così lungo!) e restò immutato fino alla fine della convertibilità in oro del dollaro, quando il prezzo balzò, in quattro anni, fino ad oltre 150 dollari.

Un altro grande boom si verificò negli anni Ottanta, con un prezzo cresciuto fino a 850 dollari l’oncia, livello rimasto, però, isolato fino al 2007…

Sì, l’oro trasmette valore attraverso i secoli ed i millenni, ma non è un affare nel lungo periodo, anzi. Dal 1700 ad oggi il metallo giallo si è incrementato, in termini reali, dell’1,5% anno.

Insomma, non è tutto oro quel che luccica; nemmeno l’‘oro…

E guadagna chi non tesaurizza ma specula, comprando e vendendo (sperando di azzeccare i momenti giusti!).

 

COME COMPRARE ORO: LE MONETE

Per investire in oro il sistema classico è quello di comprare monete auree, che possono essere vendute anche per piccole quantità, in caso di necessità.

Il vantaggio delle monete è che possono essere custodite in una cassetta di sicurezza in banca, in forma totalmente anonima, consentono di accumulare un grande valore in poco spazio, sono un bene “incorruttibile” e facilmente trasferibile tra privati, sfuggendo alla tassazione su redditi e plusvalenze.

È importante non confondere le monete in metallo prezioso con le monete commemorative o numismatiche, il cui valore dipende dal disegno e dalla finitura più che dal contenuto in oro, e che non convengono come investimento (quando andate a venderle, scoprirete che non valgono nulla in più dell’‘oro contenuto…).

Le monete più trattate sul mercato sono le sterline inglesi (“vecchie” e “nuove”), i marenghi di vario conio (francese, italiano, belga), i krugerrand sudafricani, i dollari USA (aquila o indiano), i cileni, i pesos messicani. Per l’‘acquisto ci si può rivolgere a negozi specializzati, stando attenti a richiedere un certificato di garanzia per eventuali necessità di rivendita.

I prezzi delle varie monete sono pubblicati dai principali quotidiani finanziari.

UN’’ALTERNATIVA: TITOLI MINERARI

In un mondo in cui il “bene fisico” sembra sparire, ci sono le alternative all’acquisto dell’oro: si tratta delle azioni delle società minerarie che estraggono il metallo giallo oppure i fondi comuni che investono esclusivamente in oro.

La prima alternativa è basata sulla considerazione che il rialzo del prezzo dell’’oro porta maggiori utili per chi lo estrae (perché i costi sono fissi, ma i ricavi aumentano). La maggior parte delle società è quotata in Sudafrica, ma ce ne sono quotate anche nelle Borse di Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Australia. La scelta naturalmente va fatta con molta attenzione, avvalendosi del consiglio di esperti in grado di selezionare i titoli migliori. E’ un investimento tipico per speculatori e per chi conosce abbastanza bene le regole della Borsa e dell’acquisto di titoli all’estero.

Sarebbe fuorviante equiparare l’investimento in azioni ordinarie di un’azienda mineraria specializzata in estrazione aurifera con un investimento diretto in oro, poiché vi sono differenze significative. Il potenziale di rivalutazione di un’azione di un’azienda mineraria dipende dalle aspettative per quanto riguarda il prezzo futuro dell’oro, il costo dell’estrazione, la probabilità di ulteriori scoperte d’‘oro e vari altri fattori. Il successo dell’investimento dipende quindi, in una certa misura, dai profitti futuri e dal potenziale di crescita dell’azienda e non solo dal prezzo del metallo.

MA CI SONO ANCHE GLI ETF

La seconda alternativa apparentemente è migliore, perché si tratta di acquistare quote di un ETF che investe in oro. Come noto, gli ETF sono fondi comuni quotati in borsa, facilmente comprabili e vendibili con costi irrisori, che riflettono passivamente l’andamento della Borsa o del bene cui sono indicizzati.

Nessun problema di cassetta di sicurezza, ricerca dell’eventuale compratore in caso di necessità di ricuperare i soldi, nessun problema di incappare in truffatori che ti rifilano patacche con l’immagine della regina Elisabetta…

Ma attenzione!

Non tutti i fondi investono effettivamente in oro (acquistandolingotti ed immagazzinandoli). Si sono, purtroppo, diffusi anche ETF “finti” che non comprano l’oro, ma certificati rappresentativi dell’oro o addirittura speculano attraverso futures o contratti derivati. In certi casi si è verificato che alcuni fondi non hanno beneficiato dell’’enorme rialzo del prezzo del metallo giallo, perché i costi di continuo rinnovo dei contratti di futures erodeva in misura rilevante gli utili teorici conseguiti.

Attenzione, quindi, a scegliere un fondo “vero” che detenga sul serio l’‘oro e che quindi ne segua perfettamente l’andamento.

 

I VANTAGGI DELL’INVESTIMENTO IN ORO

Aggancio dell’investimento al dollaro

Mercato mondiale

Possibilità di forti guadagni nel breve periodo

Massima riservatezza

Nessuna tassazione (neanche di successione, se conservato in casa

GLI SVANTAGGI DELL’INVESTIMENTO IN ORO

Nessun reddito

Alto costo di commissioni

Rischio di acquistare pezzi falsi

Possibilità di forti perdite

Gianluigi De Marchi

Alle Molinette la Radioterapia ferma le aritmie cardiache

STORIE D’AGOSTO / L’inedita accoppiata cardiologi – radioterapisti blocca le aritmie cardiache senza entrare nel cuore.

All’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino è stata messa a punto una innovativa tecnica per curare il circuito elettrico alla base delle aritmie ventricolari maligne in maniera non invasiva, dall’esterno, grazie alla radioterapia. Il primo caso sperimentato con successo è stato un paziente di 73 anni, grazie alle équipes universitarie di Cardiologia (diretta dal professor Gaetano Maria De Ferrari) e di Radioterapia (diretta dal professor Umberto Ricardi). 

Solitamente i pazienti con aritmie maligne, le cosiddette “tachicardie ventricolari”, vengono trattati con l’impianto di un defibrillatore che è in grado di interrompere l’aritmia con una scarica elettrica. Tuttavia il defibrillatore non previene l’insorgenza della tachicardia ventricolare e sono sempre più numerosi i pazienti che soffrono di episodi ripetuti di scarica elettrica in risposta alle tachicardie ventricolari, con peggioramento delle condizioni cliniche e della qualità della vita. Quando possibile questi pazienti vengono trattati con una “ablazione” del circuito alla base dell’aritmia, inserendo dei cateteri nel cuore e “bruciando” la zona critica dell’aritmia. In casi particolarmente avanzati però l’aritmia ritorna ed in questi casi non vi sono soluzioni riconosciute per risolvere il problema.

In questo caso il paziente di 73 anni era stato sottoposto in passato a tre interventi cardiochirugici e soffriva da un anno di tachicardie ventricolari recidivanti. E’ stato sottoposto due volte ad ablazione dell’aritimia nel reparto di Cardiologia universitaria delle Molinette. Nonostante un’iniziale apparente efficacia, nella seconda procedura si è evidenziata la persistenza di un circuito aritmico nella parte esterna del ventricolo sinistro (a livello epicardico). Nei Centri più esperti, come le Molinette, è possibile accedere all’epicardio con i cateteri per completare l’ablazione. Purtroppo questo non era possibile in questo paziente a causa degli esiti dei tre interventi cardiochirurgici precedenti. Si era rimasti pertanto senza armi per contrastare l’aritmia.

Quando il paziente ha accusato nuovi episodi di tachicardie ventricolari dopo la seconda ablazione, è stato costituito rapidamente un gruppo di lavoro, composto anche dal cardiologo professor Matteo Anselmino e dal radioterapista dottor Mario Levis. Grazie ai dati degli studi elettrofisiologici di ablazione, di particolari TC cardiache e ad una complessa serie di simulazioni e calcoli, si è messo a punto il piano terapeutico ideale per somministrare una singola seduta di radioterapia, somministrando una dose molto elevata di radiazioni in modo molto preciso ed accurato. Tale tipologia di trattamento, definita radioterapia stereotassica ablativa,  viene normalmente applicata in ambito oncologico, come alternativa alla chirurgia con lo scopo di ablare in modo non invasivo lesioni tumorali di volume limitato. Il paziente è stato quindi sottoposto ad una sola sessione della durata di trenta minuti, completamente non invasiva, durante la quale ha ricevuto la dose prevista, utilizzando anche una tecnologia innovativa che consente di sincronizzare l’erogazione della radioterapia seguendo precisamente il movimento respiratorio. Questo sistema ha consentito di ridurre ulteriormente la zona irradiata e quindi i possibili danni ai tessuti circostanti, centrando al meglio il focus responsabile dell’aritmia. L’intervento è tecnicamente riuscito. Dal giorno del trattamento il paziente non ha più avuto alcuna tachicardia ventricolare, mentre nei tre mesi precedenti aveva accusato quattro episodi di tempeste aritmiche con scariche elettriche del defibrillatore.

“Siamo molto contenti del risultato ottenuto – dichiara il professor De Ferrari – e della possibilità di poter offrire, in aggiunta ad un ventaglio di opzioni terapeutiche, anche questo approccio innovativo ai pazienti più complessi. L’ospedale Molinette è uno dei 4 Centri italiani invitati a far parte del consorzio europeo Stopstorm, che metterà a punto gli standard per questa nuova terapia, che conferma la Città della Salute Centro di riferimento per i pazienti con cardiomiopatie ed aritmie maligne”.

 

Derivato del colesterolo blocca il virus

Una collaborazione tutta italiana – con il coinvolgimento dello Startup Panoxyvir – dimostra implicazioni importanti nella terapia di COVID-19

 

La molecola 27-idrossicolesterolo (27OHC) è presente nel nostro corpo come fisiologico prodotto del metabolismo ossidativo del colesterolo.

In colture cellulari infettate con il SARS-CoV-2, il virus responsabile di COVID-19, il 27OHC è risultato essere un forte inibitore della replicazione virale. La rilevanza di tale evidenza scientifica è ulteriormente sottolineata dalla contemporanea osservazione di un vistoso calo di questa molecola con proprietà antivirali nel sangue dei pazienti COVID-19.

La doppia scoperta, in pubblicazione online sulla rivista scientifica Redox Biology, è il risultato di una cooperazione multidisciplinare tutta italiana, tra Panoxyvir, una start-up innovativa e spin-off accademica dell’Università di Torino, coordinatrice del lavoro, il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste, che ha testato la molecola sul SARS-CoV-2 isolato da individui contagiati, e l’Ospedale di Desio/Università di Milano Bicocca, che ha monitorato i livelli di 27OHC nel sangue di individui positivi al SARS-CoV-2, asintomatici o con COVID-19 di grado moderato o severo.

Panoxyvir da tempo puntava sull’attività antivirale ad ampio spettro del 27OHC, avendone già dimostrato la capacità di bloccare i Rhinovirus, i principali agenti del raffreddore comune, e i Rotavirus, la causa più comune di gastroenterite virale nei primi anni di vita, con un meccanismo che non bersaglia direttamente le particelle virali, bensì modifica in modo transiente fattori della cellula ospite necessari ai virus per replicarsi.

Tra i principali autori della ricerca, oltre ai tre fondatori di Panoxyvir, Giuseppe Poli, patologo generale, David Lembo e Andrea Civra, virologi dell’Università di Torino, Polo San Luigi Gonzaga, vi sono Alessandro Marcello, virologo all’ICGEB, e Valerio Leoni, biochimico clinico presso l’Ospedale di Desio/Università di Milano Bicocca.

L’elevata biocompatibilità della molecola, dovuta alla sua origine fisiologica, e l’estrema varietà di virus ad ampia diffusione che è in grado di inibire, come un antibiotico ad ampio spettro nel caso delle infezioni batteriche, candidano il 27OHC ad un rapido sviluppo pre-clinico per giungere al più presto ai primi studi clinici sull’uomo e proporsi come strategia antivirale complementare ai vaccini nel far fronte a pandemie attuali ma anche future.

A che punto è l’emergenza sanitaria? Parla De Donno

Nei mesi più acuti dell’emergenza sanitaria i riflettori sono stati puntati sull’ospedale di Mantova il ‘Carlo Poma’, dove era stata avviata una terapia basata sul plasma donato dai malati di Covid-19, avviata in collaborazione con alcuni colleghi dal dottor Giuseppe De Donno, primario della Pneumologia, medico anch’egli in prima linea nel contrasto a virus.

Con lui abbiamo avuto un recente colloquio telefonico nel quale si è gentilmente sottoposte ad alcune domande per avere l’opinione ‘sul campo’ di chi ha vissuto e vive quotidianamente questa emergenza.

A che punto è l’emergenza sanitaria oggi ?

Indubbiamente dopo i mesi acuti della pandemia, marzo, aprile, maggio, a giugno si sono iniziati a riconvertire gli ospedali, pur mantenendo un’area dedicata. Oggi la maggior parte sono Covid free, ma i casi non sono scomparsi. A Mantova in questo momento ci sono 11 polmoniti Covid di cui 2 con grave insufficienza respiratoria. Il numero conferma che il virus circola ancora

Quindi non è avvenuto come qualcuno sperava che con il caldo sparisse ?

E’ sotto gli occhi di tutti che il numero dei positivi cresce in questi giorni, nonostante le alte temperature. Il Sars –Cov2 è in linea con il Sars Cov-1 che poi è scomparso, ma adesso l’impressione, e il dato di fatto, è che continua a circolare. E ne esistono anche ceppi diversi, nei Balcani, in Francia, in Spagna.

Cosa accadrà in autunno ?

Nessuno è in grado di dire cosa accadrà, credo non abbia perso virulenza. In ogni caso adesso il sistema sanitario è più pronto e lo conosce di più rispetto a febbraio.

I mass-media all’inizio hanno avuto toni a volte catastrofisti e una certa dose di allarmismo si è registrata anche nei giorni precedenti il ferragosto per la risalita dei contagi. Cosa ne pensa ?

Più che allarmarsi occorre stare attenti. Sono stati fatti alcuni errori, sono state allentate troppo alcune maglie, ne sono state tenute troppo strette altre. Aprire e chiudere tutte le discoteche da Aosta a Leuca, senza una differenziazione delle situazioni, forse è stato eccessivo. Del resto anche in passato il Comitato Tecnico Scientifico aveva evidenziato situazioni territoriali diverse.

Oggi, però, il numero dei decessi e dei pazienti in terapia intensiva è decisamente basso rispetto ai mesi precedenti ?

Sono dati che vanno letti con attenzione, come pure quello dei guariti. Certamente i medici oggi hanno imparato ad utilizzare strategie di contrasto a questa situazione, non si ripete più la situazione di febbraio-marzo. Si cerca di limitare il più possibile il ricovero in rianimazione che comporta complicanze poi difficili da recuperare.

Leggendo le statistiche si nota come vengano ‘scovati’ sempre più asintomatici. Ma tutti gli asintomatici sono potenzialmente contagiosi ?

Ci sono gli asintomatici diffusori in grado di diffondere il contagio, gli asintomatici non diffusori che non hanno la capacità di diffondere il virus, ma è allo stato impossibile da parte dei centri definire chi sia diffusore o non diffusore con certezza assoluta. E’ positivo adesso l’andare a mappare le patologie, sin dall’inizio avrebbe dovuto essere stata mappata la popolazione per isolare i focolai, come è avvenuto in Veneto.

Vogliamo dire qualcosa riguardo alla terapia basata sul plasma donato dai malati di Covid-19, di cui Mantova è stata tra gli iniziatori ?

Sia la letteratura, sia l’esperienza quotidiana confermano che l’utilizzo di plasma donato da chi è guarito è uno strumento che riduce la mortalità in modo significativo: dal 16%17% abbiamo avuto un calo del 50%, oltre ad un miglioramento della efficienza respiratoria e la permanenza in terapia intensiva. Negli Stati Uniti è stata avviata una raccolta del plasma su larga scala. Da mesi abbiamo lanciato il messaggio di creare ‘Banche del plasma’ in attesa che si arrivi al vaccino o agli anticorpi monoclonali. Per quanto riguarda la Regione Lombardia, l’assessore Gallera è stato a Mantova e ha dato la disponibilità regionale, ma Mantova e Pavia non possono sopperire alle esigenze di un intero Paese. Sarebbe bene che anche altri centri avessero, come dicevo, una ‘Banca del plasma’.

Il vaccino quando arriverà, entro il 2020 o l’anno prossimo ?

Ci sono voci discordanti, sono state levate critiche a quello di Putin, il professor Crisanti di Padova ha detto che potrebbe esserci entro il giugno 2021. Per avere un vaccino sicuro occorre un periodo di tempo non breve, un campione di soggetti ampio ed un criterio di sicurezza affidabile

Però c’è il progetto che vede impegnata l’Università di Oxford cui collabora anche un’azienda italiana ?

Certo, è stato detto che funziona, occorrerà vedere anche la durata degli anticorpi. Per il momento sono stati fatti soltanto degli annunci, dati alla mano non li ho ancora visti

Ha una ricetta per la scuola ?

Riaprirei le scuole in presenza. La scuola è una parte importante e vitale di quello che è un sistema Paese per cultura, economia, salute. E con poche regole chiare si deve fare ripartire l’anno scolastico

Qual è stato il momento più brutto di questi mesi?

Il 28 febbraio la svolta di inizio pandemia quando l’ospedale è stato ‘aggredito’ da ambulanze che arrivavano da Crema, Cremona, Bergamo, Brescia con un numero altissimo di ricovarati ed un’elevata mortalità

E quello più bello ?

Quando insieme ai dottori Franchini e Grisolia siamo riusciti ad intervenire per Pamela la paziente che era in attesa, ha recuperato e adesso ha partorità Beatrice Vittoria. E’ stato un momento davvero bello ed emozionante

 

Massimo Iaretti

 

 

 

Romiti, un quarto di secolo alla Fiat

Cesare Romiti è morto a 97 anni. Tranne l’ultimo è sempre stato in pista con la sua presidenza della associazione Italia Cina. 70 anni di onorata carriera tra e nelle stanze del potere economico e finanziario italiano e non solo. Ma è passato alla storia per i suoi 24 anni alla Fiat e con la famiglia Agnelli. Era orgoglioso nel precisare che con l’Avvocato si davano del lei.

Una vita intensa e diremmo anche  contro corrente. Diceva d’ essere un uomo contro il potere politico ed al tempo stesso lui uomo di potere. Romano de Roma venuto a Torino per mettere in riga i torinesi. La prima sua vittima fu Carlo De Benedetti. Scontro di personalità e scontro (anche) di potere. Del resto si è sempre detto che gli Agnelli regnano e lui governava. Tradotto faceva il lavoro “sporco”. Da Luca di Montezemolo ai Sindacati è stato durissimo . Cacciato il primo perché  si diceva che vendesse gli incontri con l’Avvocato e salvato dallo stesso. Gli operai erano in esubero e dopo i 35 giorni ci pensò lo Stato con la cassa integrazione. Ebbe il coraggio della rottura ma ebbe sempre bisogno della mediazione di quella politica che non amava tanto. Anche lui con i suoi begli appoggi come Cuccia che lo preferì ad Umberto Agnelli. Probabilmente l’unico grande manager pubblico che passerà all’ industria privata. In una intervista di 4 anni fa sostenne di essere stato scelto direttamente dall’ Avvocato.Viceversa molti sostenevano che il suo vero sponsor era Cuccia e che Gianni Agnelli facesse sempre quello che Cuccia desiderava. Molti lo sconsigliano di
accettare perché con gli Agnelli e Torino entrava in un mondo fondamentalmente chiuso. Era una sfida che non poteva non accettare. Carlo De Benedetti durò solo tre mesi ai vertici Fiat. Per allora fu cacciato (con faraonica buona uscita) perché, si diceva , voleva fare le scarpe agli Agnelli. L’ ingegnere dopo diede la sua versione dei fatti. Sosteneva che in Fiat bisognava licenziare subito e lo disse immediatamente a Gianni Agnelli che gli rispose: domani vado a Roma e le saprò dire. Al suo ritorno fu categorico: non si può fare. Del resto dalla prima guerra
mondiale la Fiat ha sempre avuto stretto rapporto con lo Stato. Dal fondatore Giovanni Agnelli a Vittorio Valletta una sana tradizione. Dopo la seconda guerra mondiale continuò barattando condizioni di favore per la Fiat che appena poteva assumeva. Notorio che pur controvoglia Vittorio Valletta si faceva periodicamente un viaggetto a Roma in visita ai suoi amici funzionari
del ministero dell Industria. Gianni Agnelli da Presidente di Confindustria fu grande mediatore e protagonista dell’accordo con Lama sulla scala mobile. Toccherà a Cesare Romiti nell’80 quello
che voleva fare Carlo De Benetti anni prima. Appunto il lavoro “sporco” di licenziare. Cominciava il tramonto industriale di Torino. Sia ben chiaro, non è stata colpa sua. Ma qualche responsabilità sì.Quasi cento anni da protagonista, indubbiamente. Protagonista ed interprete di questo secolo. Passerà anche alla storia per essere passato da manager ad industriale nel periodo post
industriale, dove si è preferito produrre dove costava meno e consumare dove si produceva una volta. Si rammaricava molto che la Fiat non è più italiana. E non era compito suo proporre e realizzare politiche industriali. Talmente indispettito con i politici attuali che ha votato la Raggi a Sindaco di Roma. Aggiungendo che non lo avrebbe più fatto visto la inconsistenza pentastellata. Pragmatico in tutto. Lui che ha avuto i suoi guai con tangentopoli. In cassazione assolto. Non l’ unico del resto. La corruzione era assimilabile alla concussione e  si diceva che aveva pagato la sua scelta di collaborare con la magistratura milanese producendo l’invidia di quella torinese. Un pragmatico che come tale non pensava all’ insieme visto che doveva solo assolvere al compito che gli era stato assegnato.

Patrizio Tosetto

Anziani malati non autosufficienti: “La Regione li dimentica”

Riceviamo e pubblichiamo / Sono passati due mesi dal sit-in dei parenti delle vittime nelle Rsa nel periodo di massima diffusione del Coronavirus il 18 giugno scorso. Finora, dalla Giunta regionale e dal Presidente Alberto Cirio, nessun atto concreto rispetto alle richieste avanzate dai tanti che hanno perso uno o più cari nella drammatica strage delle Residenze sanitarie assistenziali e dalle associazioni di tutela dei loro diritti.

– Non è stata revocata la controversa e contestata delibera 14-1150 del 20 marzo
2020 che permetteva (e permette ancora!) il trasferimento di malati contagiosi
dagli ospedali alle Rsa e che ha determinato una diffusione della patologia nelle
Rsa, con conseguenze letali su molti degenti. In caso di nuova pandemia, con
l’attuale delibera sarà possibile operare nuovi trasferimenti, infettando i
degenti ricoverati. Tanti morti non hanno insegnato niente?

– L’Assessore alla Sanità, Luigi Icardi, ha incontrato i Sindacati e i Gestori privati
delle Rsa, ma non ha trovato il tempo di incontrare i famigliari dei malati morti
nelle Rsa e le associazioni che difendono i diritti dei malati non autosufficienti.
– Gli anziani malati non autosufficienti non sono scomparsi! Restano 30 mila
malati in lista d’attesa che hanno diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie in
convenzione con l’Asl (dati 2016-2019). Nessuna azione della Sanità
piemontese è stata messa in atto per dare priorità alle cure domiciliari ed
erogare gli «assegni di cura» previsti dalla legge regionale 10/2010 con parte
sanitaria.

Devono seguire subito ai decessi 4.000 nuove convenzioni per sostituire i posti
liberatisi nel periodo Covid e almeno altre 6.000 per coprire le quote sanitarie
di chi sta pagando da anni la degenza privatamente in Rsa. Spesa stimata: 60
milioni da erogare subito (sui circa 250 all’anno di spesa storica per i ricoveri in
Rsa). La Regione non ha attivato ingressi in Rsa per molti mesi, risparmiando le
risorse che ora deve rimettere in blocco. Quei soldi non devono sparire, ma
servire per un abbattimento secco delle liste di attesa.

– Non ci sono atti della Giunta regionale verso il Governo per rendere più umane
le visite ai propri parenti in Rsa. Si tratta di una mancanza aggravata dal fatto
che l’assessore alla sanità Icardi è il coordinatore nazionale degli assessori alla
sanità nella Conferenza Stato-Regioni e quindi avrebbe tutti gli strumenti per
porre la questione a livello nazionale.

La mobilitazione della Fondazione promozione sociale, delle associazioni del
Csa – Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base, del Comitato
vittime nelle Rsa hanno ottenuto la delibera 2-1821 del 5 agosto in cui vengono
definite le “Linee di indirizzo per la gestione, nella fase di emergenza Covid-19,
delle attività sul territorio della Regione Piemonte, delle strutture residenziali e
semi-residenziali” che comprendono il tema delle visite, delle uscite, dei rientri
a casa per brevi periodi e affermano finalmente le responsabilità della Regione
e delle Asl. Si tratta di un passo avanti, che fissa criteri generali, ma non è ancora
abbastanza. C’è bisogno di una presa di posizione nazionale, che la Regione
Piemonte deve sollecitare in rappresentanza dei suoi cittadini più deboli.

Al Presidente Cirio e alla Giunta della Regione Piemonte chiediamo di confrontarsi
sulle proposte (allegate, già inviate il 22 giugno scorso al Presidente Cirio) e di
prevedere un confronto istituzionale urgente. Le associazioni scriventi hanno
contribuito a scrivere le delibere e le leggi (compresa la legge 10/2010) che hanno
consentito a migliaia di malati non autosufficienti di ricevere le cure, la continuità
terapeutica, la presa in carico definitiva dei servizi. Non ci stiamo ad essere ignorati.
Come ha scritto recentemente Francesco Pallante, docente di diritto Costituzionale
all’Università di Torino: «Di fronte a ogni questione tecnico-scientifica permane un
margine, più o meno ampio, di apprezzamento discrezionale che il governo,
nell’esercizio delle proprie prerogative, ha tutto il diritto di utilizzare. Ciò comporta,
però, l’assunzione di una responsabilità e, in un ordinamento democratico, il dovere
di motivare politicamente le ragioni delle decisioni adottate».

È quindi fondamentale che ogni provvedimento di riforma del sistema di presa in
carico sanitaria e socio-sanitaria non sia assunto come una scelta calata dall’alto,
senza confronto con i cittadini, ma passi dal Consiglio regionale e dall’ascolto delle
associazioni che difendono i diritti dei malati non autosufficienti.

CSA – Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base

 

Uncem: “Banda ultralarga, Piemonte fanalino di coda”

Il Piano banda ultralarga vedrà il Piemonte fanalino di coda.

 

Secondo quanto comunicato alla Regione, Anci e Uncem, da Infratel e Open Fiber, i lavori negli oltre 1.100 Comuni si completeranno solo nel 2023. Due anni di ritardo rispetto alla tabella di marcia annunciata nel 2017. Un quadro che preoccupa fortemente le Associazioni degli Enti locali, tra le prime a credere nel Piano ma anche le prime a denunciare errori, tempi troppo lunghi, complicazioni per gli Enti locali, eccessivi ritardi e mancanza di efficacia nel raggiungere le valli. Per ogni Comune sono previsti due progetti e due cantieri, uno per la fibra e un secondo per l’FWA, i sistemi wireless. E mentre operatori privati come Tim ed Eolo stanno intervenendo autonomamente, con loro risorse, al di fuori del Piano nazionale BUL, Anci e Uncem non accettano, con tutti i Sindaci, di rimanere con il cerino in mano.

I Sindaci sono molto arrabbiati per i ritardi del Piano BUL – spiega Lido Riba, Presidente Uncem Piemonte – La Regione nella recente Cabina di Regia di luglio ha chiesto chiarimenti e tempi certi. Lo abbiamo scritto anche nell’importante dossier ‘La Montagna in rete’. Serve un’azione più incisiva che le Associazioni locali sono pronte a supportare. I Sindaci sono pronti anche a scendere in piazza se il Piano banda ultralarga non viene sbloccato e accelerato. Per ora è dormiente. Ed è gravissimo”.

“Il lavoro che stiamo facendo per costruire con i Comuni soluzioni per ridurre il digital divide, è complesso ma necessario – evidenzia il Vicepresidente Anci con delega all’innovazione, Michele Pianetta – Occorre agire sulle competenze, e lo stiamo facendo con Anfov, Asstel, le associazioni delle imprese, le Telco stesse. Dobbiamo intervenire per ridurre il digital divide e sbloccare con urgenza il Piano BUL. Poi vogliamo premiare i Comuni, le Unioni, tutti gli Enti che stanno facendo di più e meglio sul fronte dei servizi. E per questo, il Premio Piemonte Innovazione è strumento di crescita e di condivisione. Permette anche emulazione oltre a una conoscenza di quanto sta avvenendo nella nostra regione. Non certo poco, ma grazie alla spinta di Sindaci, dirigenti, Amministratori illuminati. Che sosteniamo con tutte le nostre forze”.

“Rispetto alle infrastrutture digitali, occorre unire il Piano BUL con quello che stanno facendo le Telco. Penso all’importante lavoro di Eolo, BBBell ovvero al Piano di TIM per cablare tutta l’Italia. Un lavoro importantissimo quello di TIM. È urgente un percorso più virtuoso rispetto al passato. Cambiamo rotta. Andiamo verso una rete unicaChe integri Piano BUL e 5G. I ritardi sono gravissimi – sottolinea Marco Bussone, Presidente nazionale Uncem – e come abbiamo detto con il Ministro Pisano due settimane fa, la Montagna in rete deve essere tale grazie a un lavoro congiunto di imprese e soggetti pubblici. Su questo stiamo lavorando intensamente”.

Allegato il file con tutti i dati del Piano nazionale Banda ultrlarga per il Piemonte, Comune per Comune

Scarica qui il dossier “La Montagna in rete”