CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 717

Nuova sede per il Centro Studi Piemontesi

Tra le iniziative di «Officina 50», il cantiere di studi per le iniziative del cinquantenario di fondazione del Centro Studi Piemontesi nel 2019, è stata individuata come prima tappa fondamentale l’intervento di Schedatura, riordino e inventariazione dell’Archivio dell’Associazione. Il lavoro avrà la durata di due anni. Per la sistemazione dell’Archivio sono stati necessari alcuni lavori di adeguamento della Sede che sono stati effettuati nel quadro di un complessivo intervento di ammodernamento dei locali che sarà completato nel 2019.

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L’inaugurazione della sede rinnovata si terrà lunedì 22 ottobre

                                        dalle 16,30 apertura sede per vista locali ristrutturati

seguirà alle ore 18  la conferenza di

Lodovico Passerin d’Entrèves

Presidente Fondazione “Specchio dei Tempi” – Consigliere del Centro Studi Piemontesi

con

Angelo Conti

giornalista de “La Stampa”

Specchio dei Tempi”

la voce e la generosità dei torinesi

Info: tel. 011/537486; info@studipiemontesi.itwww.studipiemontesi.it

Via Ottavio Revel 15 – 10121 Torino. Tel. 011/537486

info@studipiemontesi.it – www.studipiemontesi.it

Cereseto, l’antico luogo dei ciliegi

Cereseto, a una decina di chilometri da Casale Monferrato e ad una distanza ancora minore da Moncalvo, pur non appartenendo propriamente alla Valcerrina, tuttavia ne è quasi un’appendice. Oltre tutto, sotto l’aspetto amministrativo il suo Comune è parte dell’Unione dei Comuni della Valcerrina

Il suo toponimo è in realtà un fitonimo: Ceresa è una della varianti di Cerasa, termine in vernacolo con cui viene indicato l’albero del ciliegio ed il suo frutto. Etum, invece, ha il valore di un semplice suffisso. Cereseto potrebbe quindi indicare un luogo ricco di ciliegi. Nel 1020 compare per la prima volta la forma Cerexetus, nel 1224 Ceresetus. Il paese appare tra le verdi colline del Monferrato come una gemma, dominato dall’imponente castello. E a due passi c’è il Santuario di Crea con il Sacro Monte, patrimonio dell’Umanità proclamato dall’Unesco nel 2004. Il borgo, sorto in vicinanza dell’antica abbazia di San Cassiano, viene infeudato dai seguaci di Arduino d’Ivrea, poi confiscato al cavaliere sassone Granseverto suo sostenitore. In seguito divenne un possedimento dei monasteri della Novalesa e di Breme, del marchesi del Monferrato, Aleramici e Paleologo. Alla fine del 1500 venne concesso da Vincenzo I Gonzaga a Germanico Savorgnan costruttore della Cittadella di Casale Monferrato, che verrà ricordata nei Promessi Sposi come “Quel maledetto Casale”.

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Dopo le devastazioni del 1600 il castello ridotto e restaurato dai conti De-Maistre Lovera di Maria, sino al 1910 quando venne fatto ricostruire sulle fondamenta secondo lo stile eclettico che scaturisce dagli studi di Viollet Le Duc e dagli architetti italiani D’Andrade e Nigra. Lo volle costruire il celebre finanziere Riccardo Gulaino che, in quel momento della vita condivideva questa ideologia e commissionò l’opera all’ingegnere casalese Vittorio Tornielli. Il complesso ha una dimensione monumentale: impegnò per un decennio un numero grandissimo di maestranze che portarono vita e sviluppo nel paese di Cereseto. Riccardo Gualino, scrivendo la sua autobiografia alcuni anni dopo, rinnegò il valore dell’opera che lui stesso aveva realizzato, profondendo vastissime risorse economiche. Il Castello, che non è accessibile al pubblico, in epoche più recenti è stato anche al centro di vicende di cronaca: nel maggio del 1980 un blitz della Guardia di finanza, dopo lunghe indagini, scoprì al suo interno una vera e propria raffineria di droga con tanto di chimici provenienti dalla Francia, che lavoravano alla raffinazione dell’eroina. Poi una serie infinita di aste per arrivare alla vendita dell’immobile che, comunque, domina il paese e la cui vista merita in ogni caso.  Ma non è questo l’unico elemento di interesse per il paese. Nella parte più alta di Cereseto, presso il Castello, c’è la chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo. L’abitato, in origine antica, doveva trovarsi più a Nord presso il luogo di culto, già elencato elevato nella pieve di San Cassiano dal 1299 al 1440 e divenuta parrocchiale forse successivamente a San Cassiano. Nel sedicesimo secolo il paese si era già spostato sul colle e, nel 1590, l’antica parrocchiale era diventata una chiesa campestre, distante e non comoda per il popolo. La chiesa attuale venne edificata dal 1719 al 1723, inaugurata il 19 luglio 1721 e consacrata il 24 giugno 1724 dal vescovo di Casale, monsignor Radicati. In paese ci sono anche le chiese di San Filippo e Giacomo, San Rocco Sn Defendente e da alcuni anni un Tempio Buddista Renkooji che accoglie fedeli da tutte le parti del mondo. Si ringrazia il sindaco Enzo Lavagno per la collaborazione e la documentazione prestata nella realizzazione di questo articolo

Massimo Iaretti

Irama da “Amici” a Mondojuve

Domenica 21 ottobre Mondojuve, lo Shopping Center situato presso Strada Debouché tra i Comuni di Vinovo e Nichelino , ospiterà Irama, vincitore di Amici 2018.

 

Dalle ore 16 l’artista incontrerà i suoi fan nella piazza della Food Court in Galleria Diana e sarà a disposizione per firmare le copie del suo nuovo album “Giovani”. L’evento è totalmente gratuito: per accedere è necessario presentare il cd e mostrare il pass, che potrà essere ritirato fino al 19 ottobre presso l’infopoint in Galleria Diana (dalle ore 15 alle 19).

 

Un fine settimana nel segno degli eventi allo Shopping Center Mondojuve, che venerdì 19 ottobre ha proposto il secondo appuntamento della stagione con il raduno automobilistico “Midnight Meeting”, organizzato da Hardcore Drivers per tutti i petrolhead, gli appassionati e i curiosi del mondo del tuning, che hanno ammirato  da vicino oltre 1500 auto sportive, tra cui il nuovo prototipo elettrico Spice-x.

 

Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito ufficiale www.mondojuve.it o la pagina FacebookMondojuve Shopping Center.

Vittorio Amedeo II, il primo sovrano sabaudo

Martedì 23 ottobre alle ore 18 nella Sala di Palazzo Cisterna, sede della Città Metropolitana di Torino (via Maria Vittoria 12), il Centro “Pannunzio” e l’Associazione Internazionale “Regina Elena “ ONLUS organizzano la presentazione del libro di Delia Miceli “Vittorio Amedeo II Re di Sicilia. Aspetti di storia economica e sociale della Sicilia nella prima metà del XVIII secolo”, edito dal Centro “Pannunzio” – Sezione di Sicilia. Interverranno, oltre all’autrice, Maura Aimar e Giuseppe L. Bonanno. Saluti iniziali di Ilario Bortolan e Pier Franco Quaglieni, autore della prefazione del libro. Come noto, Vittorio Amedeo II, il primo sovrano sabaudo, protagonista della politica internazionale europea del suo tempo ,divenne prima Re di Sicilia e successivamente Re di Sardegna. 

Complice il grande artista, uno spettacolo di magia e divertimento

La bottega milanese di Leonardo, che il fidato e prediletto allievo Gian Giacomo Caprotti continua a tenere in vita dopo che l’artista e scienziato ha preso la via di Francia, verso la corte di Francesco I, tra le mura del castello di Clos-Lucé ad Amboise. Con lui i servitori di sempre, la cuoca Aquina e il consorte Bernuzio, che avevano seguito il maestro da Firenze, personaggi a metà tra realtà e fantasia, simpaticamente bonaccione lui, con qualche buona vena di comando lei, accompagnata da quel tanto di terrore quando lo studio viene ad esser frequentato dall’elegante mago Cornelius, una sorte di Belzebù a proprio agio con magie e illusionismi, in missione segretissima, inviato da messer Francesco del Giocondo per chiarire i rapporti tra la consorte e gli abitanti della casa. Non ultimo, l’altro allievo Andrea da Empoli, assistente ai colori e alla preparazione delle tele, pronto a riservare sostanziali sorprese. Attorno ad essi ruota la vicenda di Leonardo e la magia del tempo, testo scritto da Cristian Messina (che ne cura anche la regia sul palcoscenico dell’Alfieri, repliche sino a domani) e Valerio di Piramo, nella volontà di preparare il terreno ai festeggiamenti, di qui a pochi mesi, per i cinquecento anni dalla morte del grande artista. Gli autori si affidano al divertimento immediato e a considerare le risate della maggior parte del pubblico ci riescono: peccato che la legge dell’immediatezza nuoccia nel corso delle due ore ad uno scavo più a fondo di certi personaggi (anche il comico ha le proprie leggi), peccato che a tratti si perda lo spessore del racconto, tallonando da vicino anche l’intreccio del giallo sollecitato dall’arrivo dei messi che, con la notizia della morte di Leonardo in terra di Francia, portano pure una inattesa lettera testamento, fatta di rivelazioni straordinarie. Ci si affida piuttosto a una buona lista di sketch, ad abbozzi e a scenette decisamente troppo brevi, a suggestioni non maturate, a bisticci e incanti e svelamenti che a tratti dimostrano il fiato corto. A reggere il ritmo arriva l’impegno degli attori e per alcuni la gran passione e la eccellente professionalità, Margherita Fumero e Franco Barbero che potrebbero far parte di una storia più “maneggevole” e più sicura, o la fattiva irruenza, vedasi il Caprotti di Alessandro Marrapodi. A colloquio con il pubblico il filosofeggiante Leonardo di Mauro Villata. Di Davide Allena gli effetti illusionistici, della Nobile Contrada Sant’Andrea di Fucecchio i costumi.

Elio Rabbione

Le streghe laggiù in New England

Ebbene sì, anche in America ci fu la caccia alle streghe. Il New England vide nel 1692 una psicosi collettiva che portò allo sconvolgimento della coscienza puritana dell’America di fine Seicento. Era l’area delle colonie britanniche, la “Nuova Inghilterra”, la terra redentrice in cui i Puritani fuggiti dalle repressioni intendevano fondare una nuova società che (paradossalmente) a sua volta sarebbe stata intollerante a livello religioso e soprattutto morale. Le accuse di stregoneria del 1692 dilagarono nelle contee di Essex e Middlesex (Massachusetts) e le esecuzioni arrivarono di conseguenza. Il clima di psicosi incontrollabile ha ispirato numerosi romanzieri, sceneggiatori e registi; le città e cittadine di quell’area vennero segnate da un marchio sinistro e inquietante, da Andover a Haverhill, da Gloucester a Malden, da Danvers a Topsfield. Fortunatamente ben altra psicosi collettiva “positiva” serpeggiava a Danvers e Topsfield nel 1967, con la “British Invasion” che moltiplicava la frenesia musicale di adolescenti ambiziosi. Tra questi il quindicenne Robert Greene (chit) ed il sedicenne Jeffrey Skinner (V), cui si unirono subito il songwriter Ed Goodoak, Alan Gagnon (b) e Gilbert Van Geyte (batt), tutti pressoché coetanei; quasi a ruota si aggiunsero anche i diciassettenni Rick Noon (chit) e Mike Saulnier (org), che completarono e definirono la band Royal Aircoach. Nonostante le comuni influenze da Beatles, Rolling Stones, Animals e Yardbirds e il nome molto “British” della band, il suono fu subito improntato alla psychedelia; era frequente l’uso di riverberi, fuzzy tones, suoni in eco, cui si accompagnavano effetti di luci psichedeliche curati da Frank Iovanella durante le esibizioni dal vivo. L’avventura dei gigs iniziò al club “The Bilge” di Salem e tra 1967 e 1968 i Royal Aircoach toccarono anche il celebre “King’s Rook” di Ipswich; essendo studenti di liceo, le esibizioni erano distribuite soprattutto nei week-end in molti colleges del New England, ma anche in venues di primo piano, come la Stoughton Armory e la famosa “Hatch Shell” di Boston. Il versante manageriale era in proprio, curato da Chauncey Gagnon, padre del bassista; tramite il suo operato la band entrò in contatto col produttore e chitarrista William “Teddy” Dewart dei “Teddy and The Pandas” e con Bruce Patch, proprietario dei Wayside Recording Studios. Ne scaturì l’incisione nel 1968 dell’unico 45 giri della band: “Wondering Why” [Greene – Gagnon – Goodoak] (Flying Machine FMR-8868; side B: “Webs Of Love” [Greene – Skinner]), inciso a Wayland (Massachusetts) e prodotto da Patch con etichetta Flying Machine records. Dopo l’entrata del singolo nelle classifiche locali, il chitarrista Rick Noon abbandonò (arruolato per il Vietnam) e fu sostituito da Mark Connelly, il quale passò presto all’organo, subentrando all’uscente Saulnier. Nel 1969 uscì anche Skinner; il nome della band mutò in “Aircoach” e cambiò anche il sound, con orientamento più commerciale. In questo periodo vennero registrati gli unreleased “Waking Skies”, “Wax Theory” e “Wrapped Up In Your Mind” ed ebbero luogo concerti con altre bands, quali The Beacon Street Union e gli ancora sconosciuti bostoniani Aerosmith. Tra fine 1969 e inizio 1970 si verificarono attriti riguardanti la gestione manageriale della band; si cercò di tamponare l’uscita del batterista Van Geyte con l’ingresso di Peter Tucker e con l’aggiunta del cantante Paul Neenan. Tuttavia lo spirito musicale della band era molto ridimensionato ed il suono praticamente irriconoscibile se paragonato al 45 giri del 1968; lo scioglimento fu inevitabile e all’incirca nell’autunno 1970… l’“Aircoach” si fermò.

 

Gian Marchisio

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Una settimana di arte e cultura giapponese

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Organizzata dalla Città di Torino e da IFF – International Friendship Foundation di Tokyo, Torino Japan Week è un’iniziativa giunta alla 43^ edizione che offre la possibilità di far conoscere e apprezzare l’arte e la cultura giapponese in Europa e nel mondo

Dal 19 al 25 ottobre sarà possibile immergersi nel mondo giapponese con eventi gratuiti, dagli spettacoli ai workshop, dalle mostre alla cerimonia del tè, che si terranno in varie sedi auliche di Torino. Torino Japan Week prenderà il via il 19 ottobre in piazza Castello alle ore 16 con una cerimonia che vedrà la presenza delle autorità torinesi e giapponesi, seguita da uno spettacolo di calligrafiapercussioni, con esibizioni di danzatori e da un’esibizione di samurai. La settimana proporrà un’ampia prospettiva sui diversi aspetti della cultura giapponese; gli eventi e i numerosi gruppi in scena includono danzamusicaartigianatoikebana,origami, esibizioni di samuraitamburi taikovestizione del kimono e musica koto. Il MAO – Museo di Arte Orientale – ospiterà i workshop e le dimostrazioni, mentre al Piccolo Regio si svolgeranno gli spettacoli e i concerti. I visitatori avranno la possibilità di prendere parte alla tradizionale cerimonia del tè nella splendida cornice della Sala delle Guardie di Palazzo Madama in piazza Castello, con prenotazione sul sito. Torino Japan Week si concluderà nella serata di giovedì 25 ottobre al Piccolo Regio Puccini dove, tra gli altri spettacoli, si terrà un concerto che vedrà sul palcoscenico musicisti giapponesi e torinesi esibirsi insieme. Gli eventi, gratuiti e aperti al pubblico, si svolgeranno in alcune fra le location auliche più rappresentative di Torino come: piazza CastelloPiccolo Regio Puccini (prenotazione obbligatoria); Palazzo Madama – Sala delle Guardie (prenotazione obbligatoria);MAO/Museo di Arte Orientale, via San Domenico 11; Palazzo Barolo, via delle Orfane 7.  Inoltre, si terranno alcuni scambi culturali, parte integrante del programma della Japan Week; i gruppi giapponesi si esibiranno, con accesso riservato agli ospiti e agli studenti, nelle seguenti sedi: Residenza Socio Assistenziale/RSA Carlo Alberto; Convitto Nazionale Umberto I; Istituto Europeo del Design/IED; Centro Disabili Diurno/C.A.D.D; Scuola Internazionale COMICS. Il Campus Luigi Einaudi dell’Università degli Studi di Torino ospiterà tre sessioni di scambi culturali in lingua giapponese che vedranno coinvolti gli studenti. Torino Japan Week, patrocinata dal Consolato Generale del Giappone a Milano e da ENIT, è un evento internazionale che si svolge ogni anno in una diversa città con lo scopo di promuovere attraverso la cultura giapponese le relazioni amichevoli, la comprensione reciproca e la pace. L’anno scorso la manifestazione si era svolta a Praga e nelle ultime edizioni è stata ospitata a Lione, Salamanca, Porto, Francoforte. La settimana torinese dedicata al Sol Levante è stata realizzata da IFF, dalle Relazioni Internazionali della Città di Torino con il contributo della Camera di Commercio di Torino, con il supporto di Fondazione Torino Musei, Teatro Regio, Fondazione Contrada Onlus. Sponsor dell’iniziativa sono Suzuki e Torino Outlet Village. Grazie al supporto e alla collaborazione dell’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne sarà possibile avvalersi anche della presenza di 56 studenti universitari che affiancheranno gli artisti e gli ospiti orientali. 

Informazioni e iscrizione agli eventi: www.japanweektorino.it

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Cani in posa, la mostra alla Venaria Reale

Una prima grande mostra nel nostro Paese sull’amico dell’uomo per antonomasia: il cane, immerso nella dimensione artistica. 130 opere tra dipinti, sculture, mosaici, fumetti e libri. Il tutto realizzato da alcuni fra i massimi artisti di tutti i tempi, dall’antichità sino ai nostri giorni. Espressioni artistiche che vanno dalle steli funerarie della Grecia classica, alle pitture risalenti al Seicento di Michelangelo Pace, o ai dipinti del tempo contemporaneo di Guillermo Lorca e di Matteo Basile. La mostra è visitabile da sabato 20 ottobre 2018 fino a domenica 10 febbraio 2019, nella Sala delle Arti della Reggia di Venaria. La mostra “Cani in posa – dall’antichità ad oggi”, curata da Francesco Petrucci, è  ideata da Fulco Ruffo di Calabria, e organizzata da Glocal Project Consulting e Consorzio Residenze Reali Sabaude. L’assessore alla Cultura della Città di Venaria Reale, Antonella d’Afflitto afferma «Una grande occasione che ha unito gli sforzi organizzativi di Città e Reggia. Obiettivi comuni che rendono questa mostra un’occasione speciale per la città e per l’intero territorio. Lancio un appello a coloro che amano i cani. Venendo a Venaria Reale avranno modo di vederli e ammirarli  in uno degli aspetti più eleganti che mai l’uomo abbia saputo dedicargli. Un omaggio a questa figura, insuperabile per attaccamento al suo padrone. Ora riunito in uno splendido bene culturale, la Reggia di Venaria, immerso nell’arte». Un’esposizione che ha come fil rouge la presenza del cane nell’arte figurativa dell’occidente, inserito spesso nelle scene della grande pittura o accanto a figure importanti della storia, nella scultura e nel ritratto. Una figura, quella del cane, animale da sempre vicino all’uomo, fedele compagno di vita e impareggiabile alleato. Dichiara Fulco Ruffo di Calabria «Questa prima volta di una mostra dedicata completamente alle diverse arti che rappresentano il cane, considerato a ragione l’animale miglior amico dell’uomo, è per me una grande gioia. Sono riuscito a portare al pubblico, in un luogo incantevole come la Reggia di Venaria, una mia passione che è condivisa da moltissime persone a livello planetario. Ringrazio in particolar modo l’assessore alla Cultura, Antonella d’Afflitto e la Città di Venaria Reale per avermi coadiuvato nella realizzazione di tale evento. Inizialmente l’idea era di portare questa mostra a Stupinigi. Ma l’incontro con Antonella mi ha aperto le porte della Reggia di Venaria. Mi ha contattato e mi ha letteralmente rapito con l’dea che ci fosse la possibilità della Venaria; mi ha presentato al direttore Turetta e alla presidente Zini, e da lì abbiamo iniziato a lavorare

per completare questo grande sogno. – Prosegue Ruffo di Calabria –  Il cane unisce i ceti sociali, ha la forza di avvicinare mondi lontanissimi, attraverso il dono della fedeltà. Non è quindi solo protagonista dei sentimenti più intimi del genere umano, ma è anche motore economico per miliardi di euro, con tutto ciò che riguarda la produzione attorno a questo amato animale. La mostra “Cani in posa” è un invito a visitare gli amici a quattro zampe nel loro miglior aspetto, sempre in relazione con l’umano e gli altri animali, degna figura scelta per essere al fianco di ognuno di noi e contestualmente di concedersi un momento di loisir in una splendida città, che dispone di una cornice di tesori unica nel suo genere».

A spasso con Culicchia tra i fantasmi dell’Ottocento

Sarà che la città di Torino trasuda storia da ogni piazza, palazzo o caffè, sarà che siamo abituati a vederla spesso sul piccolo e grande schermo, perché è cinematografica per natura, ma ogni nuovo racconto del suo passato non risulta mai anacronistico e non smette mai di affascinarci

Esce giovedì 25 ottobre, al Cinema Fratelli Marx un altro importante progetto della Fondazione Vittorio Bersezio: A spasso con i fantasmi. Un viaggio nella Torino dell’800, mediometraggio diretto da Enrico Verra. Il film, che trova ispirazione da I miei tempi di Vittorio Bersezio è un viaggio nell’Ottocento risorgimentale, che dura il volgere di una notte, accompagnati da un cicerone d’eccezione che ha curato anche la sceneggiatura, Giuseppe Culicchia. Baldanzosa e trasversale era la curiosità di Vittorio Bersezio, che lo spingeva a saltare in poche ore da un elegante caffè bohémien ai sobborghi più malfamati della città per procurarsi storie e notizie da raccontare sulla Gazzetta Piemontese divenuta in seguito La Stampa. Con la stessa leggerezza Culicchia si aggira tra i fantasmi di personaggi celebri e umili, intellettuali e ignoti: Carlo Alberto e le lavandaie sul Po, Cavour e il boia del Quadrilatero, i nobili a teatro e gli operai di Vanchiglia, Nietzsche e gli artigiani. In un montaggio caleidoscopico si sovrappongono in un continuo gioco di contrasti le immagini dei luoghi risorgimentali, riconoscibili ancora oggi, con quelle del volto più moderno della città. Da Palazzo Madama a Porta Palazzo, dal Regio al Rondò della Forca, dal Cambio e Baratti alla Piccola Casa della Divina Provvidenza in una notte invernale avvolta dalla magia delle luci d’artista, Giuseppe Culicchia ci guida nei rimandi continui tra il passato e il presente, ora più sfacciati ora più nascosti. Il lavoro ha un valore molteplice. Oltre a rappresentare un omaggio a Vittorio Bersezio e a Renzo Rossotti, il giornalista scomparso quattro anni fa che aveva suggerito quest’opera, è un altro tassello importante per la diffusione della cultura risorgimentale e la valorizzazione del patrimonio storico subalpino nell’ambito del turismo e della didattica. Realizzato con il patrocinio della Città di Torino e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte il film si avvale del coinvolgimento di importanti istituzioni e talenti torinesi. Nel ruolo di produttore esecutivo attraverso la società Video delta l’attore Mario Brusa, mentre l’autore delle musiche originali è Paolo Dellapiana, componente della cult-band torinese dei Larsen. Per il reperimento dell’apparato iconografico prezioso è stato il meticoloso lavoro di Carlo Griseri, esperto di cinema e da poco nominato direttore del Seeyousound, grazie alla fattiva collaborazione del Museo Nazionale del Risorgimento italiano, dell’Archivio storico della Città di Torino, della Fondazione Torino Musei, del Centro Studi Piemontesi – Ca dë Studi Piemontèis. L’uscita in sala è resa possibile dalla collaborazione con il circuito cinematografico e distributivo locale Slow Cinema. La prima proiezione per il pubblico torinese sarà al Cinema Fratelli Marx (corso Belgio 53 )giovedì 25 ottobre (alle ore 21.15) con ingresso libero e in regolare programmazione martedì 6 novembre (alle ore 16) e martedì 13 novembre (alle ore 18.30).

Giuliana Prestipino

Storia dei due fratelli con il gozzo

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Folletti e satanassi, gnomi e spiriti malvagi, fate e streghe, questi sono i protagonisti delle leggende del folcklore, personaggi grotteschi, nati per incutere paura e per far sorridere, sempre pronti ad impartire qualche lezione. Parlano una lingua tutta loro, il dialetto dei nonni e dei contadini, vivono in posti strani, dove è meglio non avventurarsi, tra bizzarri massi giganti, calderoni e boschi vastissimi. Mettono in atto magie, molestie, fastidi, sgambetti, ci nascondono le cose, sghignazzano alle nostre spalle, cambiano forma e non si fanno vedere, ma ogni tanto, se siamo buoni e risultiamo loro simpatici, ci portano anche dei regali. Gli articoli qui di seguito vogliono soffermarsi su una figura della tradizione popolare in particolare, le masche, le streghe del Piemonte, scontrose e dispettose, mai eccessivamente inique, donne magiche che si perdono nel tempo e nella memoria, di cui pochi ancora raccontano, ma se le loro peripezie paiono svanire nei meandri dei secoli passati, esse, le masche, non se ne andranno mai. Continueranno ad aggirarsi tra noi, non viste, facendoci i dispetti, mentre tutti fingiamo di non crederci, e continuiamo a “toccare ferro” affinchè la sfortuna e le masche, non ci sfiorino. (ac)

6 Storia dei due fratelli con il gozzo

Nel Bric di Bissarello (in provincia di Cuneo), in un grande pianoro, cresce un immenso castagno; il tronco antico e nodoso fa sì che i ragazzi si arrampichino sopra con facilità, per poi sporgersi in mezzo alla folta chioma verde e di lì, con gli occhi immortali e puri della giovinezza, osservare il mondo.  Vicino a quel luogo, un tempo, abitavano due fratelli, reietti, a causa di un grosso gozzo che li rendeva turpi nell’aspetto. Per questo motivo, essi si vergognavano di mostrarsi alla gente, temevano di essere oggetto di duri motteggi e non osavano sostenere gli sguardi inorriditi delle fanciulle del villaggio; avevano dunque deciso di ritirarsi lontano dal paese, in una piccola e assai modesta dimora che calzava a pennello per loro, con una finestrina che si affacciava sul castagno in lontananza. La drammaticità della situazione fece venire coraggio al più giovane dei fratelli, il quale decise di aspettare la notte del Sabba per parteciparvi di nascosto, convinto che quel suo gesto così audace avrebbe potuto spingere le streghe ad aiutarlo a risolvere il problema drammatico del gozzo. Ed ecco come agì. Ci fu una notte più buia del solito, le stelle in cielo si rimpicciolirono e la luna andò a nascondersi dietro le fronde del grande albero. Il ragazzo si addentrò guardingo nel bosco, inciampando nelle radici nodose del castagno, così invadenti quella notte, come se volessero addirittura fermarlo. Gli abituali, consueti rumori notturni si erano d’improvviso quietati, nessun animale correva, né usciva dalla propria tana, gli insetti non volavano, solo qualche stridio lontano tagliava l’aria e faceva quasi male all’udito. Il giovane volle convincersi che si trattava di versi di civette o barbagianni, ma solo per nascondere a se stesso quella strana sensazione di grida come provenienti dall’oltre tomba. Dopo aver camminato per un tempo che gli parve interminabile, egli arrivò in un piccolo spiazzo, dove gli alberi si allargavano tra loro e parevano formare un cerchio tracciato appositamente per ospitare balli e incontri; anche gli stessi tronchi sembravano incurvarsi leggermente, come in un eterno inchino per misteriosi invitati. Il ragazzo si acquattò dietro un tronco e rimase in attesa, si guardava attorno, pentito di essersi sentito così coraggioso, anzi pensò di tornare indietro, ma il gozzo che lo tormentava si fece più pesante e quella sensazione di malessere lo convinse a rimanere fermo dove si trovava. L’attesa fu ripagata da uno spettacolo sensazionale. Il cielo così nero si inscurì ulteriormente e dal nulla spuntarono carri trainati da cavalli imbizzarriti, adornati di campanellini tintinnanti: i suoni però erano sgradevoli, più simili al rompersi di bicchieri che a uno scampanio di festa. Le fruste schioccavano con vigore, si scagliavano contro le schiene degli animali con una forza tale che avrebbero potuto dilaniarli, ma i cavalli nitrivano, come infervorati da un insano piacere malefico. Giunsero altre streghe, ma queste non arrivarono con i carri: avevano assunto la forma di uccelli dalle grandi ali e dagli occhi piccoli. Si erano trasformate in volo, tramutando il verso del volatile in un ghigno infernale.

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Era come se l’Inferno si fosse aperto e stesse rigurgitando sulla Terra una moltitudine di creature, così spaventose che anche per il Demonio erano insopportabili. Le masche continuavano a volteggiare, gridando parole oscene e proponendosi in movimenti sempre più convulsi, quindi si presero per mano e poi, piano piano, iniziarono a scendere verso il suolo, senza fermarsi mai nella loro danza spregiudicata. Appena misero i piedi sul terreno, un fuoco rosso scuro divampò in mezzo a loro e il ragazzo, sforzandosi di guardare con attenzione, poté finalmente osservare qualche volto, incuriosito sempre più da quello spettacolo tanto raccapricciante eppure tanto irresistibile. Quando il giovane si accorse di essere stato visto, ebbe paura che le masche lo avrebbero punito per quella bravata, invece due di loro, due donne di mezza età con gli occhi lucidi di follia e i seni sgradevolmente prorompenti, lo presero per mano e lo invitarono a unirsi alla loro danza. Il giovane si sentì sopraffatto da una forza ardente, che gli lacerava gli organi e che si impadroniva del suo corpo, e anche lui iniziò a ridere e a gridare, muovendosi come un mostro in mezzo ai mostri, incapace di ribellarsi a quella sensazione di torbido piacere che lo intimoriva e lo eccitava.


La notte trascorse così, tra sogni e incubi che si susseguivano e con il caos che si accompagnò al risvegliarsi del giorno. Poi, prima che il sole spuntasse, le masche si avvicinarono al giovane e gli toccarono ognuna il gozzo ingombrante, ed egli si accorse che ad ogni tocco la sua bruttezza diminuiva, finché l’ultima donna non gli sfiorò con i polpastrelli la pelle tondeggiante del pomo d’Adamo. Mentre alcune masche salivano sul carro, altre accompagnarono il giovane fino all’inizio del sentiero che portava al villaggio e lo invitarono a proseguire verso il suo nuovo gioioso futuro. Il fratello più anziano, saputa la vicenda del ragazzo, volle provare anche lui a guarire, ma più che per coraggio, agì per invidia ed emulazione, si mosse d’impeto e andò a cercare le masche nel bosco, un venerdì notte, quando alle streghe è proibito compiere incantesimi. L’uomo le chiamò a gran voce per tutto il tempo, irrispettoso del loro riposo; gli parve, però, di aver camminato per il bosco senza aver visto niente di particolare e nessuna masca. Decise allora di salire sul castagno per avere una visione più precisa dall’alto, ma anche di lì non vedeva traccia delle streghe. Fece per scendere ma si accorse che le radici dell’albero riflettevano diversamente i raggi della luna, come se questi si muovessero; osservò meglio e vide che intorno al tronco si era formato un mare di bisce, le une intrecciate alle altre come fili all’uncinetto. L’uomo fu costretto a rimanere sul castagno tutta la notte, e si rassegnò ad attendere che l’alba facesse scomparire quegli immondi animali striscianti. Con la paura che lo attanagliava si addormentò abbracciato ad un grosso ramo, fino a quando il sole del mattino non gli infastidì il sonno. Si sgranchì la schiena, guardando subito in basso per controllare che i serpenti se ne fossero andati, ma, sebbene quel problema si fosse risolto, c’era comunque qualcosa di diverso, che non andava. L’uomo si rese conto di sentirsi appesantito, di fare più sforzo con il collo, così allungò la mano tremante verso il mento e si accorse che gli era spuntato un secondo gozzo, oltre a quello che già aveva. Del fratello più giovane si sa che in città trovò un onesto lavoro, si innamorò di una cartomante e la sposò; dell’altro, invece, si racconta che solo il prete andasse ogni tanto a fargli visita, e all’uomo di chiesa il misero reietto continuava a ripetere: ” A me delle donne non è mai interessato niente”. Chi è curioso va all’Inferno, ma talvolta viene premiato… dal Diavolo, s’intende.

Alessia Cagnotto