CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 717

Recuperiamo le culture sommerse di Torino?

di Enzo Biffi Gentili

.

Elisabetta Chicco, Jesi, De Maria non beneficiarono della promozione, ad altri attuali autori di minor valore concessa, della cultura progressista. Nonostante fossero tutti e tre di sinistra, vera, ma “nera”…

 

Le culture sommerse. Mi è ritornata in mente questa definizione, già usata in un vecchio polemico fascicolo intitolato Recuperiamo le culture sommerse di Torino (Federazione Provinciale dello PSI, 1982), alla notizia della morte della scrittrice Elisabetta Chicco. Perché non è mai stato a sufficienza riconosciuto il rilievo della sua importante opera, articolata virtuosisticamente in diversi generi, dalla storia della gastronomia all’autobiografia, dalla letteratura “gotica” alla riflessione filosofica e psicologica. C’è a mio avviso una ragione, che può essere spiegata facendo anche solo riferimento a due suoi testi fondamentali: l’ultimo pubblicato, Nietzsche. Psicologia di un enigma ( Castelvecchi 2017) e un romanzo di circa tre lustri precedente, La quarantaduesima carta (Robin 2003). Il primo libro interpreta originalmente fatto per cui Torino fu per Nietzsche la città “terminale”, propizia al cupio dissolvi; nel secondo ambientato in una capitale subalpina “spettrale”, il protagonista, chiesta in sposa una giovane sensitiva, e portata a vivere in un castelletto tra il neogotico e l’art nouveau -gli stili preferiti dalla scrittrice, come risulta da molte sue prove- affermerà, a cifra e sigla finale della narrazione, “tout est mort”. Qui si trovano probabilmente i primi motivi delle limitate attenzioni critiche, e delle scarne notizie al momento della sua scomparsa: Elisabetta infatti non ha mai aderito o concorso alla “narrazione” tutta positiva della città in cui viveva così come si è colpevolmente diffusa e imposta negli ultimi anni. Di Torino, lei ha rappresentato magistralmente il dark side, e tra i suoi ispiratori ha sempre dichiarato le figure di grandi marginali. A partire dal padre Riccardo, il pittore, grande eccentrico (e come tale ricordato nel volume EccentriCity. Arti applicate a Torino 1945-1968 (Fondazione per il Libro la Musica e la Cultura e MIAAO 2003), curato da chi scrive con Francesca Comisso e Luisa Perlo. Ma Elisabetta Chicco, rara figura di dandy al femminile, si scelse altri maestri e compagni non iscrivibili tra i produttori di idee ricevute: su tutti, Italo Cremona, pittore e scrittore cultore dell’isolamento, non inseribile in un’altra narrazione, quella della Torino politicamente “regolare”, comunque sempre da venerare, con i suoi numi tutelari, da Gramsci a Gobetti al gruppo degli allievi antifascisti del Liceo d’Azeglio. E autore di due libri centrali nella formazione di Elisabetta: Il tempo dell’art nouveau (1ª ed. Vallecchi 1964) e La coda della cometa (1ª ed. Vallecchi 1968), un altro romanzo sulla fine del mondo, osservata da Torino. La Chicco fu anche compagna di scuola, amica e fine lettrice di Furio Jesi, eminente studioso di miti, esoterici misteri e di letteratura tedesca, ma anche narratore con L’ultima notte (Marietti 1987) , un romanzo “vampirico” nel quale si prefigura una battaglia finale tra umani e immorti. Concludo, a proposito di mancata considerazione di uno scrittore, segnalando la recentissima riedizione del perturbante romanzo “lovecraftiano” di un altro torinese scomparso e dimenticato, Giorgio De Maria, critico, autore teatrale e fondatore del gruppo musicale “impegnato” Cantacronache: Le venti giornate di Torino. Inchiesta di fine secolo (Frassinelli 2017), apparso per la prima volta nel 1977 presso un piccolo editore, Il Formichiere, ma riscoperto, tradotto e pubblicato agli inizi di quest’anno a New York per i tipi di W.W. Norton. Morale della storia: Elisabetta Chicco, Jesi, De Maria non beneficiarono della promozione, ad altri attuali autori di minor valore concessa, della cultura progressista. Nonostante fossero tutti e tre di sinistra, vera, ma “nera”…

Shel Shapiro per il mezzo secolo di Assemblea Teatro

Un ospite d’eccezione per festeggiare i 50 anni d’attività di Assemblea Teatro, giovedì 23 novembre al Teatro Agnelli di via Paolo Sarpi. La serata inizierà alle 21 quando salirà sul palco dello storico teatro situato tra i quartieri Mirafiori e Lingotto il grande Shel Shapiro , indimenticabile ex leader dei Rokes. Sarà lui il protagonista dello spettacolo ” Sarà una bella società, fondata sulla libertà”, accompagnato alla chitarra da Daniele Ivaldi e alle tastiere da Gabriele Bernardi. Partirà così la stagione al Teatro Agnelli, celebrando Assemblea Teatro con un amico e musicista che, come la compagnia torinese, ha attraversato e vissuto sulla scena, mezzo secolo di storia. Raccontare alcune generazioni, con lo strumento popolare delle canzoni, e con la voce e il volto di un protagonista che si presenta sul palcoscenico a evocare una storia con la sua stessa presenza: la voce, la chitarra, l’immagine anche fisica di Shel Shapiro rappresentano un esercizio mentale irresistibile, che serve per recuperare il clima di un’epoca, lo spirito del tempo , l’intera psicologia di chi ha attraversato i decenni dai primi anni Sessanta in poi. Già, i Sessanta sono un decennio “seminale”, in cui sembra essersi concentrata una creatività, un’energia sociale, ma anche intellettuale, culturale, comportamentale, davvero irripetibile. Se pensiamo all’America di Bob Dylan , a una voce mai sentita prima che annuncia il tempo nuovo, abbiamo una fotografia suggestiva del cambiamento. Ma prima occorre avvertire anche l’eco delle canzoni e del surf dei Beach Boys , e subito dopo gettare uno sguardo sull’epoca in cui i festival e i grandi raduni raccoglievano centinaia di migliaia di giovani, i beatnik, gli hippie, a Newport come a Woodstock. Peace and Love, pace e amore, nel fango di Woodstock. E qualche anno prima la ballata elettrica e dolente di Dylan, “a hard rain’s gonna fall”. È la grande società che richiama inesorabilmente le note di The Way we Were, Barbra Streisand e Robert Redford come campioni ancora ingenui della rivoluzione democratica, quando non si era così cinici, e la politica rappresnetava una speranza di cambiamento. Ma nello stesso tempo dobbiamo anche pensare all’Europa e all’Italia di allora. All’Inghilterra delle “cavern”, in cui emergono i “complessi” – oggi diremmo le “band” – che trasformano radicalmente il modo di fare musica e di stare insieme. Nell’immaginario musicale esplode il suono distorto dei Rolling Stones nel riff di Satisfaction mentre i Beatles impongono una specie di rivoluzione, in cui si sperimenta tutto e i Pink Floyd fanno viaggiare tar le stelle della psicadelia. E intorno a loro, ai fondatori della musica nuova, si affollano i grandi epigoni, gli eredi del blues, gli Animals di Eric Burdon, i Them , gli Who e in Italia i Rokes di Shel Shapiro affiancati dai Nomadi di Augusto Daolio e Beppe Carletti, i Corvi , i Ribelli di Demetrio Stratos e l’ Equipe 84 . Insomma, una serata da non perdere, necessaria a rinsaldare vecchie radici musicali o trovare nuove suggestioni.

M.Tr.

Odissee, non è solo una mostra

L’esposizione, ideata dal direttore di Palazzo Madama Guido Curto e curata insieme agli storici dell’arte del museo, racconta il cammino dell’Umanità sul pianeta Terra nel corso di una Storia plurimillenaria. In mostra un centinaio di opere provenienti dalle raccolte di Palazzo Madama e da vari musei del territorio e nazionali: dipinti, sculture, ceramiche antiche, reperti etnografici e archeologici, oreficerie longobarde e gote, metalli ageminati e miniature indiane, armi e armature, avori, libri antichi, strumenti scientifici e musicali, carte geografiche, vetri, argenti ebraici e tessuti.Il percorso si articola in dodici sezioni: la preistoria, i viaggi mitologici di Ulisse ed Enea, la Diaspora ebraica, l’espansione dell’impero Romano, le cosiddette invasioni Barbariche, l’espansione Islamica, le Crociate, i Pellegrinaggi, le Esplorazioni, le Colonizzazioni, l’emigrazione europea verso le Americhe tra milleottocento e inizio ‘900, le migrazioni contemporanee. Sezioni disposte in ordine cronologico, ma anche in base a nessi di consequenzialità geopolitici. A far da sfondo a ciascuna vetrina, ci sono le grandi carte geografiche elaborate appositamente per questa mostra da Libreria Geografica che pubblica anche il catalogo.La mostra prende il via dal lento processo di diffusione della specie umana sulla Terra iniziato 60-70.000 anni fa dall’Africa verso gli altri continenti, e prosegue grazie a un impulso innato all’esplorazione ben rappresentato nei racconti dell’Odissea.

***

Dopo un focus sulla diaspora ebraica, dall’antichità al XIX secolo d.C., il tema dell’incontro/scontro tra culture diverse è analizzato rivolgendo lo sguardo alla rapida espansione dell’Impero Romano lungo le vie consolari. Lo scontro tra Romani e barbari viene evidenziato in tutta la sua drammaticità nello straordinario pettorale da cavallo in bronzo, noto come balteo, proveniente dal MAR-Museo Archeologico di Aosta, eccezionalmente prestato per l’occasione. Il dominio romano riesce tuttavia, come nessun altro regno precedente, a integrare popoli di lingua, tradizioni e religioni diverse, fino al IV secolo quando i confini dell’impero devono cedere alla pressione delle popolazioni asiatiche e germaniche in arrivo da Est. In seguito a queste “invasioni”, avviene una profonda trasformazione del tessuto istituzionale e sociale dell’impero romano, fino alla sua repentina disgregazione. Alcuni reperti di arte ostrogota e longobarda rinvenuti in territorio piemontese testimoniano l’immissione di tradizioni e stili di vita nuovi che contribuirono nei secoli a definire progressivamente l’identità europea. Momento cruciale è il confronto tra la grande tradizione della cultura islamica e le élites europee avvenuto con le Crociate, germe di parallelismi anche culturali e figurativi. Comune a tutti i tempi e a tutte le religioni è la pratica del pellegrinaggio, che porta ogni anno milioni di persone a spostarsi, solitarie o in massa alla ricerca di un contatto più diretto con il sacro. Il racconto prosegue con i viaggi di esplorazione verso l’Africa, alla ricerca di una possibilità di circumnavigare il globo verso Oriente e verso Occidente, che portarono alla scoperta dell’America e successivamente a una politica di colonizzazione di nuovi territori da parte delle potenze europee.

***

Gli oggetti in vetro provenienti dal Museo dell’arte vetraria di Altare (Savona) e un pianoforte meccanico di inizio Novecento dal Musée Savoisien di Chambéry sono invece gli emblemi di quell’emigrazione di cittadini italiani che tra Otto e Novecento si spostarono in Francia e in Sud America in cerca di un futuro migliore portando con sé competenze professionali importanti per lo sviluppo economico e culturale dei loro Paesi d’adozione. Il percorso si conclude con un accenno alle migrazioni di oggi, emblematicamente rappresentate da un’opera specchiante dell’artista contemporaneo Michelangelo Pistoletto intitolata Love Difference che raffigura il bacino del Mar Mediterraneo sullo sfondo di una bandiera immaginaria.  Al centro dell’allestimento si libra un’antica Piroga di Panama proveniente dai depositi del Museo civico di Arte Antica di Palazzo Madama, che qui assurge ad emblema del viaggio nei secoli. Numerosi e significativi i prestiti di musei e istituzioni culturali della Città e del territorio,  quali il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, i Musei Reali di Torino, il Museo Egizio, il Museo Regionale di Scienze Naturali, il Museo di Anatomia Umana, il Museo Archeologico di Aosta, il Museo Leone di Vercelli, la Fondazione Arte, storia e cultura ebraica a Casale Monferrato e nel Piemonte Orientale Onlus, la Comunità ebraica di Torino e la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo. Altri importanti prestiti arrivano da vari musei italiani, tra cui il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, Palazzo Ducale di Urbino e il Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini. Arricchisce la sezione dedicata all’emigrazione italiana tra Otto e Novecento anche un significativo prestito proveniente dal Musée Savoisen di Chambery.

 ***

Accompagna la mostra un fitto calendario di iniziative per il pubblico: conferenze con specialisti (storici dell’arte, antropologi, archeologi, storici) in collaborazione con la casa editrice Il Mulino; attività di laboratorio sulla rappresentazione grafica del mondo in collaborazione con Libreria Geografica; laboratori per le scuole dai 3 ai 18 anni; laboratori con stranieri aderenti ai CPIA – Centri Provinciali Istruzioni Adulti; laboratori di educazione alla cittadinanza in collaborazione con Onlus del territorio. Sarà anche creato un archivio partecipativo grazie al contributo dei visitatori a cui sarà chiesto di lasciare la propria testimonianza proveniente dal passato di migrazione proprio o di familiari a loro vicini: il ricordo di un cibo, di un oggetto, di un profumo, di una situazione saranno il bagaglio che la mostra lascerà alla comunità cittadina.

TFF OFF VII edizione

Al Rettorato dell’Università degli Studi di Torino in via Verdi 8

Il TFF OFF nasce nel 2011, in occasione della 29esima edizione del Torino Film Festival, con l’obiettivo di offrire uno spazio alternativo di discussione e confronto sul TFF, per dare a tutti gli appassionati della settima arte la possibilità di esprimersi e confrontarsi su uno dei principali eventi culturali della città, per offrire a chi vuole far parte della redazione di volontari uno spazio libero di dibattito e analisi.

Durante le giornate del Torino Film Festival (24 novembre – 2 dicembre) il TFF OFF sarà aperto, presso la Sala Principi d’Acaja del Rettorato dell’Università degli Studi di Torino in Via Verdi 25, tutti i giorni dalle 14 alle 18.

Lo spazio OFF è stato concepito come luogo di confronto orizzontale, lontano dai riflettori, dove gli appassionati di cinema possono incontrare i protagonisti del Festival e costruire una riflessione critica sulla rassegna, in un flusso orizzontale di saperi e opinioni.

Il TFF OFF è uno spazio complementare al Torino Film Festival e allo stesso tempo inedito, dove si incontreranno ospiti del Festival (registi, sceneggiatori, e così via) al di fuori delle sale cinematografiche e si proporranno presentazioni, documentari, mostre e incontri tematici, con un programma di eventi collaterali al Torino Film Festival che fornirà quindi un supporto logistico alla kermesse cinematografica torinese.

Tutti i giorni, dalle 14 alle 16 vengono realizzate le video – interviste a registi e protagonisti del TFF (qui quelle realizzate fino al 2016 www.youtube.com), mentre dalle 16 alle 18 lo spazio è aperto al pubblico per assistere a incontri, presentazioni e proiezioni.

Per il secondo anno consecutivo, faranno parte del gruppo di volontari che animano il TFF OFF anche alcuni ragazzi all’interno di un progetto di “Alternanza Scuola Lavoro”. Sono gli studenti dell’Istituto Albe Steiner che si occuperanno, sotto la supervisione di tutor, della realizzazione e post-produzione delle video – interviste.

Il sito dell’associazione Altera (www.alteracultura.org), oltre ai social, raccoglierà i risultati del percorso di critica e dibattito del TFF OFF sotto forma di articoli e videointerviste.

TFF OFF nasce da un’idea di Altera e Centro di Cooperazione Culturale ed è realizzato in collaborazione con UCCA (Unione Circoli Cinematografici Arci), Museo Nazionale del Cinema e Torino Film Festival.

 ***

PROGRAMMA

Il programma degli eventi verrà comunicato quotidianamente poiché si “compone” quasi in diretta.

​L’ingresso è libero. ​

Qui gli appuntamenti già fissati:

Lunedì 27 novembre h 15.00

Presentazione del libro “Richard Linklater. La deriva del sogno americano” di Francesca Monti e Emanuele Sacchi. Editore Bietti

La più completa monografia italiana sullo straordinario cineasta texano, arricchita dagli interventi di suoi intimi amici, traccia un percorso autoriale che unisce le apparenti contraddizioni della sua filmografia e sottolinea l’enorme importanza del suo lavoro per il cinema contemporaneo.

Se non appartenete alla schiera dei suoi fan forse il nome non vi è noto. Eppure, è molto probabile che abbiate visto almeno uno dei suoi film: perché al cinema di Richard Linklater prima o poi si incappa. Magari attraverso le vicende di due suoi amanti da feuilleton romantico, Ethan Hawke e Julie Delpy, che si incontrano su un treno Prima dell’alba e cambiano per sempre le loro vite. O passando per un finto insegnate un po’ matto che insegna AC/DC e Led Zeppelin alla School of Rock. O ancora seguendo dodici anni di una famiglia in tempo reale in Boyhood, uno dei più arditi esperimenti del cinema recente. Tutto questo e molto altro ancora e Richard Linklater: sperimentale, indipendente, filosofico, e anche amante dello sport, ribelle, americanissimo.

Venerdì 1 dicembre h 17.00

Presentazione del libro “Storia del cinema” di Mark Cousins

Creatività e innovazione, come è cambiata l’ottava arte nel mondo.Tradotto in italiano da Utet il libro del regista e critico irlandese. Nelle librerie dal 14 novembre. Prefazione di Alberto Barbera.

Cousins racconta attraverso 900 opere il “secolo lungo” del cinema. Dall’Etiopia, all’India, al Sud America e all’Australia, l’autore ricostruisce con uno sguardo «curioso e originale» (così lo definisce Alberto Barbera nella Prefazione al volume) una mappa del cinema nel mondo. Le parole chiave del libro sono “creatività” e “innovazione”. Ne La storia del cinema di Cousins non sono analizzati i film più belli ma quelli che hanno contribuito a innovare il linguaggio del grande schermo nelle 3 grandi epoche: quella del Muto (1895-1928), del Sonoro (1928-1990) e del Digitale (dal 1990 in poi). Dove è passata la rivoluzione? Dalla locomotiva dei fratelli Lumiere alla realtà virtuale, tutte le opere che hanno cambiato la storia del cinema.

«Ho voluto scrivere un libro più puro – rivela Mark Cousins nell’Introduzione a La storia del cinema –, che si concentrasse maggiormente sul medium piuttosto che sull’industria. Nella lettura, quindi, incontrerete film che non avete mai visto e che forse non vedrete mai. Non sento di dovermi scusare per questo, perché non volevo raccontare una storia del cinema distorta dalle bizze del mercato. Questo libro si occupa anche di film mainstream, ma per lo più mi sono concentrato su quelli che ritengo essere i lavori più innovativi di ogni nazione o periodo». 

La scrittura scorrevole e brillante fa de La storia del cinema di Mark Cousins un libro per un pubblico molto più ampio che non quello degli addetti ai lavori. Nello stile della migliore saggistica anglosassone è un libro colto e divulgativo allo stesso tempo.Prefazione di Alberto Barbera, critico cinematografico e direttore della Mostra del Cinema di Venezia

Mark Cousins è autore, critico, produttore e regista. È stato direttore del Festival Internazionale del Cinema di Edimburgo e il pioniere del gruppo di discussione Scene by Scene, adattato poi come serie tv dalla BBC e come libro. Cousins collabora abitualmente con Sight and Sound, Prospect e The Times. È stato giurato nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del cinema di Venezia.

 

Contatti

www.facebook.com/TFFOFF/

twitter.com/tffoff

www.youtube.com

Dagli occhi di Kim Novak alla performance di Asia Argento, tutto fa cinema

 

Ormai non si pensa davvero più alle madrine che fino a ieri hanno aperto i red carpet (del resto i tantissimi cinéphiles del Torino Film Festival vedono quelle strisce rosse come una manciata di sabbia negli occhi) né ad un madrino come si è fatto con Alessandro Borghi nellultimo Lido veneziano. La serata del 24 novembre prossimo, sotto il chapiteau della Mole, sacro tempio del cinema per eccellenza, ad aprire le danze di questa 35a edizione del TFF ci saranno, a rappresentare lincrocio che prima o po taccorgi esserci tra le varie arti, lo scrittore Luca Bianchini, il designer Chris Bangle, lo chef stellato Ugo Alciati e Max Casacci, musicista e produttore. Il tutto coordinato da Roberta Torre che di lì a qualche giorno presenterà la sua rivisitazione in chiave musical e dark del Riccardo III shakespeariano, ambientato nelloggi di una periferia romana dove sguazzano personaggi violenti e alla perenne ricerca di denaro, interpreti un rinsecchito Massimo Ranieri e Sonia Bergamasco. Poi il film dinaugurazione Finding your feet di Richard Loncraine (il regista che poco più di una ventina di anni fa vinse a Berlino lOrso dargento proprio per un Riccardo III” novecentesco e dittatoriale), dove Imelda Staunton, colpita dalla notizia della relazione del marito con la sua migliore amica, si rifugia in una sala da ballo tra le gentilezze e i passi di un eccentrico Timothy Spall, un restauratore di mobili abituato a vivere su di una barca. Per chiudersi i nove giorni della rassegna – la giuria dei film in concorso è capitanata da Pablo Larrain, che proprio da Torino si vide aprire il successo con il suo Tony Manero” – con The Florida project di Sean Baker, con Willem Defoe e Bria Vinaite, storia di una madre e della figlioletta di sei anni che con altri vivono nel Magic Castle Hotel, nome bellissimo per una realtà di persone che sono sotto la soglia di povertà.

***

Un elenco lunghissimo di ospiti, unaltra sequenza di titoli (per dire, un totale di 169 suddivisi in lungometraggi, mediometraggi e cortometraggi, 40 opere prime e seconde, 36 anteprime mondiali, 59 anteprime italiane, il risultato di oltre 400 film visionati) che certo non spaventa il pubblico pronto ad affollare le sale del Reposi e del Massimo, orfano di quelle del Lux, 500 posti a non sedere, che si faranno probabilmente sentire per numero di proiezioni, di code e di scomodità, con il pericolo terribile per gli aficionados di arrivare al limitare del traguardo e vedersi respinti. Sono il risultato, non il solo, di un aggiustamento verso il basso del budget generale, considerando che il 2016 si era portato via 2.300.00 euro e che ledizione di oggi vede un taglio” – la parola è brutta e nessuno la vuol sentire pronunciare – di 250.000 euro. Comunque gli occhi magnetici di Kim Novak e del suo siamese Cagliostro, in bella unione a far cadere nelle maglie strette dellamore uno stralunato James Stewart nella Strega in paradiso” di Quine, ci guardano dallalto e ci proteggono.  Ovvero aprono ad un concorso che, afferma la rossoscapigliata Emanuela Martini, al timone da quattro anni e in buona speranza per una riconferma, torna al suo interno a riconsiderare il mondo del lavoro, il cerchio della famiglia come base di sentimenti e di lotte e la Storia, gli sguardi e i ripensamenti che interessano Davide Ferrario con Cento anni, dalla disfatta di Caporetto al fascismo e la Resistenza sino ad arrivare a piazza della Loggia, che analizzano limmagine di Churchill in The Darkest Hour di Joe Wright con un Gary Oldman dal trucco perfetto e già più che ben piazzato nella corsa agli Oscar, che hanno fatto desiderare al soldato Harry Shinder, sbarcato ad Anzio nel 44, di dare una memoria a quanti là hanno combattuto e là sono morti (Mt War is not Over di Bruno Bigoni), che fanno ripensare con Kings ai disordini e alle tensioni razziali esplosi a Los Angeles nel 92, che reinquadrano in un documentario la figura del presidente americano passato con disinvoltura da Hollywood alla Casa Bianca (The Reagan Show). LItalia è ben rappresentata da Blue Kids di Andrea Tagliaferri, già assistente di Matteo Garrone, un fratello e una sorella dentro una fiaba nera dei nostri tempi, un legame morboso e uneredità, un conflitto con il padre e un gesto folle e studiato che li fa fuggire insieme; e da Lorello e Brunello di Jacopo Quadri, due gemelli che si occupano della fattoria di famiglia.

***

Fuori concorso, nelle differenti sezioni, Francesca Comencini con Amori che non sanno stare al mondo, il terzo capitolo dei ricercatori universitari disoccupati inventati da Sydney Sibilia, Smetto quando voglio – Ad honorem, il viaggio di due ragazzini napoletani nel cuore del Nevada, tratteggiato da Paola Randi con Tito e gli alieni, ancora un viaggio per due ragazzini nigeriani verso il Mediterraneo in Balon di Pasquale Scimeca. Completando il concorso, 15 paesi partecipanti per altrettante produzioni, dallArgentina al Portogallo, da Hong Kong a Israele, dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Cina al Belgio.  Martini che ci riprova con la notte dellHorror, che si inventa la retrospettiva (benvenuta! dai primi successi degli anni Sessanta al Passion franco-tedesco di cinque anni fa) di un maestro come Brian De Palma che arriverà o forse non arriverà (compensi al lumicino non degli di lui o la necessità di seguire il montaggio del suo ultimo Domino? vedremo), che attribuisce il Gran Premio Torino a Pino Donaggio e alle sue musiche da film, ad un musicista che è passato dagli studi al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia al Sanremo di Io che non vivo (senza te) ai set più prestigiosi in giro per il mondo, proprio De Palma in primo luogo, e poi Roeg, Dario Argento, Liliana Cavani, Pupi Avati, Michele Placido, Sergio Rubini. In ultimo: gli amanti dei felini si godano i sei titoli di Non dire gatto…” e i fan di Asia Argento – contattata dalla direttrice in tempi non sospetti, si era di marzo, per cui non ancora coinvolta nello scandalo Weinstein – la applaudano nella sua veste di guest director” e in quelle di interprete con Emma De Caunes della performance firmata da Bertrand Bonello.

Elio Rabbione

Florilegio barocco

Lunedì 20 novembre (Teatro Vittoria, ore 20) con il concerto Florilegio barocco prosegue la serie l’altro suono dedicata dall’Unione Musicale alla valorizzazione della musica antica e preclassica. Protagonisti saranno due musicisti italiani d’eccezione: il mezzosoprano Giuseppina Bridelli –apprezzata nei maggiori teatri europei e negli stati Uniti nel repertorio barocco e classico – e il clavicembalista Simone Ori, attivo come direttore, cembalista e organista con i più prestigiosi ensemble europei.La musica del Barocco italiano ama le tinte forti: gioia estrema o profonda disperazione, invidia, ira, vendetta, ironia, sarcasmo… tutti sentimenti e stati d’animo presenti in Florilegio barocco, che “mette in scena” musica vocale e strumentale pensata proprio per esprimere “gli affetti” con linee melodiche di assoluta bellezza e armonie sorprendenti, nobili, lievi o dolorosamente cromatiche.

 

Il programma alterna brani appartenenti a periodi e autori diversi. Si comincia con pagine di Monteverdi (di cui si celebrano i 450 anni della nascita) dal Settimo libro de Madrigali e dagli Scherzi Musicali, e si prosegue con le sfumature di Frescobaldi, il virtuosismo sfavillante di Vivaldi, l’intensità di Alessandro Scarlatti e le pagine intime di Barbara Strozzi e Benedetto Ferrari, per un vero e proprio “inno alla varietà”, che è una delle caratteristiche più spettacolari della musica barocca.

Ricco di sublimi gioielli musicali, famosi o meno noti, il programma mette in evidenza le abilità attoriali e i fascinosi colori vocali di Giuseppina Bridelli – particolarmente apprezzata nei ruoli di Cherubino e Despina –, e il virtuosismo di Simone Ori, raffinatissimo camerista impegnato qui anche come solista nella Toccata Nona dal Primo libro di Toccate di Frescobaldi e nelle Partite sopra La Follia di Spagna di Scarlatti.

 

«Rispetto alle esperienze in teatro – ha dichiarato Giuseppina Bridelli in un’intervista rilasciata in esclusiva per l’Unione Musicale – , dove il cantante è aiutato dalla regia, dalla messinscena e dai costumi, in concerto si è soli con la propria voce e la propria espressività. Ciò offre un’enorme libertà ai musicisti, che possono operare le proprie scelte interpretative, ma al tempo stesso i rischi sono molto maggiori: passare da un autore all’altro nel giro di pochi secondi, adattarsi a continui cambi espressivi ed emotivi espone a critiche di diversa natura. Ma in fondo è noto che noi cantanti siamo amanti del rischio…»

***

L’intervista completa è consultabile alla pagina http://www.unionemusicale.it/intervista-esclusiva-a-giuseppina-bridelli/poltrone numerate, euro 20 in vendita presso la biglietteria dell’Unione Musicale e online su www.unionemusicale.it

ingressi, euro 12, ingressi giovani fino a 21 anni, euro 5 –in vendita il giorno del concerto presso il Teatro Vittoria dalle ore 19.30

***

lunedì 20 novembre 2017

Teatro Vittoria – via Gramsci, 4 – Torino

ore 20

l’altro suono

 

Giuseppina Bridelli / mezzosoprano

Simone Ori / clavicembalo

FLORILEGIO BAROCCO

Claudio Monteverdi (1567-1643)

da Settimo libro de Madrigali: Con che soavità

da Scherzi Musicali: Voglio di vita uscir – Maledetto sia l’aspetto

 

Girolamo Frescobaldi (1583-1643)

Così mi disprezzate da Primo libro d’Arie musicali

Toccata Nona da Primo libro di Toccate

 

Antonio Vivaldi (1678-1741)

Aria da Piango, gemo, sospiro e peno, Cantata RV 675

Qual per ignoto calle, Cantata RV 677

 

Alessandro Scarlatti (1660-1725)

Partite in re minore sopra La Follia di Spagna

Andate, o miei sospiri, Cantata n. 42

 

Barbara Strozzi (1619-1677)

Lagrime mie da Diporti di Euterpe

 

Benedetto Ferrari (1603 circa – 1681)

Amanti io vi so dire da Musiche varie a voce sola 

Scheda concerto con approfondimenti e materiali multimediali

http://www.unionemusicale.it/concerti/giuseppina-bridelli-mezzosoprano-simone-ori-clavicembalo-torino-unionemusicale-20112017/

 

 

Jannuzzo, un nuovo Ciampa tra corna, tragicità e divertimento

Ciampa, uno dei personaggi più belli di Pirandello, uno di quelli più presi dalla smania del ragionamento, dalla loro filosofia di apparenze e realtà, di maschere, di mondi da conservare ben oltre la più pura verità. Se lo andiamo a cercare nella memoria, televisiva o teatrale, ha sempre avuto le fattezze di Eduardo, di Salvo Randone, di Turi Ferro. Oggi, per questa nuova edizione del Berretto a sonagli vista per il cartellone di Torino Spettacoli, Ciampa è Gianfranco Jannuzzo, che da noi è di casa e sinora, proprio sui palcoscenici di Torino Spettacoli, conosciuto e apprezzato come divertente intrattenitore, come frequentatore di commedie brillanti, come monologhista eccellente. È un giovanilissimo sessantenne che per l’occasione cambia registro, prende un’altra strada (momentanea?) per cercare nuove concretezze, nuove tragicità che pur qui rimangono inviluppate in un contesto da commedia, quasi da pochade. Capace di scavalcare all’indietro l’età di Ciampa, ritrovandosi magari più “strano” in una sembianza che cancella i grandi vecchi, capace di sottrarsi al ruolo di scrivano, di sottoposto, di uomo già anziano alle dipendenze di un padrone per ritrovarsi in un elegante quanto forbitissimo signore. Ascolti in modo diverso la tirata delle tre corde, la sociale, la seria e la pazza, ha un aspetto nuovo lui entrato nel salotto buono di casa Fiorica a destreggiarsi tra la signora che gli porge velatamente l’ombra del dubbio, il fratello di costei che guarda di lontano i connotati del bel Cecè, di un commissario che sembra uscito da una comica del primo Novecento, di una madre nerovestita diretta, come tutti del resto, a salvare il buon nome della famiglia.

Perché è poi tutto un problema di corna, un film di Germi girato qualche decennio prima. Il cavalier Fiorica e la moglie del Ciampa se la intendono, perché non ci siano dubbi fin dall’inizio la regia di Francesco Bellomo ci lascia trasparire un gran strofinarsi tra i suddetti, lei, la giovanissima Nina, assai più giovane di Ciampa, in guêpière e veli, la moglie sa e pure Ciampa sembra conoscere: finché durerà il gioco della corda sociale, finché ogni apparenza sarà salvaguardata e il cornuto rimarrà tale nel chiuso delle case, la storia potrà filare diritta. Ma se donna Beatrice inizierà a esplodere nell’intento di mettere i due amanti in piazza, nel dimostrare di non temere lo scandalo, di urlare tutta la propria rabbia contro un’ipocrisia che asfissia, allora no, le forme e con loro Ciampa non potrebbero più essere salvati: non resta allora che lasciar mettere in funzione la corda pazza, tutti concorderanno che la sventurata non può aver parlato che in un attimo di pazzia e alla pericolosità della pazzia si deve rimediare. Bellomo (che ha pure trasportato la vicenda dagli anni Venti al primo dopoguerra) conclude in un perfetto terzo atto, velocemente diretto, impaginato con tutta l’immediatezza del momento, mentre in precedenza, nella volontà di addentrarsi ancor più di altri suoi colleghi nelle tante tessere che compongono la storia, recupera zone che Pirandello aveva tralasciato, come quando Beatrice ritrova tra la biancheria uno scorpione, portatore di un morso velenoso, o come quando Fifì rimprovera la sorella di non essere più disponibile con il marito, spingendolo nella ricerca di altri corpi femminili. Insomma, una bella edizione in cui primeggia la tragicità di Ciampa pur immersa in un mare di divertimento prima e di svagatezza poi e di dramma riordinato sul fondo, in una bella escalation cui partecipano tutti gli attori della compagnia, da Gaetano Aronica a Franco Mirabella ad Anna Malvica agli altri, con una menzione specialissima alla Beatrice di Emanuela Muni, affamata di vendetta, ardita nel combattere la logica di Ciampa con la propria, costretta da tutti con i suoi belati inverosimili a scendere nella pazzia. Le repliche al Gioiello sino a domenica, vi direi davvero di non lasciarvelo scappare.

 

Elio Rabbione

 

Spazzapan, ritorno a Torino

FINO AL 31 GENNAIO 2018

Il primo impatto con la città non fu certo dei migliori. Nel 1928, quando l’allora trentanovenne Luigi (in sloveno, Lojze) Spazzapan – terzo di cinque figli, nato a Gradisca d’Isonzo nel 1889 da Gustav, guardia carceraria, e Josipina Mervic – arrivò a Torino su invito dell’architetto goriziano Umberto Cuzzi per partecipare al concorso per la decorazione murale del Padiglione della Chimica, alla grande “Esposizione Internazionale” allestita al Parco del Valentino, si vide infatti respingere senza troppi salamelecchi i disegni da lui presentati alla “Società Promotrice delle Belle Arti”. Bocciato. E non solo. Allo smacco artistico (per un pittore sicuramente non alle prime armi, con mostre all’attivo, già premiato all’“Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali” a Parigi e forte di una formazione artistica compiutasi in gioventù nei massimi centri delle avanguardie europee del tempo, fra cui Vienna e Monaco), si unì anche un inghippo non da poco, come il ritiro, sempre sotto la Mole, del passaporto per motivi politici. Con l’entusiasmo presumibilmente sotto i piedi, l’artista decise, nonostante tutto (forte di quell’“estrosità” ed “umoralità” che ne segnarono l’intera esistenza) di restare a Torino. Dove inizialmente alloggiò in una soffitta in via Napione, ospite del pittore Carlo Terzolo, e dove in seguito tramite amici come Cuzzi, Chessa e Paulucci entrerà in contatto con le massime “voci critiche” del tempo, come Lionello Venturi ed Edoardo Persico. Scelta coraggiosa per lui. Una grande fortuna per la città, in cui rimase per trent’anni. Per il resto della sua vita. Fino al 1958, quando il 19 febbraio si spense improvvisamente. Di qui il titolo della grande Antologica (“Luigi Spazzapan– Ritorno a Torino”) a lui dedicata, a quasi sessant’anni dalla morte, dalla torinese “Fondazione Giorgio Amendola e Associazione Lucana Carlo Levi” di via Tollegno. Curata da Loris Dadam, la rassegna presenta un centinaio di opere, in arrivo dalle maggiori collezioni a livello nazionale, e ha il duplice scopo (oltreché di far dell’arte un elemento di “Riqualificazione delle Periferie”) “di far conoscere al più vasto pubblico l’opera dell’artista, ma soprattutto di prospettare una rivisitazione critica del ruolo di avanguardia da lui avuto in quel periodo”. Battitore libero, assolutamente autonomo nella ricerca stilistica, tanto dall’allora imperante (a Torino soprattutto) “classicismo” casoratiano quanto dal “tonalismo post-impressionista” dei Sei; attento solo agli impulsi di una gestualità all’apparenza incontrollabile e senza freni già in corsa verso lidi astratto-informali percepiti attraverso una grafia espressionista dai tratti nervosi ed essenziali, Spazzapan produce dal ’30 al ’42 una serie di “vedute” torinesi -molte presenti in mostra – di alta suggestione e lirica intensità. Ecco allora, in parete, il Valentino, le varie vedute del Po, il Canale Michelotti, le case di Barriera e piazza Castello nella nebbia o con la neve o sotto i bombardamenti. Un’autentica “dichiarazione d’amore” per la città che sentiva ormai “sua” (dove lavorò anche come illustratore alla “Gazzetta del Popolo” e come docente al “Liceo Artistico”) e luogo d’approdo felice per la sua pittura. Quella che gli faceva passare, come lui stesso raccontava a Venturi, “intere notti senza potermi fermare” in un intreccio di soggetti fra i più vari: molto piacevoli anche gli “interni”, (in cui spesso ritrae l’amata compagna Ginia), così come gli “animali” (la serie dei “Cavalli” composti con una frenesia narrativa senza limiti fra il ’32 e il ’50) e le “nature morte” (di impressionante vigore il “Vaso di calendole” del ’48). Alla fine degli anni Quaranta, inizia per l’artista friulano quel processo di “geometrizzazione” delle forme, ben evidente nella calibrata tempera su carta del ’48 “La Spagnola” (dall’intenso fondale rosso) che pure mantiene ferma la rilevanza formale del soggetto, a differenza della “Composizione geometrica n. 8” già realizzata nel ’46, dove “la consueta libertà di tratto sperimenta sempre più la sua potenziale autonomia dall’oggetto”. Per arrivare al ’55, con “Composizione Astratta n. 1”, dove il processo può dirsi concluso: “la linea ed i graficismi collegati non ci sono più, sono rimasti solo la pittura e il colore quasi allo stato primordiale in uno stile informale dove sembra prevalere la casualità del gesto”. E, in quest’ottica, si può veramente dire che la mostra ospitata alla “Fondazione Amendola” riesce a coprire in buona parte tutti i periodi creativi dell’artista: pittore anarcoide, irruente e dolce a un tempo, dalla “mano dilagante” ma attenta a “ubbidirgli sempre, anche nei momenti di massima frenesia”.

Gianni Milani

 

***

“Luigi Spazzapan – Ritorno a Torino”

Fondazione Giorgio Amendola e Associazione Lucana Carlo Levi, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 – www.fondazioneamendola.it – Fino al 31 gennaio 2018

Orari: dal lun. al ven. 10-12/ 15,30-19, sab. 10-12,30     

***

Le immagini:

– Luigi Spazzapan: “Barche sul Po con ponte  in lontananza”, tempera su carta, 1938

– Luigi Spazzapan: “Vaso di calendole”, tempera su carta, 1948
– Luigi Spazzapan: “La Spagnola”, tempera su carta, 1948
– Luigi Spazzapan: “Composizione geometrica n. 8”, tempera su carta, 1946

Moncalieri, Bernardo tra fede e storia

Militare, diplomatico, “crociato” anti-turco e poi patrono, “beato” e oggi anche “venerabile” per decreto di Papa Francesco che ha confermato ufficialmente in questi giorni il culto di Bernardo, principe di Baden-Baden e patrono di Moncalieri. Nato in Germania, figlio del marchese Giacomo I e di Caterina di Lotaringia, Bernardo lasciò presto la carriera militare per dedicarsi alle missioni di pace. Erano tempi dolorosi e paurosi per l’Europa cristiana: Costantinopoli bizantina era appena caduta nelle mani degli Ottomani il 29 maggio 1453. Il vecchio continente, sofferente, diviso e litigioso, cerca di ricomporre i contrasti per riconquistare la capitale imperiale ma i numerosi appelli all’ unità dei cristiani per formare una grande alleanza militare in grado di frenare la travolgente ascesa della Mezzaluna, prima e subito dopo la conquista turca della Roma d’Oriente, rimasero inascoltati. L’inerzia di Papa Niccolò V e di altri pontefici e di gran parte dei sovrani europei portò alla perdita di una parte così importante del mondo cristiano. Le voci di disperazione che si levarono sui cieli dell’Occidente si ritrovano nelle lettere accorate di diplomatici come il grande umanista Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II) che scrive perfino al sultano conquistatore Maometto II per esortarlo a convertirsi alla fede cattolica e nel dinamismo frenetico di predicatori, focosi e battaglieri, come fra Giovanni da Capestrano. Nel coro di invocazioni e suppliche si inserisce anche la storia del nostro Bernardo di Baden che viaggia per le corti europee al fine di raccogliere fondi per promuovere una crociata contro gli Ottomani. In cerca di alleati Bernardo sbarcò in una Genova trasformata in un lazzaretto per una devastante epidemia di peste e ne fu subito contagiato. Fiacco e indebolito nel fisico si mise in viaggio per tornare a casa, nella sua Baden, ma arrivato a Moncalieri morì. Era il 15 luglio 1458 e aveva solo 30 anni. A questo punto avvenne il primo miracolo: durante il funerale uno storpio moncalierese, malato dalla nascita, guarì improvvisamente e il prodigio fu attribuito a Bernardo che fu sepolto nella chiesa di Santa Maria della Scala. In seguito ad altre miracolose guarigioni avvenute a Moncalieri Bernardo fu beatificato nel 1769 da Papa Clemente XIV che lo dichiarò patrono di Moncalieri e della città di Baden. Nella tradizione popolare è sempre stato chiamato “beato” pur in assenza del riconoscimento ufficiale del Vaticano. Adesso Papa Francesco ha autorizzato il decreto che lo dichiara “venerabile”. Ogni anno a metà luglio è grande festa a Moncalieri dove si celebra il patrono con una rievocazione storico-religiosa in abiti medioevali che attraversa il centro della città e che porta le reliquie del beato dalla chiesa di Santa Maria della Scala alla parrocchia di Bernardo.

Filippo Re

“Vai piano ma vinci”

Il docufilm di Alice Filippi ” ’78 – Vai piano ma vinci ” fa parte della sezione non competitiva “Festa Mobile ” del TFF . Prodotto dalla MOWE di Roberta Trovato , è stato realizzato con il sostegno di Mibact -Direzione Generale per il Cinema e di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund. Il film porta alla luce e ricostruisce i 76 giorni vissuti dal padre di Alice, Pier Felice Filippi, allora ventitreenne campione di rally, figlio di un industriale monregalese , che nel 1978 venne rapito per mano della ‘ndrangheta calabrese, suscitando molto clamore in tutta Italia per poi risolversi in un inaspettato lieto fine e la fuga del giovane dai rapitori, riuscendo a farli arrestare. “Vai piano ma vinci ” è stato girato nell’estate del 2016 a Mondovì da Alice, che, oltre ad aver scritto e diretto il film, ne è anche protagonista come attrice recitando nel ruolo della madre. Attraverso il racconto diretto del protagonista, della famiglia e degli investigatori, il film ricostruisce la prigionia e la pianificazione della fuga di Pier Felice. In parallelo, grazie alle registrazioni originali delle telefonate con i rapitori , per caso ritrovate nel cassetto di un mobile durante il trasloco dopo la morte del nonno – come racconta la stessa Alice – si rivive la battaglia di un padre nel tentativo di restituire la libertà al figlio. Pier Felice sa che sta per affrontare la sfida più importante della sua vita, ma è una gara che dovrà correre andando più piano possibile, mantenendo lucidità e freddezza.

***

” Vai piano ma vinci” ripeteva sempre la madre prima di ogni gara… Mai come in quei giorni quella raccomandazione gli diede la forza di non arrendersi. Appena rapito, si finse svenuto , venne caricato nel portabagagli, riuscendo a mettere a fuoco il percorso dell’auto. Capì così di essere nei pressi di Savona e, appena ne ebbe la possibilità, cerca di comunicarlo alla famiglia. “I am near sv” sono le prime lettere con cui iniziava ogni frase scritta nel biglietto che i rapitori lo convinsero a scrivere , per indurre i familiari a pagare il riscatto. Ma il messaggio criptato non verrà colto né dalla famiglia né dagli investigatori. Trascorrono giorni, Pier Felice è guardato a vista , perde la cognizione del tempo e dello spazio, ma non la lucidità per incastrare ad uno ad uno i pezzi di un puzzle che lo condurranno verso la libertà. La famiglia Filippi aveva già vissuto il dramma della perdita di un figlio, Giancarlo, fratello maggiore di Pier Felice. Sono trascorsi 24 mesi , Pier Felice non lo sa, ma il giorno dell’anniversario di quel drammatico incidente è lo stesso in cui riuscirà a mettere fine alla sua prigionia. ” Quest’anno – sottolinea Emanuela Martini – sono tornate alla ribalta tematiche come la storia, la famiglia”. E di una storia vera tratta appunto ” Vai piano ma vinci” , che si basa sui ricordi di una famiglia, quella dei Filippi, ma al tempo stesso recupera l’atmosfera e i fatti di quel periodo storico, quello degli Anni di Piombo, insieme ai sentimenti degli Italiani di allora. Il film racchiude anche un messaggio importante, come sottolinea Alice Filippi, , ” rappresenta cioè una storia di speranza e determinazione. Usando intelligenza e fermezza senza mai strafare si può arrivare al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, E il rischio calcolato di mio padre ne è stata la conferma.” “Vai piano ma vinci” sarà nelle sale domenica 26 novembre alle 20,30 e lunedì 27 alle 11,30 al Cinema Reposi.

Helen Alterio