CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 627

"Santa". Ciò che è stato non muore mai

Paolo in una lettera a Luana, scrive: “avrei voluto essere più presente, capire quell’enorme lato oscuro che portavi sulle tue spalle di finta normalità. Avrei dovuto spiegarti che non dovevi averne paura e che tutti abbiamo una parte che ci spaventa e che ci libera, tutti siamo fatti anche di Santa.”
Siamo alla fine di questo libro, che si presta ad essere portato in scena, scritto dalla giornalista Alessandra Macchitella, edito da Les Flaneurs edizioni con la prefazione di Aldo Cazzullo. Vi sono sopratutto due nomi: Santa e Luana che possono far parte di una stessa realtà, come dire, due facce di una stessa medaglia, due aspetti contrastanti di una stessa persona o anche di due persone diverse, portati all’estremo in lotta, come il bene (Luana) e il male (Santa). A seconda del modo di porsi nell’affrontare la vita e le circostanze da risolvere giorno dopo giorno.

È presente il dubbio se sia più utile per la propria realizzazione, per la propria soddisfazione umana, usare se stessi e gli altri come oggetti in modo leggero e facile, usando le scorciatoie e le furbizie, oppure cercare di fare le cose in modo serio e impegnativo, correndo anche il rischio di faticare di più e di procrastinare i tempi perché si è sfruttati e poco riconosciuti. Ma si è impastati contemporaneamente di questi due aspetti, di queste due personalità, di Santa e di Luana. E non si è mai del tutto Santa e mai del tutto Luana. Appunto, come dice Paolo, il personaggio principale maschile, in una finta normalità c’è da capire in noi quell’enorme lato oscuro, che fa capo, io direi, al mistero del bene e del male, presente in ognuno di noi, che ci portiamo addosso, che ci pesa, che ci spaventa e che ci libera, lui dice. Pertanto anche la migliore Luana, non è escluso che possa commettere, da un giorno all’altro un atto estremo per liberarsi definitivamente dal male (Santa), purtroppo con lo stesso male, illudendosi di essersene liberata, ma in effetti finendo essa stessa soggiogata al male. È l’illusione di liberarsi dal male con il male. Ed è quello che succede nel finale del romanzo, che non vogliamo svelare ed è da brivido. Una conclusione a sorpresa che lascia di stucco e in confusione il lettore. La stessa confusione che prende Paolo che fa fatica a rendersi conto della situazione reale. Tutto ciò induce a pensare ed approfondire l’aspetto della delusione, della disperazione, dell’amore umano e infine della misericordia, che nella storia raccontata nel libro vince e dura come sentimento eterno. Ciò che è stato non muore mai !!! ….questo non a caso è il titolo dell’ultimo paragrafo del libro. “Se qualcuno dovesse chiedermi – scrive Paolo in questa lettera finale a Luana – che cosa è l’amore credo che lo spiegherei con questo. Pensare a una persona ogni giorno della tua vita. Sempre. Quando ti svegli, quando guardi il tramonto, quando leggi un libro bellissimo, quando ti incazzi con il capo…..” Questo è quello che vince eternamente sulla delusione e disperazione, l’amore vero, che può mettere fine ad azioni estreme contro la propria ed altrui esistenza, sperando nella misericordia.Perché la questione vera è come si esce da questa disperazione : “Non sono stato abbastanza e tu, tu sei stata troppo.”….è sempre Paolo che scrive. Quindi il suo amore non è stato sufficiente, ma nemmeno quello di lei lo è stato verso di lui e purtroppo la disperazione ha vinto, la battaglia terrena, vedrete come.

Ma se è vero che ciò che è stato non muore mai, si apre in ultima conclusione, uno spiraglio a cui non si può non dare somma considerazione. È una prospettiva di salvezza che abbraccia, salva e riempie tutto e tutti di significato e che riporta in vita chi la coglie, in una prospettiva nuova, in questo caso Paolo e che non esclude nessuno dei personaggi del libro, gettando una nuova luce su tutte le vicende umane raccontate dalla penna dell’autrice, che si dimostra particolarmente attenta nel riportare la descrizione dei particolari e delle circostanze vissute dai personaggi. E c’è la consapevolezza di una bellezza nuova, completa che mette assieme il corpo e lo spirito, in una luce nuova. Ed è ancora Paolo che scrive, rivolgendosi alla donna amata:”Per colpa tua ho iniziato ad andare in Chiesa la domenica. Prego a un Dio a cui non credo..(…)…mi sveglio di buon’ora e mi raccomando di essere clemente con te. Tanto se esiste, avrà visto quanto sei bella, in tutti i sensi. Ti avrà perdonata …. Non lo so cosa mi aspetta, so che tu sarai al mio fianco, come hai sempre fatto, so che ti amerò sempre e so che non voglio una vita a interruttore spento. Voglio la luce, anche a rischio di bruciarmi la vista.” E pertanto mi sembra quanto mai appropriato concludere con una citazione di don Luigi Giussani :”….non possiamo vivere se non per la fede. Non come propaganda, ma come passione amorosa, perché in cuor mio penso sempre che altrimenti un uomo non può amare la sua donna e una donna non può amare suo figlio, se non con un vuoto disperato. E l’amare con disperazione vuol dire condannare a morte la persona amata” e anche se stessi.

Vito Piepoli

 

“Santa”. Ciò che è stato non muore mai

Paolo in una lettera a Luana, scrive: “avrei voluto essere più presente, capire quell’enorme lato oscuro che portavi sulle tue spalle di finta normalità. Avrei dovuto spiegarti che non dovevi averne paura e che tutti abbiamo una parte che ci spaventa e che ci libera, tutti siamo fatti anche di Santa.”

Siamo alla fine di questo libro, che si presta ad essere portato in scena, scritto dalla giornalista Alessandra Macchitella, edito da Les Flaneurs edizioni con la prefazione di Aldo Cazzullo. Vi sono sopratutto due nomi: Santa e Luana che possono far parte di una stessa realtà, come dire, due facce di una stessa medaglia, due aspetti contrastanti di una stessa persona o anche di due persone diverse, portati all’estremo in lotta, come il bene (Luana) e il male (Santa). A seconda del modo di porsi nell’affrontare la vita e le circostanze da risolvere giorno dopo giorno.

È presente il dubbio se sia più utile per la propria realizzazione, per la propria soddisfazione umana, usare se stessi e gli altri come oggetti in modo leggero e facile, usando le scorciatoie e le furbizie, oppure cercare di fare le cose in modo serio e impegnativo, correndo anche il rischio di faticare di più e di procrastinare i tempi perché si è sfruttati e poco riconosciuti. Ma si è impastati contemporaneamente di questi due aspetti, di queste due personalità, di Santa e di Luana. E non si è mai del tutto Santa e mai del tutto Luana. Appunto, come dice Paolo, il personaggio principale maschile, in una finta normalità c’è da capire in noi quell’enorme lato oscuro, che fa capo, io direi, al mistero del bene e del male, presente in ognuno di noi, che ci portiamo addosso, che ci pesa, che ci spaventa e che ci libera, lui dice. Pertanto anche la migliore Luana, non è escluso che possa commettere, da un giorno all’altro un atto estremo per liberarsi definitivamente dal male (Santa), purtroppo con lo stesso male, illudendosi di essersene liberata, ma in effetti finendo essa stessa soggiogata al male. È l’illusione di liberarsi dal male con il male. Ed è quello che succede nel finale del romanzo, che non vogliamo svelare ed è da brivido. Una conclusione a sorpresa che lascia di stucco e in confusione il lettore. La stessa confusione che prende Paolo che fa fatica a rendersi conto della situazione reale. Tutto ciò induce a pensare ed approfondire l’aspetto della delusione, della disperazione, dell’amore umano e infine della misericordia, che nella storia raccontata nel libro vince e dura come sentimento eterno. Ciò che è stato non muore mai !!! ….questo non a caso è il titolo dell’ultimo paragrafo del libro. “Se qualcuno dovesse chiedermi – scrive Paolo in questa lettera finale a Luana – che cosa è l’amore credo che lo spiegherei con questo. Pensare a una persona ogni giorno della tua vita. Sempre. Quando ti svegli, quando guardi il tramonto, quando leggi un libro bellissimo, quando ti incazzi con il capo…..” Questo è quello che vince eternamente sulla delusione e disperazione, l’amore vero, che può mettere fine ad azioni estreme contro la propria ed altrui esistenza, sperando nella misericordia.Perché la questione vera è come si esce da questa disperazione : “Non sono stato abbastanza e tu, tu sei stata troppo.”….è sempre Paolo che scrive. Quindi il suo amore non è stato sufficiente, ma nemmeno quello di lei lo è stato verso di lui e purtroppo la disperazione ha vinto, la battaglia terrena, vedrete come.

Ma se è vero che ciò che è stato non muore mai, si apre in ultima conclusione, uno spiraglio a cui non si può non dare somma considerazione. È una prospettiva di salvezza che abbraccia, salva e riempie tutto e tutti di significato e che riporta in vita chi la coglie, in una prospettiva nuova, in questo caso Paolo e che non esclude nessuno dei personaggi del libro, gettando una nuova luce su tutte le vicende umane raccontate dalla penna dell’autrice, che si dimostra particolarmente attenta nel riportare la descrizione dei particolari e delle circostanze vissute dai personaggi. E c’è la consapevolezza di una bellezza nuova, completa che mette assieme il corpo e lo spirito, in una luce nuova. Ed è ancora Paolo che scrive, rivolgendosi alla donna amata:”Per colpa tua ho iniziato ad andare in Chiesa la domenica. Prego a un Dio a cui non credo..(…)…mi sveglio di buon’ora e mi raccomando di essere clemente con te. Tanto se esiste, avrà visto quanto sei bella, in tutti i sensi. Ti avrà perdonata …. Non lo so cosa mi aspetta, so che tu sarai al mio fianco, come hai sempre fatto, so che ti amerò sempre e so che non voglio una vita a interruttore spento. Voglio la luce, anche a rischio di bruciarmi la vista.” E pertanto mi sembra quanto mai appropriato concludere con una citazione di don Luigi Giussani :”….non possiamo vivere se non per la fede. Non come propaganda, ma come passione amorosa, perché in cuor mio penso sempre che altrimenti un uomo non può amare la sua donna e una donna non può amare suo figlio, se non con un vuoto disperato. E l’amare con disperazione vuol dire condannare a morte la persona amata” e anche se stessi.

Vito Piepoli

 

"Torino – Matera 2019: un dialogo culturale"

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Se ne parla alla “Fondazione Giorgio Amendola”
L’appuntamento é per giovedì 10 gennaio, a partire dalle ore 18,30, presso la Fondazione Giorgio Amendola – Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi ed é inserito nell’ambito della retrospettiva “Carlo Levi e la Basilicata: dal confino a Italia ‘61”, ospitata sempre nelle sale della Fondazione in via Tollegno 52, a Torino, fino al prossimo 28 febbraio. Mostra perfettamente in linea e a tema con un dibattito che al centro vedrà proprio la discussione su quel “rapporto antico” fra Torino e la Basilicata cui molto contribuì l’impegno letterario ed artistico di Carlo Levi, durante e dopo i mesi del confino politico trascorsi ad Aliano, modesto centro in provincia di Matera, e teatro per lui di un’esperienza fortemente toccante sul piano umano, da cui nascerà, a metà degli anni ’40, il suo “Cristo si è fermato a Eboli”, appassionato e suggestivo diario intimo al pari dei quadri in cui il Levi-pittore seppe mirabilmente tradurre la cruda realtà di terre e uomini e donne “invisibili” al mondo in pagine di graffiante e vigoroso realismo. “Difficile pensare – sottolinea in proposito Prospero Cerabona, presidente della Fondazione Giorgio Amendolache ci sarebbe stata Matera ‘Patrimonio dell’Unesco 1993’ e ‘Capitale Europea della Cultura 2019’, senza l’impegno di Levi, indomito e convinto ‘torinese del Sud’”. Su questi concetti – ricordiamo che Matera sarà ufficialmente proclamata Capitale Europea della Cultura il 19 gennaio prossimo – si confronteranno nell’incontro di domani, Antonella Parigi, assessora alla Cultura della Regione Piemonte e Roberto Cifarelli, assessore alla Cultura della Regione Basilicata. A introdurre l’incontro, Domenico Cerabona (Fondazione Giorgio Amendola); moderatore, Daniele Valle, presidente della Commissione Cultura del Consiglio Regionale del Piemonte.

g.m.

 
Carlo Levi: “Autoritratto”, olio su tavola, 1935 

“Torino – Matera 2019: un dialogo culturale”

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Se ne parla alla “Fondazione Giorgio Amendola”

L’appuntamento é per giovedì 10 gennaio, a partire dalle ore 18,30, presso la Fondazione Giorgio Amendola – Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi ed é inserito nell’ambito della retrospettiva “Carlo Levi e la Basilicata: dal confino a Italia ‘61”, ospitata sempre nelle sale della Fondazione in via Tollegno 52, a Torino, fino al prossimo 28 febbraio. Mostra perfettamente in linea e a tema con un dibattito che al centro vedrà proprio la discussione su quel “rapporto antico” fra Torino e la Basilicata cui molto contribuì l’impegno letterario ed artistico di Carlo Levi, durante e dopo i mesi del confino politico trascorsi ad Aliano, modesto centro in provincia di Matera, e teatro per lui di un’esperienza fortemente toccante sul piano umano, da cui nascerà, a metà degli anni ’40, il suo “Cristo si è fermato a Eboli”, appassionato e suggestivo diario intimo al pari dei quadri in cui il Levi-pittore seppe mirabilmente tradurre la cruda realtà di terre e uomini e donne “invisibili” al mondo in pagine di graffiante e vigoroso realismo. “Difficile pensare – sottolinea in proposito Prospero Cerabona, presidente della Fondazione Giorgio Amendolache ci sarebbe stata Matera ‘Patrimonio dell’Unesco 1993’ e ‘Capitale Europea della Cultura 2019’, senza l’impegno di Levi, indomito e convinto ‘torinese del Sud’”. Su questi concetti – ricordiamo che Matera sarà ufficialmente proclamata Capitale Europea della Cultura il 19 gennaio prossimo – si confronteranno nell’incontro di domani, Antonella Parigi, assessora alla Cultura della Regione Piemonte e Roberto Cifarelli, assessore alla Cultura della Regione Basilicata. A introdurre l’incontro, Domenico Cerabona (Fondazione Giorgio Amendola); moderatore, Daniele Valle, presidente della Commissione Cultura del Consiglio Regionale del Piemonte.

g.m.

 

Carlo Levi: “Autoritratto”, olio su tavola, 1935 

Rock sommerso anni '60 con Marchisio

Domenica 13 gennaio alle 17 nella Sala Colonne della Biblioteca Astense Giorgio Faletti torna Passepartout en hiver, il ciclo di 8 incontri promossi dalla Biblioteca e dalla CNA di Asti

 
 Come nelle scorse edizioni, a ogni autore verrà affiancato un pittore della CNA Artisti che offrirà l’interpretazione grafica del tema proposto. Gli artisti, coordinati dalla pittrice Marisa Garramone, illustreranno le proprie opere. Protagonista del primo incontro sarà Giancarlo Marchisio con “Il mondo sommerso del rock americano dal 1965 al 1968”. L’incontro intende focalizzare l’attenzione sulla realtà musicale americana che venne a formarsi con l’impetuosa ondata della British Invasion e sulle bands “meteora” nell’ambito del genere garage rock americano tra il 1965 ed il 1968. Si farà riferimento (anche con esempi musicali) soprattutto alle realtà “a stelle e strisce” ingiustamente cadute nell’oblìo, alle venues che furono terreno fertile per la nascita di miriadi di gruppi, in particolar modo nei generi garage/proto-punk. Si intende far luce sul contesto americano anni ‘60 delle battle of the bands, sulla funzione dei managers musicali di quei tempi, l’attività di intermediarii e talent scouts e sulle differenziazioni dei sottogeneri musicali in relazione alle aree geografiche (atlantic, pacific, middle-west etc.). Giancarlo Marchisio, astigiano, diplomatosi in pianoforte nel 2002 al Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara, si laurea a pieni voti nel 2004 in Discipline della Musica presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi in Estetica Musicale su Hector Berlioz critico musicale. Dopo il periodo accademico, tra 2005 e 2013 si è occupato per la Regione Piemonte di censimento, inventariazione e catalogazione di svariate raccolte di documenti musicali manoscritti e a stampa presso biblioteche, archivi ed enti ecclesiastici a Torino, Casale Monferrato, Cuneo, Racconigi, Fossano e Saluzzese. Si è inoltre impegnato nel portare a termine il complesso lavoro di localizzazione e collocazione, nel sistema SBN, di dati catalografici relativi ai libretti d’opera di area torinese presenti nella base dati piemontese SBN Musica. Parallelamente ha studiato la storia delle cappelle musicali e dei maestri di cappella piemontesi tra XVII e XIX secolo (in particolar modo in area torinese e casalese); ha partecipato come relatore a convegni musicologici in area piemontese e lombarda anche con il patrocinio della SIdM (Società Italiana di Musicologia) a Pella (Lago d’Orta), Saluzzo e Pavia; da sempre è anche attento alla storia delle compositrici europee di area francese e tedesca. Compositore autodidatta e pianista, dal 2014 ha mutato decisamente l’ambito di indagine e ha intrapreso lo studio specifico della storia del rock americano della seconda metà degli anni ‘60 (generi garage rock/proto-punk e rock psichedelico); sull’argomento tiene regolarmente una rubrica mensile sul quotidiano online “il Torinese”, intitolata “Caleidoscopio rock USA anni ‘60”. Artista ospite Nicola Colucciello: decoratore e restauratore, è diplomato al Liceo Artistico di Brera e in Scenografia presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Tra i suoi lavori di restauro, tra i più importanti va citato quello svolto presso la chiesa di San Nicolao, a Monteu Roero. Per quanto riguarda, invece, l’ambito decorativo, è doveroso il riferimento ai lavori eseguiti presso il castello di Lavezzole.

***

Questi i prossimi appuntamenti di Passepartout en hiver: 20 gennaio Ilaria Montiglio e Cristina Ghiringhello “Dall’Egitto al Piemonte: Iside e i suoi misteri”; 27 gennaio Alberto Bazzano e Ottavio Coffano “Macbeth, Shakespeare, Verdi”; 3 febbraio Alessandro Negrisolo “Videogiochi: hobby o lavoro?”; 10 febbraio Don Luigi Berzano “Islam e modernità: una convivenza possibile?”; 17 febbraio Guido Michelone e Armando Brignolo “Per capire e amare il jazz: ricordo di Gianni Basso”; 24 febbraio Giulio Guderzo e Giovanni Currado “Ferrovie nel Piemonte preunitario: uomini e scelte all’avanguardia della modernità”; 3 marzo Anita Dudek Origlia “La cultura giapponese… in una tazza di tè”. Tutti gli eventi avranno inizio alle ore 17. Si ringraziano per il sostegno: Città di Asti, Banca C.R. Asti, Fondazione C.R. Asti, Fondazione CRT e Reale Mutua.

Rock sommerso anni ’60 con Marchisio

Domenica 13 gennaio alle 17 nella Sala Colonne della Biblioteca Astense Giorgio Faletti torna Passepartout en hiver, il ciclo di 8 incontri promossi dalla Biblioteca e dalla CNA di Asti

 

 Come nelle scorse edizioni, a ogni autore verrà affiancato un pittore della CNA Artisti che offrirà l’interpretazione grafica del tema proposto. Gli artisti, coordinati dalla pittrice Marisa Garramone, illustreranno le proprie opere. Protagonista del primo incontro sarà Giancarlo Marchisio con “Il mondo sommerso del rock americano dal 1965 al 1968”. L’incontro intende focalizzare l’attenzione sulla realtà musicale americana che venne a formarsi con l’impetuosa ondata della British Invasion e sulle bands “meteora” nell’ambito del genere garage rock americano tra il 1965 ed il 1968. Si farà riferimento (anche con esempi musicali) soprattutto alle realtà “a stelle e strisce” ingiustamente cadute nell’oblìo, alle venues che furono terreno fertile per la nascita di miriadi di gruppi, in particolar modo nei generi garage/proto-punk. Si intende far luce sul contesto americano anni ‘60 delle battle of the bands, sulla funzione dei managers musicali di quei tempi, l’attività di intermediarii e talent scouts e sulle differenziazioni dei sottogeneri musicali in relazione alle aree geografiche (atlantic, pacific, middle-west etc.). Giancarlo Marchisio, astigiano, diplomatosi in pianoforte nel 2002 al Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara, si laurea a pieni voti nel 2004 in Discipline della Musica presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi in Estetica Musicale su Hector Berlioz critico musicale. Dopo il periodo accademico, tra 2005 e 2013 si è occupato per la Regione Piemonte di censimento, inventariazione e catalogazione di svariate raccolte di documenti musicali manoscritti e a stampa presso biblioteche, archivi ed enti ecclesiastici a Torino, Casale Monferrato, Cuneo, Racconigi, Fossano e Saluzzese. Si è inoltre impegnato nel portare a termine il complesso lavoro di localizzazione e collocazione, nel sistema SBN, di dati catalografici relativi ai libretti d’opera di area torinese presenti nella base dati piemontese SBN Musica. Parallelamente ha studiato la storia delle cappelle musicali e dei maestri di cappella piemontesi tra XVII e XIX secolo (in particolar modo in area torinese e casalese); ha partecipato come relatore a convegni musicologici in area piemontese e lombarda anche con il patrocinio della SIdM (Società Italiana di Musicologia) a Pella (Lago d’Orta), Saluzzo e Pavia; da sempre è anche attento alla storia delle compositrici europee di area francese e tedesca. Compositore autodidatta e pianista, dal 2014 ha mutato decisamente l’ambito di indagine e ha intrapreso lo studio specifico della storia del rock americano della seconda metà degli anni ‘60 (generi garage rock/proto-punk e rock psichedelico); sull’argomento tiene regolarmente una rubrica mensile sul quotidiano online “il Torinese”, intitolata “Caleidoscopio rock USA anni ‘60”. Artista ospite Nicola Colucciello: decoratore e restauratore, è diplomato al Liceo Artistico di Brera e in Scenografia presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Tra i suoi lavori di restauro, tra i più importanti va citato quello svolto presso la chiesa di San Nicolao, a Monteu Roero. Per quanto riguarda, invece, l’ambito decorativo, è doveroso il riferimento ai lavori eseguiti presso il castello di Lavezzole.

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Questi i prossimi appuntamenti di Passepartout en hiver: 20 gennaio Ilaria Montiglio e Cristina Ghiringhello “Dall’Egitto al Piemonte: Iside e i suoi misteri”; 27 gennaio Alberto Bazzano e Ottavio Coffano “Macbeth, Shakespeare, Verdi”; 3 febbraio Alessandro Negrisolo “Videogiochi: hobby o lavoro?”; 10 febbraio Don Luigi Berzano “Islam e modernità: una convivenza possibile?”; 17 febbraio Guido Michelone e Armando Brignolo “Per capire e amare il jazz: ricordo di Gianni Basso”; 24 febbraio Giulio Guderzo e Giovanni Currado “Ferrovie nel Piemonte preunitario: uomini e scelte all’avanguardia della modernità”; 3 marzo Anita Dudek Origlia “La cultura giapponese… in una tazza di tè”. Tutti gli eventi avranno inizio alle ore 17. Si ringraziano per il sostegno: Città di Asti, Banca C.R. Asti, Fondazione C.R. Asti, Fondazione CRT e Reale Mutua.

Ladri gentiluomini, befane e (affettuosamente) gli altri

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Parafrasando nel titolo il buon vecchio e insostituibile Sautet, vogliamo riconsiderare quel che s’è (abbiamo) visto sugli schermi natalizi e magari in questo inizio d’anno? Sulla cima più alta metteremmo senza ripensamenti il Pawlikowski di Cold War, premiato a Cannes, in un perfetto bianco e nero tutto carezze di luci e ombre, un omaggio del regista ai suoi genitori, una storia d’amore che ha inizio nella Polonia degli anni Cinquanta vittima del grigiore quotidiano dell’occupazione sovietica, una voglia di libertà e di realizzazione, la fuga di lui verso l’Occidente mentre lei non ha il coraggio di seguirlo. Si rincontreranno nella Parigi della musica e del’arte, con nuove relazioni ma consapevoli che molto di un antico amore sia rimasto, magari più vivo di un tempo: e allo stesso tempo ancora instabile, tempestoso, osteggiato sempre da qualche ostacolo, politico o psicologico che sia. La bellezza dei personaggi, in special modo quello femminile, il racconto che attraversa anni cruciali della Storia, gli sguardi e le incertezze e il ritrovarsi, a tutto il regista offre uno sguardo lucido e appassionato, coinvolgente, senza azioni o parole di troppo.

Il fascino, pur su di tutt’altro livello, resta per quel che s’è detto il canto del cigno di Robert Redford, dal momento che l’interprete dei Tre giorni del Condor pare proprio che con questo crepuscolare Old man & the gun voglia smettere di mostrare sullo schermo il suo viso ormai senilmente occupato da una bella ragnatela di rughe. Continuerà a stare dietro la macchina da presa e porterà ancora avanti quel festival di Sundance, che dirige da quarant’anni. Per l’ultima prova, calato in quelle atmosfere e in quelle ballate che a Hollywood andavano di moda negli anni Settanta e Ottanta, è Forrest Tucker, realissimo personaggio noto alle cronache – il film ha le basi su un articolo di David Grann, pubblicato nel 2003 nel New Yorker -, svaligiatore seriale dai modi ineffabili, vero ladro gentiluomo, ancora pieno di fascino, cui basta lasciar intravedere alle vittime la propria pistola perché gli riempiano la borsa di dollari. È quasi un gioco, un passatempo che un altro della sua età se ne andrebbe all’osteria a farsi un goccetto (“Non si tratta di guadagnarsi da vivere, si tratta di vivere”), un’attività sacrosanta da portare avanti con un paio di amici (Danny Glover e Tom Waits, redivivi), un’occasione che ti ha reso vivo in passato, anche la fuga da San Quintino è stato un bel diversivo, e che continua a farlo, aggiungendosi al tutto l’incontro con una gentile signora (Sissy Spacek, uno dei volti belli di un “vecchio” cinema) che non fa troppe domande e che davanti ad un piccolo gioiello e al tentativo di lui di svignarsela senza pagare il conto mette sul banco la sua normale dose di onestà. Sull’intero gruppetto veglia il poliziotto Casey Affleck, in giusta posizione come sempre, avvilito e forse senza più uno straccio di ideale, cui le gesta di Tucker ridanno fervore, il desiderio di rimettersi in gioco, instaurandosi un rapporto di dipendenza reciproca che è il sale primo del film. Il ritmo del racconto, le rughe, il passo spigoloso e rallentato, il lato sentimentale, l’ironia, gli sguardi gentili, le corse in mezzo ai campi durante le fughe, tutto questo il regista David Lowery maneggia con cura, rendendoci anche il “divertimento” dei tanti spezzoni della vita di questo “bandito”. E Redford ancora una volta (proprio l’ultima?) è lì, sullo schermo, a raccontarci un pezzo d’America.

* * *

Julian Schnabel, pittore oltre che regista, affrontando il disordine e l’infelicità continua della vita di Vincent van Gogh, impagina un film che sarà un piccolo gioiello per gli amanti dell’arte. Sia sotto il punto di vista tecnico, attraversando gli spazi del sud della Francia cari al pittore con la macchina a mano, instancabilmente, in un rincorrersi d’immagini sfrenate che non lasciano sosta, di pienissimo movimento, che un effetto flou nella parte sottostante dello schermo in gran parte virato al giallo, come a sottolineare i difetti dell’occhio dell’artista. Sia narrativamente, concentrandosi sulle ultime tappe di una vita, tra Arles e Auvers-sur-Oise o tra le mura dell’ospedale di Saint Remy, la necessità di ritrarre la natura e il desiderio continuo di immergersi in essa, il rapporto pieno di conflitti con Gauguin, l’affetto che lo legava al fratello Theo, mercante d’arte e unico a sostenerlo e a tentare di dare un valore alla sua arte, i segni della malattia, la morte qui presentata in modo inaspettato, tralasciata l’idea del suicidio per abbracciare quella proposta pochi anni fa da due studiosi americani secondo cui un paio di ragazzi avrebbero accidentalmente ferito van Gogh mentre stava dipingendo all’aperto ed egli, già prostrato fisicamente e in piena depressione nonché ben consapevole di quanto potesse loro succedere, non li accusò di nulla, lasciando intendere la sua piena responsabilità nell’accaduto. Al centro della vicenda il viso scavato di Willem Dafoe e il suo corpo, magrissimo, anch’essi immagine della disperazione dell’artista, spesso pienamente sovrapponibili a quella che i tanti autoritratti ci hanno tramandato.

Quelli che furono fan di Julie Andrews e della sua tata saranno certo stati delusi dal Ritorno di Mary Poppins, una copia sbiadita dell’originale, non tanto per colpa della nuova Emily Blunt, quanto piuttosto per una sceneggiatura che mette in un panorama di commozione la vicenda dei tre ragazzini orfani di madre, che non ha trovate maggiormente spiritose per la rediviva Mary con il rischio anzi di metterla in secondo piano, che immette i personaggi in un mondo di cartoni troppo stiracchiato e fuori misura, che affida il lampionaio ad un Lin-Manuel Miranda per noi pressoché sconosciuto, non certo con il divertimento che si portava dietro un Dick Van Dyke, qui relegato in un divertentissimo cameo.

* * *    

Su ben altro versante, delude pure Vice, ovvero gli aspetti peggiori della vita e della carriera di Dick Cheney, estremamente irritante per l’unilateralità della visione politica (gli anni universitari del protagonista certo non splendidi e rassicuranti, lo stupido ritratto che si è ricavato di Bush jr, la corte dei presidenti repubblicani e l’arrivismo vampiresco che sembra troneggiare soltanto da quelle parti, il medesimo gioco visto nel privato ad opera della consorte Lynne, interpretata da una Amy Adams in stato di grazia) come per le manie registiche di Adam McKay (virtuosismi che sono tutt’altro, come il narratore buttato nel film senza criterio, quelli che dovrebbero essere i titoli di coda fatti scorrere a metà della vicenda, il pistolotto finale del protagonista, certe scenette costruite come un teatrino dei pupi). Christian Bale, straripante nei venti chili aggiunti per raggiungere la stazza dell’interessato ha già vinto un Golden Globe ma ha dato prove ben migliori.

Come delude Mario Martone per Capri-Revolution, ovvero la presa di coscienza, prima che scoppi il primo conflitto mondiale, della povera Lucia, che non ha fatto altro che accudire alle sue capre tra il roccioso terreno dell’isola del golfo. Si accorge che il mondo può andare in maniera diversa e a lei è possibile uscire dai propri confini dinanzi ad un gruppo hippie ante litteram, corpi nudi e idee nuove, una sorta di Sessantotto tutto luci e profumo di limoni: mentre ogni scena difetta di approfondimenti e noi rimpiangiamo i patrioti di Noi credevamo e Leopardi.

Ma la ciliegina delle feste la possiamo considerare La Befana vien di notte di Michele Soavi, dove la maestrina Paola della Cortellesi (mai così forzatamente spaesata) come ogni italiano che si rispetti tiene un doppio lavoro, quello della vecchina dal naso adunco appunto, qui obbligata a sfuggire al rapimento che in epoca di maggior andare e venire a cavallo della scopa le prepara un antico allievo (le sarà d’aiuto un gruppetto interraziale di pargoli scatenatissimi al bisogno). Siamo dalle parti della favoletta condita di un leggero spirito horror: ma il male non è quel pizzico di paura che può stringere alla gola le nuove generazioni, il male è la mancanza di una sceneggiatura, di quelle sagge, e non soltanto rimpinzata di trovatine già viste e riviste per farci toccare con mano “come viviamo oggi”. Se poi si considera il secondo posto negli incassi dell’insulsa storiellina, credo che qualche domanda ce la dovremmo porre.

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Nelle immagini grandi, nell’ordine scene tratte da “Old man & the gun”, “Van Gogh”, “Vice” e “Capri-Revolution”

Alla Gam vita e miracoli d’arte di Apollinaire

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Un racconto “parlato e cantato” di Luca Scarlini. Mercoledì 9 gennaio, ore 18

Proseguono nella Sala Uno della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (via Magenta, 31) gli incontri organizzati dall’Associazione Amici della Biblioteca d’Arte aventi al centro la Biblioteca della Fondazione Torino Musei e il suo ricco patrimonio di libri, documenti e fotografie, strumenti fondamentali per comprendere “come nascono le mostre, ricerche, archivi e confronti”. Il prossimo appuntamento è per mercoledì 9 gennaio, a partire dalle ore 18 (ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili) e verterà sulla presentazione della mostra “Apollinaire e l’invenzione ‘surréaliste’”, in corso presso la “Wunderkammer” della GAM fino al prossimo 24 febbraio e dedicata al poeta scrittore e drammaturgo francese nel centenario della morte. Curata da Maria Teresa Roberto con Virginia Bertone, Franca Bruera e Marilena Pronesti, la rassegna s’incentra sulla prima rappresentazione nel 1917 del dramma “sur-réaliste” “Les Mamelles de Tirésias”, ricostruendo (attraverso opere, lettere ed edizioni originali) la rete di rapporti che univa scrittori e pittori vicini ad Apollinaire, come i cugini di origine russa Serge Férat e Hélène d’Oettingen insieme al critico d’arte André Salmon: un incrocio di destini d’arte fra Francia e Italia, fra Cubismo, Futurismo, de Chirico e Savinio che verrà sagacemente raccontato – e posto al centro di un confronto sicuramente interessante – nell’incontro del 9 gennaio condotto da Luca Scarlini, scrittore, drammaturgo, performance artist e docente di tecniche narrative presso la “Scuola Holden” di Torino. Fiorentino di nascita, Scarlini ha al suo attivo numerose collaborazioni con istituzioni teatrali italiane ed europee e ha pubblicato vari saggi dedicati alla “letteratura di viaggio” e sulla relazione fra la moda e le arti. Scrive inoltre per la musica e per la danza e vanta un’intensa attività come storyteller in assolo o al fianco di musicisti, danzatori e attori.     

g.m.

I prossimi appuntamenti in programma:

Mercoledì 23 gennaio

Vivere di (storia dell’) arte. Professioni, temi, strumenti

“La cornice come ornamento e decorazione”

Orso Maria Piavento, “Decorazioni barocche per altari rinascimentali”

Aurora Laurenti, “Funzione e modelli delle cornici rococò”

 

Mercoledì 30 gennaio

Esercizi di lettura. Libri, album, cataloghi

Presentazione del volume di Dieter Roth, “Pages”, a cura di Elena Volpato, FLAT 2018

 

Mercoledì 6 febbraio

Come nascono le mostre. Ricerche, archivi, confronti

Presentazione della mostra “Madame Reali: cultura e potere da Parigi a Torino. Cristina di Francia e Giovanna Battista di Savoia Nemours (1619-1724)”

Intervengono: Clelia Arnaldi di Balme e Paola Ruffino con Alessandra Giovannini Luca

 

Mercoledì 13 febbraio – presso Palazzo Madama

Vivere di (storia dell’) arte. Professioni, temi, strumenti

“Gli oggetti d’arte dalle botteghe al museo”

Giampaolo Distefano, “Gli smalti medievali: uso e riuso”

Luca Giacomelli, “Le ceramiche ottocentesche di Palazzo Madama”

 

Per informazioni: amicibibliogam@gmail.com

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Nelle foto
– “Les Mamelles de Tirésias”
– Luca Scarlini

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale delle novità librarie

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John Grisham “La resa dei conti”   – Mondadori – euro 22,00

 

L’ultimo libro di Grisham è di nuovo all’altezza dei suoi primi best seller “Il rapporto Pelican” e “Il socio”. Bellissimo, avvincente, da stare col fiato sospeso fino all’ultima pagina e poi pensare…peccato che sia finito. In realtà sono tre storie correlate, architettate e scritte divinamente. Siamo nella contea di Ford nel Mississippi, a Clanton, nel 1946. Un giorno, all’improvviso, il 43enne Pete Banning – cittadino in vista, discendente di una famosa famiglia di coltivatori di cotone, eroe di guerra e fedele seguace della chiesa metodista- spalanca la porta dello studio del reverendo Dexter Bell e lo fa secco con tre colpi di pistola. Poi si consegna alla polizia. La prima parte del romanzo racconta –senza mai annoiare- il processo. Banning rifiuta di svelare la ragione del suo gesto, si dichiara non colpevole, ma rinuncia a difendersi. Accetta imperturbabile la condanna alla sedia elettrica che verrà puntualmente eseguita. Una fine orribile …e il segreto di quell’omicidio sembra calare nella fossa per sempre. Ma chi era Pete Banning? Ce lo svela la seconda parte “Il campo d’ossa” in cui Grisham racconta dapprima come Pete aveva incontrato la splendida moglie Lisa, da cui avrà i figli Joel e Stella. Poi le agghiaccianti pagine in cui viene richiamato dall’esercito nel 1941 e spedito a combattere contro i giapponesi che avevano invaso le Filippine. Qui pagine di storia si intrecciano alla vicenda privata del protagonista. Combattimenti disperati, fame, malattie, morte e orrore…e la resa all’esercito nipponico la cui crudeltà non ha limiti. Marce forzate a 40° senza acqua né cibo, decapitazioni e torture, il campo di prigionia in cui continua lo spietato “trattamento del sole” e i prigionieri che muoiono come mosche. A Pete e ai pochi superstiti tocca scavare le fosse per chi non ce l’ha fatta. Scene da fare impazzire anche i più tosti. Pete finirà per trascorrere tre interminabili anni nella giungla. Dopo la spericolata fuga dal campo si unisce a un gruppo di guerriglieri americani e filippini che ordiscono piani pericolosi per sabotare i convogli del nemico. Fino al rimpatrio di Pete che torna a casa devastato nel fisico e nell’anima. Terza ed ultima parte è quella dedicata a “Il tradimento”. E già perché mentre Pete lottava per restare vivo, a Clanton era già stato dato per morto e Liza si era ritrovata sola a mandare avanti la fattoria e crescere i figli. Pare che le sia stato di grande conforto il pastore della sua chiesa Dexter Bell che con lei passava molto tempo. Riprendere il matrimonio da dove l’avevano lasciato sembra difficile, la passione non è più la stessa e Pete a un certo punto fa internare Liza in un ospedale psichiatrico per curare un’oscura depressione. Intanto un pesante fardello è ricaduto sui giovani figli Joel e Stella. La vedova del pastore, sobillata dal viscido amante, intenta causa ai due giovani per portargli via tutto: casa, terreni, soldi, passato e futuro. Un risarcimento milionario. Di più non vi dico per non togliervi il gusto della lettura fino all’epilogo… insospettabile.

 

Tayari Jones “Un matrimonio americano” -Neri Pozza- euro 18,00

Quando si mette di mezzo un destino bastardo ecco che la vita, di colpo, vira in peggio. E’ quello che accade in questo 4° libro della scrittrice 48enne Tayari Jones, nata ad Atlanta in Georgia, “Un matrimonio americano”, che Oprah Winfrey ha incluso tra le pietre miliari del suo book club. Un romanzo che innesta una tragica vicenda privata sullo sfondo dei pregiudizi razziali e l’ineguaglianza della legge a seconda del colore della pelle. E’ l’allucinante evento che sconvolge una coppia afroamericana in cui il marito viene arrestato per un reato che non ha commesso. Roy e Celestial si sono conosciuti all’università e sono sposati da poco: lei è un’artista che crea bambole-opere d’arte; lui si atteggia a playboy e non ha grandissime aspirazioni nella vita. Una sera dopo una visita alla madre di lui i due decidono di passare la notte in un motel: qui Roy rivela un segreto a Celestial e scoppia una lite. Lui esce dalla stanza per calmarsi, incontra una signora in difficoltà per un braccio bendato e cavallerescamente l’aiuta. Peccato che nella notte lei venga violentata e punti il dito accusatorio proprio contro il giovane afroamericano. Fine della parte felice di una vita con alti e bassi ma comunque tranquilla. Inizio dell’incubo. Roy finisce in carcere e “innocente o no, la prigione ti cambia, ti fa diventare un detenuto”. Il romanzo racconta attraverso le voci e le lettere dei vari personaggi gli anni difficili in cui Roy fa i conti con la detenzione; mentre nella vita di Celestial si affaccia un certo successo e, soprattutto, diventa sempre più presente ed importante l’amico d’infanzia Andre. Ci sarà ancora un matrimonio a cui tornare dopo che le porte della prigione si sono spalancate per Roy? Scopritelo da soli e buona lettura…

 

Dacia Maraini “Corpo felice” -Rizzoli- euro 18,00

E’ illuminante e a tratti sconvolgente l’ultimo libro di Dacia Maraini il cui sottotitolo recita “Storie di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va”. L’accento è proprio sull’ultima parte, ovvero la traumatica esperienza di cui l’autrice non aveva ancora mai parlato così apertamente. La perdita del figlio al settimo mese di gravidanza a causa della placenta previa. E’questo il leitmotiv sotteso a tutte le pagine. “Quando ho perso mio figlio, con cui conversavo sotto le coperte e a cui raccontavo del mondo aspettando che nascesse; quando a tradimento quel bambino con cui giocavo segretamente e che già tenevo in braccio prima ancora che avesse aperto gli occhi è morto, sono stata sul punto di morire anch’io”.Ecco quello che ha segnato la vita della scrittrice che si chiede perché “..un utero caldo e accogliente doveva trasformarsi in una tomba gelata?”. Esperienza straziante. Però lei ha una forza interiore sovrumana e quel dialogo con la vita ha sempre continuato a tenerlo vivo. Così immagina i passi del figlio mai venuto al mondo, lo pensa mentre cresce e scopre il mondo, anche se solo nei suoi pensieri. In “Corpo felice” c’è tutta la caratura della Maraini, una delle più sensibili, delicate ma potenti voci della narrativa contemporanea. Qui parla anche di ribellione all’ingiustizia, anelito all’indipendenza, etica e senso della vita, anima e rapporto con Dio e la Chiesa…insomma si pone tutte le grandi domande che avvolgono l’esistenza, sonda con intelligenza e grande cultura il mistero della nascita e della morte. Ma non vorrei che pensaste a un libro triste o pesante, “Corpo felice” non è cos’; piuttosto è un grandissimo inno alla vita, scritto con ineguagliabile maestria.

L'isola del libro

Rubrica settimanale delle novità librarie

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John Grisham “La resa dei conti”   – Mondadori – euro 22,00
 
L’ultimo libro di Grisham è di nuovo all’altezza dei suoi primi best seller “Il rapporto Pelican” e “Il socio”. Bellissimo, avvincente, da stare col fiato sospeso fino all’ultima pagina e poi pensare…peccato che sia finito. In realtà sono tre storie correlate, architettate e scritte divinamente. Siamo nella contea di Ford nel Mississippi, a Clanton, nel 1946. Un giorno, all’improvviso, il 43enne Pete Banning – cittadino in vista, discendente di una famosa famiglia di coltivatori di cotone, eroe di guerra e fedele seguace della chiesa metodista- spalanca la porta dello studio del reverendo Dexter Bell e lo fa secco con tre colpi di pistola. Poi si consegna alla polizia. La prima parte del romanzo racconta –senza mai annoiare- il processo. Banning rifiuta di svelare la ragione del suo gesto, si dichiara non colpevole, ma rinuncia a difendersi. Accetta imperturbabile la condanna alla sedia elettrica che verrà puntualmente eseguita. Una fine orribile …e il segreto di quell’omicidio sembra calare nella fossa per sempre. Ma chi era Pete Banning? Ce lo svela la seconda parte “Il campo d’ossa” in cui Grisham racconta dapprima come Pete aveva incontrato la splendida moglie Lisa, da cui avrà i figli Joel e Stella. Poi le agghiaccianti pagine in cui viene richiamato dall’esercito nel 1941 e spedito a combattere contro i giapponesi che avevano invaso le Filippine. Qui pagine di storia si intrecciano alla vicenda privata del protagonista. Combattimenti disperati, fame, malattie, morte e orrore…e la resa all’esercito nipponico la cui crudeltà non ha limiti. Marce forzate a 40° senza acqua né cibo, decapitazioni e torture, il campo di prigionia in cui continua lo spietato “trattamento del sole” e i prigionieri che muoiono come mosche. A Pete e ai pochi superstiti tocca scavare le fosse per chi non ce l’ha fatta. Scene da fare impazzire anche i più tosti. Pete finirà per trascorrere tre interminabili anni nella giungla. Dopo la spericolata fuga dal campo si unisce a un gruppo di guerriglieri americani e filippini che ordiscono piani pericolosi per sabotare i convogli del nemico. Fino al rimpatrio di Pete che torna a casa devastato nel fisico e nell’anima. Terza ed ultima parte è quella dedicata a “Il tradimento”. E già perché mentre Pete lottava per restare vivo, a Clanton era già stato dato per morto e Liza si era ritrovata sola a mandare avanti la fattoria e crescere i figli. Pare che le sia stato di grande conforto il pastore della sua chiesa Dexter Bell che con lei passava molto tempo. Riprendere il matrimonio da dove l’avevano lasciato sembra difficile, la passione non è più la stessa e Pete a un certo punto fa internare Liza in un ospedale psichiatrico per curare un’oscura depressione. Intanto un pesante fardello è ricaduto sui giovani figli Joel e Stella. La vedova del pastore, sobillata dal viscido amante, intenta causa ai due giovani per portargli via tutto: casa, terreni, soldi, passato e futuro. Un risarcimento milionario. Di più non vi dico per non togliervi il gusto della lettura fino all’epilogo… insospettabile.
 
Tayari Jones “Un matrimonio americano” -Neri Pozza- euro 18,00
Quando si mette di mezzo un destino bastardo ecco che la vita, di colpo, vira in peggio. E’ quello che accade in questo 4° libro della scrittrice 48enne Tayari Jones, nata ad Atlanta in Georgia, “Un matrimonio americano”, che Oprah Winfrey ha incluso tra le pietre miliari del suo book club. Un romanzo che innesta una tragica vicenda privata sullo sfondo dei pregiudizi razziali e l’ineguaglianza della legge a seconda del colore della pelle. E’ l’allucinante evento che sconvolge una coppia afroamericana in cui il marito viene arrestato per un reato che non ha commesso. Roy e Celestial si sono conosciuti all’università e sono sposati da poco: lei è un’artista che crea bambole-opere d’arte; lui si atteggia a playboy e non ha grandissime aspirazioni nella vita. Una sera dopo una visita alla madre di lui i due decidono di passare la notte in un motel: qui Roy rivela un segreto a Celestial e scoppia una lite. Lui esce dalla stanza per calmarsi, incontra una signora in difficoltà per un braccio bendato e cavallerescamente l’aiuta. Peccato che nella notte lei venga violentata e punti il dito accusatorio proprio contro il giovane afroamericano. Fine della parte felice di una vita con alti e bassi ma comunque tranquilla. Inizio dell’incubo. Roy finisce in carcere e “innocente o no, la prigione ti cambia, ti fa diventare un detenuto”. Il romanzo racconta attraverso le voci e le lettere dei vari personaggi gli anni difficili in cui Roy fa i conti con la detenzione; mentre nella vita di Celestial si affaccia un certo successo e, soprattutto, diventa sempre più presente ed importante l’amico d’infanzia Andre. Ci sarà ancora un matrimonio a cui tornare dopo che le porte della prigione si sono spalancate per Roy? Scopritelo da soli e buona lettura…
 
Dacia Maraini “Corpo felice” -Rizzoli- euro 18,00
E’ illuminante e a tratti sconvolgente l’ultimo libro di Dacia Maraini il cui sottotitolo recita “Storie di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va”. L’accento è proprio sull’ultima parte, ovvero la traumatica esperienza di cui l’autrice non aveva ancora mai parlato così apertamente. La perdita del figlio al settimo mese di gravidanza a causa della placenta previa. E’questo il leitmotiv sotteso a tutte le pagine. “Quando ho perso mio figlio, con cui conversavo sotto le coperte e a cui raccontavo del mondo aspettando che nascesse; quando a tradimento quel bambino con cui giocavo segretamente e che già tenevo in braccio prima ancora che avesse aperto gli occhi è morto, sono stata sul punto di morire anch’io”.Ecco quello che ha segnato la vita della scrittrice che si chiede perché “..un utero caldo e accogliente doveva trasformarsi in una tomba gelata?”. Esperienza straziante. Però lei ha una forza interiore sovrumana e quel dialogo con la vita ha sempre continuato a tenerlo vivo. Così immagina i passi del figlio mai venuto al mondo, lo pensa mentre cresce e scopre il mondo, anche se solo nei suoi pensieri. In “Corpo felice” c’è tutta la caratura della Maraini, una delle più sensibili, delicate ma potenti voci della narrativa contemporanea. Qui parla anche di ribellione all’ingiustizia, anelito all’indipendenza, etica e senso della vita, anima e rapporto con Dio e la Chiesa…insomma si pone tutte le grandi domande che avvolgono l’esistenza, sonda con intelligenza e grande cultura il mistero della nascita e della morte. Ma non vorrei che pensaste a un libro triste o pesante, “Corpo felice” non è cos’; piuttosto è un grandissimo inno alla vita, scritto con ineguagliabile maestria.