CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 617

L’isola del libro. Speciale Natale

Panoramica settimanale sui libri

Natale è alle porte e tra i tanti regali perché non infilare anche dei libri? Ecco qualche spunto…

***

Donato Carrisi “Il gioco del suggeritore” –Longanesi- Euro 22,00.

 

Il re del thriller italiano Donato Carrisi, torna con un’altra storia mozzafiato “Il gioco del suggeritore”. Fresco di stampa e a distanza di 10 anni dal successo internazionale “Il suggeritore” Rispunta la poliziotta cacciatrice di persone scomparse Mila Vasquez, che ha lasciato il lavoro e con la figlioletta Alice si è rifugiata in una vita più tranquilla sulle rive di un lago. Ma l’incubo ricomincia con questa nuova indagine, a cui non può sottrarsi, perché la riguarda da vicino più di quanto immagini. Questa volta il male viaggia al limite tra mondo reale e quello virtuale, perché oggi l’avvento di Internet ha sparigliato le carte della comunicazione planetaria e spalancato la porta su un terreno di caccia che può rivelarsi pericolosamente insidioso. Dunque uno scenario decisamente contemporaneo che ci riguarda un po’ tutti. Nel thriller compare un killer subliminale che usa la rete per manipolare le emozioni altrui. Di più non vi dico per non togliervi la suspense che la lettura vi garantirà. Però, per chi ancora non avesse letto i suoi libri, vale la pena ricordare che Carrisi -specializzato in criminologia e scienza del comportamento- maneggia con estrema abilità le sue trame e mette a frutto la sua esperienza di sceneggiatore (per cinema e serie tv) scrivendo con ritmo e verve quasi cinematografiche. Non è un caso che abbia debuttato anche come regista e vinto il David di Donatello con il film “La ragazza nella nebbia” tratto dal suo romanzo omonimo (del 2015) interpretato da Tony Servillo, Alessio Boni e Jean Reno.

 

Alberto Angela “Cleopatra. La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità” -HarperCollins-

Euro 20,00.

Di Alberto Angela siamo tutte un po’ innamorate: pochi sanno raccontare immensamente bene e in modo accattivante storia, scienza, cultura ad ampio spettro come lui e suo padre Piero Angela. Bella riscossa della cultura in TV. L’esempio più recente? Il suo programma di altissimo livello “Meraviglie, la penisola dei tesori”(prime time di oltre 5 milioni e mezzo di telespettatori). E’ il divulgatore per eccellenza: che lo faccia dallo schermo o nei libri…..riesce sempre ad appassionare. (C’è anche chi lo vorrebbe Ministro dei Beni Culturali: sarebbe una gran bella mossa perché finalmente ecco chi ne capisce …).In “Cleopatra” racconta –tra saggio e romanzo- luci ed ombre di una delle sovrane che hanno fatto la storia. Vissuta in un’epoca storica cruciale. Nata tra il 69 e il 70 a C., salita sul trono dei faraoni a soli 18 anni. Morirà poco prima di compierne 40, dopo aver regnato per 21 anni e conquistato nuove terre e ricchezze. Ultima regina d’Egitto, destinato al tramonto sotto il giogo di Roma (nuova potenza del mondo, in via di trasformazione da Repubblica ad Impero).Chi era questa gran donna, alta solo 1 metro e 55, sinuosa, esperta di profumi e veleni, sensualissima? Alberto Angela cerca di capire come questa figura “…minuta e sola, in un mondo dominato dagli uomini, sia riuscita a portare il Regno d’Egitto a una delle sue massime espansioni di tutti i tempi”. E come abbia conquistato alcuni tra gli uomini più potenti di Roma, come Cesare e Marco Antonio. Non è stata solo abilità ammaliatrice da alcova…Cleopatra fu incredibilmente moderna, intelligente, audace, coltissima, forte e indipendente, una stratega eccezionale che sapeva come muoversi sullo scacchiere internazionale. Regina, moglie, amante e madre capace di grandi innamoramenti e sfuriate di gelosia. Alberto Angela (con la cognizione di chi ha puntigliosamente consultato documenti e fonti attendibili) entra nei palazzi del potere e cerca di descrivere anche gli stati d’animo dei protagonisti. Ed ecco un grandioso affresco storico che diventa piacevole racconto; a partire dal 44 a.C sul viale del tramonto della Repubblica romana …fino alla morte di Antonio e Cleopatra (la cui tomba non è mai stata ritrovata).

 

Tara Westover “L’educazione” –Feltrinelli- Euro 18,00

Opera prima della giovane scrittrice americana narra le vicende di una singolare famiglia mormone che vive sulle montagne dell’Idaho, i cui capisaldi sono la religione, l’isolamento, l’autosufficienza e l’attesa della fine del mondo. Il padre, mormone fino al midollo, è rigido al confine della follia; la madre fa quello che può, ma non riesce a smarcarsi dalla sottomissione femminile ancestrale. I figli Tara, Audrey, Luke e Richard non sono stati registrati all’anagrafe, non si sono mai seduti sui banchi di scuola, né hanno mai visto un medico. Niente libri e nessuna cognizione della storia o di tutto il mondo che sta fuori. Il padre esaltato ed opprimente ha instaurato una vita autarchica in cui i figli fin da piccoli vengono arruolati nei mille lavori (anche pesanti) della fattoria. Lui recupera metalli: la madre diventa, suo malgrado, ostetrica della comunità, abilissima nel preparare medicamenti a base di erbe. Un microcosmo lontano 1000 miglia dalla vita a cui noi siamo avvezzi. Inimmaginabile, eppure esiste davvero e la Westover lo racconta benissimo, con una notevole capacità di introspezione. Poi ecco lo spiraglio e la salvezza: Tara scopre l’educazione e con essa gli strumenti per emanciparsi, per svoltare e riannodare i nuovi fili del suo futuro. Un romanzo che parla di legami familiari, atteggiamenti borderline, volontà di cambiamento e la forza per attuarlo.

 

Giorgio Caponetti “Riccardo Gualino” – UTET – Euro 17,00

Soprattutto per i torinesi è affascinante leggere la biografia che racconta vita, imprese, raffinatezza, spregiudicatezza…e tutto quello che ha costellato la vita dell’imprenditore e principesco mecenate Riccardo Gualino e di sua moglie Cesarina. Il libro ripercorre l’incredibile avventura terrena di uno dei più ricchi e visionari uomini italiani del 900. Nato a fine 800 in una ricca famiglia di imprenditori biellesi, si lancia giovanissimo in un’ascesa vertiginosa in cui acquisisce aziende, banche, tantissime altre imprese, fonda la Snia in società con Giovanni Agnelli (che però poi gli farà un bello sgambetto). Nel 1928 la sua fama è alle stelle, tra i 5 uomini più ricchi d’Europa. Perché vede lontano, sogna in grande e anticipa i tempi, si occupa di Radio, cinema, trasporti, commerci vari ….di tutto un po’. Per lo più ha successo; a volte invece cade rovinosamente. Come quando acquista un immenso terreno sulla Nieva per costruire di sana pianta una nuova San Pietroburgo ispirata a Manhattan. Peccato non abbia avvertito le folate della Rivoluzione di Ottobre che gli sequestra tutto. Ma se c’è una cosa in cui Gualino è maestro è saper bypassare le sconfitte. La sua sarà una parabola tra ascesa, caduta e risalita. Ascendente: tra affari di successo, viaggi, amicizie importanti con i massimi personaggi del 900 (tra cui i Kennedy), ricchezza e mecenatismo a dismisura, dall’arte alla danza, al teatro. Poi discendente: con l’arresto nel 1931 “per aver nuociuto all’economia nazionale”, il sequestro di tutti beni, il carcere e il confino a Lipari decretato da Mussolini. La risalita: quando negli anni 50 lo ritroviamo a capo della Lux che produce i film nientemeno che di Visconti, Lattuada…. Tra alti e bassi avrà sempre al fianco la moglie Cesarina. La viziava comprandole tutto quello che voleva, soprattutto quadri -di Cimabue, Tiziano, Giotto….e poi Renoir, Modigliani e via così- creando la famosa e pregiatissima collezione Gualino. A stroncare quest’uomo unico è un ictus, a 85anni, il 6 giugno 1964. Cesarina gli sopravvive per 28 anni. Muore centenaria (a quota102) dopo aver vissuto da gran signora e sperperato abbondantemente nel periodo della vedovanza. Ai nipoti preoccupati rispondeva “Non mi importa quello che ho. Mi basta quello che avuto”.

 

E poi, in ordine sparso ecco i libri più belli dell’anno, da leggere se ancora non l’avete fatto.

 

Joël Dicker “La scomparsa di Stephanie Mailer” – La nave di Teseo – Euro 22,00

In realtà sono appassionanti tutti i suoi libri, a partire da quello che l’ha lanciato nell’Olimpo dei migliori giovani scrittori oggi sulla piazza “La verità sul caso Harry Quebert” (2013). Personalmente ho amato soprattutto “Il libro dei Baltimore” (2016).“La scomparsa di Stephanie Mailer” ruota intorno alle indagini per scoprire chi, nella cittadina di Orphea, nello stato di New York, ha massacrato la famiglia del sindaco, mentre vicino alla casa viene ritrovato anche il cadavere di una ragazza. Ma il mistero è ben più fitto…..

 

Mary Lynn Bracht “Figlie del mare” – Longanesi – Euro 18,60

Romanzo di esordio della scrittrice americana, di origine coreana, che vive a Londra. Nel 2002 ha voluto visitare il villaggio dov’era nata sua madre e scoperto la drammatica storia delle “comfort women”. Le donne che in Corea nel 1943 venivano catturate dai soldati giapponesi, deportate in Manciuria e rinchiuse in bordelli gestiti dall’esercito. Una brutale pagina storica rimossa dalla memoria dell’Occidente, ma che ha distrutto intere vite.

 

 

Pierre Lemaitre “I colori del’incendio” – Mondadori – Euro 20,00

E’ il secondo romanzo della trilogia inaugurata con “Ci rivediamo lassù”che è valso allo scrittore francese il Premio Goncourt nel 2013. In “I colori dell’incendio” il dramma si scatena nel 1927, giorno del funerale del banchiere Marcel Pericourt, che lascia le redini del colossale impero finanziario alla figlia Madeleine. Ma proprio durante le esequie il suo piccolo di 7 anni sembra compiere un gesto inspiegabile che cambierà per sempre le loro vite. Lemaitre con la sua maestria mette a fuoco la difficile lotta contro le avversità e ci racconta un indimenticabile personaggio femminile.

 

Christopher Bollen “Orient” – Bollati Boringhieri – Euro 20,00

Semplicemente splendido questo romanzo scritto dal talentuoso americano 43enne. Un thriller di altissimo livello ambientato negli Hamptons, dove molti artisti newyorkesi hanno comprato case- rifugi per i week end e c’è una certa tensione tra i nuovi arrivati e chi da sempre vive ad Orient. Gli abitanti guardano con sospetto gli stranieri, in modo particolare l’arrivo di un giovane orfano appena uscito dalla dipendenza dalla droga. Da quando c’è lui la tranquillità del paesino viene completamente sconvolta da una serie di omicidi. Ed ecco un magnifico affresco e un’indagine dell’animo umano. Bollen si destreggia abilmente tra segreti, frustrazioni, oscurità della vita interiore, sorrisi, lacrime e aggressività repressa.

 

Jeffrey Archer i primi 2 libri della sua saga dei Clifton. “Solo il tempo lo dirà” e

”I peccati del padre” – HarperCollins

L’autore è un personaggio poliedrico. Scrittore, saggista, drammaturgo, per 25 anni deputato della Camera dei Lord e membro del Parlamento Europeo. Nella sua trilogia (aspettiamo con ansia il 3° volume) narra l’epica storia di Harry Clifton e dei suoi discendenti a partire dal 1920. Tra Inghilterra ed America sullo sfondo della grande Storia ecco il dipanarsi di vite avventurose, privilegiate ma anche difficili, con oscuri segreti, scandali, avventure che emozionano e drammi familiari.

 

Concerto di Natale al Castello di Miradolo

Martedì e mercoledì 25 e 26 dicembre, ore 21,15

San Secondo di Pinerolo (Torino)

 

Sarà un’inedita ri-lettura da“Membra Jesu Nostri”, capolavoro barocco composto nel 1680 da Dietrich Buxtehude, curata ed eseguita da “Avant – dernière pensée”, a dare vita al tradizionale “Concerto di Natale” organizzato dalla Fondazione Cosso nella sede del Castello di Miradolo, in via Cardonata 2, a San Secondo di Pinerolo (Torino). L’appuntamento è per la sera di Natale e per quella di Santo Stefano, il 25 e il 26 dicembre, alle ore 21,15. “Il concerto – sottolinea Maria Luisa Cosso, presidente della Fondazione– vuole essere un invito a intraprendere un cammino attraverso le sale del Castello, sia fisicamente, negli spazi in cui avviene la performance, sia idealmente, nel proprio io, in un momento dell’anno fra i più densi di emozione”. Come di consueto, l’evento sarà preceduto, alle 20, da una guida all’ascolto curata da Roberto Galimberti, ideatore del progetto artistico, con il quale il pubblico potrà confrontarsi. Di particolare suggestione la scenografia che vedrà, quale immagine centrale, un’imponente scultura lignea, tesa a riflettere l’architettura del Castello e a sorreggerne, almeno apparentemente, il peso, sviluppandosi dalla biglietteria al piano nobile della dimora settecentesca, per invitare il pubblico a mettersi in viaggio. “Il rimando – affermano gli organizzatori – è all’immagine della Sacra Croce e al cammino ascensionale che il fedele conduce accompagnando Cristo nelle ultime ore di vita”. La partitura del più celebre fra i Maestri del giovane Johann Sebastian Bach presenta un ciclo di sette cantate, in lingua latina – dedicate alle parti del corpo flagellato, dai piedi alle mani, fino ad arrivare al cuore e al capo- e rappresenta una “meditazione mistica”, in cui gli strumenti, nella rilettura concepita per l’occasione (un violino, un armonium e un violoncello), incontrano le voci del basso e del soprano. Nelle sale del Castello, come “angoli di sosta”, particolari video installazioni tracceranno “scenari di solitudine e di abbandono”, in un ideale collegamento alle cantate. “E’ una trama invisibile quella che ciascuno può tessere, spostandosi negli spazi alla ricerca del proprio cammino”, sulle note suggestive degli esecutori: Roberto Galimberti (violino e direzione), Marco Pennacchio (violoncello), Laura Vattano (armonium), Cesare Costamagna (basso) e Arianna Stornello (soprano). L’audio e la supervisione tecnica è affidata a Marco Ventriglia; le luci a Edoardo Pezzuto.

Prenotazione obbligatoria al n. 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

g.m.

Nelle foto
– “Membra Jesu Nostri”
– Maria Luisa Cosso
– Castello di Miradolo

 

 

Mozart e Torino, un amore lungo tre secoli

mozartIl legame fra il grande compositore austriaco e la nostra città è risalente nel tempo: inizia infatti nel lontano 1771

Due anni prima, partendo dalla città natale di Salisburgo, Wolfgang, allora preadolescente ma già noto negli ambienti musicali europei, raggiunge l’Italia accompagnato dal padre Leopold. Quest’ultimo aveva programmato un tour di esibizioni nelle principali città italiane, dopo il successo riscosso con esibizioni presso le maggiori corti del continente, come Vienna, Parigi e Londra. Ai quei tempi, Torino era la gloriosa capitale del Regno di Sardegna, culla di cultura anche grazie all’importanza del Teatro Regio, allora uno dei principali teatri di corte di tutta Europa. L’intento di Leopold Mozart era quello di far ottenere al figlio un contratto per comporre un’opera per il Regio: lo si evince da una lettera rinvenuta nel 1996 nell’Archivio di Stato torinese, dove è tuttora conservata. In essa, il conte Firmian, plenipotenziario degli Asburgo a Milano, chiedeva al conte sabaudo Lascaris di Castellar un’intercessione presso il re Carlo Emanuele III di Savoia, per la concessione dell’incarico al giovane Wolfgang. La documentazione storica circa la visita in terra piemontese del grande musicista è esigua, quindi non si sa con certezza quale fu l’esito concreto di questo viaggio : ciò che è certo è quando arrivarono i Mozart in città, il 14 gennaio 1771, ed il posto dove alloggiarono, la locanda “Dogana Nuova”. Negli anni la locanda ha cambiato volto e nome, ed attualmente è nota come “Hotel Dogana Vecchia” : la posizione è sempre la stessa, in via Corte d’Appello 4, ha sulla facciata una targa commemorativa che ricorda il suo più illustre ospite, nonché una camera deluxe che porta il suo nome. Wolfgang festeggiò qui il suo quindicesimo compleanno, il 27 gennaio, per poi ripartire quattro giorni dopo, alla volta di Milano. L’ enfant prodige compirà successivamente altri due viaggi in Italia, sempre in compagnia del padre, ma non tornerà più a Torino. Da lì in poi, una vita di successi e di eccessi, che lo porteranno ad una morte prematura a soli 35 anni, ma ad una gloria  eterna grazie alle sue opere ed al suo genio.

Federica De Benedictis

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

 

A cura di Elio Rabbione

 

7 uomini a mollo – Commedia. Regia di Gilles Lellouche, con Mathieu Amalric, Guillaume Canet, Benoît Poelvoorde e Jean-Hugues Anglade. Sotto i cieli di Grenoble, un gruppo di quarantenni nel pieno di una crisi di mezza età (uno è diviso dalla moglie, un imprenditore cui gli affari non vanno certo bene, un musicista emblema di ogni fallimento), fisici non certo in piena forma, decide di formare la prima squadra di nuoto sincronizzato maschile della piscina che frequentano. Affrontando lo scetticismo e la vergogna di amici e familiari, allenata da una campionessa ormai tramontata e alla ricerca di conferme, il gruppo si imbarca in un’avventura fuori dal comune per riscoprire un po’ della propria autostima e imparare molto su se stessi e sugli altri. Durata 122 minuti. (Eliseo Blu, GreenwichVillage sala 1 e 2, The Space, Uci)

 

Amici come prima – Commedia. Regia di Christian De Sica, con Massimo Boldi, Christian De Sica e Lunetta Savino. Non è più il classico, vecchio cinepanettone cui per anni ci avevano abituati. I due comici tredici anni fa sembravano essersi detti addio, invece rieccoli inossidabili a reinventarsi un’altra storia. De Sica è un direttore d’albergo che di punto in bianco viene licenziato, troverà una nuova occupazione divenendo in abiti femminili la badante di quel proprietario che gli ha dato il ben servito per passare il tutto in mani cinesi. Quindi una nostrana Mrs Doubtfire, in Brianza. Sotto lo sguardo attento e forse calmante di Brando De Sica, a sorvegliare papà e ritrovato compagno. Durata85 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Ben is back – Drammatico. Regia di Peter Hedges, con Julia Roberts e Lucas Hedges. Ben (Lucas, figlio del regista, magnifica presenza di Manchester by the sea) soffre di gravi problemi di droga, sta tentando la disintossicazione presso un centro di recupero, torna a casa inatteso per le feste di Natale. La madre Holly si accorgerà ben presto del reale stato del suo ragazzo e dovrà fare di tutto perché anche il resto della famiglia non venga coinvolto nel dramma. Durata 98 minuti. (Ambrosio sala 1, GreenwichVillage sala 3 anche V.O., The Space, Uci)

 

Bohemian Rhapsody – Commedia musicale. Regia di Bryan Singer, con Rami Malek. La vita e l’arte di uno dei più leggendari idoli musicali di tutti i tempi, Freddie Mercury, leader dei britannici Queen, il rapporto con i genitori di etnia parsi, l’amore (sincero) per la giovane Mary, la trasgressione e l’omosessualità, i vizi privati e il grande successo pubblico, la sregolatezza accompagnata al genio musicale: il ritratto completo di un uomo e della sua musica, sino al concerto tenuto nello stadio di Wembley nel luglio del 1985. Durata133 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Harpo anche V.O., Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Bumblebee – Avventura. Regia di Travis Knight, con Hailee Steinfeld e Pamela Adlon e John Cena. Alla fine degli anni Ottanta, in fuga dal pianeta Cybertron, Bumblebee, simpatico robot, capita in un piccolo centro della California, dove sfigurato e pressoché inutilizzabile viene scoperto da Charlie, circa diciottenne, tuttavia sotto le forme di un bel Maggiolino giallo. A contrastare la loro amicizia ci si metterà persino il governo americano, che ha pensato ad un’alleanza con i cattivi del pianeta, sicuro che l’aliena rappresenti una minaccia per tutti. Durata 114 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Capri-Revolution – Drammatico. Regia di Mario Martone, con Marianna Fontana, Antonio Folletto e Reinhout Scholten van Aschat. Nel 1914 l’Italia sta per entrare in guerra. Una comune di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola di Capri il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte. Ma l’isola ha una sua propria e forte identità, che si incarna in una ragazza, una capraia di nome Lucia. Il film narra l’incontro tra Lucia, la comune guidata da Seybu, un giovane pittore, e il giovane medico socialista del paese. E narra di un’isola unica al mondo, la montagna precipitata nelle acque del Mediterraneo che all’inizio del Novecento ha attratto come un magnete chiunque sentisse la spinta dell’utopia e coltivasse ideali di libertà, come i russi che, esuli a Capri, si preparavano alla rivoluzione. Durata 122 minuti. (Eliseo Rosso, Massimo sala 1, Uci)

 

Cold War – Drammatico. Regia di Pawel Pawlikowski, con Tomasz Kot, Joanna Kulig e Agata Kulusza. Premio per la miglior regia a Cannes ed ora presentato agli Oscar come miglior film straniero. Girato in bianco e nero, è un omaggio del regista ai suoi genitori. Nella Polonia degli anni Cinquanta, dove la Storia è occupata dal grigiore quotidiano dell’occupazione sovietica, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Viktor, un pianista che segue i provini, nasce un grande amore, ma nel corso di un’esibizione a Berlino est, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. Si incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, con nuovi amori ma essi stessi ancora innamorati l’uno dell’altra. Ma stare insieme è impossibile, perché la loro felicità è perennemente ostacolata da una barriera di qualche tipo, politica o psicologica. Durata 85 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Colette – Biografico. Regia di Wash Westmoreland, con Keira Knightley e Dominic West. Gran successo al recente TFF. Nata e cresciuta in un piccolo centro della campagna francese, Sidonie-Gabrielle Colette (la futura scrittrice di Chéri e di Gigi: sarà lei stessa a imporre a Broadway per quest’ultimo ruolo, portato in palcoscenico, il nome di una pressoché sconosciuta Audrey Hepburn) arriva nella Parigi di fine Ottocento, piena di fermenti non soltanto letterari e artistici, dopo aver sposato Willy, un ambizioso impresario letterario. La donna è attratta da quel mondo così variopinto ed è spinta dal marito a scrivere, reinventando sui personali ricordi il personaggio di Claudine, pubblicandoli in una serie di volumi tutti pubblicati con il nome di Willy. I quattro romanzi, distribuiti lungo le varie età della protagonista, diventano ben presto un fenomeno letterario nonché l’immagine della emancipazione femminile. Mentre cresce insieme alla sua Claudine e afferma la propria personalità nella società del tempo, Colette decide di porre fine al suo matrimonio e inizia una battaglia per rivendicare la proprietà delle sue opere. Tra le pagine dei romanzi, tra le avventure nei letti non soltanto maschili, tra i personaggi storici che prendono posto man mano attorno a lei, tra le sue prove teatrali condite di coraggioso e sfrontato erotismo, nei bellissimi costumi inventati per la vicenda, la Knightley, pur supportata dalla regia eccellente nella descrizione di un’epoca, non sempre riesce a farci “amare” il personaggio, a rendercelo in ogni sua componente, positiva o negativa. Appare con ben altra dimensione Dominic West, eccentrico, infedele, sperperatore, ingannatore della povera consorte, quel Henry Gauthier-Villars che si firmava Willy e metteva alle sue dipendenze, come un negriero, i poveri scrittori più o meno alle prime armi ma pur sempre nella zona buia del suo studio/officina. Durata 111 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

La donna elettrica – Drammatico. Regia di Benedikt Erlingsson, con Halidora Geirharosdottir. Produzione islandese. Protagonista è Halla, direttrice di un coro, ma pure nei momenti di libertà un’arciera infallibile pronta a sabotare le linee elettriche del proprio paese, danneggiando con dei blackout l’intera industria. Ricercata, rimane ben ferma nelle proprie idee di rivolta, una cosa soltanto può fermarla: l’approvazione ad una sua richiesta di adozione. Come potrebbe continuare nella sua lotta personale sapendo che nella lontana Ucraina una bambina l’attende per potersi unire a lei e alla propria vita? Durata 101 minuti. (Massimo sala 2)

 

Lontano da qui – Drammatico. Regia di Sara Colangelo, con Maggie Gyllenhaal, Parkel Sevak e Gael Garcìa Bernal. Riproposta americana, di un originale israeliano firmato da Nadav Lapid, ad opera di una regista di origini italiane. Una maestra di scuola materna, una solitudine in mezzo a tanta gente, un marito e due figli, i giorni che si susseguono ai giorni, l’unico suo interesse sono quelle ore trascorse nella scuola dove nascono componimenti poetici, anche se lei stessa a volte si trova fuori posto, impreparata. Incontra Jimmy, un bambino di cinque anni, che inventa piccoli poemi, semplici e bellissimi, li scrive, li sussurra, li recita tra sé e sé, dapprima Lisa tenta di farli passare come suoi, poi dinanzi a quelle parole che racchiudono il mondo di un bambino tenta di spingere i contrari parenti ad apprezzare quelle doti. Durata 96 minuti. (Massimo sala 2 V.O.)

 

Macchine mortali – Fantasy. Regia di Christian Rivers, con Hugo Weaving, Hera Hilmar e Robert Sheenan. Co-sceneggiatore e produttore del film Peter Jackson, l’artefice del Signore degli Anelli, la storia ambientata in un futuro apocalittico dove megalopoli vaganti per il mondo distruggono i piccoli centri, dove la identità della giovane Hester, sfigurata e vendicativa contro chi le ha uccisa la madre, verrà svelata da Tom, dove il nemico da distruggere è Thaddheus Valentine, l’archelogo a capo della Corporazione degli Storici. Ogni avventura mentre Londra si innalza di sette piani e i livelli più bassi sono avvolti dai fumi di scarico dei motori. Avvenierismi e grande tecnologie. Durata 128 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Non ci resta che vincere – Commedia. Regia di Javier Fesser, con Javier Gutierrez e Juan Margallo. Marco Montes è allenatore in seconda della squadra di basket professionistica CB Estudiantes. Arrogante e incapace di rispettare le buone maniere viene licenziato per aver litigato con l’allenatore ufficiale durante una partita. In seguito si mette alla guida ubriaco e ha un incidente. Condotto davanti al giudice, è condannato a nove mesi di servizi sociali che consistono nell’allenare la squadra di giocatori disabili “Los Amigos”. L’impatto iniziale non è dei migliori e Marco cerca di scontare la sua condanna con il minimo sforzo convinto di trovarsi di fronte a dei buoni a nulla dai quali non potrà ottenere dei risultati apprezzabili. A poco a poco i rapporti cambieranno. Durata 124 minuti. (Classico)

 

Old man & the gun – Azione. Regia di David Lowery, con Robert Redford, Sissy Spacek, Danny Glover e Casey Affleck. Il film (che Redford ha giurato essere l’ultimo nelle vesti d’attore, volendosi dedicare esclusivamente a dirigere e produrre) è ispirato alla storia vera di Forrest Tucker, un uomo che ha trascorso la sua vita tra rapine in banca ed evasioni dal carcere. Da una temeraria fuga dalla prigione di San Quentin quando aveva già 70 anni fino a una scatenata serie di rapine senza precedenti, Tucker disorientò le autorità e conquistò l’opinione pubblica americana. Coinvolti in maniera diversa nella sua fuga, ci sono l’acuto e inflessibile investigatore John Hunt, che gli dà implacabilmente la caccia ma è allo stesso tempo affascinato dalla passione non violenta profusa dal fuorilegge nel suo mestiere e da una donna, Jewel, che lo ama nonostante la sua professione. Durata 90 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Romano sala 2, Uci)

 

Il ritorno di Mary Poppins – Commedia. Regia di Rob Marshall, con Emily Blunt, Colin Firth, Angela Lansbury, Dick van Dyke e Meryl Streep. Forse il film più atteso dell’anno, “la ragazza del treno” come protagonista. Al posto di Julie Andrews, tata non più dimenticata da oltre cinquantanni. Nella Londra del 1930 colpita dalla Grande Depressione, ancora la famiglia Banks con il cresciuto Michael, vedovo, a dover badare ai suoi tre marmocchi, con l’aiuto della sorella Jane. In una simile situazione ecco che Mary Poppins deve tornare, anche questa a prendersi cura dei ragazzi. Durata130 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Groucho e Harpo, GrenwichVillage sala 1 e sala 2 anche V.O., Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)

 

Roma – Drammatico. Regia di Alfonso Cuaròn, con Yalitza Aparicio e Marina de Tavira. Girato in bianco e nero, Leone d’oro quest’anno a Venezia, il titolo ricorda il nome di un sobborgo della periferia di Città del Messico. Siamo agli inizi degli anni Settanta, è la storia di Cleo, domestica al servizio di una famiglia altoborghese. Rimasta incinta e abbandonata dal ragazzo, condivide con la padrona abbandonata dal marito lo stesso dramma. Cuaron descrive le due donne, appartenenti a due classi sociali diverse, e le loro giornate impiegate nell’educazione dei figli, mentre intorno a loro gruppi militari e paramilitari colpiscono giovani studenti, in quello che verrà ricordato come il Massacro del Corpus Domini, nel giugno del ’71. Opera matura di Cuaròn: il ritmo a tratti (specialmente nella mezz’ora iniziale) troppo lento non impedisce affatto allo spettatore di appassionarsi alle giornate di Cleo, al suo amore per i figli della padrona (in un brano che è un piccolo capolavoro arriverà a salvarne due dalle alte onde del mare), alla fiducia in un ragazzo che l’abbandona su due piedi, alla gravidanza e alle visite in ospedale, a quanto le succede intorno (mentre va in un negozio per comprare la culla alla sua bambina che nascerà morta, assiste dall’alto ai disordini tra studenti e polizia, altro bellissimo momento, raccontato da Cuaròn con una “pietas” davvero indimenticabile. Il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) ha designato “Roma” “Film della Critica” con la seguente motivazione: “Con una sontuosa e sensibile messa in scena, resa ancor più efficace dall’uso di un nitido bianco e nero decolorizzato, Alfonso Cuaròn ci guida nella sua epica di ricordi personali, dove i suoi e i nostri occhi sono quelli di una piccola grande donna, vera testimone della formazione esistenziale del regista ma anche della vita di un paese alle prese coi turbolenti travagli di un’epoca”. Durata 135 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Santiago, Italia – Documentario. Regia di Nanni Moretti. Film di chiusura del TFF, l’autore di Habemus Papam” e di “Mia madre”, attraverso materiali documentaristici e le parole dei protagonisti, descrive i giorni che seguirono alla presa di potere di Pinochet nel Cile del 1973 e soprattutto il peso che la nostra ambasciata a Santiago ebbe nel dare rifugio alle centinaia di perseguitati politici alla ricerca di un rifugio sicuro. Durata 80 minuti. (Romano sala 1)

 

Il testimone invisibile – Thriller. Regia di Stefano Mordini, con Riccardo Scamarcio, Miriam Leone, Fabrizio Bentivoglio e Maria Paiato. Adriano Doria, un giovane imprenditore di successo, viene colpito alla testa in una camera d’albergo chiusa dall’interno e si ritrova accanto il corpo senza vita della sua amante, l’affascinante fotografa Laura. Viene accusato di omicidio ma si proclama innocente. Per difendersi, incarica la penalista Virginia Ferrara, famosa per non aver mai perso una causa. L’emergere di un testimone chiave e l’imminente interrogatorio che potrebbe condannarlo definitivamente, costringono cliente e avvocato a preparare in sole tre ore la strategia di difesa e a cercare la prova dell’innocenza. Spalle al muro, Adriano sarà costretto a raccontare tutta la verità. Bell’esempio di giallo d’ambiente italiano, girato tra la Milano da bere e i boschi del Trentino, serrato, inatteso, con una sceneggiatura attenta ad ogni giravolta della vicenda, con il protagonista Scamarcio che non sfigura e un Bentivoglio che è tutto da applaudire nel suo personaggio di padre dolente che nel corso delle ricerche ha capito tutto. Durata 102 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Troppa grazia – Drammatico. Regia di Gianni Zanasi, con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston e Valerio Mastandrea. Lucia è una geometra che vive sola con sua figlia. Il comune un giorno le affida un controllo su un terreno scelto per costruire una grande opera architettonica. Qualcosa su quelle mappe non va, ma per paura di perdere l’incarico decide di non farne parola con nessuno. Il giorno dopo, sul lavoro, viene interrotta da quella che sembra una giovane “profuga”: la sera la rivede all’improvviso nella cucina di casa sua e le sente dire “vai dagli uomini e di’ loro di costruire una chiesa là dove ti sono apparsa…”. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Un piccolo favore – Thriller. Regia di Paul Feig, con Blake Lively e Anna Kendrick. Due madri, Stephanie, madre single e vedova, incontra un giorno Emily, la madre di un amichetto di suo figlio, bella e assai sicura di sé, un marito con cui condividere le giornate. Un giorno Emily chiede a Stephanie di prendersi cura per poche ore di suo figlio e sparisce. Emily comincia a indagare sulla donna, sulla madre, sull’amica. Ne nasce una ricerca basata su menzogne, su cose non dette, su un’esistenza sconosciuta. Film che andrebbe benissimo per una sera televisiva, sconcertante nella recitazione della Kendrick, con una sceneggiatura fatta di azioni e di meccanismi già visti cento volte, di quelli che ti aspetti fin dal primo quarti d’ora. Abbandonare subiti se mai ce l’aveste in elenco tra i film da vedere. Dal romanzo di Darcey Bell. Durata 116 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Widows – Eredità criminale – Thriller. Regia di Steve McQueen, con Viola Davis, Liam Neeson, Cynthia Erivo, Colin Farrell, Robert Duvall e Michelle Rodriguez. Veronica Rawlins è sposata con Harry che muore durante un colpo compiuto ai danni del gangster Jamal Manning, pronto a entrare in politica. Il colpo di Harry finisce non solo in una strage in cui muore tutta la sua banda ma pure in un incendio che brucia tutto quanto il denaro, tanto che Jamal decide di chiedere un risarcimento a Veronica, cui Harry tra l’altro ha lasciato una ricca cassetta di sicurezza in cui è nascosto il suo quadernetto d’appunti con le note per il prossimo colpo. Veronica decide di realizzare quella rapina e cerca di convincere le altre vedove a essere sue complici. Durata 129 minuti. (Classico)

Lo Schiaccianoci di Cajkovskij all’Auditorium Rai

Il balletto, composto per ultimo, ma tra i più celebri, è il protagonista del Concerto di Natale 

 

Sarà lo Schiaccianoci, uno dei balletti più celebri di Petr Il’ic Cajkovskij, il protagonista assoluto del concerto di Natale in programma quest’anno all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino venerdì 21 dicembre alle 20.30, per la direzione di James Conlon, con l’Orchestra Sinfonica della Rai. Dopo aver eseguito lo scorso anno la Suite op. 71 dello stesso compositore, che raccoglie i suoi brani più celebri, Conlon ha deciso quest’anno di proporre sotto forma di concerto la partitura integrale del balletto in due atti con cui il compositore russo prese congedo dal genere nel 1892, un anno prima della morte. “Lo Schiaccianoci, come “Il lago dei cigni” e “La bella addormentata nel bosco” – spiega James Conlon – costituisce un capolavoro coreografico a carattere sinfonico che ha rivoluzionato la concezione della musica per il balletto, una musica non soltanto di accompagnamento alla danza, ma capace di generarla ed ispirarla. A Cajkovskij si deve, infatti, la formalizzazione di uno stile che indurra’ quasi tutti i grandi compositori del Novecento a cimentarsi in questo genere almeno una volta nella loro produzione”. Lo Schiaccianoci, rappresentato per la prima volta al teatro Mariinskij di San Pietroburgo con le coreografie di Marius Petipa, fu suggerito al compositore da un’idea letteraria di Alexander Dumas padre intitolata l'”Histoire d’un casse-noisette”, che riprende a sua volta una fiaba di Hoffmann dal titolo “Schiaccianoci e il re dei topi” , pubblicata nel 1861, a metà tra la sfera onirica e quella del reale che caratterizza la favola. Si tratta di uno dei punti di arrivo del balletto romantico, che, a distanza di pochi anni, sarebbe entrato in crisi. Questo genere di balletto aveva trovato a Parigi ed a Milano i suoi centri più produttivi, ma fu poi proprio in Russia, a San Pietroburgo, dove lo Zar non era certo avaro con le arti, che i migliori coreografi parigini e le più amate ballerine italiane trovarono ospitalità al teatro Mariinskij e nelle altre scene russe, tra cui il Bolshoj. Ha a lungo pesato sulle fortune critiche di questo balletto il pregiudizio, soprattutto da parte della musicologia britannica, che dovesse costituire un fratello minore sia de “La bella addormentata nel bosco” sia de “Il lago cigni”, ma proprio nella vaghezza del suo procedere e nel suo rifuggire dal pathos sta la sua superiore attualità rispetto ai primi due. Il balletto, in due atti e tre quadri, si sviluppa attraverso tre motivi narrativi, in un crescendo spettacolare che culmina in un momento di supremo romanticismo, con l’apoteosi dell’amore e delle nozze.

 

Mara Martellotta

“Viva la Fede”, una vivace parrocchia

Il 21/22 Dicembre ore 21. Di e con Villata e Perone. Piccolo Teatro Comico Torino Via Mombarcaro 99 Il Piccolo Teatro Comico di Torino presenta Mauro Villata e Gianpiero Perone in W LA FEDE un nuovo ed esilarante spettacolo. Una carrellata di strani e improbabili personaggi che ruotano nella vita di Don Elio (Lo scout “Falchetto”, Il sig. Cardone, L’attore…) si alterneranno sul palco al fianco di Gianpiero Perone in un susseguirsi di sketch. Avete sempre pensato che la vita in una parrocchia sia noiosa? Siete sempre stati convinti che tra oratorio, chiesa e sacrestia ci sia ben poco da divertirsi? Niente di più sbagliato! Nella parrocchia di San Papocchione ci si diverte e anche tanto! E’ arrivata un’ispezione voluta dall’alto e tutto deve essere a posto. Guidati da Don Elio, un parroco sicuramente fuori dal comune, sarete catapultati in un mondo folle pieno di strani personaggi. Da Quinto, il giardiniere della parrocchia, all’insegnante di recitazione per bambini dell’oratorio. Dal piccolo falchetto del gruppo scout, al signor Cardone, un anziano alle prese con strane richieste di miracoli. Il colpo di scena finale sarà una promozione davvero inaspettata ma non possiamo dirvi di più. Gianpiero Perone e Mauro Villata sono pronti a farvi convertire alle risate e al divertimento, non ve ne pentirete!

Il desiderio di conoscere che può condurre alla pazzia

Un sogno, all’inizio: “Vidi in esso un cortile profondo e senza uscita, e da questa immagine paurosa nacque Così è (se vi pare)”, confessò un giorno Luigi Pirandello

Un’immagine che, prima della “parabola in tre atti”, avrebbe avuto il suo primo svolgimento in La signora Frola e il signor Ponza, suo genero, la novella che dava un nome, Valdana, al luogo della vicenda e che affidava al solo genere femminile quell’ansia di sapere, di interrogare, di arrivare finalmente ad una verità inarrivabile. Poi – nell’aprile del 1917 – l’autore confidava al figlio Stefano, prigioniero in mano agli austriaci, di aver dato al palcoscenico (andrà in scena due mesi dopo) una nuova commedia, con il confronto non secondario con le teorie freudiane e con la vita familiare che in quegli anni ruotava attorno alla pazzia e al definitivo ricovero della moglie Antonietta Portulano. È composta da tanti preamboli questa “parabola”, in incastri geometrici, che osserva freddamente e con passione allo stesso tempo un più anonimo “capoluogo di provincia” in cui s’installano, sfuggiti a quel terremoto che distrusse un secolo fa la Marsica con un peso di oltre trenta mila vittime, il nuovo segretario prefettizio Ponza, la suocera e la moglie del Ponza, mai vista quest’ultima da nessuno nei primi mesi di permanenza: affermando i primi due, sotto il pungolo della curiosità del paese – e chiusi anch’essi in quella “stanza della tortura” che lega personaggi e situazioni del teatro pirandelliano -, di tener segregata la moglie in casa (dice lui) e di vietarle di vedere, se non di lontano, la madre, perché quella giovane donna altri non è che la sua seconda moglie mentre la vecchia, impazzita, la crede sua figlia, quando al contrario, in una incomparabile protezione per il genero, sostiene lei, sua figlia è viva e il pazzo è Ponza che la crede morta, sottrattagli in un primo tempo “per soverchio amore” e ricoverata in una casa di salute, da cui ritornò, dovendosi allora simulare un secondo matrimonio per farla accettare a lui. Al centro il raisonneur Laudisi, che ha i tratti di Pirandello, con i suoi spiazzamenti, con le risate a far da firma ai tre atti e gli sberleffi, con l’affermare e il negare, con il suo continuo prendersi gioco di tutto e di tutti. Mentre un intero paese attende di conoscere la verità. Anche l’esistenza teatrale, sul versante pirandelliano, di Filippo Dini, nato in scuola genovese, recalcitrante metteur en scène di questo Così è (se vi pare) – il suo primo – tra le produzioni della stagione dello Stabile torinese (lunga tenitura, fino al 6 gennaio al Carignano), è punteggiata di preamboli. Un confessato “sguardo snob” nei confronti dell’autore, come tanti altri nomi della sua generazione (di quarantenni avanzati), di una lingua “vecchia e insopportabile” e “che ci ha soltanto annoiato”, di trame contorte e di pistolotti e fumisticherie finali che denunciavano tutta la insopportabilità possibile: poi la rivelazione di “segreti pieni di fascino e di novità” (magari sopravvivendo l’insano desiderio di cancellare dal palcoscenico il personaggio “terribile” di Laudisi che guarda ogni cosa dall’alto). E allora Dini scava, nel bene e nel male, vuole andare oltre, senza timori. Non ce lo fa certo trattare come trattarono Pirandello gli spettatori dei Sei personaggi al debutto del Valle se scompone i tre atti in due parti e suggerisce un nuovo ordine cronologico suddiviso in giornate, se abolisce personaggi (secondarissimi), se inserisce panorami e rimandi religiosi sin dal titolo o si riallaccia al surrealismo di Bunuel: guardiamo fin dall’inizio con attenzione e allo stesso tempo con una certa ritrosia la strada che s’è messo a seguire, nella domanda continua di dove andrà a finire. Quando scatta l’intervallo, è chiaro che un certo disappunto esiste e sta per prendere il sopravvento. Guardato come lo spartiacque dello spettacolo, il monologo di Laudisi è ancora dinanzi allo specchio, qui deformato, con un microfono a raccogliere echi e sbavature della voce, il personaggio ritto in piedi, mentre finora lo si è visto su una sedia a rotelle, accudito da un’infermiera. Il tutto è risolto in un sogno (un sogno che credo nessun altro aveva immaginato in precedenza) che per un attimo invade la partitura. Idea difficile da accettare, per un Laudisi assai solido e sempre sul filo del ragionamento, che non appartiene alla tragicità dei “diversi”, di quelli che vengono da lontano e neppure al cicaleccio pettegolo della comunità, all’informazione ad ogni costo. “Un problema alle gambe”, ci suggerisce Dini, forse un malato immaginario, psicanalisi aiutandoci, allargando subito quella instabilità fisica e mentale che alloggia nella casa borghese, nella famiglia. Non soltanto l’eterno sospetto quindi che o il signor Ponza o la signora Frola sia il pazzo – o in opposto il suggerimento ora che quella pietà in cui si sono raccolti e hanno trovato un equilibrio dia loro la patente della “ragione” -, anche i cittadini coltivano quel tarlo: un cameriere (inventato da Dini, tra pulizie e svolazzi, all’occorrenza, coi kleenex, pronto ad abbandonare la casa con il collega come la servitù nell’Angelo sterminatore) o la padrona di casa, che va e viene a suon di bicchierini e pillole, tutti quanti ad essere nel finale quasi schiacciati dalla scenografia di Laura Benzi (quasi un luogo sacrale, una fuga molto bella di stanze e corridoi scamozziani, un intreccio di sguardi multipli, di ti vedo e non ti vedo, quale sia il posto dello spettatore in platea o in un palco, a camuffare ancor di più la precarietà della realtà, l’inesistenza della verità), ridisegnati come gli ospiti di un ospedale psichiatrico. “Oggi”, sottolineerebbe l’autore, la pazzia è altra e altrove, si batterebbe ancora in “una sfida alle sue – (del pubblico) – opinioni e soprattutto alla sua quieta morale”. Un percorso registico difficile da accettare nella sua completezza, una rispettabile “ricostruzione” che a volte stride nelle invenzioni, nelle forzature, nel linguaggio corretto anche da soluzioni nuove, da frammenti di dialogo che in Pirandello non trovereste mai. Dini aggiusta, Dini ricompone. Allora, Dini o l’autore legittimo? Ma un percorso e una rilettura che spingono a cercare immagini, dettagli importanti, soluzioni inattese, a ribaltamenti mai suggeriti cui concorrono le eccellenti interpretazioni di un corposo quanto fragile e disperato Giuseppe Battiston, di Maria Paiato segnata dal dolore e dalla remissione, dello stesso Dini che ritaglia per sé il ruolo di Laudisi, intaccato come s’è detto dal “disordine”. S’adattano con anima e corpo, perfettamente, alle silhouette che il regista ha inventato per loro Nicola Pannelli, Mariangela Granelli, Ilaria Falini e Orietta Notari, a ricevere con i loro compagni gli applausi nelle varie chiamate e anche qualche fischio, assai più timido tuttavia, come ai vecchi tempi.

 

Elio Rabbione

 

 

 

Le foto dello spettacolo sono di Bepi Caroli; nell’ordine Benedetta Parisi, Maria Paiato e Giuseppe Battiston; Giuseppe Battiston con Nicola Pannelli, Orietta Notari, Ilaria Falini, Dario Iubatti, Filippo Dini e Francesca Agostini; Maria Paiato e Giuseppe Battiston; Filippo Dini e Benedetta Parisi; una scena d’insieme

Madame Reali in mostra

Apre il 20 dicembre, a Palazzo Madama, nella Sala Senato la mostra Madame reali: cultura e potere da Parigi a Torino che proseguirà fino al 6 maggio 2019

Spesso ci si interroga sul come Casa Savoia sia diventata la dinastia italiana per eccellenza. Questo, però vale per tutte le grandi famiglie e non solo per le casate nobiliari che dal niente diventano imponenti. Come sempre, molto è dovuto a combinazioni fortuite che, anche nella storia sono fondamentali, ma non basta, altrettanto è merito degli uomini e delle donne che le hanno guidate. In quest’ottica, una mostra a Torino, a Palazzo Madama, con oltre 120 opere , tra dipinti, oggetti d’arte, arredi, tessuti, gioielli, oreficerie, ceramiche,disegni e incisioni, rende omaggio a due grandi donne che hanno contribuito all’ascesa dei Savoia . Le Madame Reali, la regina Cristina di Cristina di Francia o più esattamente Chrestienne de France, figlia del re di Francia Enrico IV di Borbone e di Maria de’ Medici che arriva, a Torino da Parigi, come accadeva allora, per un matrimonio combinato, nel 1619, all’età di tredici anni per sposare Vittorio Amedeo I di Savoia. L’altra Madama Reale è Maria Giovanna Battista di Semour, donna di pace, di carità, di grandi committenze. Nipote di Enrico IV di Francia,Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, dama di corte della regina di Francia, lascia nel 1665 la reggia di Luigi XIV, il Re Sole, per diventare duchessa di Savoia. Vedova dal 1675, Maria Giovanna Battista regge il ducato fino al 1684, quando il figlio Vittorio Amedeo II assume d’autorità il potere. Nel periodo in cui governa si trova a fronteggiare la povertà causata in Piemonte dalle grandi carestie degli anni 1677-1680 e per aiutare i più bisognosi istituisce un Monte di prestito e fonda anche l’ospedale di San Giovanni Battista e promuove l’Accademia di Belle Arti di Torino e invita l’architetto messinese Filippo Juvarra a realizzare il grandioso scalone d’onore di Palazzo Madama, testimonianza perenne del Barocco europeo. Le opere esposte provengono da prestiti di collezionisti privati e da importanti musei italiani e stranieri. Tra gli artisti in mostra: Anton Van Dyck, Frans Pourbus il giovane, Giovanna Garzoni, Francesco Cairo, Philibert Torret, Giovenale Boetto, Jacques Courtilleau, Charles Dauphin, Pierre Gole, Carlo Maratta, Maurizio Sacchetti,Filippo Juvarra. La mostra voluta dal direttore di Palazzo Madama e curata Guido Curto e dalle conservatrici del museo Clelia Arnaldi di Balme e Maria Paola Ruffino è allestita nella Sala del Senato dal 20 dicembre 2018 al 6 maggio 2019 a cura dell’architetto Loredana Iacopino.

Tommaso Lo Russo

(foto Federico Palumbo)

***

Gli orari: lun-dom 10.00-18.00, chiuso il martedì.

La biglietteria chiude 1 ora prima Biglietti : Intero 10 € Ridotto 8 € Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Info per il pubblico:palazzomadama@fondazionetorinomusei.it

– tel. 011 4433501-www.palazzomadamatorino.it

 

Le adolescenti “Regine Neogotiche” di Titti Garelli

Fino al 20 dicembre

Perfette e bellissime. Ma, in verità, anche un tantino inquiete e inquietanti, pur se “incarnate” in una bellezza strepitosa (risolta in chiave artistica con una stupefacente maestria di mestiere e una creatività che gioca in totale arbitrio fra voli di alta fantasia e rivoli inaspettati di magico lirismo) queste “Queens”, adolescenti “Regine Neogotiche”, portate in mostra da Titti Garelli negli spazi della Galleria “metro quadro” di Marco Sassone, in corso San Maurizio, a Torino. Dagli anni Ottanta sono ormai loro, le dark ladies, le inseparabili “Cattive Ragazze” della Garelli, pittoricamente raccontate (insieme e dopo la brillante esperienza compiuta dall’artista torinese nel campo dell’illustrazione pubblicitaria) attraverso i cicli delle “Bambine Cattive” e de “Il giro del mondo con Ottanta bambine”, fino ad arrivare alle attuali “Queens”; regine adolescenti che attraversano i secoli, all’apparenza ciniche e maliziose, altere e glaciali, emergenti da fondi neri o a foglia d’oro, elegantissime in corazze di antica e vistosa eleganza (con complicatissime acconciature, trecce e treccine, svolazzi e velluti, merletti e barocche gorgiere, collane anelli e guanti policromi, piumaggi e perle e perline), perfette trascrizioni per immagini di ben particolari suggestioni letterarie e cinematografiche. Dell’amore ad esempio per “la letteratura neogotica e pre-romantica, per i racconti popolari dell’800 – racconta la stessa Garelli – e per il cinema horror e fantasy, dal ‘Nosferatu’ di Murnau a quello di Herzog, con uno sguardo però sempre attento al contemporaneo, all’instant-book, all’avvenimento del giorno o anche solo alla quotidianità di un cibo o di una bevanda”. Certa letteratura e certo cinema, insomma. E poi, “altra grande monade ispiratrice, la Pittura del Passato, quella che si spiegava da sé e da cui rubo (cito?) colletti, gioielli, mantelli, mescolandoli ad altri assolutamente contemporanei per creare un gioco di ambigua atemporalità, dove non è importante riconoscere la fonte, ma può essere divertente identificarla come in un giochino enigmistico”. Il passato. E il presente. Insieme. Pigiati, a volte, in ironiche e intriganti sciarade di non sempre facile soluzione. Dove non mancano pur anche riferimenti all’“estetica del web”, così come al “linguaggio illustrativo gotico-dark-kitsch, mediato dai videogiochi, dalla mitologia nordico-finnica, e condito perfino da rimandi giapponesi”. Come in “Noh Mask Queen”, acrilico e foglia d’oro su tavola del 2016, con le maschere iconiche tipiche della più antica arte teatrale del Sol Levante. Molto interessante anche l’inserimento narrativo, in accoppiata con le “Regine”, di variopinti improbabili animali esotici: dall’Ara Macao (“Ara Macao Queen”) originaria dell’America tropicale al Canadian Sphinx di “Corallina” (gatto completamente glabro) anche lui, in qualità di “principe” con tanto di gorgiera, fino al verde Basilisco o al leggendario piccolo Drago di “Mother of Dragons”, così come al grande Tucano (“Regina del Caffè”) dal vistoso becco giallo-arancio. Mirabile la leggiadra, armonica compostezza della “Regina delle Magnolie”, acrilico su tavola del 2017, dove la lievità del soggetto e del colore (con il prevalere dei rosa, dei bianchi e dei più tenui turchesi) piacevolmente distrae da pagine di più misterica narrazione. Il tutto nell’assoluta perfezione di una pittura rigorosissima che, in ciò, ancora risente dei preziosi insegnamenti all’Accademia Albertina del grande Sergio Saroni. Non meno che della fatal attrazione per quella “pittura del passato che si spiegava da sé”, per la grandezza dell’arte fiamminga – delle Fiandre di Van Eyck o di van der Weiden – o del Rinascimento fiorentino e del Barocco o, ancor prima, di quel Gotico Internazionale (rispecchiante i fasti delle maggiori corti europee), di cui la pittrice si fa da anni fervente depositaria e complice devota, esaltandone l’erudita preziosa e raffinatissima scrittura pittorica. Personale da non perdere, questa di Titti Garelli, presente anche con due straordinari acquerelli alla mostra “Ad acqua” in corso all’Accademia Albertina di Torino, fino al 27 gennaio dell’anno prossimo: un omaggio alla difficile tecnica dell’acquerello attraverso i lavori di docenti e allievi dell’Albertina e di altri importanti artisti torinesi, collocabili dalla seconda metà del Novecento ad oggi. Da segnalare infine la collaborazione, per quanto riguarda la rassegna ospitata alla “metroquadro“, con la boutique “Vincent.Tulipano fatto a mano” di via della Rocca 6/F a Torino, dov’è in vendita tutta la linea coordinata di accessori (borse, borsette e foulards e monili e tanto altro ancora) creati dall’artista.

Gianni Milani

“Titti Garelli. Queens”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino

Fino al 20 dicembre – Orari: mart. – sab. 16/19

***

Nelle foto

– “Tulipa”, acrilico su tela, 2017-2018
– “Noh Mask Queen”, acrilico e foglia oro su tavola, 2016
– “Ara Macao Queen”, acrilico e foglia oro su tavola, 2016
– “Corallina and the Prince Sphinx”, acrilico su tela, 2017
– “Regina del Caffé”, acrilico su tela, 2018
– “Regina delle Magnolie”, acrilico e foglia oro su tavola, 2017

“Matite per Riace”: oltre 500 opere all’asta

Al “Gruppo Abele” di Torino  mostra al servizio del “Progetto Riace” dopo l’arresto e l’allontanamento del sindaco Lucano

In poco più di un mese la “chiamata alle arti” di “Matite per Riace”, iniziativa volta a sostenere progetti umanitari a favore dei rifugiati politici e immigrati in genere nella cittadina della Locride, ha raccolto l’adesione di 75 artisti (illustratori, fumettisti e disegnatori fra i più interessanti e noti a livello internazionale) e una montagna di opere, ben 550, che andranno all’asta il prossimo giovedì 20 dicembre, nella sede del “Gruppo Abele”, in via Sestriere 84 a Torino, dove resteranno comunque in mostra fino al 6 gennaio 2019. Dall’istrionico Staino (papà di Bobo) all’irrequieto toscanaccio Vauro, fino al milanese Guido Scarabattolo, al giovane romano Martoz (al secolo, Alessandro Martorelli), così come all’alessandrino futur-cubista Riccardo Guasco o alla romana di stanza a Parigi Il Pistrice (al secolo, Francesca Protopapa), gli illustratori che hanno risposto all’appello provengono da ogni parte d’Italia, ma anche dalla Francia, dalla Spagna, dalla Germania, dall’Inghilterra e dall’Iraq. L’iniziativa è nata dalla “Caracol Art Gallery”, galleria d’illustrazione torinese, dopo l’arresto (il 2 ottobre scorso, con l’accusa, fra l’altro, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, diventato celebre in tutto il mondo per il suo approccio ai temi scottanti dell’accoglienza e dal 13 dicembre “esule” da Riace dopo la revoca degli arresti domiciliari. La “Caracol” ha prima creato la pagina Facebook, e poi quella Instagram, Matite per Riace, lanciando una vera e propria “chiamata alla arti”: in pochissimi giorni, la pagina è cresciuta esponenzialmente, superando in poco più di un mese i seimila like e coinvolgendo disegnatori professionisti e non. Tutti hanno deciso di dare il loro sostegno alla causa, mettendo a disposizione le loro opere. Quelle che ora compongono questa grande mostra e che andranno, per l’appunto, all’asta nella serata di giovedì prossimo: il ricavato andrà alla raccolta fondi lanciata a favore dei circa 450 immigrati di Riace di cui, ancora a oggi, non si sa quale sarà il futuro, dalla RE.CO.SOL (Rete dei Comuni Solidali) #IostoconRiace.

L’asta

L’asta si svilupperà in due tranche. Vi sarà un’asta “classica” – a rialzo e con battitore- dei lavori degli autori più prestigiosi che hanno aderito all’invito, mentre tutte le altre tavole, articolate fra lavori originali e stampe di illustrazioni digitali verranno messe in vendita con una base d’offerta minima. Sarà così possibile portarsi a casa un disegno come ricordo o come regalo natalizio.

Gli ospiti

Durante la serata di giovedì 20 interverranno alcuni ospiti d’eccezione: su tutti i poeti Guido Catalano e Alessandra Racca, che hanno coinvolto altri colleghi e leggeranno poesie sul tema. Con loro, ci sarà anche Luca Morino, scrittore e leader della band Mau Mau. Tra le autorità porterà il suo saluto Nino Boeti, presidente del “Comitato Resistenza e Costituzione” e del Consiglio Regionale del Piemonte. Per RE.CO.SOL sarà presente Chiara Sasso, autrice del libro “Riace, una storia italiana”.

I partners

La serata è realizzata in collaborazione con il Gruppo Abele, con il supporto del Coordinamento Regionale dell’Anpi, di Arci Torino e di Byblos Publishing. “Si tratta di un’iniziativa totalmente spontanea, non calcolata. Sono rimasto  impressionato dalla portata che ha raggiunto e dalla risposta che ha avuto - dice Federico Cano Correa di ‘Caracol Art Shop Gallery’ - Credo che l’esempio dei profughi curdo-siriani che in un centro d’accoglienza iracheno hanno realizzato, e poi inviato i loro lavori, sia la storia che meglio riassume l’intento di ‘Matite per Riace’”.E Andrea Polacchi, presidente di Arci Torino ricorda: “A partire dal 2009 con il progetto ‘I Colori della Memoria’ siamo vicini alla straordinaria esperienza di Mimmo Lucano a Riace. Per questo, a dieci anni di distanza, abbiamo accolto con entusiasmo la proposta di collaborazione a ‘Matite per Riace’, progetto in cui l’arte e gli artisti si mettono a servizio di una vera cultura dell’accoglienza e di integrazione. Come da tradizione dell’Arci, da sempre in prima fila nel supporto a ogni progetto culturale di cambiamento».La mostra al “Gruppo Abele” (via Sestriere 84, Torino) sarà visitabile, con ingresso gratuito, fino al 6 gennaio, orario 10-18. Il 2019 sarà dedicato a portare la mostra in giro per l’Italia, essendo già diverse le città che l’hanno richiesta. L’obiettivo è quella di donarla infine alla comunità di Riace.

g. m.

Nelle foto opere di:

– Staino
– Vauro
– Riccardo Guasco
– Il Pistrice
– Marco Cazzato
– Davide Bonazzi