CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 612

Pesca e fango

Le poesie di Alessia Savoini
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Mio nonno aveva le mani che profumavano di frutta e di terra.
Un po’ come quando da piccola i pomeriggi odoravano di erba tagliata
E i problemi si risolvevano su una pagina di quaderno
Dove sommare era più semplice che dividere.
L’altalena era il mezzo di trasporto più efficace per andare lontano
E con il cuore rimanere.

Il Pannunzio a Roma tra laicità e spiritualità

l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica ha ospitato, lo scorso 12 giugno, il convegno promosso dal Centro “Pannunzio” e dal “Cortile dei Gentili”, sul tema “Laicità e Spiritualità”.

A introdurre l’evento il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che in apertura ha sottolineato: “Oggi il ‘Cortile’ si svolge in un ambiente particolarmente suggestivo e significativo perché è stato voluto da un istituto laico, il Centro Pannunzio, aperto e sensibile al dialogo sino a costituire una ‘simpatia’, seppure nella diversità”. Si è soffermato poi sull’analisi dei due termini chiave dell’evento: “La laicità è uno spazio dove tutti si ritrovano, sia credenti, sia non credenti. Il cristianesimo è una religione fondata da un laico; Gesù di Nazareth, infatti, non era Sacerdote, anzi apparteneva alla tribù di Giuda, che è una tribù laica. La spiritualità, invece, è spesso associata a un qualcosa di etereo, impalpabile, inconsistente. Bisogna considerarla come una categoria sì religiosa, ma anche culturale, strumentale a una conoscenza polimorfica”.

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Secondo il Direttore del Centro Pannunzio, Pier Franco Quaglieni, occorre soffermarsi sulla distinzione tra laicità e laicismo: “Non esistono distinzioni nel Dizionario filosofico di Nicola Abbagnano. Il laicismo, secondo alcuni, implica una visione immanentistica della vita e una cultura che si fondi esclusivamente su una visione storico-scientifica dell’uomo. Esso diventa di fatto un surrogato dell’ateismo, inteso come professione di fede in una concezione del mondo opposta a quella imperniata sull’esistenza di Dio, che implica una sostanziale condanna della religione come forma di superstizione irrazionale e oscurantista. Una laicità liberale comporta atteggiamenti liberali capaci di aprirsi agli altri perché solo attraverso il confronto le idee progrediscono. Il ‘Cortile dei Gentili’ nasce con questa missione: instaurare un dialogo anche con chi non lo vuole. Questa è laicità suprema”.

La conversazione è proseguita con l’intervento di Luisella Battaglia, Professoressa dell’Università di Genova, la quale ha insistito su un punto in particolare, ossia la possibilità di identificare il terreno della spiritualità come ricerca di senso – il senso di esserci nel mondo – di tutto, anche del dolore: “Bisogna riprendere la nozione originaria di bioetica come settore dell’etica impegnato a individuare le relazioni tra l’uomo e gli altri esser viventi, vegetali e animali – l’Etica del Bios – e orientarle verso una visione allargata, di ecosistema, ispirata al concetto aristotelico di felicità, da intendersi non in senso edonistico, ma come fioritura di se stessi, di realizzazione delle proprie capacità, considerando sempre che il conflitto da combattere sia quello tra le idee e non tra le persone”.

Eugenio Mazzarella, Professore dell’Università Federico II di Napoli, ha posto la discussione secondo una lettura politica, asserendo che: “La religione deve essere intesa come istituto sociale e politico della spiritualità e della democrazia. Il fenomeno religioso è parte integrante della società, in cui a dominare è il sentimento di friabilità dell’uomo colpito dall’incertezza, anche legislativa. Non c’è guerra tra religione e democrazia, né deve esserci, perché possono far valere tutte le dottrine purché si vada a definire un’area comune di ragionevole senso e consenso. È necessaria un’alleanza tra fede e razionalità occidentale, attori vitali per un dialogo interculturale e valoriale tout court.

L’ultimo intervento è stato quello di Silvano Petrosino, Professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il quale ha ripreso i due concetti chiave del convegno, quasi a chiudere la conversazione secondo una logica circolare. Ha parlato di associazioni ben precise: “Alla laicità ho ricollegato la dignità che può tradursi nell’azione di dare il nome; Dio si mette a lato e l’uomo diventa co-creatore. Per la spiritualità ho subito pensato all’espositore, ossia l’essere umano che si apre, che non resta chiuso nel proprio circolo funzionale, nel contesto. L’apertura è sinonimo di ospitalità e questa precede la tematizzazione, ossia l’intenzionalità. Il dare il senso, deve essere letto come una forma di apertura, e la forma più alta si traduce nell’immagine dell’uomo che porta il pane alla bocca dell’altro. Questo movimento è la spiritualità in senso stretto e trova la conferma nella Bibbia quando si stabilisce un nesso di identità tra l’amore di Dio e delle creature”.

 

A moderare la conversazione Giuliano Amato, Presidente della Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili”, il quale ha posto l’accento sulla necessità di trovare un terreno comune che vada oltre il consumismo e l’individualismo arginato da valori condivisi e orientati alla cura della “casa comune”: “Tutti, credenti e non credenti, devono condividere tale azione, da intendersi, però, non solo in senso ecologico, ma anche come cura di valori, comuni e condivisi, su cui una comunità si fonda”. Il convegno si è concluso con una serie di interventi, da parte del pubblico e dei relatori, sul cambiamento del mondo determinato dalle tecnologie e da tutto ciò che queste hanno portato sulla morte e sulla vita, sul confine tra creatore e creature. Secondo il Presidente Amato, l’Io è più complesso del computer-robot. Quest’ultimo, osserva il Professor Petrosino: “Reagisce ma non risponde, non è lui a comunicare ma è l’uomo che comunica, godendo delle funzioni dello stesso”. Ogni progresso scientifico rende più complessa la morale e ciò che è eticamente lecito. Su questi argomenti sta riflettendo la Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili” che porterà il proprio contributo all’Assemblea Plenaria 2017 del Pontificio Consiglio della Cultura sul tema “Futuro dell’umanità. Nuove sfide dell’antropologia”.

Il minuto di silenzio

Dove sono Mumo, Lev, Helenio, George e Omar, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina”.Gigi Garanzini – biellese di nascita e langarolo d’adozione, eccellente giornalista sportivo –con il suo “Il minuto di silenzio”( Mondadori,2017), libro che narra la storia del calcio attraverso 141  dei suoi protagonisti che non sono più tra di noi, ci propone un incipit come quello dell’Antologia di Spoon River.  I cinque aggettivi sono gli stessi della “collina” ma i riferimenti non sono i medesimi di Edgar Lee Masters. A parte “l’atletico” portiere Lev Jascin  , mette in luce le caratteristiche umane ( forzandole un bel po’) di  “Mumo” Orsi , attaccante italo-argentino degli anni ’30, del “mago” Herrera ,  del dissoluto e geniale George Best e  dell’umorale e talentuoso Omar Sivori. Garanzini propone una “passeggiata della memoria”, dove la storia del calcio segue l’alfabeto dalla “a” di Enrico Ameri e Giovanni Arpino fino alla “zeta” del grande Ricardo Zamora, estremo difensore catalano, uno dei più grandi portieri di sempre. Per ognuno di loro una pagina e poco più. Il tempo di un minuto. Due, tre nel caso dei personaggi più straripanti: è quanto serve alla lettura di ciascuno dei ritratti di questi protagonisti  che “dormono” per sempre “sulla collina del football”. Giovani vite stroncate come quelle di Gigi Meroni , Gaetano Scirea e Luciano Re Cecconi, vecchie glorie come Garrincha, Di Stéfano , Puskàs e Valentino Mazzola, narratori come Brera e Galeano, artisti della sfera di cuoio come Sindelar , Schiaffino e Cruijff. E ancora: arbitri come Concetto Lo Bello, allenatori come Bearzot, Pozzo, Lobanowski e il “paròn” Nereo Rocco , goleador come Meazza, Nordahl e Felice Levratto che sfondava le reti con le sue “bombe”, per non tralasciare grandi cronisti come Nicolò Carosio e Beppe Viola. “Se il calcio è rimasto di gran lunga il gioco più bello del mondo lo deve innanzitutto a loro – scrive Garanzini –  e ai tanti altri che è stato emozionante scoprire o riscoprire. Quand’eran giovani e forti ci hanno fatto battere il cuore“. Quella che propone Gigi Garanzini è una rassegna del calcio mondiale da leggere come un racconto epico, dove ogni profilo equivale a “un fiore posato sulla tomba di un eroe”. E meritano tutti, uno dopo l’altro, un minuto di silenzio.

Marco Travaglini

Un video tributo a George Michael

Sabato 17 giugno ore 22.30 – Cinema Massimo 2

INGRESSO 7 € intero, 5 € ridotto

Per il secondo anno consecutivo LOVERS FILM FESTIVAL – Torino LGBTQI Visions e SEEYOUSOUND International Music Film Festival propongono un evento speciale per celebrare insieme al pubblico un personaggio cult del mondo musicale e LGBTQI. Dopo l’omaggio a David Bowie, in questa nuova edizione LOVERS e SYS ricordano George Michael, star della musica internazionale sotto i riflettori dai primissimi anni ’80 fino alla prematura scomparsa lo scorso Natale. Cantante, autore, sex symbol e indiscutibile icona gay, George Michael ha segnato l’immaginario pop anni ’80 con gli Wham, ma è con la carriera da solista che consacra la propria caratura artistica, grazie a duetti prestigiosi e sperimentazioni tra diversi generi musicali come l’r’n’b e il soul, che gli hanno portato riconoscimenti e circa 100 milioni dischi venduti.

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Sabato 17 giugno alle 22.30 al Cinema Massimo, cinema, musica e performance saranno uniti sotto la stella di questo personaggio sovraesposto – l’arresto per atti osceni in luogo pubblico l’ha costretto a ‘venire allo scoperto’ in merito alla propria omosessualità, episodio che il cantante ha saputo trasformare in un videoclip e una canzone memorabili -, ma anche riservato e con numerosi risvolti, artistici e umani, ricoperti dalla patina pop che l’ha accompagnato tutta la vita.

Per il pubblico dei festival LOVERS e SYS, il musicteller Federico Sacchi traccerà un percorso che svelerà gli aspetti meno noti della vita e della carriera del cantante inglese, attraverso una selezione di videoclip dal suo repertorio, intervallati ai racconti su misura di Sacchi che ci permetteranno di conoscere un George Michael oltre i cliché della pop star.

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Watch Without Prejudice vol. 1 (Un video tributo a George Michael)

Di e con Federico Sacchi

Giugno 1987. Milioni di fan davanti alle loro TV aspettano la messa in onda di un videoclip. Finalmente il VJ di MTV lo annuncia. Profilo di ragazza in guêpière. Stacco. Primo piano sul volto. Stacco. Movimento di camera su lenzuola di seta nere. C’è parecchio movimento li sotto. Dopo un po’ emerge la mano di una donna. Stacco. Primo piano sul volto di George Michael. Nel suo sguardo c’è qualcosa di diverso. Si chiama maturità. A trent’anni dall’uscita del video di I Want Your Sex, Lovers Film Festival omaggia il cantante inglese recentemente scomparso con un evento speciale. Il musicteller Federico Sacchi accompagnerà il pubblico in un viaggio nella sua musica e nella sua produzione video, alla scoperta di un altro George Michael, l’artista e l’uomo che si cela dietro l’icona Pop. Oltre gli stereotipi, senza pregiudizi.

Dai ‘60s ai ‘60s un cortocircuito di immagini

La rassegna si pone come una sorta di “sfida” che, attraverso un’acuta selezione di testimonianze artistiche (una quarantina) delle due epoche

GLI ANNI SESSANTA DELL’OTTOCENTO E GLI ANNI SESSANTA DEL NOVECENTO IN UNO STRETTO “VIS A VIS” ARTISTICO AL MUSEO NAZIONALE DEL RISORGIMENTO DI TORINO

FINO AL 17 SETTEMBRE

A dirla tutta sui contenuti della mostra è già il manifesto che la pubblicizza, con quell’imponente “Ritratto di Garibaldi dal vero” stampato nel 1875 dalla subalpina litografica Giordana & Salussolia, a fare da sfondo all’“Half Dollars” (1968), marchio ricorrente delle opere del romano Franco Angeli, esponente di punta della Pop Art italiana. Vuole essere infatti “un cortocircuito di immagini e suggestioni fra l’Italia dell’unificazione e quella del boom economico” la nuova mostra – certamente atipica certamente singolare certamente suggestiva – allestita al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino ( lungo il Corridoio della Camera del Primo Parlamento Italiano), curata dal critico Luca Beatrice e dal direttore dello stesso Museo, Ferruccio Martinotti, sempre più intenzionato a mettere a confronto Unità d’Italia e modernità.

Nel caso specifico della rassegna in corso, gli Anni Sessanta dell’Ottocento e gli Anni Sessanta del Novecento. Entrambi unici entrambi eccezionali. Titolo, “Dai ‘60s ai ‘60s. Un secolo dopo l’Unità d’Italia, la Pop Art”, la rassegna si pone come una sorta di “sfida” che, attraverso un’acuta selezione di testimonianze artistiche (una quarantina) delle due epoche, si prefigge di “verificare– sottolinea Luca Beatrice – se è possibile che ad alcuni momenti cruciali nella storia corrispondano altrettanti momenti in cui l’arte e la cultura abbiano cavalcato lo stesso entusiasmo”. Complice e protagonista della “sfida”, il visitatore. A lui il compito di “ricercare connessioni per analogia o antitesi che inneschino curiosità emozionali, dalla storia fino all’attualità”, riconoscendo “a pelle” in quella cabala(?), in quel magico connubio di due cifre, il 6 e lo 0, un potenziale di “vis umana” sconosciuta ad altri decenni -nonostante i cent’anni scivolati di mezzo- con il suo carico di eventi storici politici sociali e culturali capaci di rivoluzionare e rivoltare da capo a piedi la Storia del Bel Paese. Da un’Italia che si unisce nel 1861(un anno prima c’era stata l’impresa dei Mille e di quell’eroe degli eroi che fu Garibaldi, nonché di statisti che ad averceli oggi!) per diventare, nell’arco di appena ventitré mesi, un Regno non ancora del tutto completato, ma con ventisei milioni di abitanti; fino all’Italia del 1961 segnata dal boom economico, dall’esplosione demografica e da un’epocale spostamento migratorio interno verso città che si trasformano ben presto in metropoli work in progress. Ed è proprio allora che anche in Italia esplode, in campo artistico, il fenomeno della Pop Art, l’arte “ribelle”, quella dei “pittori maledetti” stregati dalle scuole in voga d’oltreoceano e intimamente ammaliata dagli eventi politici e sociali del tempo. Da Roma – con la Scuola di Piazza del Popolo – a Milano; da Firenze a Torino che proprio nel 1961 ridisegna (per il centenario dell’Unità) l’intero quartiere di Italia ’61. Il dialogo è soprattutto con New York, dove artisti come il calabrese Mimmo Rotella e Mario Schifano espongono nella leggendaria mostra “The New Realist” tenuta alla “Sidney Janis Gallery”. Mostri sacri, vere icone del Pop italiano. Che non potevano mancare all’appuntamento espositivo di Palazzo Carignano: il primo con i suoi “décollage” o “manifesti lacerati” di “illuminazione zen” (per autodefinizione), il secondo per i suoi inquietanti e di parca cromia “paesaggi anemici”, posti a fianco di un corale “Trasporto di Garibaldi ferito ad Aspromonte” (ultimo quarto del XIX secolo) a firma di Michele Cammarano, uno dei tanti pittori-soldati che parteciparono alle campagne per l’indipendenza, ritraendole poi nei propri quadri. Pittori di storia. Testimoni e cronisti.

 

Come Cesare Bartolena, Raffaele Pontremoli e Angelo Trezzini, le cui tele fanno da contrappunto in rassegna a quelle (occhieggianti alla pittura fiamminga olandese) di Massimo D’Azeglio e del militare di carriera Cerruti Bauduc. A chiudere il decennio ottocentesco due preziose tempere-reportages di Carlo Bossoli, in esposizione permanente al Museo. Opere, in gran parte, celebrative. Ma non prive di passione e di un’intensità emotiva tale da rendere agevole il confronto con le “strane pronipoti Pop” del Novecento, provenienti da collezioni pubbliche e private nonché da prestiti di Intesa San Paolo Gallerie d’Italia e Fondazione Marconi. Autentici geniali capolavori: dalla “Venere a idrogeno” di Gianni Bertini all’“Indagine sul punto” di Tano Festa. Per non dimenticare il reiterato”Fascino”di Giosetta Fioroni così come le opere di Gianfranco Pardi, Emilio Tadini, Renato Mambor, Roberto Malquori e Valerio Adami, accanto alle improbabili figure di Enrico Baj, alle colorate giocosità di Ugo Nespolo e al poderoso “Mais” di Piero Gilardi o all’“Opera a Perti” di Aldo Mondino.

Gianni Milani

“Dai ‘60s ai ‘60s. Un secolo dopo l’Unità d’Italia, la Pop Art”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 – www.museorisorgimentotorino.it

Fino al 17 settembre

Orari: mart. – dom. 10/18

Le immagini:

– Manifesto della mostra
– Michele Cammarano: “Trasporto di Garibaldi ferito ad Aspromonte”, olio su tela, ultimo quarto XIX secolo
– Gianni Bertini: “Venere a idrogeno”, mec-art su tela, 1964
– Mimmo Rotella: “Allo specchio”, décollage, 1961
– Giosetta Fioroni: “Fascino”, smalto argento su tela, 1968
– Massimo d’Azeglio: “Presa di Ancona”, olio su tela, 1970

“Wall of Sound” nel cuore delle Langhe

Tra i ritrattisti più famosi della storia della musica, capace di raccontare le leggende del rock, del jazz e del pop in uno scatto, Guido Harari è alla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba (Cn), nel cuore delle Langhe patrimonio Unesco, con la mostra fotografica Wall of Sound 10 che inaugura sabato 17 giugno alle ore 18, visitabile fino a sabato 2 settembre (ingresso libero – orario: lunedì-venerdì 10-12 e 14.30-17; sabato e domenica: ore 15,30-18,30). Un’ampia panoramica del lavoro di un artista che, in oltre quarant’anni di attività, ha immortalato e collaborato con artisti del calibro di Fabrizio De André, di cui è stato uno dei fotografi personali, a Lou Reed, Giorgio Gaber, Bob Dylan, Vinicio Capossela, Kate Bush, Vasco Rossi, Peter Gabriel, Pino Daniele e tanti altri. La mostra proseguirà in una versione opportunamente remixata allo Spazio Don Chisciotte di Torino dal 26 ottobre al 24 dicembre 2017, in occasione della fiera d’arte internazionale Artissima (Mart-sab: ore 13.30-12.30 e 15-19). Il titolo Wall of Sound rende omaggio al sound del famoso produttore americano Phil Spector e recupera il titolo della mostra en plein air che MonforteArte organizzò con successo nel 2007 tra le vie del borgo storico, lungo il percorso fino all’incantevole auditorium naturale Horszowski. All’epoca, in coincidenza della rassegna musicale MonfortinJazz, le fotografie di Harari furono proposte su grandi pannelli blu in alluminio. Inoltre, Wall of Sound è diventato il nome della galleria fotografica che Harari ha aperto nel 2011 ad Alba, nonché della prima esposizione internazionale dedicata alle fotografie di Harari presso il Rockheim Museum di Trondheim (Norvegia) nel 2016-17. Ora, a dieci anni di distanza dal successo di quella prima mostra , Guido Harari torna a esporre nelle Langhe con Wall of Sound 10, riproponendo alcune opere su alluminio blu dell’allestimento originale e soprattutto un’ampia selezione di fotografie classiche e anche inedite in edizioni fine art numerate e firmate (nella terrazza, al primo e al secondo piano della Fondazione e sui muri davanti ad essa). Le 50 fotografie di Wall Of Sound 10, realizzate tra il 1976 e il 2013, colgono gli artisti in atteggiamenti inusuali, espressioni spesso inattese, su set spesso improvvisati, da cui emerge in maniera immediata la loro personalità; frutto in molti casi di autentica complicità tra fotografo e soggetto.

Sono ritratti che ben esprimono lo stile umanizzante, che muove il lavoro di uno tra i fotografi italiani più apprezzati e conosciuti all’estero. Così Carlin Petrini ha ben sintetizzato lo sguardo di Harari sulla musica: «Dietro ogni scatto c’è una storia, una storia di volti che abbiamo mitizzato e che Guido ha saputo cogliere con spontaneità e leggerezza, garbo ed eleganza, tratti che rappresentano la sua cifra stilistica» (La Repubblica di Torino). Di Harari Lou Reed precisava: «Sono felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento». E Laurie Anderson aggiungeva: «La sua è davvero una fotografia da Kamikaze, molto diversa da quella di un paparazzo. Perché si tratta di autentica collaborazione. Guido non vuole rubarti nulla, ma piuttosto provare ad andare oltre l’apparenza delle cose». «La Fondazione Bottari Lattes – spiega il presidente Adolfo Ivaldi – accoglie Guido Harari con amicizia e simpatia nei propri spazi espositivi che già hanno visto le fotografie di artisti come Dondero, Merisio, Fontana, Minkkinen. Questa mostra ci ricorda l’evento del 2007, quella bella “estate blu” di Wall of Sound a Monforte d’Alba con i suoi pannelli dal blu indaco, un colore che immortalava i personaggi in una dimensione quasi sacrale e inarrivabile, ma al tempo stesso li umanizzava e li diversificava focalizzando dettagli oggetti e gesti di una disarmante quotidianità. Questa mostra vuole essere un ritorno del fotografo, oggi celebre, che dieci anni fa, accettando l’invito che gli avevo rivolto da Presidente di MonforteArte, diede inizio all’avventura che lo ha convinto a scegliere Alba e le Langhe quale luogo di forte ispirazione per la sua attività».

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Alcuni dei ritratti che saranno esposti in mostra: Laurie Anderson, David Bowie, Jeff Buckley, Kate Bush, Vinicio Capossela, Nick Cave, Clash, Leonard Cohen, Paolo Conte, David Crosby, Lucio Dalla, Fabrizio De André, Bob Dylan, Brian Eno, Giorgio Gaber, Peter Gabriel, John Lee Hooker, Iggy Pop, B.B. King,, Kinks, Bob Marley, Joni Mitchell, Ennio Morricone, Jimmy Page (Led Zeppelin), Pink Floyd, Queen, Lou Reed, R.E.M., Vasco Rossi, Jimmy Scott, Compay Segundo, Wayne Shorter & Herbie Hancock, Bruce Springsteen, Rolling Stones, Patti Smith, Robert Smith (Cure), David Sylvian & Robert Fripp, Caetano Veloso, Rufus Wainwright, Tom Waits, Frank Zappa, Joe Zawinul.

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Inaugurazione: sabato 17 giugno 2017, ore 18 Da domenica 18 giugno a sabato 2 settembre 2017 (Lun.-ven.: ore 10-12 e 14.30-17 – Sab. e dom.: ore 15.30-18.30) Fondazione Bottari Lattes (Via Marconi, 16 – Monforte d’Alba, Cn) Dal 26 ottobre al 24 dicembre allo Spazio Don Chisciotte di Torino (mostra in forma ridotta – Mart.-sab.: ore 13,30-12,30 e 15-19) INGRESSO LIBERO www.fondazionebottarilattes.it

 

Il programma di MiTo è online

E’ possibile consultare il programma 2017 dell’XI edizione del Festival Internazionale della Musica MITO SettembreMusica. I programmi cartacei sono inoltre in distribuzione a Torino e a Milano nei consueti punti informativi. Il Festival raddoppia gli appuntamenti in piazza, a Milano e a Torino, con l’Open Singing e l’esecuzione della Nona di Beethoven. Confermati i concerti gratuiti, gli appuntamenti dedicati ai più piccoli e le introduzioni all’ascolto. Tra i direttori Semyon Bychkov, Riccardo Chailly, Mikko Franck, Gianandrea Noseda e Daniele Rustioni. Tra i solisti Gauthier Capuçon, Julian Rachlin, Ian Bostridge, Jean-Yves Thibaudet, Lilya Zilberstein, Gabriela Montero, Truls Mørk e Salvatore Accardo. Tra le orchestre, la Gustav Mahler Jugendorchester, protagonista dei concerti inaugurali, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino e l’Orchestra Filarmonica della Scala.

http://www.mitosettembremusica.it/it/news/festival.html

Teatro Garabato, il faro dell’arte che illumina Barriera di Milano

garab2Una creazione collettiva che ha avuto origine da Roque Fucci, artista e artigiano di origine argentina, e Andrès Aguirre, attore e regista messicano. Il Teatro Garabato o Piccolo Piccolo nasce dalla collaborazione tra un numero imprecisato di artisti e persone del quartiere che hanno voluto regalare una perla a Barriera di Milano. Una stanza con un piccolo palco, diverse sedie, tutte regalate dalla gente che vive in questa zona della città, un piccolo soppalco dove si siede il regista a dirigere l’opera. Dietro al palco c’è una zona dedicata al laboratorio di ceramica di Roque, una Wunderkammer piena di piatti, vasi e altri oggetti che sembrano vitali nella perfetta imperfezione del fatto a mano. Su una parete sono esposte una serie di fotografie che stanno a rappresentare una specie di rito. Ogni volta che viene messo in scena uno spettacolo, una fotografia, firmata e datata dall’artista di turno, immortala l’evento.

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“L’idea è quella di esporle nel bar qui a fianco, come se fosse il nostro foyer”, dice Nella Caffaratti, una delle artiste che fa parte del collettivo e si occupa di arte visuale.Come spesso accade con le belle garab1idee, il Garabato nasce per caso. Racconta Roque: “Andrès doveva preparare uno spettacolo e aveva bisogno di un posto in cui fare le prove. Io gli ho proposto di venire da me, nella stanza adiacente al mio laboratorio. Lui ha messo due stracci neri, uno per lato. E quando sono entrato in quella stanza e l’ho visto provare non avevo dubbi: quello era proprio un teatro”. Tutte le cose che si trovano qui sono recuperate e ognuno ha una storia. Chi vuole sostenere il teatro può donare un oggetto e ricevere in cambio la mappa di questo luogo che ne racconta la storia, un modo per partecipare a un’opera di creazione artistica collettiva.

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garab3Al Garabato tutto è sperimentazione di livello e contaminazione di diverse discipline. Un luogo così intimo in cui è concesso inventare e reinventarsi, senza la pressione del rendere, di fare il tutto esaurito. Un luogo come contenitore di attività che di solito non entrano in teatro. Qui si possono trovare performance di artisti torinesi importanti che vogliono mettersi in gioco, reinventandosi ogni volta con regole diverse. Mettere in scena un disegno e operazioni di poesia collettiva sono solo alcune delle attività che sono state proposte in questo spazio. Maria Abbrescia, poetessa torinese, ricorda che le mura non sono un limite: “Usciamo dal teatro per riprendere contatto con il territorio. Abbiamo preso possesso di Piazza Bottesini organizzando un presidio artistico fatto di giochi, disegno, poesia”. Perché il Garabato è più un laboratorio di idee che un teatro e può diventare il faro dell’arte che illumina Barriera. Quanto al nome, sì, è una citazione al famoso Piccolo di Milano, come se fosse un augurio per il futuro.

 

Elisa Speroni

La straordinaria avventura del piemontese Giacomo Bove

Giacomo Bove. Un esploratore e un sentiero tra Verbano e Ossola” è il titolo del libro di Pietro Pisano pubblicato – in versione aggiornata e arricchita – dal Magazzeno Storico Verbanese. In oltre trecento pagine di lavoro documentato, frutto di ricerche certosine e di una passione non comune per la storia e per quest’originalissima figura  di esploratore, Pietro Pisano ci restituisce – rivalutandola e risarcendola – la vita intensa e straordinaria di Giacomo Bove. Pisano, appassionato di storia locale e accompagnatore naturalistico, tra gli ideatori e fondatori del Gruppo Escursionisti Val Grande, è uno straordinario indagatore di biografie e storie, e anche in questa disciplinatissima opera ( pubblicata anch’essa, come gli altri suoi libri,  dal Magazzeno Storico Verbanese) dimostra di avere del talento e una spiccata capacità di comunicare i frutti del suo lavoro al lettore, conquistandone l’attenzione e stimolandone la curiosità. L’esploratore piemontese Giacomo Bove nacque a Maranzana, piccolo paese situato tra Langa e Monferrato astigiano, il 23 Aprile 1852.Frequentò l’Accademia Navale a Genova e, poco dopo il diploma, a 21 anni, fu scelto per partecipare in qualità di cartografo ad una missione scientifica in estremo oriente sulla corvetta “Governolo“. Al termine della missione, dopo aver studiato anche le correnti marine nello stretto di Messina, venne scelto, come unico rappresentante dell’Italia, in qualità di idrografo, per partecipare alla vittoriosa spedizione scandinava (1878-80) del geografo Nordenskiold per la ricerca del fascinoso “passaggio di Nord-Est“, dall’Atlantico al Pacifico, attraverso lo stretto di Bering.

 

Dopo un breve riposo a Maranzana si dedicò ad un progetto tutto italiano per l’esplorazione delle regioni Antartiche. Nel 1881 e nel 1883 esplorò la Patagonia e la Terra del Fuoco fino a capo Horn e ancora il territorio delle Missiones, l’Alto Paranà il Paraguay, il corso dei fiumi Paranà, Iguazù, Itambè-Guazù. Nel 1885 esplorò in Africa il corso del fiume Congo fino alle cascate di Stanley, in questa occasione probabilmente contrasse anche la malaria. Morì suicida a Verona nell’agosto del 1887. Pietro Pisano del grande e sfortunato esploratore ricostruisce la vita, le spedizioni antartiche, in estremo Oriente, in Africa, le amicizie e passaggi sul Verbano. L’incontro di Giacomo Bove con il lago Maggiore avvenne ad Intra quando – invitato dalla Sezione del Club alpino del Verbano – tenne una memorabile conferenza il 31 luglio 1880, nell’ambito di un progetto di conferenze che il CAI nazionale aveva indetto in tutta Italia per finanziare il viaggio in Antartide. i fondi. A causa dei costi, ritenuti eccessivi (600.000 lire dell’epoca, pari a circa 3 milioni di euro attuali), l’iniziativa non ebbe seguito. Dopo il suo suicidio, che creò grandi polemiche, il Cai verbanese, con un atto di coraggio per quei tempi, gli dedicò “il sentiero Bove”, utilizzando i fondi raccolti ai quali aggiunse altre mille lire per il suo completamento. Allo sfortunato esploratore venne così intitolata la prima via ferrata d’Italia, che si sviluppa sulle creste tra Zeda, Laurasca, Bocchetta di Campo e Marona, tra Verbano e Ossola, in uno scenario di rara bellezza, ricco di storia e di leggende. Con il suo libro, Pietro Pisano, pubblicando documenti inediti e materiale raro, ha inteso – riuscendovi pienamente – rendere merito a un personaggio straordinario, ingiustamente scivolato nell’oblio della storia. Ricostruendone la vita, contribuisce anche a fare chiarezza sulle vicende di fondazione del sentiero verbanese-ossolano che al Bove – come si è detto – è  dedicato: la più antica, ardita e  spettacolare via ferrata d ‘Italia.

 

Marco Travaglini

Note di Giugno verso la festa della musica

Il 21 giugno si celebra la Festa della Musica, un appuntamento che a Torino si tiene da sei anni per iniziativa dei Mercanti di Note e che dal 16 al 21 giugno tornerà a far risuonare di concerti le strade del Quadrilatero Romano, le vie e le piazze del centro storico.

Nel 2017, per la prima volta, il Sistema Musicale torinese va verso la Festa mettendo a disposizione tradizione e competenze, estendendo all’intera città i colori vivi della classica.

Con Note di giugno, la Direzione Cultura, la Fondazione per la Cultura Torino e gli enti di Sistema Musica, l’associazione che da vent’anni raccoglie le principali realtà organizzative della “classica” in Città, collaborano in un percorso che porta alla centrale Festa della Musica coinvolgendo tutte le Circoscrizioni cittadine.

L’Assessora alla Cultura Francesca Leon ha sottolineato che “la classica ha la potenzialità per raggiungere e comunicare anche con chi per varie ragioni la frequenta di rado. Note di Giugno è una proposta che risponde a questa esigenza. E’ una prima edizione, che speriamo incontri l’interesse del pubblico. Vogliamo che la Festa della Musica diventi il momento finale di un percorso per diffondere musica e cultura lungo tutto il mese di giugno”. 

 

Ecco dunque le diverse occasioni fino al 21 giugno a ingresso gratuito per ascoltare, spesso in sedi non convenzionali, ensemble e artisti che la classica interpretano e promuovono professionalmente, studenti del Conservatorio Giuseppe Verdi e allievi dei Corsi di Formazione Musicale che sulla classica si formano con passione. Un cartellone costruito con iniziative originali e in molti casi con prove aperte che in luoghi periferici mettono diversamente in gioco quel repertorio solitamente eseguito sui palcoscenici per un pubblico di conoscitori.

 

A decentrare  la musica, domenica 11 giugno alle ore 16.30, saranno ancora i Corsi di Formazione Musicale che nel cuore della Circoscrizione 6, alla Cascina Marchesa in Barriera di Milano, racconteranno con un imprevedibile e accattivante abbinamento di voce recitante e clarinetti la Carmen di George Bizet. La settimana musicale proseguirà in una vecchia sede industriale della Circoscrizione 3 che produce solidarietà e cultura con Binaria del Gruppo Abele e Libera, presso cui il Coro di Voci Bianche del Teatro Regio e del Conservatorio terrà una delle sue lezioni settimanali; ancora Bizet e Mendelssohn con l’aggiunta di Fauré. I giovani coristi verranno salutati dai piccoli allievi di Orme, associazione che ha sede in via Sestriere e la propria attività didattica in Borgo San Paolo.

 

Un’altra Cascina, la Roccafranca, decennale cardine delle attività di quartiere di Mirafiori Nord, venerdì 16 giugno alle ore 21.00 vedrà il concerto di due borsisti della De Sono, Pietro Locatto e Arturo Mariotti, con le loro chitarre classiche e musica di Carulli, Mertz, Ginastera e Castelnuovo-Tedesco.

 

Sabato 17 giugno, alle ore 11 nel Cortile d’Onore di Palazzo Civico, si esibirà il Clarinet Choir, grande ensemble di ance del Conservatorio, con pagine scritte e trascritte da tre secoli per il popolare e raffinato strumento di ebano.

Suggestioni sinfoniche spaziali, tra il Marte di Gustav Holst e l’ET di John Williams, sono in programma ancora sabato alle 16.30 nell’accogliente Sala ATC di corso Dante 14, in una diversa periferia della Circoscrizione 1, con l’Orchestra dei Corsi di Formazione Musicale della Città di Torino.

 

 

Villa Tesoriera ha con la Biblioteca Musicale un immediato richiamo per le sette note, ma i Venti sonori degli ottoni del Conservatorio Verdi si alzeranno domenica 18 giugno alle ore 16.30 dalla tensostruttura dell’Evergreen Fest, pausa ideale per una passeggiata nel parco e anche occasione per sentir raccontare esperienza e programmi futuri dell’Unione Musicale di Torino.

 

Lunedì 19 giugno, ore 21.00, l’Accademia Stefano Tempia, negli spazi del Sermig, proporrà una prova aperta al pubblico della Circoscrizione 7, con pagine di Brahms e Schubert. A salutarli sarà il locale Laboratorio del Suono, protagonista della didattica musicale del quartiere.

 

Alla fine, mercoledì 21 giugno alle ore 21.00, la sedicesima tappa di questa prima edizione di Note di giugno segna il Solstizio d’estate con un concerto in Conservatorio degli Allievi di canto dell’istituzione di piazza Bodoni, durante il quale i musicisti di domani racconteranno e interpreteranno Lieder di vari autori, cioè canzoni che hanno segnato la storia della voce e della musica e ancora sanno suscitare emozioni.

Info:

http://www.sistemamusica.it

www.festadellamusicatorino.it