CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 611

“Arte in libertà 10 + 1”

 

Non solo golf. Non solo sport, relais e alta cucina. Dal 10 giugno scorso, il “Golf & Relais Feudo di Asti” (Frazione   Mombarone, 160), presieduto da Marco Sutter, è anche “FeudArte”. Immerso in un mirabile anfiteatro naturale “che ipnotizza occhi e anima”, nel cuore vivo del Monferrato, il “Golf Feudo” s’è infatti dato un nuovo obiettivo, certamente un importante “valore aggiunto” rispetto alla sua già ampia gamma di offerte: quello di “diventare luogo ideale – sottolinea la General Manager Pamela Raelidove creare una sinergia perfetta tra natura ed arte”, organizzando periodici eventi artistico-culturali di prestigio e di interesse per i propri associati e per gli appassionati d’arte in genere. Ambizioso il programma e ottime le premesse, il progetto ha preso il via, per l’appunto, il 10 giugno scorso con una prima collettiva – 36 le opere esposte – che mette insieme ben 11 artisti di consolidato mestiere e indubbia notorietà (torinesi, astigiani e una bresciana), dal titolo “Arte in libertà 10 + 1” – dieci   “maschietti” e una “femminuccia” –   e che si protrarrà fino al 15 settembre prossimo. Un ruolo fondamentale nell’organizzazione dell’evento va attribuito a Pippo Leocata, non solo socio del “Feudo” ma soprattutto pittore e scultore di lunga geniale e multiforme militanza. Origini siciliane, ma torinesissimo d’adozione, è lui stesso presente in parete con le ultime sue opere ispirate alla grande letteratura – pittura e poesia come un unicum di toccante valore emozionale – ai versi di Montale, di Pavese o di Quasimodo (da quest’ultimo la suggestiva “Tramontata è la luna”) in cui il segno il colore la luce e le ombre diventano palpitanti scenografie di liriche narrazioni che sono voci e incontro di anime “altre” unite dai comuni valori del cuore. Di grande interesse e frutto di sperimentazioni linguistiche che non lesinano spazio al mestiere, sono anche i “dischi” ( Diametro 41) appartenenti alla serie de “Il tempo come metafora” di Luciano Cappellari, docente all’Accademia di Belle Arti di Torino; così come i singolarissimi “ondulati” paesaggi agresti di Giulio Agostino (operante a Cantarana, nell’astigiano), realizzati su fondo materico con materiale edile colorato a olio.

Di Massimo Ghiotti, presente in decine di Musei e Fondazioni internazionali e le cui opere scultoree, secondo Maurizio Calvesi, “rappresentano quanto di più inedito ed originale abbia proposto la scultura degli ultimi decenni”, la rassegna propone un “Volo rosa” (colori industriali su acciaio inox) di eccezionale bellezza con graffi e nervosi guizzi di colore svolazzanti su solide forme astratte, immagini-simbolo di “un nuovo umanesimo post-industriale”. La ricerca della dimensione quotidiana, la natura e il gusto delle piccole realtà capaci di svelare la suggestione e il sottile fascino di quanto ci sta intorno, raccontato per segni e colori che parlano di armonia, di equilibrio compositivo e di profonda “sapienza” pittorica, accomunano le “Tre mele” di Italo Gilardi (allievo di Felice Casorati), alla “Fontanella” di Luciano Spessot – raffinato e certosino cantore di “quel senso di poesia che, a ben guardare, c’è ancora in ogni cosa, da un bel tramonto a un frutto bacato…”– così come alle nitide e rigorose vedute montane realizzate da Vinicio Perugia nel suo atelier dell’Avigliana medievale. Perfettamente contestualizzata allo spazio ospitante é la china e gomme liquide su carta – dal segno libero, veloce e di singolare intuizione compositiva – dal titolo “Green” di Guido Giordano, che già anni fa, sul tema del Golf ebbe a realizzare 99 dipinti per il Circolo “Castellaro” ad Arma di Taggia; mentre la bresciana Laura Massardi presenta quadri che prediligono i colori della terra o il nero accompagnati da una tecnica povera di materiali (gesso, pigmenti e pochi colori ad olio) e fortemente caratterizzati da tematiche psicoanalitiche attente agli imprevedibili linguaggi dell’inconscio. Allievo di Filippo Scroppo, il torinese Sergio Scanu porta in parete quadri di robusta definizione scenica dove la matrice fauve-espressionista convive alla perfezione con annotazioni non lontane da una vena surrealista di grande fascino e misterica suggestione. Un che di “magico realismo” (si veda il tecnicamente perfetto acquarello “Tutto a posto”) che troviamo anche nei dipinti di Sandro Lobalzo, dove le immagini sono segni “di una realtà – scrive Angelo Mistrangelo – rivisitata e reinterpretata con le cadenze di una ‘scrittura’ estremamente limpida ed evocatrice”.

Gianni Milani

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“Feudarte. Arte in libertà 10 + 1”

“Golf & Relais Feudo di Asti”, Frazione Mombarone 160; tel. 0141/294230; www.golffeudoasti.it

Fino al 15 settembre

Nelle immagini:

– Pippo Leocata: “Tramontata é la luna”, tecnica mista (olio, acrilico, matite su carta)

– Luciano Cappellari: “Le ore 1”, pigmenti liquidi filtrati e stratificati, pastello e gessetti
– Massimo Ghiotti: “Volo rosa”, colori industriali su acciaio inox
– Italo Gilardi: “3 mele”, olio su tavola alluminio
– Luciano Spessot: “Fontanella”, acrilico su masonite
– Sandro Lobalzo: “Tutto a posto”, acquarello

 

Stupinigi, riapre l’appartamento del re

Riapre al pubblico domani, giovedì 16 giugno, dopo 13 anni, l’Appartamento del Re nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, restituito al suo originario splendore grazie a 10.000 ore di lavoro. L’intervento è stato interamente finanziato dalla Fondazione CRT, storicamente il principale sostenitore privato del grande progetto di recupero e valorizzazione della Residenza Sabauda con un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro, e realizzato in collaborazione con la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino.

 

foto Vincenzo Maiorano

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“Oggi la Fondazione CRT riconsegna alla fruizione di tutti la bellezza dell’Appartamento del Re della Palazzina di Caccia di Stupinigi – spiega il Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia –. Questo nuovo traguardo, dopo il recente recupero dell’Appartamento della Regina, è l’ultimo tassello di un più ampio intervento avviato 30 anni fa dalla Cassa di Risparmio di Torino e portato avanti dalla Fondazione CRT, per salvare una Reggia Sabauda che è patrimonio dell’umanità. Abbiamo la responsabilità di tutelare l’eredità che viene dal passato, trasformandola in un bene contemporaneo e vivo”.


“La sinergia tra soggetti privati non profit, come la Fondazione CRT e la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, ha consentito ancora una volta il raggiungimento di un obiettivo di interesse per la collettività: la tutela e la promozione di un bene artistico e storico di forte significatività per il territorio e per l’Italia – afferma Massimo Lapucci, Segretario Generale della Fondazione CRT –. Restituire al pubblico la Palazzina di Caccia di Stupinigi nella sua bellezza originaria significa aprire maggiormente il nostro territorio al mondo, farlo conoscere ancora di più in Italia e all’estero per la sua rilevanza anche come destinazione turistica”.

 

“L’intervento di restauro dell’Appartamento del Re nella Palazzina di Caccia di Stupinigi conclude il recupero di tutti gli ambienti del corpo centrale della residenza sabauda – dice Adriana Acutis Presidente di Consulta –. Un passo importante nel cammino di recupero della Palazzina reso possibile dalla collaborazione fra Imprese, Istituzioni e Soprintendenza, finanziato dalla Fondazione CRT, socio fondatore di Consulta. Consulta, incaricata della progettualità e della gestione dell’intervento, è lieta di questa collaborazione costante nel tempo finalizzata alla rinascita della residenza, Patrimonio Unesco dell’Umanità, consapevole delle grandi potenzialità ancora inespresse a favore del territorio di questo gioiello sabaudo”. 

 

“Con il restauro dell’Appartamento del Re si aggiunge un nuovo, essenziale tassello al lungo percorso di recupero e valorizzazione della Palazzina di Caccia di Stupinigi – dichiara Luisa Papotti, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino –. Ci viene restituito nella sua interezza il fastoso corpo centrale, ideato da Juvarra per essere un ‘luogo magnifico’, una cornice di respiro teatrale adatta ad accogliere sia le feste ed i balli della corte, sia la vita segreta dei sovrani, in un’ariosa sequenza di sale e gabinetti via via più nascosti. Lo splendore delle sale restituite testimonia oggi non soltanto delle invenzioni juvarriane, ma anche dell’impegno che la Fondazione CRT ha posto da molti anni nell’azione di salvaguardia della Palazzina.  Un impegno fattivo e continuo, che si è rivelato fondamentale per la sua rinascita ed oggi si conferma determinante per riportarla ad essere centrale nel circuito delle residenze sabaude”.  

 

“Questo importante intervento – ricorda Cristiana Maccagno, in rappresentanza dell’Ente proprietario – è ulteriore testimonianza del trentennale sostegno dedicato al recupero e alla valorizzazione del Tesoro mauriziano dalla Fondazione CRT, sin dalla costituzione della Fondazione Palazzina Mauriziana e dal 2007 in sinergia con Consulta. Una attenzione che si conferma ben riposta, in prossimità dell’adozione delle nuove regole di governo della Fondazione Ordine Mauriziano, erede riconosciuta del secolare Ordine e della valenza costituzionale delle sue funzioni. L’intervento premia la riconquistata dignità museale della Residenza, il costante successo di pubblico e la reputazione internazionale dei valori storici e culturali del Sito monumentale e delle complessive sue valenze territoriali”.

 

L’intervento sull’Appartamento del Re ha riguardato il restauro degli apparati decorativi fissi, in particolare dei dipinti murali delle volte e delle pareti, delle boiserie dipinte e dorate, della tappezzeria novecentesca, della carta da parati, dei serramenti, dei camini e della pavimentazione in seminato alla veneziana.

 

Il restauro sugli sguinci delle aperture dell’Anticamera ha riportato alla luce l’originaria decorazione settecentesca, di grande impatto formale e cromatico. Le indagini conoscitive eseguite sulle volte dell’Anticamera e della Camera da letto, dipinte dal 1737 al 1739 da Michele Antonio Milocco, il cui restauro è stato completato unitamente a quello sui cornicioni, hanno fornito interessanti informazioni sullo stato di conservazione e sulla tecnica esecutiva. 

 

Riportata al suo splendore anche tutta la boiserie dell’Appartamento, in gran parte di fattura settecentesca, che presentava in particolare sulle porte gravi problemi conservativi con sollevamenti importanti. Si è proceduto alla pulitura e al consolidamento delle superfici in legno dipinto e dorato – che ha riportato cromie e dorature all’antico fulgore – e all’esecuzione di piccole stuccature e integrazioni cromatiche della foglia d’oro.

 

Sono inoltre stati restaurati tutti i dipinti su tela delle sovrapporte: le opere di Domenico Olivero dell’Anticamera e quelle della Galleria e del Gabinetto da toeletta.

 

Di particolare pregio il Pregadio nella Camera da letto realizzato da Piffetti nel 1762. L’intervento ha interessato anche la tappezzeria in seta con motivo a catenelle. Singolare il piccolo locale adibito a servizio igienico, dove la pulitura dei dipinti murali ha fatto emergere la cromia delle piastrelle bianche e azzurre dipinte, e dove la scelta è stata quella di conservare le rifunzionalizzazioni subite nel tempo da questo piccolo ambiente.

 

Gli interventi sul Gabinetto da toeletta hanno comportato la pulitura e il consolidamento dei dipinti murali opera di Giovan Francesco Fariano, il restauro delle Angoliere di Servozelli.

 

Gli interventi sulla Galleria verso il Salone centrale, completamente dipinta da Pietro Antonio Pozzo, hanno permesso di ritrovare le cromie originali e il loro scenografico rapporto con la grande architettura del Salone juvarriano.

 

Il restauro ha interessato inoltre le pavimentazioni in seminato alla veneziana dell’Anticamera, della Camera da letto e del Gabinetto da toeletta, riportando la superficie all’unitarietà e ai colori originali, i serramenti di tutte le aperture, che sono stati dotate di pellicole anti raggi u.v. al fine di preservare quanto restaurato, i camini in marmo.

 

Sono stati inoltre ricollocati i tre grandi lampadari già restaurati e gli arredi mobili dell’intero Appartamento.

 

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INFORMAZIONI SULLA PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI:

 

ORARI
dal martedì al venerdì

dalle 10.00 alle 17.30 (ultimo ingresso ore 17.00)

sabato, domenica e festivi

dalle 10.00 alle 18.30 (ultimo ingresso ore 18.00)

 

BIGLIETTERIA

tel. +39 011 6200634

e-mail: biglietteria.stupinigi@ordinemauriziano.it

Iacchetti e Sorrenti al Parco Dora Live

Prosegue la seconda settimana della rassegna ‘#Parco Dora Live’, che sino a fine luglio offre concerti e spettacoli di cabaret gratuiti di gradi artisti italiani nella piazzetta esterna del Centro Commerciale ‘Parco Dora’ a Torino in Via Livorno angolo Via Treviso. Dopo la partenza alla grande con gli show di Marco Berry e di Paolo Vallesi, venerdì 16 giugno, presentato dal noto attore comico torinese Gianpiero Perone, sarà di scena Enzo Iacchetti, volto tra i più amati della tv. Domenica 18 giugno, invece, presentato da Gino Latino di Radio GRP (media partner dell’evento) e Carlotta Iossetti, sarà la volta del concerto di Alan Sorrenti, storico protagonista degli anni ’70 e ’80 della musica italiana. Attesi inoltre nelle prossime settimane anche i cantanti Francesco Baccini, Silvia Mezzanotte, Donatella Rettore, Alexia, Mario Venuti e Marco Ferradini. Tutti gli spettacoli sono gratuiti e iniziano alle 20.30. Per informazioni,www.parcocommercialedora.it.

GLI ALLIEVI DELL’ACCADEMIA DI HANGZHOU IMMAGINANO LE CITTA’ INVISIBILI

Il 7 giugno all’Accademia Albertina è stata inaugurata ,alla presenza di Fiorenzo Alfieri, Salvo Bitonti, Mario Marchetti, Presidente del Premio Calvino, Stefania Stafutti, rappresentante dell’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, un’interessantissima mostra dal titolo”Calvino made in China”,che riunisce 20 lavori ispirati al romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino. La collettiva è rimasta aperta fino al 14 giugno, riscontrando un grande successo. Zhao Binglin, studente della China Academy of Art di Hangzhou è risultato il vincitore del concorso “Arte chiama arte”, promosso dall’Istituto italiano di cultura di Shanghai, in collaborazione con il Premio Calvino.

La sua opera, un disegno a matite colorate, esposta insieme alle altre 19 nella Sala Azzurra dell’Accademia, si ispira a Diomira, una delle “Città invisibili” , descritte da Marco Polo all’imperatore dei Tartari Kublai Khan : ” la città con sessanta cupole d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre”.

Il concorso Arte chiama arte, da alcuni anni propone a dei giovani artisti cinesi un’opera di letteratura italiana come fonte di ispirazione per realizzare moderne opere d’arte. La formula intende promuovere l’incontro tra le due culture, incoraggiando da una parte giovani cinesi a leggere con attenzione un’opera importante della letteratura italiana, dall’altra parte favorendo la conoscenza dell’arte cinese in Italia attraverso l’esposizione in Italia delle migliori opere in concorso. Questa edizione, iniziata nel 2016, è per l’appunto dedicata alle Città invisibili di Italo Calvino. Nel romanzo Calvino ripercorre l’antico incontro tra cultura italiana e cultura cinese, ” un’affascinante convergenza tra Oriente e Occidente, un incrocio di immaginari” come ha sottolineato Mario Marchetti, Presidente del Premio Calvino, in occasione dell’inaugurazione della Mostra. Un’occasione per parlare della moderna e ancora oggi attualissima problematica della nostra concezione della città , cioè del nostro modo di concepire e realizzare il vivere insieme , la socialità, il rapporto tra essere umano e ambiente. Come nel disegno di Wu Jiayl, ispirato al tema dello scontro tra natura e urbanizzazione.

Helen Alterio

 

Pesca e fango

Le poesie di Alessia Savoini
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Mio nonno aveva le mani che profumavano di frutta e di terra.
Un po’ come quando da piccola i pomeriggi odoravano di erba tagliata
E i problemi si risolvevano su una pagina di quaderno
Dove sommare era più semplice che dividere.
L’altalena era il mezzo di trasporto più efficace per andare lontano
E con il cuore rimanere.

Il Pannunzio a Roma tra laicità e spiritualità

l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica ha ospitato, lo scorso 12 giugno, il convegno promosso dal Centro “Pannunzio” e dal “Cortile dei Gentili”, sul tema “Laicità e Spiritualità”.

A introdurre l’evento il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che in apertura ha sottolineato: “Oggi il ‘Cortile’ si svolge in un ambiente particolarmente suggestivo e significativo perché è stato voluto da un istituto laico, il Centro Pannunzio, aperto e sensibile al dialogo sino a costituire una ‘simpatia’, seppure nella diversità”. Si è soffermato poi sull’analisi dei due termini chiave dell’evento: “La laicità è uno spazio dove tutti si ritrovano, sia credenti, sia non credenti. Il cristianesimo è una religione fondata da un laico; Gesù di Nazareth, infatti, non era Sacerdote, anzi apparteneva alla tribù di Giuda, che è una tribù laica. La spiritualità, invece, è spesso associata a un qualcosa di etereo, impalpabile, inconsistente. Bisogna considerarla come una categoria sì religiosa, ma anche culturale, strumentale a una conoscenza polimorfica”.

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Secondo il Direttore del Centro Pannunzio, Pier Franco Quaglieni, occorre soffermarsi sulla distinzione tra laicità e laicismo: “Non esistono distinzioni nel Dizionario filosofico di Nicola Abbagnano. Il laicismo, secondo alcuni, implica una visione immanentistica della vita e una cultura che si fondi esclusivamente su una visione storico-scientifica dell’uomo. Esso diventa di fatto un surrogato dell’ateismo, inteso come professione di fede in una concezione del mondo opposta a quella imperniata sull’esistenza di Dio, che implica una sostanziale condanna della religione come forma di superstizione irrazionale e oscurantista. Una laicità liberale comporta atteggiamenti liberali capaci di aprirsi agli altri perché solo attraverso il confronto le idee progrediscono. Il ‘Cortile dei Gentili’ nasce con questa missione: instaurare un dialogo anche con chi non lo vuole. Questa è laicità suprema”.

La conversazione è proseguita con l’intervento di Luisella Battaglia, Professoressa dell’Università di Genova, la quale ha insistito su un punto in particolare, ossia la possibilità di identificare il terreno della spiritualità come ricerca di senso – il senso di esserci nel mondo – di tutto, anche del dolore: “Bisogna riprendere la nozione originaria di bioetica come settore dell’etica impegnato a individuare le relazioni tra l’uomo e gli altri esser viventi, vegetali e animali – l’Etica del Bios – e orientarle verso una visione allargata, di ecosistema, ispirata al concetto aristotelico di felicità, da intendersi non in senso edonistico, ma come fioritura di se stessi, di realizzazione delle proprie capacità, considerando sempre che il conflitto da combattere sia quello tra le idee e non tra le persone”.

Eugenio Mazzarella, Professore dell’Università Federico II di Napoli, ha posto la discussione secondo una lettura politica, asserendo che: “La religione deve essere intesa come istituto sociale e politico della spiritualità e della democrazia. Il fenomeno religioso è parte integrante della società, in cui a dominare è il sentimento di friabilità dell’uomo colpito dall’incertezza, anche legislativa. Non c’è guerra tra religione e democrazia, né deve esserci, perché possono far valere tutte le dottrine purché si vada a definire un’area comune di ragionevole senso e consenso. È necessaria un’alleanza tra fede e razionalità occidentale, attori vitali per un dialogo interculturale e valoriale tout court.

L’ultimo intervento è stato quello di Silvano Petrosino, Professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il quale ha ripreso i due concetti chiave del convegno, quasi a chiudere la conversazione secondo una logica circolare. Ha parlato di associazioni ben precise: “Alla laicità ho ricollegato la dignità che può tradursi nell’azione di dare il nome; Dio si mette a lato e l’uomo diventa co-creatore. Per la spiritualità ho subito pensato all’espositore, ossia l’essere umano che si apre, che non resta chiuso nel proprio circolo funzionale, nel contesto. L’apertura è sinonimo di ospitalità e questa precede la tematizzazione, ossia l’intenzionalità. Il dare il senso, deve essere letto come una forma di apertura, e la forma più alta si traduce nell’immagine dell’uomo che porta il pane alla bocca dell’altro. Questo movimento è la spiritualità in senso stretto e trova la conferma nella Bibbia quando si stabilisce un nesso di identità tra l’amore di Dio e delle creature”.

 

A moderare la conversazione Giuliano Amato, Presidente della Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili”, il quale ha posto l’accento sulla necessità di trovare un terreno comune che vada oltre il consumismo e l’individualismo arginato da valori condivisi e orientati alla cura della “casa comune”: “Tutti, credenti e non credenti, devono condividere tale azione, da intendersi, però, non solo in senso ecologico, ma anche come cura di valori, comuni e condivisi, su cui una comunità si fonda”. Il convegno si è concluso con una serie di interventi, da parte del pubblico e dei relatori, sul cambiamento del mondo determinato dalle tecnologie e da tutto ciò che queste hanno portato sulla morte e sulla vita, sul confine tra creatore e creature. Secondo il Presidente Amato, l’Io è più complesso del computer-robot. Quest’ultimo, osserva il Professor Petrosino: “Reagisce ma non risponde, non è lui a comunicare ma è l’uomo che comunica, godendo delle funzioni dello stesso”. Ogni progresso scientifico rende più complessa la morale e ciò che è eticamente lecito. Su questi argomenti sta riflettendo la Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili” che porterà il proprio contributo all’Assemblea Plenaria 2017 del Pontificio Consiglio della Cultura sul tema “Futuro dell’umanità. Nuove sfide dell’antropologia”.

Il minuto di silenzio

Dove sono Mumo, Lev, Helenio, George e Omar, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina”.Gigi Garanzini – biellese di nascita e langarolo d’adozione, eccellente giornalista sportivo –con il suo “Il minuto di silenzio”( Mondadori,2017), libro che narra la storia del calcio attraverso 141  dei suoi protagonisti che non sono più tra di noi, ci propone un incipit come quello dell’Antologia di Spoon River.  I cinque aggettivi sono gli stessi della “collina” ma i riferimenti non sono i medesimi di Edgar Lee Masters. A parte “l’atletico” portiere Lev Jascin  , mette in luce le caratteristiche umane ( forzandole un bel po’) di  “Mumo” Orsi , attaccante italo-argentino degli anni ’30, del “mago” Herrera ,  del dissoluto e geniale George Best e  dell’umorale e talentuoso Omar Sivori. Garanzini propone una “passeggiata della memoria”, dove la storia del calcio segue l’alfabeto dalla “a” di Enrico Ameri e Giovanni Arpino fino alla “zeta” del grande Ricardo Zamora, estremo difensore catalano, uno dei più grandi portieri di sempre. Per ognuno di loro una pagina e poco più. Il tempo di un minuto. Due, tre nel caso dei personaggi più straripanti: è quanto serve alla lettura di ciascuno dei ritratti di questi protagonisti  che “dormono” per sempre “sulla collina del football”. Giovani vite stroncate come quelle di Gigi Meroni , Gaetano Scirea e Luciano Re Cecconi, vecchie glorie come Garrincha, Di Stéfano , Puskàs e Valentino Mazzola, narratori come Brera e Galeano, artisti della sfera di cuoio come Sindelar , Schiaffino e Cruijff. E ancora: arbitri come Concetto Lo Bello, allenatori come Bearzot, Pozzo, Lobanowski e il “paròn” Nereo Rocco , goleador come Meazza, Nordahl e Felice Levratto che sfondava le reti con le sue “bombe”, per non tralasciare grandi cronisti come Nicolò Carosio e Beppe Viola. “Se il calcio è rimasto di gran lunga il gioco più bello del mondo lo deve innanzitutto a loro – scrive Garanzini –  e ai tanti altri che è stato emozionante scoprire o riscoprire. Quand’eran giovani e forti ci hanno fatto battere il cuore“. Quella che propone Gigi Garanzini è una rassegna del calcio mondiale da leggere come un racconto epico, dove ogni profilo equivale a “un fiore posato sulla tomba di un eroe”. E meritano tutti, uno dopo l’altro, un minuto di silenzio.

Marco Travaglini

Un video tributo a George Michael

Sabato 17 giugno ore 22.30 – Cinema Massimo 2

INGRESSO 7 € intero, 5 € ridotto

Per il secondo anno consecutivo LOVERS FILM FESTIVAL – Torino LGBTQI Visions e SEEYOUSOUND International Music Film Festival propongono un evento speciale per celebrare insieme al pubblico un personaggio cult del mondo musicale e LGBTQI. Dopo l’omaggio a David Bowie, in questa nuova edizione LOVERS e SYS ricordano George Michael, star della musica internazionale sotto i riflettori dai primissimi anni ’80 fino alla prematura scomparsa lo scorso Natale. Cantante, autore, sex symbol e indiscutibile icona gay, George Michael ha segnato l’immaginario pop anni ’80 con gli Wham, ma è con la carriera da solista che consacra la propria caratura artistica, grazie a duetti prestigiosi e sperimentazioni tra diversi generi musicali come l’r’n’b e il soul, che gli hanno portato riconoscimenti e circa 100 milioni dischi venduti.

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Sabato 17 giugno alle 22.30 al Cinema Massimo, cinema, musica e performance saranno uniti sotto la stella di questo personaggio sovraesposto – l’arresto per atti osceni in luogo pubblico l’ha costretto a ‘venire allo scoperto’ in merito alla propria omosessualità, episodio che il cantante ha saputo trasformare in un videoclip e una canzone memorabili -, ma anche riservato e con numerosi risvolti, artistici e umani, ricoperti dalla patina pop che l’ha accompagnato tutta la vita.

Per il pubblico dei festival LOVERS e SYS, il musicteller Federico Sacchi traccerà un percorso che svelerà gli aspetti meno noti della vita e della carriera del cantante inglese, attraverso una selezione di videoclip dal suo repertorio, intervallati ai racconti su misura di Sacchi che ci permetteranno di conoscere un George Michael oltre i cliché della pop star.

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Watch Without Prejudice vol. 1 (Un video tributo a George Michael)

Di e con Federico Sacchi

Giugno 1987. Milioni di fan davanti alle loro TV aspettano la messa in onda di un videoclip. Finalmente il VJ di MTV lo annuncia. Profilo di ragazza in guêpière. Stacco. Primo piano sul volto. Stacco. Movimento di camera su lenzuola di seta nere. C’è parecchio movimento li sotto. Dopo un po’ emerge la mano di una donna. Stacco. Primo piano sul volto di George Michael. Nel suo sguardo c’è qualcosa di diverso. Si chiama maturità. A trent’anni dall’uscita del video di I Want Your Sex, Lovers Film Festival omaggia il cantante inglese recentemente scomparso con un evento speciale. Il musicteller Federico Sacchi accompagnerà il pubblico in un viaggio nella sua musica e nella sua produzione video, alla scoperta di un altro George Michael, l’artista e l’uomo che si cela dietro l’icona Pop. Oltre gli stereotipi, senza pregiudizi.

Dai ‘60s ai ‘60s un cortocircuito di immagini

La rassegna si pone come una sorta di “sfida” che, attraverso un’acuta selezione di testimonianze artistiche (una quarantina) delle due epoche

GLI ANNI SESSANTA DELL’OTTOCENTO E GLI ANNI SESSANTA DEL NOVECENTO IN UNO STRETTO “VIS A VIS” ARTISTICO AL MUSEO NAZIONALE DEL RISORGIMENTO DI TORINO

FINO AL 17 SETTEMBRE

A dirla tutta sui contenuti della mostra è già il manifesto che la pubblicizza, con quell’imponente “Ritratto di Garibaldi dal vero” stampato nel 1875 dalla subalpina litografica Giordana & Salussolia, a fare da sfondo all’“Half Dollars” (1968), marchio ricorrente delle opere del romano Franco Angeli, esponente di punta della Pop Art italiana. Vuole essere infatti “un cortocircuito di immagini e suggestioni fra l’Italia dell’unificazione e quella del boom economico” la nuova mostra – certamente atipica certamente singolare certamente suggestiva – allestita al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino ( lungo il Corridoio della Camera del Primo Parlamento Italiano), curata dal critico Luca Beatrice e dal direttore dello stesso Museo, Ferruccio Martinotti, sempre più intenzionato a mettere a confronto Unità d’Italia e modernità.

Nel caso specifico della rassegna in corso, gli Anni Sessanta dell’Ottocento e gli Anni Sessanta del Novecento. Entrambi unici entrambi eccezionali. Titolo, “Dai ‘60s ai ‘60s. Un secolo dopo l’Unità d’Italia, la Pop Art”, la rassegna si pone come una sorta di “sfida” che, attraverso un’acuta selezione di testimonianze artistiche (una quarantina) delle due epoche, si prefigge di “verificare– sottolinea Luca Beatrice – se è possibile che ad alcuni momenti cruciali nella storia corrispondano altrettanti momenti in cui l’arte e la cultura abbiano cavalcato lo stesso entusiasmo”. Complice e protagonista della “sfida”, il visitatore. A lui il compito di “ricercare connessioni per analogia o antitesi che inneschino curiosità emozionali, dalla storia fino all’attualità”, riconoscendo “a pelle” in quella cabala(?), in quel magico connubio di due cifre, il 6 e lo 0, un potenziale di “vis umana” sconosciuta ad altri decenni -nonostante i cent’anni scivolati di mezzo- con il suo carico di eventi storici politici sociali e culturali capaci di rivoluzionare e rivoltare da capo a piedi la Storia del Bel Paese. Da un’Italia che si unisce nel 1861(un anno prima c’era stata l’impresa dei Mille e di quell’eroe degli eroi che fu Garibaldi, nonché di statisti che ad averceli oggi!) per diventare, nell’arco di appena ventitré mesi, un Regno non ancora del tutto completato, ma con ventisei milioni di abitanti; fino all’Italia del 1961 segnata dal boom economico, dall’esplosione demografica e da un’epocale spostamento migratorio interno verso città che si trasformano ben presto in metropoli work in progress. Ed è proprio allora che anche in Italia esplode, in campo artistico, il fenomeno della Pop Art, l’arte “ribelle”, quella dei “pittori maledetti” stregati dalle scuole in voga d’oltreoceano e intimamente ammaliata dagli eventi politici e sociali del tempo. Da Roma – con la Scuola di Piazza del Popolo – a Milano; da Firenze a Torino che proprio nel 1961 ridisegna (per il centenario dell’Unità) l’intero quartiere di Italia ’61. Il dialogo è soprattutto con New York, dove artisti come il calabrese Mimmo Rotella e Mario Schifano espongono nella leggendaria mostra “The New Realist” tenuta alla “Sidney Janis Gallery”. Mostri sacri, vere icone del Pop italiano. Che non potevano mancare all’appuntamento espositivo di Palazzo Carignano: il primo con i suoi “décollage” o “manifesti lacerati” di “illuminazione zen” (per autodefinizione), il secondo per i suoi inquietanti e di parca cromia “paesaggi anemici”, posti a fianco di un corale “Trasporto di Garibaldi ferito ad Aspromonte” (ultimo quarto del XIX secolo) a firma di Michele Cammarano, uno dei tanti pittori-soldati che parteciparono alle campagne per l’indipendenza, ritraendole poi nei propri quadri. Pittori di storia. Testimoni e cronisti.

 

Come Cesare Bartolena, Raffaele Pontremoli e Angelo Trezzini, le cui tele fanno da contrappunto in rassegna a quelle (occhieggianti alla pittura fiamminga olandese) di Massimo D’Azeglio e del militare di carriera Cerruti Bauduc. A chiudere il decennio ottocentesco due preziose tempere-reportages di Carlo Bossoli, in esposizione permanente al Museo. Opere, in gran parte, celebrative. Ma non prive di passione e di un’intensità emotiva tale da rendere agevole il confronto con le “strane pronipoti Pop” del Novecento, provenienti da collezioni pubbliche e private nonché da prestiti di Intesa San Paolo Gallerie d’Italia e Fondazione Marconi. Autentici geniali capolavori: dalla “Venere a idrogeno” di Gianni Bertini all’“Indagine sul punto” di Tano Festa. Per non dimenticare il reiterato”Fascino”di Giosetta Fioroni così come le opere di Gianfranco Pardi, Emilio Tadini, Renato Mambor, Roberto Malquori e Valerio Adami, accanto alle improbabili figure di Enrico Baj, alle colorate giocosità di Ugo Nespolo e al poderoso “Mais” di Piero Gilardi o all’“Opera a Perti” di Aldo Mondino.

Gianni Milani

“Dai ‘60s ai ‘60s. Un secolo dopo l’Unità d’Italia, la Pop Art”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 – www.museorisorgimentotorino.it

Fino al 17 settembre

Orari: mart. – dom. 10/18

Le immagini:

– Manifesto della mostra
– Michele Cammarano: “Trasporto di Garibaldi ferito ad Aspromonte”, olio su tela, ultimo quarto XIX secolo
– Gianni Bertini: “Venere a idrogeno”, mec-art su tela, 1964
– Mimmo Rotella: “Allo specchio”, décollage, 1961
– Giosetta Fioroni: “Fascino”, smalto argento su tela, 1968
– Massimo d’Azeglio: “Presa di Ancona”, olio su tela, 1970

“Wall of Sound” nel cuore delle Langhe

Tra i ritrattisti più famosi della storia della musica, capace di raccontare le leggende del rock, del jazz e del pop in uno scatto, Guido Harari è alla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba (Cn), nel cuore delle Langhe patrimonio Unesco, con la mostra fotografica Wall of Sound 10 che inaugura sabato 17 giugno alle ore 18, visitabile fino a sabato 2 settembre (ingresso libero – orario: lunedì-venerdì 10-12 e 14.30-17; sabato e domenica: ore 15,30-18,30). Un’ampia panoramica del lavoro di un artista che, in oltre quarant’anni di attività, ha immortalato e collaborato con artisti del calibro di Fabrizio De André, di cui è stato uno dei fotografi personali, a Lou Reed, Giorgio Gaber, Bob Dylan, Vinicio Capossela, Kate Bush, Vasco Rossi, Peter Gabriel, Pino Daniele e tanti altri. La mostra proseguirà in una versione opportunamente remixata allo Spazio Don Chisciotte di Torino dal 26 ottobre al 24 dicembre 2017, in occasione della fiera d’arte internazionale Artissima (Mart-sab: ore 13.30-12.30 e 15-19). Il titolo Wall of Sound rende omaggio al sound del famoso produttore americano Phil Spector e recupera il titolo della mostra en plein air che MonforteArte organizzò con successo nel 2007 tra le vie del borgo storico, lungo il percorso fino all’incantevole auditorium naturale Horszowski. All’epoca, in coincidenza della rassegna musicale MonfortinJazz, le fotografie di Harari furono proposte su grandi pannelli blu in alluminio. Inoltre, Wall of Sound è diventato il nome della galleria fotografica che Harari ha aperto nel 2011 ad Alba, nonché della prima esposizione internazionale dedicata alle fotografie di Harari presso il Rockheim Museum di Trondheim (Norvegia) nel 2016-17. Ora, a dieci anni di distanza dal successo di quella prima mostra , Guido Harari torna a esporre nelle Langhe con Wall of Sound 10, riproponendo alcune opere su alluminio blu dell’allestimento originale e soprattutto un’ampia selezione di fotografie classiche e anche inedite in edizioni fine art numerate e firmate (nella terrazza, al primo e al secondo piano della Fondazione e sui muri davanti ad essa). Le 50 fotografie di Wall Of Sound 10, realizzate tra il 1976 e il 2013, colgono gli artisti in atteggiamenti inusuali, espressioni spesso inattese, su set spesso improvvisati, da cui emerge in maniera immediata la loro personalità; frutto in molti casi di autentica complicità tra fotografo e soggetto.

Sono ritratti che ben esprimono lo stile umanizzante, che muove il lavoro di uno tra i fotografi italiani più apprezzati e conosciuti all’estero. Così Carlin Petrini ha ben sintetizzato lo sguardo di Harari sulla musica: «Dietro ogni scatto c’è una storia, una storia di volti che abbiamo mitizzato e che Guido ha saputo cogliere con spontaneità e leggerezza, garbo ed eleganza, tratti che rappresentano la sua cifra stilistica» (La Repubblica di Torino). Di Harari Lou Reed precisava: «Sono felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento». E Laurie Anderson aggiungeva: «La sua è davvero una fotografia da Kamikaze, molto diversa da quella di un paparazzo. Perché si tratta di autentica collaborazione. Guido non vuole rubarti nulla, ma piuttosto provare ad andare oltre l’apparenza delle cose». «La Fondazione Bottari Lattes – spiega il presidente Adolfo Ivaldi – accoglie Guido Harari con amicizia e simpatia nei propri spazi espositivi che già hanno visto le fotografie di artisti come Dondero, Merisio, Fontana, Minkkinen. Questa mostra ci ricorda l’evento del 2007, quella bella “estate blu” di Wall of Sound a Monforte d’Alba con i suoi pannelli dal blu indaco, un colore che immortalava i personaggi in una dimensione quasi sacrale e inarrivabile, ma al tempo stesso li umanizzava e li diversificava focalizzando dettagli oggetti e gesti di una disarmante quotidianità. Questa mostra vuole essere un ritorno del fotografo, oggi celebre, che dieci anni fa, accettando l’invito che gli avevo rivolto da Presidente di MonforteArte, diede inizio all’avventura che lo ha convinto a scegliere Alba e le Langhe quale luogo di forte ispirazione per la sua attività».

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Alcuni dei ritratti che saranno esposti in mostra: Laurie Anderson, David Bowie, Jeff Buckley, Kate Bush, Vinicio Capossela, Nick Cave, Clash, Leonard Cohen, Paolo Conte, David Crosby, Lucio Dalla, Fabrizio De André, Bob Dylan, Brian Eno, Giorgio Gaber, Peter Gabriel, John Lee Hooker, Iggy Pop, B.B. King,, Kinks, Bob Marley, Joni Mitchell, Ennio Morricone, Jimmy Page (Led Zeppelin), Pink Floyd, Queen, Lou Reed, R.E.M., Vasco Rossi, Jimmy Scott, Compay Segundo, Wayne Shorter & Herbie Hancock, Bruce Springsteen, Rolling Stones, Patti Smith, Robert Smith (Cure), David Sylvian & Robert Fripp, Caetano Veloso, Rufus Wainwright, Tom Waits, Frank Zappa, Joe Zawinul.

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Inaugurazione: sabato 17 giugno 2017, ore 18 Da domenica 18 giugno a sabato 2 settembre 2017 (Lun.-ven.: ore 10-12 e 14.30-17 – Sab. e dom.: ore 15.30-18.30) Fondazione Bottari Lattes (Via Marconi, 16 – Monforte d’Alba, Cn) Dal 26 ottobre al 24 dicembre allo Spazio Don Chisciotte di Torino (mostra in forma ridotta – Mart.-sab.: ore 13,30-12,30 e 15-19) INGRESSO LIBERO www.fondazionebottarilattes.it