CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 5

Verso Sanremo, il Festival degli italiani

Mancano due settimane all’inizio del Festival di Sanremo, giunto quest’anno alla settantacinquesima edizione e per la quarta volta capitanato da Carlo Conti. Saranno ben 12 i co- conduttori che saliranno con lui sul palco dell’Ariston: Antonella Clerici e Gerry Scotti martedì 11 febbraio; la sera dopo Bianca Balti con Cristiano Malgioglio e Nino Frassica, e ci sarà da ridere; il giovedì un terzetto tutto al femminile composto da Miriam Leone, Elettra Lamborghini e Katia Follesa. Per la serata delle Cover e dei duetti del venerdì con Mahmood e Geppi Cucciari tornerà a Sanremo con i Coma_Cose il torinese Jhonson Righeira sulle note del famosissimo brano “L’estate sta finendo”, hit che ha appena compiuto 40 anni e si esibirà anche  l’unico torinese in gara quest’anno, Willie Peyote il quale insieme a Tiromancino e Ditonellapiaga interpreterà il brano “Un tempo piccolo” del grande Franco Califano. Mentre sabato 15 febbraio per la finale Conti avrà al suo fianco Alessia Marcuzzi e Alessandro Cattelan, presentatore anche del Dopofestival. Sempre di più, forse troppi? E chissà se ne si aggiungeranno ancora… Ma torniamo indietro nel tempo per toglierci qualche curiosità sulle conduzioni di Sanremo e fare un po’ di storia di questo evento nazionale tanto amato e nello stesso tempo tanto detestato dagli italiani.

Numerosi i piemontesi: quando il Festival si svolgeva ancora nel Salone delle feste del Casinò municipale di Sanremo la prima presentatrice del Festival, il primo ad andare in onda anche in televisione nel 1955, dopo quattro edizioni condotte dal torinese Nunzio Filogamo, trasmesse naturalmente solo alla radio fu la cantante e poi prima annunciatrice della sede Rai di Torino Maria Teresa Ruta Rivoira, zia dell’omonima Maria Teresa Ruta, in questi giorni rientrata nella casa del “Grande Fratello”. Nel 1960 un’altra torinese,  Enza Sampò che allora ventiquattrenne abitava ancora in corso Giulio Cesare 10, conduce il decimo Festival insieme all’attore Paolo Ferrari, quello vinto dal famosissimo brano “Romantica” cantato da Tony Dallara e da Renato Rascel che lo scrisse.

Si dice e si ricorda sempre che la prima a condurre da sola il Festival sia stata Loretta Goggi nel 1986. Non è però così  perché nel 1961 il primo Sanremo venne presentato da ben due donne: dall’annunciatrice della sede Rai di Roma Lilli Lembo e dalla moncalierese  Giuliana Calandra, attrice di teatro, tv e cinema, anche nel cast del film di Dario Argento girato a Torino “Profondo rosso” e che tanti inoltre ricorderanno di certo nel ruolo di Mara Canà, la moglie di Oronzo Canà, interpretato da Lino Banfi,  in un’altra pellicola sempre realizzata nel capoluogo, “L’allenatore del pallone”.

Nel 2004 invece troviamo sul palco dell’Ariston la chivassese Simona Ventura con Gene Gnocchi e Paola Cortellesi per l’unico Festival diretto da Tony Renis. La presentatrice invece ad aver condotto più Festival di Sanremo, ben 3, nel 1969 con Nuccio Costa, con Mike Bongiorno nel 1973 e con Corrado nel 1974, è un’altra l’annunciatrice, “il viso d’angelo” della televisione italiana Gabriella Farinon che per anni affiancò Corrado in numerosi “Un disco per l’estate”.

 

Come tre sono stati i Festival vinti da Iva Zanicchi, nel ’67, nel ’69 e nel 1974, la quale riceverà giovedì 13 febbraio il Premio alla Carriera come lo riceverà quest’anno anche Antonello Venditti. La prima cantautrice ad aver vinto il Festival è la torinese Gilda con “Ragazza del sud” nel 1975, cinquanta anni fa. Ancora qualche dato sul Festival numero 75: i Big in gara sono 29, dopo il ritiro di Emis Killa, più le quattro “Nuove proposte”. Sempre in quattro sono gli artisti che hanno già vinto il Festival: Ranieri, Giorgia, Cristicchi e Gabbani. La più giovane in gara è la diciottenne Sarah Toscano che arriva direttamente dall’ultima edizione di “Amici”,  mentre il più anziano è Massimo Ranieri, 73 anni.

 

Igino Macagno

Sanremo Unlimited, in arrivo nuovi artisti e talenti

Anche quest’anno il format prodotto dalla Westitaliaeventi proporrà interpreti canori a
operatori della musica leggera, tutti presenti con il preciso scopo di valutare e
individuare qualche nuovo artista con il quale dare inizio a progetti che poterebbero
sfociare in concrete opportunità di successo.

Con noi Christian Cambareri, responsabile dell’etichetta discografica milanese
Orangle Records insieme al suo stato maggiore, formato da Martina Colavitti,
Veronica Castellani, Gianluca Buonamassa, Maria Pia Frosina e Gianmaria Porchia.

Andrea Amati

Poi Norma Benetti, una delle vocal coach top nel panorama nazionale. Tra i suoi
allievi c’è anche Blanco. Anche Andrea Amati, già in forza con le major Sony Music
e Warner Chappell fa parte del parterre. Andrea ha scritto per Elodie, Annalisa, Nek,
Alessandra Amoroso, Francesco Renga, Emma Marrone, Marco Masini, Valerio
Scanu, Lorenzo Fragola, Michele Bravi. Ancora Antonino Viola, autore e insegnante
di tecnica vocale, artista che può vantare il Master in Musicoterapia presso Divulgacion
Dinamica di Siviglia, master in Music Production, Technology and Innovation presso
il campus del Berklee College of Music di Valencia e il ruolo di docente al Centro
Europeo Tuscolano, il CET di Mogol. Infine Cristian Gallana, manager degli
emergenti che collabora fattivamente con i talent più importanti e con le etichette
discografiche e il produttore discografico Roberto Travaini.

Christian Cambareri

Nel corso dell’evento in veste di Ospite d’Onore interverrà Cristina Lizzul (foto in copertina), attrice con
partecipazione nel film “Distant Vision” diretto da un regista del calibro di Francis
Ford Coppola e “La solitudine della Luna” presentato al Festival del Cinema di Cannes.
Cristina Lizzul, artista della Orangle Records, è una straordinaria songwritter il cui
valore a livello internazionale è dimostrato dal numero di sample packs, che vantano
ben 20 milioni di streams.

 

Durante le esibizioni, con una cerimonia speciale, verranno consegnati i National
Voice Awards, premio al Talento.

Westitaliaeventi per la preziosa collaborazione ringrazia La Vetrina dei Talenti
(Daniele Morelli), Luna Spettacoli (Paolo Formia), Marche in Canto (Claudio
Starnone), Big Stone (Massimo Curzio). A Sanremo a supporto del format non
mancano mai Vietri sul Mare, la stupenda località della Costiera Amalfitana, e l’amico
fraterno Antonio Amoroso, stilista titolare dell’omonimo atelier. Una menzione
speciale a La Source, grandi vini della Valle d’Aosta, e al suo titolare Stefano Celi.

Magici tamburi al Laboratorio del Graal

 

Il 24 gennaio sera, presso la consueta sede di Piazza Statuto 15, il LABORATORIO DEL GRAAL ha organizzato il secondo appuntamento dell’anno in corso intitolato Drumming Ensemble Session di tamburi. L’anima del Gruppo Rosalba Nattero ha presentato per un pubblico – da subito ‘caldissimo’ (e dotato di tamburo personale) – l’originale spirito della serata.

Per una volta il noto gruppo torinese di musica celtica non sarebbe salito sul palco (anche se succederà nuovamente in tempi brevi) ma avrebbe creato una compartecipata forma di non ortodossa jam session di tamburi rullanti, cioè musicisti incarnati nel pubblico riunito l’altra sera nel salone ritrovi de Il Club Garage di Arte & Cultura.

Tutti sono stati per una sera musicisti, gestiti dal batterista del Gruppo Gianluca Roggero, coadiuvato da Luca Colarelli, chitarrista e pipe-player ad ogni concerto (il quarto musicista, Andrea Lesmo, si è goduto lo spettacolo senza attivare le sue meravigliose tastiere e il sitar).

Come precisato dai coadiutori, il tamburo è strumento particolare, antichissimo, non complicato nell’uso, a patto che si possieda almeno un discreto senso ritmico.

Immaginabile il risultato sonoro di decine di ritmati tamburi che suonano all’unisono, con cadenza sincopata e senza altri accompagnamenti strumentali.

Gianluca Roggero ha saputo prendere per mano decine di entusiasti ‘tamburini’ (termine per altro non esaustivo) portandoli nel giro di una ventina di minuti a saper creare tutti insieme melodie e ritmi caldi, istintuali, esicasmici, se non tribali. Le distinte masse sonore create da due gruppi rimbalzavano da una parte all’altra della sala come anarchiche reminiscenze in grado di scuotere anche il più disincantato spirito.

E’ questo d’altronde il segreto-madre del LABORATORIO.

Grazie ai suoi profondi, antichi, lontanissimi ritmi, è da sempre in grado di trasformare tranquille persone alle prese con i problemi di tutti i giorni… in antichi druidi, masse guerriere provenienti da ogni dove, adoratori del sole e chissà quante altre figure archetipiche sonnolenti nel nostro inconscio ma che, se ben sollecitate, erompono potentemente ad ogni concerto..

E domani?

Con le stesse logiche compartecipative, alle 21 del 31 gennaio, è prevista un’Introduzione alle Danze Celtiche con il gruppo di danza Triskel, a cura di Mirella Zamboni e Daniela Giraudo. Presenterà naturalmente la serata la vocalist del Labgraal Rosalba Nattero.

Come sempre, ingresso gratuito, indirizzo ancora in Piazza Statuto 15, Torino.

Tutti invitati

IL LABORATORIO DEL GRAAL, info@eco-spirituality.org, www.eco-spirituality.org, 011-530.846

FERRUCCIO CAPRA QUARELLI

Le case più antiche di Torino, il fascino del Medioevo e la storia della città

Torino, conosciuta per la sua eleganza sobria, la sua architettura barocca, ma anche Liberty e neo-classica conserva nel suo cuore tracce di un passato molto lontano: le sue case medievali. Questi edifici sono pregiati e inestimabili testimoni di un’epoca in cui la città si stava trasformando in un centro di cultura, ma anche in un luogo autorevole in fatto di geopolitica. La sua posizione strategica ai piedi delle Alpi e al centro di un crocevia di culture, infatti, l’ha convertita in un modello unico di civilta’. I suoi palazzi contribuiscono a rendere questa citta’ un luogo elegante e fascinoso ed e’ impossibile passeggiando per le vie di Torino non voltare lo sguardo verso l’alto per esplorare visivamente queste opere d’arte costituite da particolari architettonici e artistici, da disegni, da balconi decorati e di finestre dai vetri colorati. Tra le piu’ antiche palazzine della citta, memorie di un passato che arriva fino ai giorni, ne abbiamo tre di sicuro interesse artistico e storico.

Casa del Pingone, posizionata tra piazza delle Erbe e il Duomo, e’ una delle abitazioni più antiche della città, risalente ai secoli XV – XVI e prende il nome da Emanuele Filiberto Pingone, storico di corte del duca Emanuele Filiberto di Savoia che la abito’ dopo il trasferimento da Padova . L’edificio conserva elementi architettonici di grande pregio, come i soffitti in legno, affreschi decorati con motivi a grottesche (pitture di radice romana), e una torre merlata medievale ancora visibile sebbene sia stata coperta in alcune sue parti. Questa casa rappresenta un raro esempio di architettura civile medievale ancora intatta nel cuore di Torino. Nel 2000 e’ stata ridipinta per donarle i colori originari.

Casa del Senato e’ un altro esempio di edilizia medievale che si distingue per la sua base in pietra e per tracce di finestre ogivali, poi sostituite nel XVI secolo da ampie finestre a crociera in cotto. Con i suoi quattro piani fuori terra, la Casa del Senato era sorprendentemente alta per l’epoca, sottolineando il suo ruolo istituzionale e la sua importanza all’interno della città medievale. Costruita come casa nobiliare e poi divenuta luogo di incontro del Senato Subalpino dove furono discusse e approvate alcune delle decisioni più significative per l’unificazione dell’Italia e ha avuto un’importanza particolare durante il Risorgimento italiano. Si trova nel cuore del centro di Torino e rappresenta uno dei simboli capitale del Regno di Sardegna.

Casa Romagnano, sita in via dei Mercanti 9, conosciuta anche come “Casa Armissoglio”, è un’altra testimonianza dell’edilizia civile della Torino medievale costruita tra la fine del XIII e l’inizio del XVI secolo. Dimora dell’omonima famiglia, nonostante i numerosi interventi di restauro nel corso del tempo, la casa conserva il suo aspetto nobile con dettagli architettonici dell’epoca come le quattro eleganti finestre in cotto e marcapiani che le danno equilibrio e sobrieta’ e che rispecchiano la maestria artigianale di quel periodo. Afine del 1800 fu riqualificata e vennero riportati alla luce diversi elementi come le parti in cotto e le finestre.

Altre Testimonianze Storiche

Oltre a queste dimore, Torino conserva altri edifici medievali sparsi per il centro storico. Le mura romane, le torri e alcune chiese completano un quadro ricco di fascino, che permette di immaginare com’era la città secoli fa.

Maria La Barbera

La “Risata Intelligente”

Al torinese “Spazio Kairòs – Circolo Arci”, fine settimana teatrale dedicato alla “Stand Up Comedy”

Da giovedì 30 gennaio a domenica 2 febbraio

Per chi non lo sapesse. Dicesi “Stand Up Comedy” o “Stand Up Show” o “Live Comedy”“Una forma di comicità che si svolge in un teatro, in cui un comico si esibisce da solo sul palco, senza l’aiuto di musiche o altri effetti … Uno degli obiettivi principali della ‘Stand Up Comedy’ è quello di creare un legame con il pubblico facendolo ridere e divertire” (Google: “Messinscena – Associazione Culturale e Teatrale”). E ancora, tanto per fare un po’ di storia teatrale: si ritiene che la prima manifestazione di “Stand Up Comedy” siano stati gli spettacoli di “vaudeville” tenuti dall’attore americano Charlie Case, fra il 1880 ed il 1890. Da allora, tant’acqua è passata sotto i ponti e oggi quel genere di esibizione teatrale (un attore “solo al comando” in piedi sul palco) è indubbiamente fra i più gettonati dai comici nostrani e particolarmente gradito al grande pubblico.

Parte di qui, l’iniziativa di “Spazio Kairòs”, Circolo Arci e Casa Teatrale della torinese compagnia “Onda Larsen”, con sede in via Mottalciata 7 (al confine fra Barriera di Milano, Regio Parco e Aurora), di tornare a proporre dopo le prime edizioni andate in scena lo scorso anno, quattro date di “Stand Up Comedy” che sicuramente scalderanno a dovere, per gli appassionati del genere, il fine settimana in “Zona Cesarini” del mese di gennaio. Ad organizzarle è “Onda Larsen” che, in questi anni, sta lavorando molto per avvicinare nuovo pubblico, soprattutto giovane, al teatro. E, in quest’ottica, la “Stand Up Comedy” è proprio il “genere ideale” un “genere moderno”, strumento di “satira forte sulla società”, che permette ancora di ironizzare su argomenti ormai intoccabili, attraverso la trasgressione del buon costume e del politically correct”.

“Per il terzo anno consecutivo – spiega Riccardo De Leo, vicepresidente di ‘Onda Larsen’ – diamo spazio a questo genere che ha preso molto piede in Italia e anche nel nostro teatro riscuote grande successo, attirando pubblico di tutte le età. Nella nostra epoca c’è bisogno di ridere del presente e ridere di noi. La ‘stand up comedy’ è perfetta per questo scopo. Così, aggiunge: “Abbiamo selezionato artisti diversi, da Roma, Torino e Livorno, per spettacoli che non siano mai volgari e che non abbiano solo lo scopo di far ridere: vogliamo un intrattenimento di qualità che faccia riflettere e sia critico rispetto al presente. La Risata che vogliamo e che ci piace deve essere sempre una ‘Risata Intelligente. “Risata” che, in questo caso, durerà per quattro giorni, con quattro spettacoli diversi, proposti nel teatro di “Spazio Kairòs”, con inizio sempre alle ore 21.

Ad aprire i giochi (giovedì 30 gennaio) sarà il torinese Giordano Follacon un monologo irriverente (“Come tanta gente”) su ansie e contraddizioni che si celano nella vita quotidiana di un giovane.

A seguire (venerdì 31 gennaio), un altro enfant prodige torinese, Francesco Giorda, che torna in via Mottalciata con un nuovo one-man-show (“Alcune cose da dire”) firmato “Teatro Della Caduta” e dialogo aperto col pubblico che affronta l’attualità tra provocazioni e comicità tagliente in equilibrio tra fake news, allarmismi e finte paure del nostro tempo.

Quindi, sabato 1 febbraio sbaraglia il pubblico la comicità del livornese Stefano Santomauro con “God save the sex”, spettacolo che parte da una ricerca mondiale del “Censis”, che sostiene che noi “uomini dell’oggi” facciamo meno sesso della generazione precedente. Sarà un monologo al vetriolo.

Chiude (domenica 2 febbraio), da Roma, Davide Grillo con “Come se niente fosse”, una produzione “Teatro Metastasio” di Prato, dove si affronta con ironia il tema del “precariato”, del “post-fordismo” e il continuo “senso di inadeguatezza” che attanaglia il presente.

“Onda Larsen” scommette con sicurezza sul progetto e ci crede così tanto da organizzare nei suoi spazi, fra i numerosi corsi di teatro, anche un percorso dai 18 ai 99 anni (?) di “Stand Up Comedy” tenuto dall’attore, regista ed improvvisatore valenzano Dario Benedetto.

Per info: “Spazio Kairòs”, via Mottalciata 7, Torino; tel. 351/4607575 o www.ondalarsen.org

Gianni Milani

 Nelle foto: immagini spettacoli di Giordano Folla, Francesco Giorda e Davide Grillo

Sconcertante: ma per i Cahiers di cinéma è il miglior film del ‘24

Sugli schermi “L’uomo nel bosco” di Alain Guiraudie

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Colpisce e sconcerta. Non mantiene le promesse se è vero come è vero che tu pensi di dover vedere un buon giallo ma ti trovi davanti a cento altre cose. Perché “L’uomo nel bosco” di Alain Guiraudie, sceneggiatore e regista in solitaria, strasuccessone sugli schermi francesi e promosso anche da noi nonché insignito del Prix Louis-Delluc che è un po’ quel che il Goncourt è per la letteratura, è cento altre cose. Non prende vie dirette ma imbocca scorciatoie tra quei sentieri di bosco e montagna illuminati in autunno di giallo e marrone, prende variazioni e altri suggerimenti, crea confusione di percorso, s’inerpica e si accende. È un ritratto di gente d’oltralpe come sarebbe piaciuto alla pipa di Simenon o ai serrati intrighi di Chabrol, chiusa, sfuggente, che dice una cosa e pensa l’opposto, che non è mai quel che appare e coltiva il proprio doppio, è una favola nera che sarebbe potuta uscire dalla penna dei Grimm e quel titolo adottato da noi in luogo dell’originale “Miséricorde” può voler dirla lunga, è un giocare già a carte scoperte visto che sappiamo dopo una mezz’ora chi ha fatto fuori chi, è un manifesto omosex – con tanto d’ammiccamenti, con quei membri maschili non proprio in riposo – inquadrato con i contorni del desiderio che si fa strada qua e là, in mezzo alle inquadrature, non soltanto nel protagonista Jérémie, nella normalità di una faccia e un corpo, ma pure in quegli altri omaccioni grandi e grossi, visi feriti e corpi sfatti e massicci, per nulla patinati a portare ancora fuori strada (l’estetica non trova spazio in casa Guiraudie), dall’amichetto d’infanzia a quell’altro che gira con il fucile e minaccia ma al quale è facile ripetere come un tempo, dopo un paio di bicchieri di pastis, “mi sei sempre piaciuto”: sino al parroco, corpulento e indecifrabile (sino ad un certo punto) pure lui, tra il divino e il carnale, che preferisce confessarsi che confessare e ospita volentieri nel letto della canonica.

Nell’”Uomo nel bosco” – che, per inciso, la sacra bibbia dei Cahiers du cinéma, e un’istituzione, hanno eletto miglior film del 2024 – c’è dunque un tranquillo e assonnato paesino di una manciata di anime (è Saint-Martial, in Occitania), vaso di Pandora di segreti, dove il nostro Jérémie arriva (dalla certo più vivace Tolosa) dopo un interminabile e zigzagante percorso che occupa i titoli di testa, là chiamato per la morte del panettiere di cui fu forse giovane garzone in un misto di lavoro e affetti. Tutti attorno al tavolo della cucina di casa (quelli di cui s’è detto sopra), in aggiunta la vedova per nulla in lacrime, che si fa ospitale verso il ragazzo, non vorrai mica tornartene da te, la strada è lunga, e poi di notte, rimani qui, c’è una stanza al piano di sopra. Tentennamenti e accettazione. Ma il figlio della signora prende male l’invito e non per nulla d’accordo, vede immediatamente la liaison farsi strada e non accetta: nel bosco dove tutto il paese va per funghi, cittadini e villeggianti, tutti si ritrovano (quelli di cui s’è detto sopra) in aggiunta una coppia di gendarmi che paiono usciti dalle pagine antiche (e polverose? non poi tanto) di Collodi, a tentar di chiarire. Perché sotto quelle foglie ci sta il morto e sopra ci crescono abbondanti le morchelle – vulgo “spugnole” -, il cappello bruno e buono per farci le frittatine la sera a cena: una verità che nessuno conosce e che soltanto il rappresentante della Chiesa acutamente e giustamente intuisce, prima che stringa a sé il pargolo e si veda il gendarme, che possiede il passepartout per ogni toppa, di quelle case che sembrano prigioni di azioni e sentimenti, entrare in camera sua. Anche la signora boulangère fa gli occhi dolci al ragazzotto, più amante felicemente accondiscendente che maman dolce e protettiva: e allora come volete che termini “L’uomo nel bosco” se non con i due che si tengono mano nella mano dentro il lettone di lei?

Anche boccaccesco o commedia quantomai leggera, innaffiata di abbondante ironia, negli sguardi, nelle smorfie, nei fatti che si succedono a volte con il sorriso (dello spettatore)? parabola a tratti inspiegabile dei giorni nostri? E alle radici, un po’ Pasolini che faceva irrompere Terence Stamp dentro il suo preciso “teorema” o un po’ Visconti con le grazie del Konrad di Helmut Berger catapultato in quel “gruppo di famiglia in un interno”, un po’ Bunuel con il suo “oggetto del desiderio”, qui nient’affatto oscuro. Gli attori stanno al gioco di corpi e di desideri e di sentimenti del regista, da Félix Kysyl che s’insinua a Catherine Frot – che fu già in “Marguerite” di Giannoli, la vita di Florence Foster Jenkins cantante stonata quante mai al mondo, tanto brava da superare Meryl Streep, stesso soggetto negli States – a tutti gli altri. Sconcertante comunque in quel percorso inventato da Guiraudie di seduzione e mistero, striscianti entrambi. Prendere o lasciare, accettare oppure no (dove non mancano le riflessioni al di fuori della sala). Con buona pace di Simenon e della sua pipa.

Il cuore di legno degli ippocastani di Primo Levi

“Il mio vicino di casa è robusto. E’ un ippocastano di Corso Re Umberto; ha la mia età ma non la dimostra. Alberga passeri e merli, e non ha vergogna, in aprile, di spingere gemme e foglie, fiori fragili a maggio; a settembre ricci dalle spine innocue con dentro lucide castagne tanniche.. Non vive bene. Gli calpestano le radici i tram numero otto e diciannove ogni cinque minuti; ne rimane intronato e cresce storto, come se volesse andarsene.. Anno per anno, succhia lenti veleni dal sottosuolo saturo di metano, è abbeverato d’orina di cani. Le rughe del suo sughero sono intasate dalla polvere settica dei viali; sotto la scorza pendono crisalidi morte, che non diventeranno mai farfalle. Eppure, nel suo torpido cuore di legno sente e gode il tornare delle stagioni”. Sono alcuni brani della poesia intitolata Cuore di legno che Primo Levi dedicò nel 1980 agli alberi che ombreggiavano la casa dove visse sempre, dal giorno della nascita – nel luglio del 1919 – a quel tragico 11 aprile del 1987 in cui decise di togliersi la vita. Per sessantasette anni visse nel palazzo torinese al civico 75 di corso Re Umberto. L’unico periodo in cui fu costretto a lasciare la sua dimora – tra il 1942 e l’ottobre del 1945 – lo  raccontò nei suoi libri. Un tempo duro e drammatico scandito dal periodo trascorso lavorando a Milano in una fabbrica di medicinali, dai pochi mesi vissuti da partigiano in Val d’Aosta, dall’arresto il 13 dicembre 1943, la deportazione nel campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, gli undici mesi nel lager di Auschwitz e gli altri nove passati sulla via del ritorno verso casa. Una sua biografia si apre con la descrizione di questo luogo, “uno degli ampi viali che tagliano a scacchi l’elegante quartiere della Crocetta.. i pesanti portoni dei palazzi dalle facciate austere..in mezzo alla folta vegetazione di ippocastani, i tram scivolano sui binari presi d’assalto dalle erbacce”. Un modo semplice per elevare un forte grido d’allarme per l’ambiente urbano, con la stessa coscienza civile che era propria di Levi quando scriveva per tutti perché desiderava che tutti comprendessero l’importanza della memoria e del rispetto. Per gli uomini, e anche per la natura.

Marco Travaglini

(Foto Copyright © Archivio Mauro Pilone – Tutti i diritti riservati)

Una Mary Poppins Torinese tra Gatti e Lampade Tiffany: Vento da Est di Stefania Bertola

Torino tra le righe

Per la rubrica Torino tra le righe, oggi voglio parlarvi di Vento da Est, l’ultimo libro di una delle mie autrici torinesi preferite: Stefania Bertola.

L’autrice, torinese DOC, ha esordito nel mondo della letteratura nel 1989 con il romanzo Luna di Luxor. Prima di allora, ha lavorato per anni come traduttrice presso la casa editrice Einaudi, esperienza che ha lasciato un segno indelebile nel suo stile. La sua attività di traduttrice, durata decenni e svolta per diverse case editrici, comprende grandi nomi della letteratura mondiale come Philip Roth, Ian McEwan, Scott Turow, Alexander McCall Smith, John Updike, Sophie Kinsella e molti altri. Ha spaziato tra i generi, traducendo opere di saggistica (Tom Wolfe), fantascienza (Neil Gaiman), narrativa contemporanea e persino chick lit.

Come autrice, Stefania Bertola ha pubblicato diversi romanzi, spesso ambientati a Torino, in cui coniuga sentimento, umorismo e un tocco di surreale. Il suo stile, che si avvicina alla letteratura anglosassone del genere chick lit, è leggero e divertente, ma mai banale: affronta temi che si distaccano dai canoni più tradizionali del genere. Oltre alla scrittura narrativa, Stefania Bertola è anche autrice radiofonica e sceneggiatrice. Ha collaborato ad alcune puntate della serie televisiva I Cesaroni e nel 2014 è arrivata finalista al Premio Internazionale Bottari Lattes Grinzane.
In Vento da Est, Stefania Bertola ci regala una nuova protagonista irresistibile: Brigida. Laureata in Filosofia, Brigida si trova stabilmente disoccupata, come spesso accade ai laureati in materie umanistiche. La sua vita prende una svolta inaspettata quando le viene chiesto di occuparsi della casa di Damiano Galanti, un raffinato designer di hotel nelle Repubbliche Baltiche. Per Brigida, che ha già collezionato una lunga serie di lavoretti improbabili, questo sembra il lavoro perfetto. Tuttavia, nulla è semplice come sembra: l’elegante appartamento in cui si trasferisce è un crocevia di personaggi stravaganti. Tra uomini affascinanti, donne piene di segreti, zie prepotenti e bambini da accudire, Brigida si trova coinvolta in un turbine di situazioni tragicomiche. A complicare ulteriormente le cose ci sono due gatti che non devono scappare, un terrazzo da curare e una preziosa lampada Tiffany che sembra fatta apposta per rompersi.

Brigida affronta tutto con l’ostinazione e la leggerezza di una Mary Poppins dei nostri tempi. Tra mille pasticci, personali, domestici e sentimentali, trova comunque il modo di cavarsela, dimostrando che il caos può essere gestito con un po’ di ironia e un grande cuore.

Vento da Est è un romanzo che cattura per la sua leggerezza e il suo umorismo, ma che allo stesso tempo regala riflessioni sulle difficoltà e le sorprese della vita quotidiana. Stefania Bertola, con il suo stile inconfondibile, ci offre un’altra storia ambientata a Torino, che si conferma ancora una volta il suo palcoscenico letterario prediletto. La città emerge tra le righe come un personaggio a sé, con i suoi luoghi eleganti e i suoi angoli più nascosti, rendendo il libro una vera delizia per chi ama Torino e la letteratura.

Se cercate un romanzo divertente, pieno di personaggi indimenticabili e situazioni surreali, Vento da Est è la scelta perfetta per voi. Stefania Bertola si conferma una delle voci più brillanti e ironiche del panorama letterario torinese.

 Marzia Estini

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Il Monferrato nell’Oriente mediterraneo (secoli XII-XV)

Partendo dal domandarsi cosa avesse portato la figlia del marchese di un piccolo Stato piemontese del XIII secolo a sposare nientemeno che l’erede al trono dell’impero romano d’Oriente, l’autore Andrea Paleologo Oriundi ha ricostruito la storia dei complessi rapporti tra il mondo occidentale latino e quello orientale greco negli ultimi secoli del Medio Evo. Di opere sull’argomento, o più propriamente su parti di esso inquadrate in disamine più generali, ne sono state pubblicate molte, anche recentemente; questo lavoro rappresenta qualcosa di diverso: un testo che raccoglie l’intera storia dei complessi, intensi e poco conosciuti rapporti che le case dei marchesi di Monferrato (Aleramici prima e Paleologi poi) hanno intessuto con il vicino Oriente (Costantinopoli e Terrasanta) o, come veniva chiamato all’epoca, con l’Oltremare, dal XII al XV secolo. Tali imprese e legami, propiziati dalle crociate, si inquadrano in un più vasto movimento di avvicinamento tra due mondi, l’Occidente latino e l’Oriente greco, e tra due civiltà profondamente differenti, rimasti a lungo estranei e fondamentalmente ostili uno all’altro ma che fatalmente erano destinati ad incontrarsi e scontrarsi con le aperture dell’ultimo periodo del Medio Evo. È un testo di gradevole leggibilità anche per chi ha solo sfocati ricordi scolastici su un argomento così intricato e lontano da noi, ma anche così affascinante e avvincente, per far rivalutare al lettore un periodo, il Medio Evo, dai più ingiustamente ritenuto “buio” e poco interessante. È un’opera che si pone a metà tra il saggio e il racconto, senza perdere il rigore dell’uno né la piacevolezza dell’altro. Disponibile su Amazon a: https://www.amazon.it/dp/B0CNDBLJW6

“Rimanete seduti e allacciate le cinture”, OFT al Conservatorio Verdi

IL concerto di martedì 28 gennaio dell’Orchestra Filarmonica di Torino

 

Martedì 28 gennaio, alle 21, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, si terrà il concerto “Rimanete seduti e allacciate le cinture”, in cui salirà sul palco del Conservatorio la prima delle giovani stelle protagoniste della stagione “One Way Together”. Il violoncellista Ettore Pagano, che ha nel suo bagaglio primi premi in oltre 40 concorsi, torna ospite di OFT dopo la prima applauditissima esibizione nel febbraio 2023.

Pagano e l’orchestra, diretti dal direttore musicale di OFT Giampaolo Pretto, eseguiranno il Concerto n.2 in si minore per violoncello e orchestra op.104 di Antonin Dvořák, considerato tra i più concerti scritti per questo strumento solista.

Il Concerto n.2 per violoncello e orchestra di Dvořák è uno tra i più suonati e registrati. Fu l’ultimo dei concerti del compositore e fu scritto nel 1894-1895 per un suo amico, il violoncellista Hanuš Wihan, ma eseguito per la primo volta dal violoncellista inglese Leo Stern. È riconosciuto come uno dei grandi capolavori di Dvořák e risulta un’opera di grande intensità, in cui l’orchestra dialoga armoniosamente con i virtuosismi del violoncello, ed è stata composta durante il soggiorno americano del musicista. Dvořák vi mise mano anche in seguito tornato in Europa, e il brano, è anche un sorta di testamento spirituale nel quale condensa il suo amore verso la musica popolare, che nobilita e plasma in un corpo nuovo attraverso trame talora malinconiche, talora travolgenti.

L’OFT nella seconda parte della serata eseguirà la Sinfonia n.2 in do maggiore op.61 di Robert Schumann. Frutto di anni dolorosi, la Sinfonia prende vita mentre il celebre compositore è tormentato dal dolore all’orecchio e dall’insonnia. Verso la fine del 1945 l’estro creativo di Schumann porta nell’arco di pochi giorni la stesura effettiva dell’opera, un lavoro comunque lungi dall’essere compiuto, poiché soltanto l’anno successivo il compositore approderà alla stesura finale e alla prima esecuzione in pubblico, avvenuta il 5 novembre del 1846 al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione del Mendelssohn. Suddivisa in 4 movimenti, risente dell’influenza di Beethoven e di quella di Bach, essendo lui e l’amata moglie Clara, in quel periodo, impegnati nello studio dell’arte del contrappunto. Il risultato tuttavia è un lavoro unico, dove le miserie della vita vengono elevate a lirismo e trasformate in una musica che irradia una poetica serenità.

Il viaggio musicale di gennaio targato OFT è introdotto da un titolo, “Rimanete seduti e allacciate le cinture”, che ne riassume potenza e senso, nonché raccontato attraverso l’immagine che accompagna il concerto, realizzata con la tecnica del collage sulla base dei brani in programma e delle suggestioni personali offerte da Ettore Pagano. Un percorso suggestivo completato dal microracconto che apre il concerto del Conservatorio, scritto appositamente per l’OFT dal giornalista e musicista Lorenzo Montanaro. La lettura del testo è affidata all’associazione Liberi Pensatori Paul Valery e all’Accademia di Formazione Teatrale Mario Brusa di Torino.

Il concerto di martedì 28 gennaio al Conservatorio, alle 21, in piazza Bodoni, è preceduto sempre da due momenti di prova aperti al pubblico. L’OFT offre la possibilità di vedere i suoi musicisti al lavoro la domenica mattina, mentre studiano e si esercitano con il direttore costruendo il concerto nota dopo nota, e lunedì mentre eseguono l’ultima prova prima della grande serata al Conservatorio del martedì. La prova generale è in calendario lunedì 27 gennaio alle ore 18.30 presso il teatro Vittoria di via Gramsci 4, a Torino.

 

Mara Martellotta