CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 4

Briganti e… oltre. I banditi nel cinema

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino, in collaborazione con il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, presenta dal 9 novembre al 19 dicembre 2025 Briganti e… oltre. I banditi nel cinema, un ciclo di proiezioni al Cinema Massimo che accompagna la mostra Briganti! Storie e immagini dal Risorgimento a oggi (23 ottobre 2025 – 29 marzo 2026, Museo del Risorgimento Italiano).

Nella mostra saranno anche presenti dei manifesti digitalizzati provenienti dalle collezioni del Museo: Il brigante di Tacca del Lupo (1952), Pietro Germi; Fra Diavolo (USA, 1933), Hal Roach; Gangster Story (USA, 1967), Arthur Penn; Il mucchio selvaggio (USA, 1969), Sam Peckinpah; Dillinger (USA, 1973), John Milius; Robin e Marian (USA, 1976), Richard Lester; I cavalieri dalle lunghe ombre (USA, 1980), Walter Hill.

La figura del brigante, tra le più controverse della storia italiana postunitaria, è stata reinterpretata dal cinema come simbolo di resistenza, devianza e conflitto sociale. Attraverso lo sguardo dei registi di epoche e culture diverse, il brigante diventa specchio delle tensioni politiche, delle ingiustizie e dei miti popolari che attraversano la modernità.

“Siamo felici di accompagnare il Museo del Risorgimento Italiano in questo progetto di rilettura della figura del brigante – sottolinea Carlo Chatrian, direttore del Museo Nazionale del Cinema. Non solo perché questo da modo di far conoscere il nostro patrimonio ma anche perché quella del “brigante” è una figura tra le più feconde nella storia del cinema. Il programma di proiezioni, ideato dal team scientifico della mostra insieme a Grazia Paganelli, responsabile della programmazione del Cinema Massimo, permetterà di esplorare le molteplici declinazioni di questo archetipo, dal bandito ottocentesco ai ribelli contemporanei.”

La rassegna Briganti e… oltre. I banditi nel cinema invita quindi gli spettatori a riflettere sul fascino e sull’ambiguità di queste figure, tra giustizia e sopruso, eroismo e marginalità, restituendo tutta la complessità di uno dei temi più controversi della nostra storia e della nostra cultura cinematografica.

 

 

PROGRAMMA DELLE PROIEZIONI

 

Domenica 9 novembre
h. 19:30 – Talk di introduzione con Carlo Chatrian, Alessandro Bollo, Giaime Alonge, Grazia Paganelli
a seguire Il siciliano di Michael Cimino (Usa 1987)

 

Lunedì 10 novembre
h. 20:30 – Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (Italia 1962)
Introduzione a cura di Paola Zeni

Venerdì 14 novembre
h. 20:30 – Il brigante di Tacca del Lupo di Pietro Germi (Italia 1952)

Domenica 16 novembre
h. 20:30 – Quién Sabe? di Damiano Damiani (Italia/Spagna 1966)
Introduzione a cura di Matteo Pollone e Gabriele Perrone

 

Venerdì 5 dicembre
h. 20:30 – Il dio nero e il diavolo biondo di Glauber Rocha (Brasile 1964)
Introduzione a cura di Bruno Surace

 

Martedì 9 dicembre
h. 20:30 – Gangster Story di Arthur Penn (Usa 1967)
Introduzione a cura di Mairapaola Pierini

 

Martedì 16 dicembre
h. 20:30 – Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah (Usa 1969)
Introduzione a cura di Giaime Alonge

 

Venerdì 19 dicembre
h. 20:30 – Once Upon a Time in China di Tsui Hark (Hong Kong 1991)
Introduzione a cura di Riccardo Fassone

Paolo Siccardi: dai teatri di guerra alle rotte dei migranti

Al Centro Interculturale della Città di Torino 

Il Centro Interculturale della Città di Torino di corso Taranto ospita giovedì 6 Novembre alle ore 18 l’evento “Dai teatri di guerra alle rotte dei migranti”. Partendo da alcuni scatti realizzati nell’arco della sua carriera, il giornalista e fotoreporter Paolo Siccardi racconta il suo percorso umano e professionale tra memorie, immagini e storie raccolte nelle zone di conflitto di tutto il mondo per dare voce a tutte quelle persone dimenticate dalla cronaca e cancellate dalla storia. Nell’arco di alcuni decenni Siccardi ha costruito il suo linguaggio fotografico con cui leggere e interpretare la realtà. Un linguaggio che diventata racconto di una lunga esperienza di fotoreporter. Il suo è un percorso umano e professionale che viaggia tra memoria, immagini e le storie raccolte nelle zone di guerra più calde del mondo, e che si riconosce da un obiettivo sempre al servizio di quell’umanità fatta di singole persone sovente dimenticate dalla cronaca e cancellate dalla storia. Realtà che conosce bene per avere a lungo frequentata come fotoreporter in quei luoghi dove tornavano, dopo l’ultimo conflitto mondiale, i terribili bagliori della guerra. Come Robert Capa, uno dei più grandi maestri della fotografia, sostenitore della tesi contenuta in una delle sue frasi più famose ( “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino” ) anche lo sguardo di Siccardi è sempre stato il più vicino possibile alla realtà che voleva rappresentare, limitando al minimo i filtri tra fotografo e soggetto. Le sue foto sono spesso asciutte, centrate sulla sofferenza, la miseria e il caos che la guerra porta con sé. In fondo , nel suo lavoro, ha messo in pratica l’insegnamento di Henri Cartier-Bresson: “quello che un buon fotografo deve cercare di fare è mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio”. Ed è ciò che ha fatto con il suo codice di scrittura per immagini, con uno stile e una sensibilità che l’ha distinto da molti altri che preferivano le velocissime spedizioni di due o tre giorni con molto denaro a disposizione, giubbotti antiproiettile in prestito e una buona dose di cinismo nella ricerca dello scoop a tutti i costi. La conferma è testimoniata dai tanti lavori, dalle mostre, dai reportage pubblicati sulle testate più prestigiose, da libri come il bellissimo e quasi introvabile Una guerra alla finestra, testo fotografico che documentava i suoi reportage a Sarajevo e nei Balcani più di trent’anni, edito dal Gruppo Abele.
Eros Bicic, giornalista nato a Pola a quel tempo corrispondente dall’estero per il Corriere della Sera, presentando quel volume di Paolo Siccardi, scriveva con parole quasi profetiche: “Soltanto fra molto tempo capiremo forse quanto la guerra nella ex Jugoslavia sia stata devastante per tutti noi. Anche per quelli che si credono fuori, lontani, appartenenti a un’altra civiltà, ad altri valori e destini. Allora comprenderemo forse che senza che ce ne fossimo resi conto, quegli orribili massacri, quell’immensa sofferenza della popolazione, quella violenza senza limiti, avevano sconvolto, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, il nostro modo di essere, il nostro concetto del bene e del male, la nostra sensibilità all’ingiustizia, la convinzione di essere forti nel bene e capaci di fermare il male. Allora, quando i tempi saranno probabilmente anche peggiori di quelli attuali, ci ricorderemo che, chi sa come, proprio la guerra jugoslava ci aveva abituati a convivere con l’orrore, ad accettarlo come un fatto quotidiano, quasi normale, senza più l’ambizione di ribellarsi. E capiremo che doveva essere proprio in questi anni che, distratti, abbiamo perso la nostra coscienza”. Paolo Siccardi, all’epoca trentenne fotoreporter con già all’attivo numerosi servizi e reportage in giro per il mondo, in quella sessantina di pagine con trentasette scatti che documentavano il dramma della gente nella ex Jugoslavia e in particolare a Sarajevo, interrogava le coscienze quasi in presa diretta, richiamando l’attenzione in quel 1993 sul conflitto che infuriava da quasi tre anni sull’altra sponda dell’Adriatico, nel tempo in cui Sarajevo nel cuore della Bosnia, la regione più jugoslava della terra degli Slavi del sud, era stretta d’assedio e si preparava al secondo, terribile inverno di sofferenze. L’occhio della sua macchina fotografica inquadrava la realtà, indagava la vita che resisteva testardamente alla violenza, scavava in quella tragedia dall’interno, si soffermava sulle istantanee della vita di tutti i giorni nella Sarajevo “amorosa che non si arrende” ( Liubavno Sarajevo se ne predaje ) come scriveva il poeta Izet Sarajlic. Da quel tempo e come allora le sue foto hanno documentato molte realtà, migrazioni e conflitti. I suoi scatti vanno guardati senza fretta per coglierne l’essenza. Come diceva Bicic “bisogna lasciare che quelle immagini entrino in noi da sole, senza forzature” per avvertire il dolore di cui sono impregnate, per cogliere il racconto “ dell’assurdità della sofferenza, della distruzione e dell’ingiustizia”. Un lavoro di decenni che narra il caos che produce morte e pulizia etnica, le migrazioni in cerca di speranza, cibo e pace per sfuggire alle violenze e alle carestie, le corse a perdifiato per sfuggire al tiro dei cecchini ai quattro angoli del mondo, le file per l’acqua e il pane ma anche i giochi dei bambini, la voglia di vivere che non si fa soffocare e prova a resistere in condizioni spesso oltre il limite, dal medio oriente al Dombass, dal Sud America all’Africa spesso dimenticata. Il suo lavoro e le immagini che ha scattato nel corso di una vita sono necessarie per aiutarci a comprendere e forse ( perché la speranza in fondo è davvero l’ultima a morire..) a diventare un poco migliori e meno disattenti su ciò che ci accade attorno. Sono scatti d’autore che rappresentano con la stessa forza il punto dove la cronaca e l’informazione incontrano l’arte perché è fondamentale riflettere su ciò che è stato evitando gli “sguardi indifferenti e bui” dei tanti, veramente troppi, che preferirono e preferiscono guardare da un’altra parte. In fondo è questa l’unica ragione etica nel lavoro di un buon fotoreporter.

Marco Travaglini

 

Stefano Unterthiner. “Una finestra sull’Artico”

L’ottocentesco “Forte di Bard” dedica una suggestiva personale all’imponente lavoro realizzato dal fotografo valdostano nell’arcipelago delle Svalbard

Fino al 3 maggio 2026

Bard (Aosta)

Se già solo a trovartele di fronte in solitarie immagini fotografiche di acque e ghiacci (un tempo perenni!) ti ribaltano e ti bloccano occhi e cuore – per l’inimmaginabile abbagliante surrealtà tanto lontana dal nostro vivere comune – figurarsi pensare di viverle in una concreta, pur se solo momentanea, quotidianità! “E’ un mondo talmente estremo che una volta che lo provi fai fatica a dimenticarlo e sogni di tornarci”; così commentava in una recente intervista a “Vanity Fair Italia”, Stefano Unterthiner, fotografo valdostano (classe ’70 e da vent’anni collaboratore del “National Geographic”) il complesso lavoro da lui realizzato, fra il 2018 e il 2025, nell’arcipelago delle Svalbard, le terre abitate più a nord del Pianeta, oggi – e fino a domenica 3 maggio 2026, ospitato nelle “Sale degli Alloggiamenti del Museo delle Alpi” al “Forte di Bard”. Sessanta, di un ben più ampio nucleo di scatti, articolati sotto il titolo “Una finestra sull’Artico”, sono le opere esposte nella Fortezza sabauda, suddivise in “nove sezioni” e frutto di un lavoro iniziato da Unterthiner in un momento storico particolare per la vita del Pianeta. E di tutti noi. “Quando è finita la notte artica – ancora parole del fotografo – tre mesi di buio totale, ed è tornata la luce, è arrivato il Covid e, improvvisamente, non c’era più nessuno. Mi sono ritrovato a vivere le Svalbard di 50 anni fa”. Non quelle dei tempi del leggendario esploratore norvegese Roald Amundsen (che con il suo equipaggio compì in tre anni l’intero viaggio dalla Groenlandia all’Alaska), ma quasi. E, con Unterthiner, alle Svalbard c’erano anche la moglie, la divulgatrice scientifica Stéphanie Françoise, e i due figli.  Ancora il fotografo: “Tutto si è bloccato … Ma in quel periodo, senza l’ombra di un turista, ho potuto trovare la connessione con la natura che cerco sempre per me e per le mie fotografie. Andavo in motoslitta per chilometri senza vedere mai nessuno. Si sono create anche le condizioni per vedere l’orso polare che va cercato con cautela e con imbarcazioni particolari. La mostra al ‘Forte di Bard’ racconta tutto quello che ho realizzato in questi anni, 60 immagini da un archivio di circa 25mila scrupolosamente selezionate”. E, negli occhi e nella memoria “la bellezza nascosta dell’Artico che, se non la si vede, non si riesce a capire”. Ma raccontata in maniera davvero eccezionale in quei 60 scatti (comprendenti anche la produzione inedita realizzata in quattro successive spedizioni) esposti nella rassegna di Bard, parte dovutamente limitata del Progetto “Una famiglia nell’Artico” e raccolti in uno dei suoi dieci volumi fotografici (pubblicati dal 2000 ad oggi) dal titolo “Un mondo diverso” (Ylaios, 2022).

Al “Forte di Bard”, Unterthiner racconta tutta la sua passione per quella straordinaria area situata a nord del Circolo Polare Artico (non un continente unico, ma ricco di enormi giacimenti di petrolio, gas naturale e minerali, dal nichel al rame a rare pietre preziose) e per la sua umanità non meno che per la sua fauna, colta (anche dopo ore di appostamenti) nelle diverse stagioni: dagli orsi polari alle renne alle sterne e ai fulmari (uccelli d’alto mare, particolarmente diffusi nell’Oceano Atlantico).

“Un affresco intenso ed emozionante, originale e potente – si è scritto – di un mondo purtroppo fragile, in rapido mutamento e sempre più condizionato dall’impatto dei cambiamenti climatici”. Una iattura cui non si sottraggono purtroppo neppure le Svalbard, che sono il luogo – è stato appurato – dove il cambiamento climatico si manifesta più rapidamente che in qualunque altra regione del mondo. Per centoundici mesi consecutivi è stata, infatti, registrata una temperatura media mensile al di sopra del normale (marzo 2020 ha interrotto la sequenza negativa, tornando sotto la media di 0,5° C). In generale, tutto l’Artico – dicono gli esperti – si sta riscaldando più del doppio rispetto al resto del pianeta.

A completare la mostra diciotto ritratti in bianco e nero realizzati da Unterthiner tra i residenti della piccola comunità di Longyearbyen (Svalbard), accompagnati da testimonianze sulla percezione dei mutamenti climatici e un pannello in grande formato dedicato alle “climate stripes”. Lungo il percorso espositivo è disponibile anche un documentario realizzato da “Raitre” (della durata di 20’), che racconta il Progetto “Una famiglia nell’Artico”.

Gianni Milani

Stefano Unterthiner. “Una finestra sull’Artico”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele, Bard (Aosta); tel. 0125/833824 o www.fortedibard.it

Fino al 3 maggio 2026

Orari: dal mart. al ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19. Lun. chiuso

Nelle foto: Stefano Unterthiner “Fulmari fotografati dalla finestra della M/S Mälmo, Tempelfjorden; “Combattimento tra maschi di renna durante la stagione riproduttiva”, 2018; Volpe artica in abito invernale e permafrost”, 2018

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

SABATO 8 NOVEMBRE

 

Sabato 8 novembre ore 16

I CERCHI NELL’ACQUA

Palazzo Madama – visita guidata in collaborazione con OFT

Musica e arte sono unite dalla bellezza. Si potrà scoprire il filo che le lega nel corso delle visite guidate organizzate presso i tre grandi musei della Città di Torino e ispirate dai concerti della Stagione concertistica Memories dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Il sabato precedente il concerto GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, MAO Museo d’Arte Orientale e Palazzo Madama Museo Civico d’Arte Antica propongono infatti, a rotazione, un ciclo di visite guidate al proprio patrimonio museale.

L’iniziativa è come sempre a cura dei Dipartimenti Educazione della Fondazione Torino Musei con la collaborazione di CoopCulture.

Sabato 8 novembre 2025, ore 16

I cerchi nell’acqua

Per avvicinarsi al concerto per archi dell’Orchestra Filarmonica di Torino, Palazzo Madama propone una visita guidata alla mostra “Il conte Cozio di Salabue e il mito di Stradivari”: allestita nella Corte Medievale, la mostra presenta venti capolavori tra violini e viole – di cui 12 appartenuti al conte Cozio – attraverso cui sarà possibile conoscere le caratteristiche della liuteria italiana tra Sette e Ottocento e di scoprire il lavoro realizzato dal collezionista, il piemontese Ignazio Alessandro Cozio di Salabue, che acquistò il fondo della bottega di Stradivari e alcuni prestigiosi esemplari di altri maestri, avvicinandosi all’arte della costruzione degli strumenti con atteggiamento moderno e innovativo rispetto alla sua epoca.
Per la prima volta a Torino sarà possibile ammirare il violino Antonio Stradivari costruito a Cremona nel 1718 (che Cozio descrisse nei suoi carteggi) e appartenuto a Giovanni Battista Viotti, e il violino Giuseppe Guarneri “del Gesù” realizzato a Cremona nel 1736, appartenuto a Gaetano Pugnani.

Costo: 7€ per il percorso guidato + biglietto di ingresso (ingresso gratuito al museo con Abbonamento Musei e Torino +Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 19560449 (lunedì-domenica ore 10-17) – ftm.prenotazioni@coopculture.it

 

DOMENICA 9 NOVEMBRE

 

Domenica 9 novembre ore 16

SENZA PERDERE IL FILO

MAO – attività per famiglie

L’attività si concentra sulle suggestive opere dell’artista Chiharu Shiota. La scoperta inizia seguendo i fili di lana o di alcantara, tra il vuoto che si fa pieno, l’invisibile che si fa visibile, le relazioni che come i fili creano legami. In questo altalenarsi di sensazioni che si ingarbugliano e si intrecciano come fili, la barca è l’elemento che meglio definisce questo stato d’animo.

In laboratorio, mettendo in campo spirito d’osservazione e abilità manuali, si realizzeranno piccole installazioni costruendo barche in fil di ferro e fili di lana.

Costo €7 a bambino per l’attività; adulti ingresso ridotto mostra, gratuito per i possessori Abbonamento Musei.
Prenotazione obbligatoria maodidattica@fondazionetorinomusei.it – Tel 011-44336927

 

LUNEDI 10 NOVEMBRE

 

Lunedì 10 novembre ore 15.30-17.30

PARCO DEL VALENTINO

Palazzo Madama – passeggiata botanica

Giardini, parchi, viali raccontati dal punto di vista del verde e in particolare del ricco patrimonio arboreo nelle aree più amate della nostra città. Riconoscere un albero, comprenderne la storia sia botanica che culturale e infine apprezzarne il valore estetico e paesaggistico in ambito urbano. Attraverso le passeggiate impareremo a metterci nei panni dei nostri alberi per tutelare e curare al meglio la loro crescita.

I colori autunnali, il fiume, il fascino di un parco romantico e all’inglese ci portano in una dimensione differente dove la città fa da contorno a un polmone verde e vitale ricco di storia e fascino. Passeggiata dall’arco monumentale di Corso Vittorio fino al Borgo Medievale.

Costi: 10 € (5 € Abbonamento musei) – pagamento anticipato

Info e prenotazioni: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Prenotazione obbligatoria. Il punto di ritrovo verrà di volta in volta comunicato ai partecipanti

 

 


Visite guidate in museo alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO
a cura di CoopCulture.
Per informazioni e prenotazioni: t. 011 19560449 (lunedì-domenica ore 10-17)

ftm.prenotazioni@coopculture.it

 

https://www.coopculture.it/it/poi/gam-galleria-darte-moderna/
https://www.coopculture.it/it/poi/mao-museo-darte-orientale/
https://www.coopculture.it/it/poi/palazzo-madama-museo-civico-darte-antica/

 

Gli 8 violoncelli di Torino

Domenica 9 novembre, alle ore 21, il teatro Juvarra ospiterà il concerto “Gli 8 violoncelli di Torino”, conosciuti anche come gli “8 celli”. Un programma accattivante dove i grandi compositori del passato si uniscono ai compositori di oggi. Bach, Verdi, Morricone ed Ezio Bosso saranno interpretati dagli 8 violoncelli di Torino. La passionalità della scrittura musicale, l’intensità, l’ipermelodia e la tradizione lirica saranno gli argomenti di spicco.

Gli 8 violoncelli di Torino nascono nel 2005 dal sogno nel cassetto del maestro Fabrice De Donatis, desideroso di creare un gruppo violoncellistico unico in Italia, con musicisti di consolidata carriera, ma caratterizzato da un legame di amicizia tra gli esecutori.

“Questi artisti – ha espresso la critica in proposito – hanno saputo valorizzare pienamente l’estensione tecnica ed espressiva del violoncello, per formare un gruppo a geometria variabile, capace di rendere la coralità di un’intera orchestra, la sensibilità tonale di un quartetto d’archi e la ritmici sensuale e travolgente di una band sudamericana”.

L’ottetto è stato più volte ospite di festival nazionali e internazionali, come il festival dei Suoni e dei Luoghi, il festival violoncellistico Alfredo Piatti, i Suoni delle Dolomiti, il Festival Violoncelles en Folie e il Festival de Musique de Chambre en Pays de Gex, in Francia, il Rio International Cello Encounter di Rio de Janeiro e molti altri. Dal 2019 gli 8 violoncellista di Torino sono costituiti da dieci elementi che si alternano in modo complementare in attività concertistica del gruppo. Da alcuni anni l’ottetto dedica anche parte delle attività a favore di Associazioni umanitarie con scopi benefici. L’incasso del concerto di domenica 9 novembre sarà destinato al restauro dell’organo a canne, presso la Chiesa dell’Immacolata, nel complesso degli Artigianelli. Tra gli 8 violoncellisti risultano Pier Paolo Toso, Relja Lukic, Francesca Gosio, Claudia Ravetto, Fabrice De Donatis, Alberto Capellaro, Paola Perardi e Giulio Arpinati.

Domenica 9 novembre 2025, alle ore 21, teatro Juvarra, via Juvarra 13, Torino

biglietto: intero 20 euro – ridotto 15 euro

info: teatrojuvarra.it – biglietteria online: Mailticket.it

Mara Martellotta

Forattini, il libero pensiero contro il conformismo

IL  COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
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Morire a 94 anni è un privilegio di pochi, ma sicuramente Giorgio Forattini avrà vissuto gli anni del tramonto. Era il vignettista più famoso ed apprezzato. Quando a Torino “La Stampa“ in due periodi diversi lo sottrasse a “Repubblica“, divenne famoso anche tra lettori non acculturati perché una sua vignetta aveva l’effetto di un editoriale. Pochi tratti di matita e una battuta rendevano un’idea, un giudizio subito chiari e fulminanti. Era stato querelato una ventina di volte sempre da esponenti di sinistra, anche se la sua matrice originaria era la stessa, intesa però in senso anarchico – liberale. Fu considerato da alcuni politici un nemico, D’Alema, ad esempio, ma da altri, come Spadolini, una fortuna. Il Giovannone fiorentino grasso e impacciato nelle sue vesti professorali fu denudato da Forattini e reso subito  popolare. Più severo Forattini fu con Craxi di cui senti’ il mussolinismo. Storica è la vignetta per la vittoria al referendum del 1984 quando disegnò una bottiglia di champagne il cui tappo era Fanfani. Ho conosciuto bene Forattini che aveva un sovrano disprezzo verso tutti i partiti e non accettò mai di diventare subalterno al Berlinguer di turno. Era un uomo libero che non prendeva ordini da nessuno. A mio modo di vedere può essere paragonato a Giovannino Guareschi anche se la vignetta di Forattini è molto più libera ed estemporanea. Guareschi aveva una storia alle spalle, era stato internato in Germania ed era vissuto in tutt’altro tempo tra il  1908 e il 1968. Forattini incominciò  la sua carriera di vignettista a partire dagli anni ‘70 in un tempo caratterizzato dal livore ideologico. Non scrisse libri che non fossero la raccolta delle sue vignette, mentre Guareschi, non solo per il suo Don Camillo, è scrittore riconosciuto a livello internazionale. Ma lo spirito libero ha accomunato ambedue. Fu insignito del Premio “Pannunzio” di cui andava fiero. Era diventato un critico feroce di Scalfari e aveva vissuto sulla sua persona la violenza di una censura di sinistra che io definii quando gli consegnai il Premio, la “feroce egemonia gramsciana“. Non ci sono più in attività gli Angelo D’Orsi di turno, ma la ferocia resta in certi palazzi della cultura torinese. E’ una ferocia ancora peggiore perché la belva oggi appare ferita. Forattini mi mandò una vignetta in cui il Centro “Pannunzio” avrebbe liberato Torino da quella morsa. Non è accaduto come sparava lui che, non vivendo a Torino, era troppo ottimista. Pensare a Giorgio oggi mi riempie comunque di orgoglio perché l’assegnazione a lui del Premio “Pannunzio” fu una scelta giusta. Ebbi anche il consenso dell‘avvocato Agnelli che sarebbe venuto al Premio al “Cambio“ se la data non fosse coincisa con il suicidio del figlio. Forse il nipote Elkann non sa neppure chi sia stato Forattini. Un schiena diritta capace di andare controcorrente, capace di difendere Sogno anche quando era indifendibile.

Valle Bormida: i francobolli della Liberazione

La Resistenza è stata combattuta anche con i francobolli. Nel dicembre del 1944 i CLN locali della Valle Bormida stamparono in clandestinità dei francobolli alternativi a quelli della Repubblica Sociale Italiana, destinati ad entrare nel corrente uso locale una volta che la zona dei sette Comuni fosse stata liberata. I francobolli vennero stampati in modo rudimentale in una tipografia di Castelnuovo Bormida e recavano l’immagine della Vittoria Alata, del Teseo uccisore di mostri e del Perseo del Cellini. Tra il 26 aprile ed il 4 maggio del 1945 i CNL locali emanarono i decreti in cui si dichiaravano fuori corso i francobolli della RSI e si riconosceva l’ufficialità della emissione dei Patrioti della Valle Bormida, ordinandone la distribuzione presso gli uffici postali e la loro circolazione come valori legali.

Questo aspetto “filatelico” della lotta di Liberazione viene ora raccontata in una mostra itinerante, presentata al Polo del ‘900, che inaugura venerdì 7 novembre a Rivalta Bormida, per poi essere ospitata negli altri sei Comuni alessandrini di Castellazzo Bormida, Castelspina, Sezzadio, Castelnuovo Bormida, Strevi e Cassine.

In realtà, prima di quelli stampati dai “patrioti della Val Bormida”, altri francobolli erano stati utilizzati come sfida politica al fascismo. Dopo l’8 settembre per affrancare la corrispondenza gli italiani continuarono a utilizzare i francobolli del Regno d’Italia ma nella Repubblica Sociale furono soprastampati prima con la scritta “GNR” (Guardia Nazionale Repubblicana), poi “RSI”, e la sagoma del fascio. Nel 1944 il nucleo di polizia postelegrafonica della Guardia Nazionale Repubblicana di Torino intercettò alcune lettere affrancate con francobolli contraffatti, che sbeffeggiavano il “Cerutti”, ovvero Mussolini.

Dall’aprile ai primi di maggio 1945 alcuni Comitati di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia diedero alle stampe serie filateliche autonome. Alcuni di questi esemplari furono usati per affrancare la posta, altri vennero prodotti per autofinanziamento o per fini collezionistici; alcuni non arrivarono mai agli sportelli postali, altri ancor sono postumi o semplici leggende.

Ben diversa è la storia dei francobolli dei Patrioti della bassa Val Bormida, fra Alessandria e Acqui, che già a partire dai primi di dicembre del 1944 pianificarono l’organizzazione amministrativa del territorio una volta liberato, compresa l’attivazione di un servizio postale. Le difficoltà iniziali furono molte, fra il timore dei rastrellamenti, l’assenza di macchinari tipografici adeguati, l’inesperienza dei produttori e la scarsa reperibilità di carta, inchiostri colorati e gomma arabica.

Come soggetti vennero scelti il Teseo che abbatte il Minotauro di Canova ed il Perseo del Cellini che ostenta la testa di Medusa come simboli della decapitazione dei nemici, e la Vittoria Alata conservata al Museo Civico di Brescia; tutte immagini che assumono valore chiaramente patriottico. La serie circolò ufficialmente in gran parte della valle nel periodo post Liberazione per oltre un mese, dal 26 aprile al 19 maggio 1945. La validità postale cessò dal 20 maggio, in coincidenza con l’entrata in vigore di una ordinanza del Governo Militare Alleato, che ripristinava l’utilizzo esclusivo di francobolli del Regno. Un caso unico nella storia della filatelia italiana, gli unici francobolli, la cui emissione fu preparata in clandestinatà, aventi valore legale nell’affrancatura della normale corrispondenza.

La mostra “I Patrioti della Valle Bormida” è un progetto dell’ANPI Comitato Provinciale di Alessandria, con il patrocinio del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte.

Emanuele Rebuffini