Il Museo Nazionale del Cinema di Torino, in collaborazione con il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, presenta dal 9 novembre al 19 dicembre 2025 Briganti e… oltre. I banditi nel cinema, un ciclo di proiezioni al Cinema Massimo che accompagna la mostra Briganti! Storie e immagini dal Risorgimento a oggi (23 ottobre 2025 – 29 marzo 2026, Museo del Risorgimento Italiano).

Nella mostra saranno anche presenti dei manifesti digitalizzati provenienti dalle collezioni del Museo: Il brigante di Tacca del Lupo (1952), Pietro Germi; Fra Diavolo (USA, 1933), Hal Roach; Gangster Story (USA, 1967), Arthur Penn; Il mucchio selvaggio (USA, 1969), Sam Peckinpah; Dillinger (USA, 1973), John Milius; Robin e Marian (USA, 1976), Richard Lester; I cavalieri dalle lunghe ombre (USA, 1980), Walter Hill.
La figura del brigante, tra le più controverse della storia italiana postunitaria, è stata reinterpretata dal cinema come simbolo di resistenza, devianza e conflitto sociale. Attraverso lo sguardo dei registi di epoche e culture diverse, il brigante diventa specchio delle tensioni politiche, delle ingiustizie e dei miti popolari che attraversano la modernità.
“Siamo felici di accompagnare il Museo del Risorgimento Italiano in questo progetto di rilettura della figura del brigante – sottolinea Carlo Chatrian, direttore del Museo Nazionale del Cinema. Non solo perché questo da modo di far conoscere il nostro patrimonio ma anche perché quella del “brigante” è una figura tra le più feconde nella storia del cinema. Il programma di proiezioni, ideato dal team scientifico della mostra insieme a Grazia Paganelli, responsabile della programmazione del Cinema Massimo, permetterà di esplorare le molteplici declinazioni di questo archetipo, dal bandito ottocentesco ai ribelli contemporanei.”
La rassegna Briganti e… oltre. I banditi nel cinema invita quindi gli spettatori a riflettere sul fascino e sull’ambiguità di queste figure, tra giustizia e sopruso, eroismo e marginalità, restituendo tutta la complessità di uno dei temi più controversi della nostra storia e della nostra cultura cinematografica.
PROGRAMMA DELLE PROIEZIONI
Domenica 9 novembre
h. 19:30 – Talk di introduzione con Carlo Chatrian, Alessandro Bollo, Giaime Alonge, Grazia Paganelli
a seguire Il siciliano di Michael Cimino (Usa 1987)
Lunedì 10 novembre
h. 20:30 – Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (Italia 1962)
Introduzione a cura di Paola Zeni
Venerdì 14 novembre
h. 20:30 – Il brigante di Tacca del Lupo di Pietro Germi (Italia 1952)
Domenica 16 novembre
h. 20:30 – Quién Sabe? di Damiano Damiani (Italia/Spagna 1966)
Introduzione a cura di Matteo Pollone e Gabriele Perrone
Venerdì 5 dicembre
h. 20:30 – Il dio nero e il diavolo biondo di Glauber Rocha (Brasile 1964)
Introduzione a cura di Bruno Surace
Martedì 9 dicembre
h. 20:30 – Gangster Story di Arthur Penn (Usa 1967)
Introduzione a cura di Mairapaola Pierini
Martedì 16 dicembre
h. 20:30 – Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah (Usa 1969)
Introduzione a cura di Giaime Alonge
Venerdì 19 dicembre
h. 20:30 – Once Upon a Time in China di Tsui Hark (Hong Kong 1991)
Introduzione a cura di Riccardo Fassone

Al “Forte di Bard”, Unterthiner racconta tutta la sua passione per quella straordinaria area situata a nord del Circolo Polare Artico (non un continente unico, ma ricco di enormi giacimenti di petrolio, gas naturale e minerali, dal nichel al rame a rare pietre preziose) e per la sua umanità non meno che per la sua fauna, colta (anche dopo ore di appostamenti) nelle diverse stagioni: dagli orsi polari alle renne alle sterne e ai fulmari (uccelli d’alto mare, particolarmente diffusi nell’Oceano Atlantico).
A completare la mostra diciotto ritratti in bianco e nero realizzati da Unterthiner tra i residenti della piccola comunità di Longyearbyen (Svalbard), accompagnati da testimonianze sulla percezione dei mutamenti climatici e un pannello in grande formato dedicato alle “climate stripes”. Lungo il percorso espositivo è disponibile anche un documentario realizzato da “Raitre” (della durata di 20’), che racconta il Progetto “Una famiglia nell’Artico”.
Morire a 94 anni è un privilegio di pochi, ma sicuramente Giorgio Forattini avrà vissuto gli anni del tramonto. Era il vignettista più famoso ed apprezzato. Quando a Torino “La Stampa“ in due periodi diversi lo sottrasse a “Repubblica“, divenne famoso anche tra lettori non acculturati perché una sua vignetta aveva l’effetto di un editoriale. Pochi tratti di matita e una battuta rendevano un’idea, un giudizio subito chiari e fulminanti. Era stato querelato una ventina di volte sempre da esponenti di sinistra, anche se la sua matrice originaria era la stessa, intesa però in senso anarchico – liberale. Fu considerato da alcuni politici un nemico, D’Alema, ad esempio, ma da altri, come Spadolini, una fortuna. Il Giovannone fiorentino grasso e impacciato nelle sue vesti professorali fu denudato da Forattini e reso subito popolare. Più severo Forattini fu con Craxi di cui senti’ il mussolinismo. Storica è la vignetta per la vittoria al referendum del 1984 quando disegnò una bottiglia di champagne il cui tappo era Fanfani. Ho conosciuto bene Forattini che aveva un sovrano disprezzo verso tutti i partiti e non accettò mai di diventare subalterno al Berlinguer di turno. Era un uomo libero che non prendeva ordini da nessuno. A mio modo di vedere può essere paragonato a Giovannino Guareschi anche se la vignetta di Forattini è molto più libera ed estemporanea. Guareschi aveva una storia alle spalle, era stato internato in Germania ed era vissuto in tutt’altro tempo tra il 1908 e il 1968. Forattini incominciò la sua carriera di vignettista a partire dagli anni ‘70 in un tempo caratterizzato dal livore ideologico. Non scrisse libri che non fossero la raccolta delle sue vignette, mentre Guareschi, non solo per il suo Don Camillo, è scrittore riconosciuto a livello internazionale. Ma lo spirito libero ha accomunato ambedue. Fu insignito del Premio “Pannunzio” di cui andava fiero. Era diventato un critico feroce di Scalfari e aveva vissuto sulla sua persona la violenza di una censura di sinistra che io definii quando gli consegnai il Premio, la “feroce egemonia gramsciana“. Non ci sono più in attività gli Angelo D’Orsi di turno, ma la ferocia resta in certi palazzi della cultura torinese. E’ una ferocia ancora peggiore perché la belva oggi appare ferita. Forattini mi mandò una vignetta in cui il Centro “Pannunzio” avrebbe liberato Torino da quella morsa. Non è accaduto come sparava lui che, non vivendo a Torino, era troppo ottimista. Pensare a Giorgio oggi mi riempie comunque di orgoglio perché l’assegnazione a lui del Premio “Pannunzio” fu una scelta giusta. Ebbi anche il consenso dell‘avvocato Agnelli che sarebbe venuto al Premio al “Cambio“ se la data non fosse coincisa con il suicidio del figlio. Forse il nipote Elkann non sa neppure chi sia stato Forattini. Un schiena diritta capace di andare controcorrente, capace di difendere Sogno anche quando era indifendibile.


