CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 4

Oliva al “Pannunzio” presenta “La prima guerra civile”

MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE ALLE ORE 17.30

Al Centro Pannunzio in via Maria Vittoria 35 h  il giornalista Carmine FESTA in dialogo con l’autore, presenterà il libro di Gianni OLIVA “LA PRIMA GUERRA CIVILE. Rivolte e repressione nel Mezzogiorno dopo l’unità d’Italia”, Mondadori Editore. Presiede Pier Franco QUAGLIENI che ricorderà in apertura la socia Gianna BUSSI PASSAGGIO mancata nei giorni scorsi.

Torino, si anima il dicembre con il Teatro Mobile tra “Empatie Urbane” e “Borgo Dora”

Teatro immersivo, camminate performative e teatro in cuffia

A dicembre prosegue Empatie Urbane-attraversamenti e derive nelle periferie di Torino, il progetto ideato da Teatro Mobile , che porta nelle periferie una programmazione diffusa di performance create per strade, cortili, scuole e luoghi simbolici della città.

Dopo i mesi di settembre e ottobre, la rassegna giunge alla sua fase conclusivacon appuntamenti ad Aurora, Falchera, Massaia, Porta Palazzo  e in altre aree urbane significative,  confermando un percorso che mette al centro partecipazione e relazione con il territorio.

Accanto a Empatie Urbane dicembre ospita  anche un nuovo ciclo di eventi a Borgo Dora, nato in dialogo con le realtà del quartiere e dedicato alla scoperta dei suoi spazi attraverso narrazioni originali, paesaggi Sonori e azioni teatrali pensate per il contesto.
Il programma di dicembre si compone di spettacoli site-specific, camminate performative, letture sceniche, lezioni recitate e percorsi in movimento. Le due rassegne, “Empatie urbane” e “Borgo Dora” propongono riscrittura dei classici, esplorazioni urbane guidate dall’ascolto, nuove visioni degli spazi attraversati e memorie locali. Il pubblico è accompagnato in esperienze immersive, spesso in cuffia, che trasformano il percorso stesso in elemento narrativo, favorendo un rapporto diretto tra spettatore, performer e città.
Il progetto coinvolge una rete di associazioni, presidi culturali e artisti distrirete nei quartieri interessati, che partecipano alla progettazione di laboratori, mappature e performance condivise con la cittadinanza. Tra le realtà coinvolte, so possono citare Lo Stagno di Goethe, il Collettivo Camera Chiara, Ma.Ri House, CLG Ensemble, Lamezia, Loco Teatro, Progetto Slip, Bagni Pubblici di via Agliè, Casa del Quartiere Barriera di Milano, Casa UGI e altre realtà torinese attive nella rigenerazione culturale. Gli spettacoli e le performance sono realizzati con tecnologie portatili autoalimentate e senza scenografie tradizionali, nel rispetto dei beni culturali e ambientali. L’invito, rivolto al pubblico, è di raggiungere l’evento con i mezzi pubblici o in bicicletta, in modo da rendere l’evento pienamente sostenibile.

Borgo Dora, cuore storico del quartiere Aurora, dalla forte identità, diventa, nel mese di dicembre, la scenografia naturale di una serie di produzioni originali realizzate con artisti e associazioni del territorio. Le performance guidano gli spettatori attraverso vie e cortili del rione, trasformando la camminata in un’esperienza artistica in cui paesaggio sonoro e narrazione dialogano con il quartiere. Tutti gli eventi della rassegna Borgo Dora partono dallo spazio Idiot, in via San Giovanni Battista La Salle 16/A. In caso di condizioni meteorologiche avverse, gli spettacoli si svolgeranno all’interno di spazio Idiot.

Il Teatro Mobile nasce dall’esperienza di oltre 25 anni di teatro indipendente e ricerca multidisciplinare, guidata da Marcello Cava e Pina Catanzariti, in collaborazione con Aureliano Amadei e Raffaele Gangale. Si tratta di un progetto che intreccia tradizione e innovazione, portando in scena classici e contemporanei con formule non convenzionali, capace di trasformare spazi urbani, aree archeologiche, musei e luoghi naturali in posti attivi e partecipati. Fin dal 1996, dall’apertura del teatro Giovinelli, l’associazione ha dato vita a una pratica culturale che unisce arte e rigenerazione urbana, videoteatro e drammaturgia, collaborazione con scuole e università, fino a reinventare il concetto di Carro di Tespi come palcoscenico viaggiante. Da qui prende corpo l’idea di un teatro mobile, sostenibile, agile, sempre pronto a incontrare il pubblico dove meno lo si aspetta. Il marchio distintivo di Teatro Mobile è il teatro in cuffia, esperienze immersive a impatto zero, in cui lo spettatore attraversa un luogo emblematico ascoltando testi e partiture sonore originali. Così lo spazio non è semplice contenitore, ma diventa spazio dell’opera, in un dialogo continuo tra memoria, percezione  e contemporaneità. Teatro Mobile è oggi una pratica artistica e politica insieme, una risposta creativa alla mancanza di spazi permanenti e al bisogno di nuove forme di fruizione culturale. Un “camion-palcoscenico” che si apre come una scatola magica, capace di ospitare spettacoli, concerti, djset ed eventi multimediali, ma anche un laboratori di inclusione ecologica e sociale.

Info: dal 2 al 6 dicembre 2025 – 14 appuntamenti site-specific gratuiti con prenotazione obbligatoria – promozione@teatromobile.eu – 334 7947310

Mara Martellotta

Luca Buggio e “La città dei Santi”

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TORINO TRA LE RIGHE

Il gran finale di una Torino sospesa tra storia, mistero e destino
Per Torino tra le righe oggi voglio portarvi nell’ultimo, avvincente capitolo della trilogia “La città delle streghe” di Luca Buggio. L’autore è uno scrittore, regista teatrale e sceneggiatore torinese. Laureato in Ingegneria, affianca da anni alla professione tecnica un profondo impegno artistico, con un’attenzione particolare alla narrativa storica e fantastica. Ha esordito nel 2017 con La città delle streghe, primo tassello della sua trilogia dedicata alla Torino del 1706, proseguita con La città dell’assedio e ora completata con La città dei Santi. Appassionato di storia, simbologia e tradizioni popolari, unisce nei suoi libri una rigorosa ricerca documentale a un immaginario ricco di suggestioni, regalando alla città un volto antico e insieme sorprendentemente attuale.
La città dei Santi è un finale che non tradisce le aspettative: una chiusura potente, in cui storia e mito si intrecciano con naturalezza, restituendo ai lettori una Torino che pulsa, trema, respira. Dopo La città delle streghe e La città dell’assedio, Buggio porta a compimento un viaggio che affonda le radici nella verità storica dell’assedio del 1706 ma che si apre a dimensioni più oscure, simboliche, quasi archetipiche. Mentre la città attende l’arrivo dell’armata di soccorso del Principe Eugenio, un’altra battaglia si consuma nei vicoli più nascosti, dove il razionale vacilla e il sovrannaturale si insinua come un presagio inevitabile.
In questo doppio scenario si muove Gustìn, la spia del Duca di Savoia che i lettori hanno imparato a conoscere e a seguire. In questo terzo volume, il suo percorso si fa più complesso: l’uomo pragmatico e disincantato è chiamato a fare i conti con una realtà che non è più soltanto politica o militare, ma profondamente spirituale. Apparizioni, presagi, simboli e presenze che sfidano la logica accompagnano il suo cammino, mentre la guerra lo costringe a confrontarsi anche con ciò che ha di più caro. Laura, la saponaia di Borgo Dora, non è solo il suo amore, ma il suo punto debole: la ragione intima che lo spinge a non arretrare.
Laura, già da sempre in contatto con una dimensione più intuitiva e misteriosa, in questo capitolo assume un peso nuovo. La sua fragilità e la sua forza si intrecciano in un percorso di crescita che la porta al centro delle dinamiche più arcane della storia. Il suo enigmatico protettore, Raffaele, apre infatti la porta a una molteplicità di interpretazioni che richiamano leggende, simboli religiosi e superstizioni popolari del Settecento, avvicinandola sempre di più al cuore del segreto che avvolge Torino. Le sue strade e quelle di Gustìn scorrono parallele, per poi incontrarsi nel momento in cui la verità non può più essere rimandata.
Intanto la città è attraversata da fenomeni inquietanti: sparizioni improvvise, omicidi rituali, apparizioni che sembrano provenire da un altrove remoto. La battaglia del 1706 diventa così il palcoscenico di uno scontro molto più antico, quello tra i seguaci del dio Drago e le forze angeliche che vegliano su Torino. Buggio fonde con grande abilità elementi storici comprovati con la potenza del mito, creando un mosaico narrativo coerente, ricco di simboli e di tensione, dove ogni dettaglio ha un peso preciso e ogni scena sembra guidare verso l’inevitabile.
La sua scrittura è cinematografica, dinamica, capace di alternare con maestria momenti d’azione serrata e pause di intimità emotiva. Il lettore passa dai mercati affollati alle case semplici dei borgi, dalle strade coperte di macerie alla Cittadella devastata dal fuoco. È una Torino viva, materica, che diventa quasi un personaggio essa stessa. E dentro questo ritmo incalzante, c’è spazio anche per un amore tratteggiato con delicatezza, mai invadente, ma fondamentale per comprendere la dimensione umana dei protagonisti. Perché La città dei Santi parla anche di questo: del coraggio di scegliere, del prezzo da pagare per la verità, della forza che nasce dall’amore e della fragilità che rende umani.
Il romanzo si chiude con un epilogo che apre a un salto nel tempo: i protagonisti riemergono adulti, segnati dagli eventi, cambiati nel profondo. Un dono che Buggio fa ai suoi lettori per chiudere il cerchio con dolcezza e per ricordare che la luce può nascere anche dalle ombre più fitte.
Con La città dei Santi, Luca Buggio non solo conclude una trilogia, ma conferma la sua capacità di raccontare Torino come pochi sanno fare: una città di simboli, di storia, di battaglie concrete e interiori. Un luogo dove ciò che siamo stati continua a dialogare con ciò che siamo. Un finale che rimane addosso, potente e malinconico, lasciando una domanda che forse ci accompagnerà ancora a lungo: quale altra storia nasconde questa città che non smette mai di sorprendere?
E forse è proprio questo che amo di più dei libri ambientati a Torino: quella sensazione di camminare per le sue strade con un po’ di luce in più negli occhi, come se la città volesse ancora raccontarci qualcosa — basta solo avere il coraggio di ascoltarla.
MARZIA ESTINI

L’Opera dei Ragazzi compie 30 anni. Dal Teatro Regio al Festival MITO 

Il teatro musicale dell’Opera dei Ragazzi festeggia 30 anni di attività, splendido esempio del futuro musicale casalese che ha lo scopo di avvicinare e unire in modo operativo bambini e ragazzi di diverse culture fino al superamento degli esami in Conservatorio. La geniale idea di Erika Patrucco maturò nel 1985 a soli 16 anni con la variazione dei programmi scolastici del Ministero dell’Istruzione, inserendo l’educazione musicale nelle scuole elementari. In questa occasione, la Regione Piemonte chiamò un grande didatta musicale, il torinese Sergio Liberovici (1930-1991), compositore di origine ebraica, etnomunologo e fondatore del Teatro Stabile di Torino. Liberovici fondò il Teatro per Ragazzi e con Giulio Castagnoli l’Opera dei Bambini, componendo opere per le scuole con la collaborazione di Luciano Berio e dei pittori Ugo Nespolo, Mauro Chessa e Francesco Casorati, figlio del celebre Felice.

 

Erika sviluppò il progetto nel 1994 con un saggio delle scuole elementari di San Domenico nel Teatro di Casale Monferrato, eseguendo “La serva padrona” di Pergolesi, avvicinando così gli alunni dell’anno scolastico al mondo musicale dell’opera sotto l’egida dei Compositori Associati di Torino. Nel 1995 la Patrucco fondò a Casale l’Opera dei Ragazzi sulla scia di Liberovici e Castagnoli. Non sono mancate le occasioni di crescita di questa affermata realtà casalese che ha ricevuto il premio della Fondazione CRT, dal Teatro Regio al Festival MITO eseguendo Le nozze di Figaro e il Flauto Magico di Mozart, La Cenerentola di Rossini, l’Elisir d’Amore di Donizetti e Giacomo Puccini al Piccolo Regio di Torino con allestimento di Ugo Nespolo. Nel 2003 fondò a Casale il Coro Ghescer, costola dell’Opera dei Ragazzi, ponte interculturale e interreligioso creato da un’idea di Elio Carmi, presidente della Comunità Ebraica di Casale. Questa sinergia musicale integra il Coro MusicaInsieme della scuola casalese Primaria San Paolo, affiancando un’orchestra di giovani violoncellisti dell’Opera dei Ragazzi.

Erika ha partecipato a registrazioni per Rai Radio Tre, Nuova Fonit Cetra, Festival Asti Teatro, Teatro Stabile e Teatro Regio di Torino. Si è diplomata in violoncello con i maestri Brancaleon e Destefano, primo violoncello dell’Orchestra Rai e Teatro Regio, sempre presente nelle rassegne della splendida Sinagoga casalese. Nel 2024 è stato istituito il premio intitolato al padre Mario Patrucco, borsa di studio per le nuove generazioni consegnato nel Palazzo Gozzani di Treville, sede della Filarmonica, durante il Festival Echos del maestro Sergio Marchegiani. Le origini mantovane del ramo nobiliare materno risalgono al 1535 con i Passera, consignori di Gaiola e Moiola in Valle Stura, antica famiglia decurionale “de Platea” di Cuneo e con i Nuvoli, conti di Grinzane Cavour, San Damiano d’Asti, Moncalieri e Revigliasco. Nella vicina Trofarello, in antichità Truffarello, ritroviamo i conti Nuvoli dal 1663 al 1671 con Baldassarre, Giovanni Domenico e Giuseppe Antonio. Lo stemma in gesso nella tomba di famiglia dei conti Passera e Nuvoli del cimitero di Moncalieri è fedelmente ricostruito nelle armi dei catasti del comune torinese, rappresentato nel Blasonario Subalpino delle famiglie piemontesi.
Nell’altare dell’imponente monumento funebre, una lapide della cappella risalente al 1688 ne descrive l’acquisto del conte Giovanni Vincenzo Nuvoli, depositario dell’ossario di famiglia come da testamento. Lo stemma dei conti Nuvoli è raffigurato dal sole d’oro uscente da una nuvola d’argento con bordatura indentata d’argento e rosso dal motto “Cum sole nevus”, ossia “Con il nuovo sole”. La discendenza dell’antica e nobile casata è rappresentata in epoca recente da Passera Arturo (1880-1955), marito della contessa Nuvoli Camilla (1884-1925) dalla cui figlia Erica Passera (1916-1966) nacque nel 1944 Luciana Gavazza, pianista, madre di Erika e moglie di Mario Patrucco (1943-2018), violista, musicologo, critico musicale e liutaio. I festeggiamenti per la ricorrenza dell’Opera dei Ragazzi sono previsti per la prossima primavera.
Armano Luigi Gozzano 

Torino e i suoi teatri: il Medioevo e i teatri itineranti

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Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi :Teatro Carignano
6 I teatri torinesi :Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi :Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi :Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio.

 

2  Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti

Cari lettori, il caldo e l’afa di questi giorni hanno notevolmente limitato le mie energie, di conseguenza non ho “escamotage” letterari da proporvi per l’abituale introduzione discorsiva che è solita precedere l’argomentazione vera e propria dei miei pezzi. Non mi attarderò dunque oltre, al contrario vi propongo di entrare subito “in medias res”, nel vivo del nostro discorso sulla storia del teatro, iniziato la settimana scorsa con una premessa sulle radici antiche di tale fenomeno rappresentativo.
L’unico augurio che mi preme rivolgervi è che possiate leggere questo mio scritto in un luogo strategico, magari su una panchina ombrosa e leggermente ventilata, oppure a casa, seduti sulla vostra poltroncina preferita, mentre il ventilatore vi fa roteare i pensieri estivi.
Lo ribadisco, la materia che mi sono proposta di trattare è pressoché infinita e alquanto complessa, ma vedrò di proseguire per sommi capi, proponendovi un racconto organico ma non eccessivamente specifico, tale da rispecchiare le caratteristiche delle letture che solitamente si fanno sotto l’ombrellone.
Oggi ci occupiamo delle forme teatrali tipiche dell’epoca medievale, uno dei momenti storici maggiormente estesi e variegati che compongono le vicende dell’Europa.
Solo per rispolverare nozioni che sicuramente già avete e per rendere accetta quell’attitudine da docente che ormai è parte integrante del mio essere, vi ricordo che stiamo prendendo in considerazione quell’esteso periodo di circa mille anni che va dal 476 d.C. (caduta dell’Impero Romano d’Occidente), al 1492 (scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo).
Il termine Medio Evo deriva dal latino “media aetas” o “media tempestas”. Per lungo tempo i dotti hanno considerato tale periodo come un’ epoca “buia”, priva di quegli ideali alti e luminosi tipici dell’Umanesimo e del Rinascimento. Bisognerà attendere l’Ottocento affinché l’atteggiamento degli studiosi cambi, e si inizi a considerare con attenzione i molteplici avvenimenti importanti che si susseguono a partire dalla caduta dell’Impero Romano fino all’inizio dell’epoca moderna.


Lungi da me propinarvi in questa sede una lezione di storia, sarebbe davvero troppo complesso e non opportuno, quello che posso invece fare è – per semplificare la questione- proporvi di richiamare alla mente immagini simboliche e, se vogliamo, stereotipate, di quei secoli, in modo da immedesimarci il più semplicemente e velocemente possibile in quel “guazzabuglio medievale”.
Vi invito dunque a pensare al capolavoro bergmaniano de “Il settimo sigillo” (1958), in cui il contrastato bianco e nero avvolge le melanconiche vicende dei personaggi, primo fra tutti Antonius Block (Max von Sydow), cavaliere di ritorno dalla Crociate, accompagnato dal fedele servo Jöns. Il film incarna con magistrale maestria la comune visione che si ha dell’epoca medievale: impregnata di religiosità opprimente, in cui la fede nella magia e nell’ultraterreno prendono il sopravvento sul raziocinio e in cui la violenza delle guerre si affianca alla povertà dilagante.
Iconiche e indimenticabili sono le emblematiche scene della processione dei guitti e dei flagellanti e quella finale, in cui le sagome dei protagonisti “danzano solenni allontanandosi dal chiarore dell’alba verso un altro mondo ignoto”. Ed ora che siamo pronti per proseguire, ormai pienamente contestualizzati in questi secoli lontani ma pur sempre affascinanti, prima di tutto occorre dimenticarci del concetto di teatro greco e latino. Con il crollo dell’Impero Romano l’antica istituzione teatrale viene surclassata da un’idea di teatro imprecisa e nebulosa e dai confini decisamente più labili rispetto all’antico. Rientrano infatti nel generale concetto di spettacolo teatrale svariati fenomeni, dai riti liturgici alle feste popolari, dall’esibizione di giullari e saltimbanchi, alle sacre rappresentazioni.
La memoria del teatro classico sopravvive grazie agli amanuensi, come testimonia la monaca Hroswita (935-973), la quale riporta che nei monasteri autori come Terenzio vengono ancora letti e trascritti, tuttavia si tratta appunto di semplici letture e non di rappresentazioni a tutti gli effetti.
In epoca medievale si parla di “teatralità diffusa”, espressione che si riferisce alla nascita e alla diffusione di diverse figure che differenziano i numerosi professionisti dello spettacolo, comunemente chiamati “histriones”. Accanto agli attori comuni, troviamo “joculatores”, “mimi”, “scurrae”, “menestriers” o “troubadours”; tra questi il ruolo più diffuso è sicuramente quello dello “joculator”, ossia “colui che si dedica al gioco”, ma lo “joculator” è anche – in senso lato- il chierico o il monaco incline al vagabondare, – il “gyrovagus”- che è senza fissa dimora e conseguentemente privo di un ruolo stabile all’interno della società.

La figura del teatrante, sia esso un “histrione” o un giullare, è da subito considerata negativamente, tant’è che la storia degli attori può considerarsi parimenti come la storia della loro condanna.
Certo, anche nell’antichità gli attori non godevano di particolari riconoscimenti, ma è proprio in epoca medievale che la situazione si inasprisce.
Se tra voi lettori vi è qualche disneyano convinto, avrà sicuramente presente, ne “Il gobbo di Notre Dame”, il disprezzo che prova il malvagio giudice Frollo nei confronti non solo del popolo gitano, ma degli umili parigini che partecipano alla “Festa dei Folli”. Il cartone del 1996 altro non fa che sottolineare quel lunghissimo conflitto che nasce proprio in epoca medioevale, tra il mondo ecclesiastico e i teatranti. Di tale dissidio oggi chiaramente non si percepisce più nulla, ma fateci caso: quanti tendoni viola avete visto ancora adesso all’interno dei teatri? (il viola è il colore dei paramenti liturgici usati in Quaresima). Per comprendere appieno questo contrasto è opportuno pensare alla rivoluzione culturale attuata dal Cristianesimo, i cui primi scrittori, gli apologisti, pur accogliendo la tecnica letteraria e la retorica della civiltà classica, rifiutano la società pagana e la sua concezione della vita. Della cultura classica in genere il teatro era considerato l’espressione più terrena e diabolica. I giullari e i teatranti sono visti come “instrumenta damnationis” e condannati senza pietà per le turpitudini a loro attribuite. Moltissimi sono i documenti che attestano le accuse mosse contro gli uomini di spettacolo, ma sono proprio tali condanne a essere le migliori fonti a cui attingere per studiare l’attività giullaresca di tale periodo.
Le motivazioni di biasimo sono riducibili a tre termini specifici: l’attore è “gyrovagus”, “turpis” e “vanus”. Con il primo termine si sottolinea il “porsi ai margini” e lo stare al di fuori dell’organizzazione sociale; in seconda istanza l’arte del giullare è priva di contenuto, cioè “vana”, ma ciò che è vano è mondano e ciò che è mondano è diabolico; infine, l’attore è “turpis”, perché è colui che stravolge (“torpet”) l’immagine naturale delle cose, intervenendo e modificando la natura, così come Dio l’ha creata, sublime e perfetta.

Tale condanna riguarda tutti i tipi di travestimenti, attività specifiche anche di altri contesti, quali la festa popolare e la grande festa carnevalesca.
Non di meno i giullari sono un elemento costante della vita quotidiana, come ben dimostrano le arti figurative: essi compaiono numerosi, raffigurati con sembianze animalesche e bestiali in particolar modo nei codici miniati e nei capitelli delle chiese. La figura del giullare è tuttavia molto complessa e ricopre diversi ruoli. Uno degli incarichi a lui affidabili, ad esempio, è quello di diffamare determinati individui, di qui la “satira contro il villano”, – il contadino è sempre il bersaglio più gettonato – particolarmente diffusa dall’anno Mille nelle “chouches” aristocratiche e borghesi. Egli è però anche un narratore, un cantastorie, autore sia delle amate “Chansons de geste”, sia di favolette o “fabliaux”, brevi storie in cui i protagonisti si muovono nella sfera del quotidiano, avvicinandosi alla “farsa”. L’acerrimo dissidio tra Chiesa e Teatro non si esaurisce nel solo svilire e condannare la figura dell’attore, vi è anche un altro aspetto da tenere in considerazione: il rito purificatore e spirituale che si contrappone alla festa mondana.
Il rito cattolico è in effetti ricco di elementi spettacolari e trova il suo culmine nella Santa Messa, in quanto rappresentazione simbolica di un avvenimento: “Fate questo in memoria di me”. Nell’assistere al rito, inoltre, il fedele non si limita alla mera contemplazione del mistero che lo trascende ma partecipa attivamente al rituale che lo coinvolge.
Rimanendo in ambito religioso, si diffonde nel Medioevo il “tropo”, una particolare cerimonia ottimamente esemplificata dal “Quem quaeritis?”, le cui battute sono tratte direttamente dai testi evangelici. In questo caso specifico la vicenda rappresentata descrive la visita delle pie donne al sepolcro di Gesù, esse lo trovano vuoto e subito assistono alla discesa di un angelo che annuncia loro l’avvenuta resurrezione.

Dal “tropo” si sviluppa il dramma liturgico, che può svolgersi in una piccola parte della chiesa o investirla totalmente, avvalendosi in questa circostanza di allestimenti scenici ben determinati e con precisi valori simbolici. Nel dramma liturgico troviamo per la prima volta l’idea della scena “simultanea”, caratteristica prima dei “misteri”. Si tratta di particolari sacre rappresentazioni allestite fuori dalle mura delle chiese e prive di connessioni con il cerimoniale liturgico ma dirette da chierici o preti, la rappresentazione era solitamente accompagnata da didascalie in latino, vero e proprio elemento che fa da “trait d’union” con il recinto sacrale. Uno dei “misteri” più tipici e apprezzati è lo “Jeu d’Adam” – spettacolo composto da un autore normanno, e particolarmente diffuso nel XII – secolo in cui per la prima volta vengono allestiti dei “luoghi deputati”, atti a rappresentare la globalità dell’Universo, costituito da Terra, Paradiso e Inferno.
I luoghi deputati, anche chiamati “mansiones” (case), sono costruzioni in legno e tela che delimitano zone circoscritte in cui avviene una determinata azione.
Tali spettacoli – dramma liturgico e “misteri”- vengono realizzati e allestiti da laici, ma appartengono nondimeno alle diverse forme di teatro cristiano, poiché il tutto è incentrato sulla visione, semplificata e drammatizzata, delle Sacre Scritture e della vita dei Santi, o in altre parole, sull’eterna lotta tra Bene e Male.
Vi sono poi i “grandi misteri”, che si svolgono in più giornate ma che non differiscono di molto dalle rappresentazioni più semplici.
Queste manifestazioni sono essenziali per il credente, poiché rappresentano e sintetizzano con semplicità tutto ciò che il buon cristiano deve sapere, la funzione culturale dei “misteri” non differisce poi molto da quella della “Biblia pauperum”, ossia la “Bibbia dei poveri”, una raccolta di immagini che rappresentano scene della vita di Gesù e le figure e le vicende dell’antica storia di Israele.

Siamo dunque arrivati al termine, vi ho grossomodo raccontato delle principali manifestazioni teatrali che fioriscono in epoca medioevale; esse nascono in quei secoli lontani ma perdurano nel tempo, soprattutto laddove gli spettacoli assumono cadenza annuale e finiscono per tramutarsi in ricorrenze tradizionali.
Sottolineo ancora che gli spettacoli religiosi non sono altro che il rovescio cristiano degli antichi riti carnevaleschi e pagani della fecondità, tanto che a volte si fondono con essi.
Ancora una volta spero di avervi invogliato ad approfondire l’argomento, magari cercando qualche festività o ricorrenza tradizionale a cui partecipare. Il teatro ha molti volti, dall’aspetto tradizionale dello spettacolo in prosa fino alla festa popolare, tale sua peculiare natura ci offre l’opportunità di scegliere quale tipologia di stupore vogliamo vivere, qualcosa di più intimo o un’esperienza condivisa con la comunità, sta a noi decidere che maschera indossare.

Alessia Cagnotto

Storie di fumetti resistenti

“Churubusco” si riferisce principalmente alla Battaglia di Churubusco del 1847, durante la guerra messico-statunitense, una vittoria americana decisiva che portò alla caduta di Città del Messico.  Infine é anche il titolo di un graphic novel di Andrea Ferraris che racconta la battaglia da una prospettiva diversa.  Il disegnatore di graphic Nobel genovese torna a Torino il 5 dicembre con “Storie di fumetti resistenti” all’Emporio Altromercato via San Marino 65 telefono info: 011 3249540.

Sarà presentata anche la graphic novel la cicatrice disegnata su tremiladuecento chilometri è lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, più di un terzo dei quali segnato dal muro. La frontiera. Quella che un tempo era l’icona della conquista dell’occidente, oggi è una ferita della società contemporanea, una cicatrice, attorno alla quale si alternano oscurità e luce, violenza e umanità. Su quei territori gli autori si sono spinti in prima persona, per guardare i paesaggi, ascoltare le voci e raccogliere le storie di chi vive in prima linea quella realtà.
Il risultato è un libro a fumetti che è narrazione e testimonianza, invenzione stilistica e rigore documentario, una fusione di linguaggi per restituire la complessità della frontiera. Disegnata e elaborata con Renato Ciocca. Qui di seguito i curriculum dei nostri:

Andrea Ferraris, dopo il liceo artistico, frequenta un corso di grafica e scenografia tenuto da Gianni Polidori ed Emanuele Luzzati. Lavora a Milano come aiuto-scenografo per la televisione e ad Alessandria per il teatro lirico, quindi decide di assecondare una sua grande passione iscrivendosi ad un corso di fumetto a Bologna dove conosce, tra gli altri, Marcello Jori, Vittorio Giardino ed Andrea Pazienza.

Nel 1992 comincia una collaborazione con Disney Italia realizzando, per oltre 15 anni, storie di Topolino e Paperino. Nel 2007 si trasferisce a Barcellona per lavorare nello studio creativo di Egmont, editore di Copenaghen. Disegna tuttora per Egmont storie di Donald Duck su quattro strisce seguendo lo stile di Carl Barks. Ha disegnato illustrazioni e fumetti per Alias La Lettura inserti dei quotidiani Manifesto Corriere della Sera. Collabora con la rivista Internazionale.

Per Tunuè nel 2008 disegna, su testi di Giacomo Revelli, “Bottecchia”, racconto a fumetti della vita di Ottavio Bottecchia, ciclista degli anni 20, primo italiano a vincere il Tour de France.
Nel 2011 esce per Gallucci editore “Il Pinguino e la Gallina” e nel 2012, sempre per Gallucci “Cocco e Drilli” un altro libro illustrato per bambini.
Dal 2013 al 2016 vive a Parigi dove ha modo di ultimare “Churubusco”, suo primo lavoro come autore completo, racconto dell’italiano del Battaglione San Patrizio.
Churubusco è uscito in Italia per Coconino Press-Fandango, in Francia per Rackham editions, in Messico per La Cifra Editorial e, a novembre 2017, è prevista l’uscita negli Stati Uniti, per Fantagraphic. Dal 2017 vive e lavora a Torino.

Renato Chiocca è regista e sceneggiatore, lavora per il cinema, il teatro e la televisione. Ha girato documentari in Himalaya, a Lampedusa e in Tunisia, e numerosi tra cortometraggi, spot, videoclip e programmi tv. Tra cinema e fumetto ha diretto “Mattotti” (2006), sull’opera di Lorenzo Mattotti con la partecipazione del Premio Pulitzer Art Spiegelman, e “Una volta fuori” (2012), liberamente ispirato a Gli innocenti di Gipi.

Per apocalittici e integrati senza effetti collaterali o contro indicazioni.

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Aldo Colonna

Aperto il bando del Premio Gianmaria Testa Parole e Musica

È aperto il bando per la sesta edizione del Premio Gianmaria Testa- Parole e Musica, promosso e organizzato dal Comitato Moncalieri Cultura con Produzioni Fuorivia e con il contributo della Regione Piemonte  e della Città di Moncalieri, nell’ambito del Festival  Moncalieri Legge.

Si tratta di un appuntamento che in pochi anni ha saputo diventare punto di riferimento per I giovani cantautori italiani e internazionali, un riconoscimento dedicato alla memoria e all’eredità artistica di Gianmaria Testa, poeta in musica che è stato in grado di raccontare con profondità e al tempo stesso leggerezza le fragilità del mondo contemporaneo.
Il Premio Gianmaria Testa è  nato per valorizzare la scrittura musicale come espressione d’arte, per scoprire e promuovere nuove voci che sappiano coniugare parola e melodia, nel segno di un’autenticità che attraversa le generazioni.
Possono partecipare autori e compositori under 38 di qualsiasi nazionalità,  presentando uno o due brani inediti o pubblicati da non più di sei mesi alla data di iscrizione. Le candidature dovranno essere inviate dal 10 novembre 2025 al 25 gennaio 2026 all’indirizzo premiogianmariatesta@moncaliericultura.it.

Una giuria d’eccezione, composta da protagonisti del mondo musicale e culturale italiano, sarà chiamata a selezionare i cinque finalisti che si esibiranno dal vivo nella serata finale di lunedì 9 marzo 2026 alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri.
Nel corso della serata i finalisti presenteranno il proprio brano originale in concorso e interpreteranno una canzone di Gianmaria Testa, creando un ponte tra memoria e contemporaneità.
Il vincitore assoluto riceverà un premio di 1500 euro, una targa e un diploma, oltre alla possibilità di esibirsi in rassegne musicali piemontesi;  un premio speciale di 800 euro sarà assegnato alla migliore esibizione live.
Durante la serata finale sarà presente anche la direzione artistica di Resetfestival, che selezionerà tra i finalisti un artista da invitare sul palco alla prossima edizione del Festival.
“Il Premio Gianmaria Testa è diventato negli anni un luogo d’incontro tra generazioni, uno spazio in cui la canzone d’autore torna ad essere racconto e ricerca – ha dichiarato Antonella Parigi, assessora alla Cultura della Città di Moncalieri – E’ una tappa significativa del percorso con cui Moncalieri costruisce la propria candidatura a Capitale Italiana della Cultura 2028, investendo su progetti che intrecciano arte, parole e comunità”.
“Ogni anno il Premio ci sorprende – racconta Paola Farinetti, produttrice e presidente della giuria – Le parole e la musica dei finalisti ci ricordano che la canzone d’autore non è un genere del passato, ma un linguaggio vivo, capace di narrare il presente con poesia e verità. Gianmaria credeva nella forza delle parole “levigate fino alla trasparenza” e credo che oggi più che mai servano artisti che abbiano il coraggio di farle risuonare in modo autentico. Questo Premio nasce per loro, per chi prova a raccontare il mondo con delicatezza e profondità”.

Mara Martellotta

L’Ottava Sinfonia di Bruckner all’Auditorium Rai

Giovedì 4 dicembre, alle 20.30, all’Auditorium Rai Arturo Toscanini di Torino, con trasmissione su Radio 3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura, e in replica venerdì 5 dicembre alle ore 20, verrà interpretata con l’Orchestra Rai, da Robert Treviño, l’Ottava Sinfonia di Bruckner.

“Questa sinfonia è la creazione di un gigante, e supera di gran lunga tutte le altre opere del maestro”. Con queste parole il compositore Hugo Wolf descriveva la Sinfonia n.8 in do minore di Anton Bruckner, all’indomani della sua prima esecuzione, avventura al Musicwerein di Vienna il 18 dicembre 1892.

L’Ottava Sinfonia richiese a Bruckner un impegno creativo estremo: sei anni, tra il 1884 e il 1890, passando attraverso molte revisioni, fino alla parola “Alleluja” posta sullo schizzo del finale, e alla dedica all’imperatore Francesco Giuseppe, che non solo accettò il gesto del compositore, ma si offrì di contribuire alle spese di pubblicazione del lavoro. In effetti si tratta di un pagina gigantesca per dimensione e strumentazione, e si dovranno attendere i successivi esiti mahleriani per superare l’enormità di questo organico orchestrale. Una grandiosa investigazione  di quegli eterni mistero dello spirito che Bruckner frequentò durante tutta la sua vita. A interpretarla con l’OSN Rai è chiamato Robert Treviño, già Direttore ospite principale della compagine e attuale Direttore dell’Orchestra Nazionale Basca, oltre che consulente artistico dell’Orchestra Sinfonica di Malmö. Di origini messicane, Treviño è cresciuto a Fort Worth, in Texas, e si è imposto al teatro Bol’ŝoi di Mosca nel 2013, sostituendo Vassilj Sinaisky sul podio del Don Carlo di Verdi. Con l’OSN Rai, nel 2021, è stato protagonista di una brillante tournée in Germania, che ha toccato Francoforte, Colonia e Amburgo.

“L’Ottava Sinfonia di Bruckner – afferma Treviño – è nota con il sottotitolo ‘Apocalisse’. Lo si può comprendere grazie alla sua potenza e ampiezza, e forse anche per il carattere profetico, che sembra indicare la vasta scala delle calamità generate dall’uomo. Tuttavia per me, questa Sinfonia, è una sorta di summa bruckneriana, perché affronta i punti fondamentali della poetica del compositore: la bellezza della natura, un dono di Dio; la bellezza della vita, un dono di Dio; la redenzione dei malvagi, un dono di Dio; e l’elevazione  spirituale dell’uomo attraverso l’adorazione di Dio.

Biglietti, da 9 a 30 euro, sono in vendita online sul sito dell’OSN Rai e presso la biglietteria dell’Auditorium Rai di Torino

Info: 011 8104653 – biglietteria.osn@rai.it

Mara Martellotta

“Gli strumenti della solitudine” al Cineteatro Baretti

Il 4 dicembre alle 21 al Cineteatro Baretti di San Salvario, verrà presentato da Mirko Vercelli in première “Gli strumenti della solitudine”, documentario sperimentale che ha diretto e realizzato e che è frutto di un anno di lavoro intenso e creativo. Il film nasce da un viaggio di due mesi in solitaria tra Thailandia e Vietnam, un’esplorazione della memoria, della solitudine e di quei momenti che esistono solo quando nessuno guarda.
Il progetto è prodotto dall’etichetta indipendente torinese Orizzontale (RKH Studio) e vede la collaborazione del Maltempo Collettivo, ensemble di musicisti torinesi, molto conosciuti e attivi nella scena cittadina, tutti sotto i 35 anni, come prevede il regolamento del Premio Sanesi.
La colonna sonora è stata interamente improvvisata e registrata insieme a field recordings, raccolti in luoghi inattesi. Il film è stato realizzato grazie al Premio Roberto Sanesi, vinto da Mirko Vercelli l’anno scorso e a una borsa di studio collegata.
Gli ė stato dato un approccio antropologico un po’ alla Chris Marker, il grande documentarista francese. C’è un aspetto interessante del lavoro: “Gli strumenti della solitudine” è in realtà un progetto multimediale completo. È appena uscito anche un libro di poesie con lo stesso titolo pubblicato da Edizioni del Faro e un album musicale pubblicato da Orizzontale/RKH Studio in collaborazione con Maltempo Collettivo.
Gli strumenti della solitudine è un’opera ibrida di spoken word e improvvisazione libera con i testi e la voce di Mirko Vercelli e la musica di Maltempo Collettivo. Nata da un viaggio nel Sud-Est asiatico, esplora i temi della memoria, della perdita e dell’impermanenza passando da antiche leggende alla tecnologia, in un dialogo tra voce, improvvisazioni libere, filmati e paesaggi sonori registrati sul campo. L’opera si esprime in due forme: un lungometraggio e un album. Nel lungometraggio il testo è presentato integralmente, accompagnato dal sonoro e da un flusso di filmati registrati con una handycam. Nell’album estratti del testo si alternano a momenti strumentali.
Vengono approfondite le tematiche della reincarnazione in ambito buddista, dello straniamento, sul genere dell antropologia interpretativa della scuola americana dei Clifford, dei Marcus e dei Crapanzano.Cosí Mondher Kilani nel 1994 scriveva: “Attualmente l’antropologia è obbligata ad essere riflessiva e fare ritorno sui luoghi a partire dai quali ha finora rivolto il suo sguardo agli altri. In questo “rimpatrio”, essa é inevitabilmente condotta a interrogarsi sui suoi punti ciechi e sulle questioni teoriche non affrontate, che sono l’esotismo e l’alterità. A meno che non si accontenti di riportare in patria il suo abituale sguardo esotico, per estenderlo, senza altra forma di processo, alla società moderna, in cui scovare, spesso con delle forzature, spazi marginali e premoderni, atti a divenire oggetto della sua persistente ricerca dell’esotismo.
Una tale antropologia del “presso di noi” che va attuandosi sempre di più, fa del testo etnografico il pre-testo che presiede alla scelta e all’individuazione dei suoi oggetti.
In altri termini, l’antropologia fonda la sua nuova legittimità sul seguente solipsismo epistemologico: “Sono un etnografo, dunque ciò che osservo è etnografico.
“L’opera di Mirko Vercelli io aggiungo, senza forzature, è una survey di antropologia applicata fluttuante, che vuole esplorare i luoghi esistenziali del silenzio, della solitudine e dell’alienazione. Il loro stile depresso e grigio.
In un epoca come la nostra dove la ripartenza folgorante della Storia, non me ne voglia Francis Fukuyama e il nichilismo imperante che ha rigettato, mai come in questi anni recenti, come da una bocca di fuoco, la sua acuta avversione ad ogni ottimistica aspettativa, impongono oggi nuove domande e nuove risposte di senso.
Mirko Vercelli ci prova, con coraggio intellettuale e forza delle idee.
Aldo Colonna
Cineteatro Baretti, Via Giuseppe Baretti 4, Torino
4 dicembre, ore 21
Première e unica proiezione. Apertura porte ore 20.30. 

A Camera un percorso di educazione alla fotografia

NEW DOCUMENTARY PRACTICES – FUTURES 2025

UN PERCORSO DI EDUCAZIONE ALLA FOTOGRAFIA

CON GLI ARTISTI

OLIVER FRANK CHANARIN E LORENZO VITTURI

Dal 2 al 5 dicembre

due workshop con i fotografi

per quattro giorni di incontri, lectures e talk

 NEW DOCUMENTARY PRACTICES – FUTURES 2025 è un percorso di educazione alla fotografia che si terrà a CAMERA Torino dal 2 al 5 dicembre 2025, rivolto a giovani artisti, curatori e appassionati di fotografia e linguaggi visivi.

Il 2 dicembre si inizia con un panel aperto al pubblico alle ore 18 che vedrà il curatore del progetto, Giangavino Pazzola, presentare la sua ricerca sulle Nuove Strategie Documentarie, in dialogo con la fotografa Marina Caneve. Si prosegue, il 3 e il 4 dicembre con i due workshop tenuti da Oliver Frank Chanarin e Lorenzo Vitturi. I fotografi saranno inoltre protagonisti di un talk aperto al pubblico previsto il 4 dicembre alle 18.30.

Il format NEW DOCUMENTARY PRACTICES mira a incrementare le competenze professionali e il network dei partecipanti al workshop e ad allargare la partecipazione attiva delle varie tipologie di pubblici alla fotografia contemporanea attraverso un programma strutturato.

L’attività si inserisce inoltre all’interno del programma pensato per FUTURES – la rete internazionale per la promozione della fotografia contemporanea di cui CAMERA è il punto di riferimento in Italia. Questo filone di ricerca permette all’istituzione torinese di compiere una mappatura dei principali protagonisti e protagoniste della fotografia contemporanea emergente in Europa.

I due workshop ruoteranno intorno agli usi innovativi del linguaggio fotografico, orientato all’ideazione di storie e di immaginari inediti che derivano dalla messa in discussione delle modalità tradizionali di approccio al genere documentario e dall’invenzione di altri criteri per interrogare la realtà. A seconda della propria scelta tra i due workshop, ogni partecipante potrà immergersi così nell’esperienza che più lo ispira.

Nel workshop Ama il peccatore, odia il peccato con Oliver Frank Chanarin, si lavorerà a stretto contatto con l’artista per combinare fotografie, parole e codici informatici. Verranno prese in esame le diverse modalità con le quali la produzione e la circolazione delle immagini sono state radicalmente trasformate nell’era digitale, dando vita al riutilizzo e ricombinazione di immagini autoprodotte, trovate e fotografie d’archivio per creare una nuova opera meccanica collettiva che sarà esposta alla fine del workshop.

Nel workshop Tra fotografia e scultura con Lorenzo Vitturi, invece, gli studenti saranno coinvolti in un processo multidisciplinare che sfida la bidimensionalità della fotografia per abbracciare un’ibridazione di questa con la scultura. Ogni partecipante verrà accompagnato in passeggiate urbane e sarà incoraggiato a sperimentare utilizzando materiali raccolti durante queste esplorazioni. Assemblando questi elementi in forma scultorea, i partecipanti al workshop dovranno poi trasformare forma e senso di questi per integrare il tutto in una propria personale narrazione visiva. I lavori finali rifletteranno tale approccio, combinando risultati visivi con sculture e installazioni effimere.

Il programma si rivolge a giovani autori e autrici appassionati alla fotografia e all’arte – provenienti non solo da percorsi formativi in Accademie di Belle Arti e Scuole di Fotografia italiane e straniere, ma anche in scuole di formazione in Scienze Sociali, Architettura e Discipline Artisticheintenzionati ad esplorare le molteplici opportunità dello storytelling, dalle modalità di progettazione di narrazioni fittizie e reali, dall’uso della fotografia combinato con altri media.

Le posizioni aperte per le iscrizioni dei partecipanti ai workshop sono venticinque al costo ognuno di 300 Euro iva inclusa.

Nel caso giungano candidature in numero superiore alla disponibilità di posti, CAMERA si riserva di valutare l’adeguatezza dei profili e di effettuare, a suo insindacabile giudizio, eventuali selezioni.

Per informazioni: didattica@camera.to

Per scaricare il programma e il modulo di iscrizione: www.camera.to

NEW DOCUMENTARY PRACTICES – FUTURES 2025

Dal 2 al 5 dicembre 2025

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, via delle Rosine 18, Torino

Martedì 2 dicembre

Nuove Strategie Documentarie. Una ricerca

ore 18:00

Giangavino Pazzola presenta, in dialogo con la fotografa Marina Caneve, il progetto di ricerca Nuove Strategie Documentarie che è sostenuto da Strategia Fotografia 2024, un’iniziativa della Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura italiano.

Partner FUTURES Foundation Amsterdam, Fotodok Foundation Utrecht e CAMERA Centro Italiano per la Fotografia.

Mercoledì 3 e giovedì 4 dicembre

Workshop con Oliver Frank Chanarin: ama il peccatore, odia il peccato

Workshop con Lorenzo Vitturi: tra fotografia e scultura

ore 10:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

Giovedì 4 dicembre

Hybrid Visions: The Language of Documentary Practices Today / Visioni ibride: il linguaggio delle pratiche documentarie oggi

ore 18:30

Talk, in inglese, con Oliver Frank Chanarin e Lorenzo Vitturi insieme al direttore artistico di CAMERA François Hébel e il curatore Giangavino Pazzola.

Venerdì 5 dicembre

Finalizzazione dei workshop e sessioni di restituzione

ore 10:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

APPROFONDIMENTI

Workshop con Oliver Frank Chanarin: ama il peccatore, odia il peccato

I partecipanti lavoreranno a stretto contatto con l’artista per combinare fotografie, parole e codici informatici al fine di creare una serie di strane macchine. Il workshop prende le mosse dalla frase biblica “ama il peccatore, odia il peccato”. Attribuita al santo del VI secolo Agostino, questa sequenza di parole può essere invertita – ama il peccato, odia il peccatore – per capovolgerne il significato. In questo workshop ci saranno molti giochi di parole assurdi. L’installazione innovativa di Oliver Frank Chanarin, “Apparatus”, funge da utile introduzione ai temi del workshop. “Apparatus” è costituito da un robot realizzato dall’artista che appende e riattacca un archivio fotografico in continua evoluzione per tutta la durata della mostra. Funzionando secondo un algoritmo imperscrutabile, la macchina seleziona e giustappone immagini da oltre un centinaio di opere incorniciate conservate in pile sul pavimento della galleria. Appropriandosi del linguaggio dell’automazione, la macchina estrae e raccoglie, trattando le singole opere d’arte come oggetti da elaborare, valutare, ordinare, esporre e conservare, trasformando così lo spazio in qualcosa che a volte assomiglia più a una fabbrica che a una galleria. In questo workshop verranno presi in esame i modi in cui la produzione e la circolazione delle immagini sono state radicalmente trasformate nell’era dell’algoritmo. I partecipanti saranno liberi di utilizzare e combinare qualsiasi tipo di fotografia – immagini trovate, immagini d’archivio o immagini proprie – per creare una nuova opera meccanica che sarà esposta insieme alla fine del workshop.

Workshop con Lorenzo Vitturi: tra fotografia e scultura

Lorenzo Vitturi è da sempre interessato al rapporto tra fotografia e scultura, tra ciò che è materiale e ciò che è effimero, e ai diversi modi di tradurre visivamente questa tensione. Come ci relazioniamo con il cosiddetto mondo inanimato? In che modo possiamo creare una narrazione visiva utilizzando oggetti trovati e materiali di scarto? Quali strategie possono essere impiegate per dare nuovi significati a questi materiali, concentrandosi sulle storie e sui valori che essi portano con sé? E quali implicazioni concettuali derivano da questo processo? Queste sono alcune delle domande che l’artista vorrà affrontare durante il workshop. L’obiettivo del workshop è coinvolgere gli studenti in un processo multidisciplinare che metta in relazione la fotografia con la scultura. Per sottolineare l’importanza del processo creativo, i partecipanti saranno incoraggiati a utilizzare principalmente materiali raccolti e riciclati, che dovranno essere trasformati e integrati nella loro narrazione visiva. I lavori finali rifletteranno questo approccio, combinando risultati visivi con sculture e installazioni effimere. L’esplorazione si baserà sul contesto urbano di Torino, con particolare attenzione al quartiere di San Salvario, una zona vivace e multietnica in cui coesistono comunità diverse. Attraverso ricerche sul campo, osservazioni e incontri all’interno di questo territorio, gli studenti esamineranno come i materiali circolano, si accumulano, vengono utilizzati, scartati o riutilizzati nella vita quotidiana. Confrontandosi con le storie stratificate e le trame culturali di San Salvario, saranno incoraggiati a riflettere su come l’ambiente urbano e le sue dinamiche sociali possano influenzare i processi artistici. Il workshop inviterà i partecipanti a considerare come la materia e il territorio si influenzino reciprocamente e come i materiali raccolti in situ possano diventare portatori delle narrazioni racchiuse in questo quartiere unico nel suo genere.

APPROFONDIMENTI

Oliver Frank Chanarin (Londra, 1971) è un artista che lavora principalmente con la fotografia ed è vincitore del prestigioso Image Vevey Photography Grant 2024. La sua pratica artistica, di ampio respiro, è caratterizzata da un’apertura alla sperimentazione e alla collaborazione. Pur nascendo dalla fotografia e da un approccio critico al fotogiornalismo, il suo lavoro culmina in diversi media, tra cui libri, installazioni, robotica e fotografia. Chanarin ha studiato Intelligenza Artificiale all’università e ha ricoperto la carica di professore di fotografia alla Hochschule für bildende Künste (HFBK) di Amburgo (2016-2022). Chanarin è anche membro fondatore del programma di master in fotografia presso la Royal Academy of Art (KABK) nei Paesi Bassi. È uno dei due membri del duo Broomberg & Chanarin, le cui opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui Centre Pompidou – Parigi, Tate Modern – Londra, MoMA – New York, Stedelijk – Amsterdam, Jumex – Città del Messico, Victoria and Albert Museum – Londra, The Eye – Amsterdam, Art Gallery of Ontario, Cleveland Museum of Art e Baltimore Museum of Art. Tra i premi ricevuti figurano il Deutsche Börse Photography Prize (2013) per il progetto War Primer 2, l’ICP Infinity Award (2014) per il progetto Holy Bible e l’Arles Photo Text Award (2018).

Lorenzo Vitturi (Venezia, 1980) lavora nel campo della fotografia, della scultura e dell’installazione. Dopo la sua esperienza come scenografo cinematografico, Vitturi costruisce scenografie temporanee e sculture effimere, in studio e in loco, utilizzando sia materiali organici che artificiali. Partendo da specifiche località geografiche e dall’incontro con le comunità locali, il suo lavoro esplora le economie informali e la fusione di culture diverse, concentrandosi sul movimento di oggetti e persone in un mondo globalizzato. Tra le recenti mostre personali ricordiamo EARTH. Foundation, Verona (2024); Fondazione MAST – Foto Industria, Bologna, (2021); Centre Photographique Rouen Normandie (2021), FOAM Museum, Amsterdam, (2019); The Photographers’ Gallery, Londra (2017), Contact Gallery, Toronto (2015) e CNA Centre National de l’Audiovisuel, Lussemburgo (2014). Vitturi ha inoltre partecipato a mostre collettive al MAXXI di Roma, al Centre Georges Pompidou di Parigi, al Palazzo Reale e alla Triennale di Milano, al BOZAR di Bruxelles, al K11 Art Museum di Shanghai e al Barbican Centre di Londra.