CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 4

Palazzo Madama. “Aiutateci a riportare a casa gli smalti!”

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Ancora una manciata di giorni per raggiungere la cifra necessaria a restituire i preziosi “smalti” trafugati nel ‘700  al “cofano” del Cardinale Guala Bicchieri

Stop al 31 dicembre

Un appello alla Città. D’altronde per i Torinesi rappresenterebbe davvero un bel regalo di Natale alla loro “Casa Comune” e al suo più celebre e antico monumento architettonico. Parliamo ovviamente della “casa dei secoli” come Guido Gozzano ebbe a definire “Palazzo Madama”, Patrimonio Mondiale dell’Umanità “Unesco”, oggi sede del “Museo Civico d’Arte Antica” e “sintesi di pietra – ancora Gozzano – di tutto il passato torinese, dai tempi delle origini, dall’epoca romana, ai giorni del nostro Risorgimento”. Un regalo che non può aspettare ormai più di tanto. Mancano infatti una decina di giorni, lo stop è fissato a martedì 31 dicembre prossimo, per aiutare “Palazzo Madama” ad acquisire i cinque “smalti di Limoges” che, in origine, decoravano uno dei più preziosi capolavori del Museo, il “cofano” (scrigno o baule da viaggio) del Cardinale Guala Bicchieri, fra le massime espressioni (opera cerniera tra il romanico e il gotico) del Duecento europeo . “Ad oggi – dicono i responsabili – abbiamo raccolto oltre 41mila Euro sui 50mila necessari” per riportare in piazza Castello, a Torino, gli “smalti” verosimilmente trafugati nel corso del XVIII secolo quando il “cofano” si trovava nella “Chiesa di Sant’Andrea” a Vercelli e poi confluiti in una collezione privata in Francia e ora in vendita presso una Galleria Antiquaria di Parigi. “Per evitare che questi preziosi frammenti vadano nuovamente dispersi, vorremmo riportarli in Piemonte e ricongiungerli al cofano da cui sono stati sottratti secoli fa”. Di qui l’appello e la campagna di “crowdfunding” lanciata da “Palazzo Madama”.

“I cinque smalti, in rame dorato e smalto ‘champlevé’ (di colore blu, verde, bianco), un ‘unicum’ dell’arte medievale – spiega Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di ‘Palazzo Madama’ – erano originariamente fissati al retro del cofano, oggi completamente spoglio, e occupavano gli spazi tra i vari medaglioni figurati, anch’essi perduti. Questa acquisizione permetterebbe così di riposizionarli sul nostro prezioso scrigno, restituendo a quest’opera una parte del suo decoro perduto. In considerazione anche del fatto che al mondo esiste solo un altro ‘cofano di Limoges’ di queste dimensioni e di questa tipologia, nella Cattedrale di Aquisgrana, un’opera tuttavia più tarda e molto rimaneggiata in età moderna”.

Sul valore, non solo artistico, del “cofano”, dice ancora lo storico e scrittore Alessandro Barbero“Anche sotto l’aspetto storico l’opera rappresenta un ‘unicum’, dal momento che il suo proprietario, il cardinale Guala Bicchieri (Vercelli 1160 ca – Roma 1227), fu uno degli uomini politici più influenti del suo tempo, protagonista di missioni diplomatiche cruciali in Italia e in Europa per conto del pontefice Innocenzo III, che giunse a nominarlo reggente del regno di Inghilterra dopo la morte del sovrano Giovanni Senza Terra, incarico che ricoprì tra il 1216 e il 1218”. E prosegue: “L’importanza di quest’opera risiede anche nell’essere parte di una ricca collezione – costituita dal Cardinale nel corso dei suoi continui viaggi attraverso l’Europa, – che contava 104 paramenti liturgici, 80 oreficerie, 8 opere de l’Oeuvre de Limoges’, 70 anelli e 130 manoscritti, molti miniati: una raccolta di cui sono eccezionalmente sopravvissute una decina di opere, oggi divise tra ‘Palazzo Madama’, il ‘Museo Leone’ di Vercelli, il ‘Castello Sforzesco’ di Milano e la ‘Biblioteca Nazionale’ di Torino. La ricchezza di questa collezione, insieme alle importanti committenze del Cardinale – la ‘Fondazione dell’Abbazia di Sant’Andrea’ di Vercelli nel 1219 e la realizzazione di un ciclo di affreschi per l’abside della ‘Chiesa di San Martino ai Monti’’ a Roma – permettono di annoverare Guala Bicchieri nella ristretta rosa di quegli ecclesiastici di inizio Duecento che furono insieme grandi collezionisti di oggetti preziosi e committenti di importanti Fondazioni religiose”.

“Per  tutte queste ragioni – dicono ancora da ‘Palazzo Madama’ – vi chiediamo di aderire al nostro progetto e di aiutarci a riportare in Italia i cinque smalti. Dobbiamo raccogliere la somma di 50mila euro per acquistarli e ricongiungerli al ‘cofano’”.

I donatori potranno beneficiare di tutta una serie di ricompense. Compresi i vantaggi fiscali previsti dall’“Art Bonus”, la norma che consente un credito d’imposta del 65% in tre anni dell’importo donato a titolo di erogazione liberale a favore di “Fondazione Torino Musei.

Per infowww.palazzomadamatorino.it su piattaforma di “Rete del Dono”.

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine guida campagna di crowdfunding

–       Il “cofano” Guala Bicchieri

–       Giovanni Carlo Federico Villa

Torino città delle donne

Torino citta’ delle donne e’ una interessante e vivace collezione di interviste fatte a 22 torinesi, di origine e di adozione, attraverso cui l’autrice, Maria La Barbera, giornalista e sociologa, racconta  l’affezione per Torino, le sue potenzialita’ e la gratitudine nei confronti di una citta’ che non ha bisogno di assomigliare ad altre. 

Le  straordinarie torinesi  che hanno partecipato a questo progetto editoriale posseggono una visione complessa e articolata della citta’ e hanno un comune denominatore: l’amore per Torino . Questo sentimento di devozione lo ha espresso anche l’autrice che scrive: “Torino rappresenta per me quel centro di gravita’ che cercavo da tempo dove sobrieta’ e creativita’ si diluiscono, dove l’estro si sposa con la moderazione, la mia miscela perfetta, il mio antidoto agli eccessi”   e ancora “Girando per la citta’ nel  mio primo periodo torinese rimanevo incantata dai suoi angoli, dai suoi particolari, dalla sua eleganza e dalla sua signorilita’, prodotto di una esistenza regale e di un passato glorioso cardine della storia della nostra Italia, e  dalla capacita’ di essere contemporanea con uno stile tutto suo, temperante ma convincente”.

 

Un tema importante trattato nel libro e’ quello del lavoro che andrebbe intrapreso per  fare di Torino  un luogo ancora piu’ attraente, sviluppare ulteriormente le sue potenzialita’ e risolvere quei problemi che la tengono ancora  troppo salda al suo  passato nonostante sia indiscutibilmente una laboratorio di idee e rappresenti un modello ispirazionale.

Nell’ultima fase dell’intervista si affronta, inoltre, la questione di genere ovvero quale e’ la posizione delle donne all’interno del mondo delle opportunita’ lavorative, quanta strada e’ stata fatta e se queste ultime hanno imparato a fare squadra per unire le forze e puntare al futuro con lo spirito del sodalizio.

Hanno gentilmente partecipato a questo libro dedicato a Torino, la citta’ delle donne:

Maria Caramelli, Evelina Christillin,  Maria Luisa Cosso, Sara D’Amario, Elena D’Ambrogio Navone, Elsa Fornero, Alessandra Giani, Paola Gribaudo, Piera Levi-Montalcini, Marina Marchisio, Licia Mattioli, Camilla Nata, Margherita Oggero, Enrica Pagella, Antonella Pannocchia, Laura Pompeo, Paola Prunastola Filippi di Baldissero, Fulvia Quagliotti, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Giulietta Revel, Carola  Vallarino Gancia Bianco di San Secondo Biondi, Tiziana Viora.

Con Gianfranco Ferré la fotografia sposa l’arte sartoriale

Al “Forte di Bard”, il grande “architetto della moda” si scopre in 90 scatti firmati da otto geni della fotografia di moda

Fino al 9 marzo 2025

A proposito di moda e fotografia di moda, scriveva, in “Lettres à un jeune couturier”Gianfranco Ferré, il grande architetto (laurea al “Politecnico” milanese nel ’69) prestato al fashion design: “Lo stilista non deve soltanto sapere con chiarezza ciò che vuole, ma anche scegliere l’interlocutore adatto, quello che darà corpo, colore, luce e magia alla sua idea. Deve comunicare col fotografo, stabilire una complicità, dargli autonomia, ma con la certezza di potersi riconoscere nell’immagine realizzata. È una questione di feeling, di intesa … senza la capacità di creare insieme, di condividere le emozioni, di fare lavorare insieme l’occhio e l’anima, la fotografia sarà vuota, fredda, inutile e falsa”. Un concetto che Gianfranco Ferré (Legnano, 1944 – Milano, 2007) applica anche su di se’, allorché dal suo lavoro “pretende” sempre (laurea in “architettura” docet) “equilibrio, eleganza e rigore”, mai però disgiunti dai liberi voli di emozione, fantasia e creatività. Lungo lo stesso sentiero devono correre il creatore di moda e il fotografo (figura assai importante nel settore) che quella moda cristallizza in un click, che può farsi immortale. E allora, che bella, ironica e fantasiosa la fotografia in bianco e nero scattata nel ’95 a Ferré dal fotografo svizzero Michel Comte!

Qui, la complicità fra i due “attori”, il fotografo e il fotografato (in tale sintonia da essere loro dedicata una doppia mostra a Parma nel 2016, in occasione del bicentenario dell’arrivo nella città emiliana di Maria Luigia d’Asburgo Lorena) è davvero a tutto tondo. Magnifica e imponente. Come il corpo e il volto barbuto di Ferré, fermato nell’atto, all’apparenza “titanico”, di farsi il nodo alla cravatta, aspetto serioso (ma forse lì lì per scoppiare in una sonora risata), la giacca rattenuta all’ascella e in un’asola dell’abbondante camicia (non bianca, suo “capo feticcio”) l’immancabile “ferma-cravatta”, una grande spilla da balia d’oro, sua personale “style signature”, dettaglio immancabile, fermamente convinto com’era della giustezza del motto di Le Corbusier, secondo cui “Dio è nei dettagli”. La fotografia scattata da Comte è una delle oltre 90 opere, mai prima esposte e provenienti dalla sezione fotografica dell’“Archivio Storico Gianfranco Ferré”, raggruppate nelle “Cantine” del “Forte di Bard” fino a domenica 9 marzo 2025“Gianfranco Ferré dentro l’obiettivo”, il titolo della rassegna realizzata dal “Forte” valdostano e a cura del “Centro Ricerca Gianfranco Ferré” del “Politecnico di Milano” e “CZ – Catia Zucchetti Fotografia”.

 

Oltre 90, si diceva, le foto in mostra a firma di otto maestri della fotografia di moda che con Ferré hanno lavorato a iconiche campagne pubblicitarie: Gian Paolo BarbieriGuy BourdinMichel ComtePatrick DemarchelierPeter LindberghSteven MeiselBettina Rheims Herb Ritts. Le sei stanze che accompagnano la galleria fotografica si avvicendano in un continuo fil rouge, disvelante il “processo creativo” dello stesso stilista e i sei principi operativi da lui spesso evocati: comporreridurreenfatizzarericalibraredecostruire e, soprattutto, emozionare. Principi che appaiono simbiotici nel loro divenire fotografico e stilistico, accostando alle immagini altri elementi centrali della progettazione come i disegni (dai tratti rapidi e compiuti), le cartelle materiali e gli stessi abiti.

Con palleggi continui fra fotografia e manufatto sartoriale, attraverso i quali il lavoro dello stilista (sempre fortemente attratto dal richiamo delle mode del passato e dal gusto neoclassico) si fa di più agevole comprensione, passando dal “rigore compositivo” del milanese Barbieri (collocato da “Stern” fra i 14 migliori fotografi di moda al mondo), agli “scatti rapidi ed essenziali” di Comte; dai “racconti cinematografici” in bianco e nero del polacco Lindbergh (per ben tre volte firma del “Calendario Pirelli”) all’“intensità dei ritratti” della francese Rheims; dalle “inquadrature eccentriche” di Bourdin (gran “protégé” di Man Ray) alla “ricercata naturalezza” di Demarchellier, fino al “classicismo grafico” di Ritts (con i suoi uomini “palestrati” in pose plastiche ispirate alle sculture dell’antica Grecia) e alla “complessità” dello statunitense Meisel (celebre il suo scatto del ‘92 a Madonna, nel provocatorio libro “Sex”). Il tutto in un’Antologia di grandi “pagine fotografiche”, nate come suggestivo racconto di una delle storie più esemplari dell’“Italian Fashion Style”.

Gianni Milani

“Gianfranco Ferré dentro l’obiettivo”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 9 marzo 2025

Orari: Feriali 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; luned’ chiuso

Nelle foto: Michel Comte “Gianfranco Ferré”, 1995; Herb Ritts “Collezione Gianfranco Ferré” “Alta Moda Autunno/Inverno 1987”; Collezione Gianfranco Ferré “Prêt-à-porter Autunno/Inverno 2000- ‘01”; Collezione Gianfranco Ferré “Prêt-à-porter Autunno/Inverno 1981–‘82”, Disegno uscita sfilata

Riccardo Iacona: Nel tempo del racconto

Venerdì 13 dicembre 2024 – ore 19

sold out

All’interno del programma 2024-2025 del Laboratorio di Resistenza Permanente, incentrato sul tema del tempo, la Fondazione Mirafiore di Serralunga d’Alba ospita Riccardo Iacona, uno dei più autorevoli giornalisti italiani, per un incontro intitolato “Nel tempo del racconto”. Il filo conduttore della stagione trova in Iacona un interprete d’eccezione: il suo giornalismo, attento e rigoroso, si muove costantemente nel tempo, scavando nel passato per dare senso al presente e aprire prospettive sul futuro.
Laureato al DAMS di Bologna, Riccardo Iacona esordisce nel cinema in qualità di aiuto regista per poi approdare in Rai nel 1988, dove lavora per molti anni a fianco di Michele Santoro in importanti trasmissioni televisive, fra cui “Samarcanda”, “Il Rosso e il Nero” e “Temporeale”.
Autore e regista di numerosi programmi d’informazione tra cui W l’Italia, nel 2008 realizza il reportage “La guerra infinita” sui conflitti in Kosovo e Afghanistan, per poi tornare protagonista del palinsesto serale di Rai 3 con “Presa Diretta”, di cui è autore e conduttore dal 2009.
Dal cambiamento climatico al sistema giustizia, dal mondo della sanità all’agenda politica del Paese, Riccardo Iacona è autore e regista di reportage che indagano l’Italia nelle sue sfaccettature più diverse e ne restituiscono un quadro nitido e sincero. Per le sue inchieste ha vinto cinque volte il Premio Ilaria Alpi.
È curatore della collana di Edizioni Dedalo “Sottoinchiesta” che racconta l’attualità attraverso indagini giornalistiche di approfondimento.

L’incontro di venerdì 13 dicembre alle 19 non sarà solo un viaggio nei grandi temi d’attualità che il giornalista ha affrontato nella sua carriera – dal cambiamento climatico al sistema giustizia, dalla sanità alle tensioni politiche – ma anche una riflessione sulla potenza del racconto come strumento per interpretare la realtà.
L’incontro – a ingresso libero su prenotazione – è sold out, ma è possibile iscriversi alla lista d’attesa in caso di disdette.

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Anora – Drammatico. Regia di Sean Baker, con Mickey Madison, Yuriy Borisov, Ivy Wolk e Lindsey Normington. Anora detta Ani è una ballerina erotica americana di origine russa esperta in lap dance che porta i clienti nei privé offrendo loro servizi extra a pagamento. Un giorno nel locale dove lavora arriva Ivan, un ragazzo russo che pare entusiasta di lei e dei suoi molti talenti. Il giorno dopo Ivan la invita a casa sua e Ani scopre che il ragazzo vive in una megavilla ed è figlio unica di un oligarca multimiliardario. Le cose fra i due ragazzi vanno così bene che Ivan porta Ani a Las Vegas e là le chiede di sposarlo. Ma i genitori di lui non sono affatto d’accordo e mandano una piccola”squadra di intervento” a recuperare il figlio dissennato. Quella che seguirà è una rocambolesca avventura ricca di sorprese, che tuttavia non dimentica di avere un cuotre e un occhio alla realtà anche all’interno dell’esagerazione comica. Palmarès per il miglior film a Cannes. Film segnalato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “L’abilità di Sean Baker nel mettere al centro il corpo e il sesso per parlare (anche) di altro trova qui la sua espressione più compiuta. Raccontando un percorso di consapevolezza femminile incalzante e frenetico che si scontra con le diseguaglianze economiche e sociali della nostra epoca, il regista firma un lavoro, psichedelico ma sotteso dall’oscurità, di regia, montaggio, scrittura e recitazione, di grande intrattenimento, senza esser privo di un graffio autoriale coraggioso e indipendente.” Durata 139 minuti. (Greenwich Village sala 3 anche V.O.)

Berlinguer – La grande ambizione – Drammatico, Storico. Regia di Andrea Segre, con Elio Germano, e Paolo Pierobon, Roberto Citran ed Elena Radonicich. Una parte della vita del politico italiano, la vita privata e pubblica dal viaggio a Sofia del 1973 fino al discorso della Festa Nazionale dell’Unità di Genova del 1978. Durata 123 minuti. (Eliseo, Nazionale sala 1)

Le déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta – Drammatico. Regia di Gianluca Jodice, con Guillaume Canet e Mélanie Laurent. Quando si parla di Luigi XVI e di sua moglie Maria Antonietta vengono subito alla mente merletti, alte parrucche, vestiti sgargianti, colori, Versailles oppure… la ghigliottina. Ecco, tra questi due estremi, c’è una terra di mezzo, un tempo che nessuno ha mai raccontato: i pochi mesi in cui gli ultimi re e regina di Francia con i loro due figlioletti vennero incarcerati in un castello alle porte di Parigi, in attesa di essere giustiziati. Un tempo breve, condensato, dove tra violenze e vessazioni, tutte le maschere caddero: quella dei due reali come figure pubbliche e private; quelle dell’antico regime; quelle della Storia che voltò definitivamente pagina, e quella di Dio che da allora in avanti fu eclissato nell’ombra, lasciando l’uomo completamente solo. Durata 101 minuti. (Nazionale sala 4)

Freud – L’ultima analisi – Drammatico. Regia di Matt Brown, con Anthony Hopkins e Matthew Goode. Alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, due delle più grandi menti del XX secolo, Sigmund Freud e C.S. Lewis, si incontrano per la loro personale battaglia sull’esistenza di Dio. Il film intreccia le vite dei due uomini, nel passato, nel presente e attraverso la fantasia, uscendo dai confini dello studio di Freud in un viaggio dinamico. Durata 108 minuti. (Romano sala 2)

Il giorno dell’incontro – Drammatico. Regia di Jack Houston, con Michael Pitt, Ron Perlman e Joe Pesci. Mickey, un pugile uscito di prigione dopo un lungo periodo di detenzione, soffre da molto tempo di una malattia che ha tenuta nascosta a tutti. Prima del carcere, è stato un pugile di grande successo, vincendo molti incontri, e in onore di quei tempi gloriosi decide di tornare sul ring. Va a trovare le persone che sono state importanti nella sua vita e soprattutto nella sua carriera e il giorno stesso affronta il suo primo combattimento da uomo libero. Ol match si tiene al Madison Square Garden e si rivela un evento catartico nella sua vita. Mickey infatti vive questo momento come la grande occasione di redenzione. La boxe è soltanto un mezzo per fare pace con se stesso e con le persone che ama. Durata 108 minuti. (Classico)

Giurato numero 2 – Drammatico. Regia di Clint Eastwood, con Nicholas Hoult, Toni Collette e Kiefer Sutherland. Justin Kemp, giovane papà in attesa di un figlio, un ormai dimenticato precedente di dipendenza dall’alcool, è chiamato a far parte di una giuria, a Savannah in Georgia. Si deve giudicare il giovane James, precedenti di spaccio e carattere irascibile, accusato di aver ucciso la compagna, una sera, fuori di un bar, a seguito di un alterco. Della colpevolezza è convita l’avvocata d’accura che aspira all’ufficio di procuratrice. Dagli interrogatori e dalle testimonianze, Justin è sempre più convinto di essere stato lui, quella sera, ad aver travolto la ragazza alla guida della sua macchina e d’averla uccisa. È sconvolto dalla scoperta ma allo stesso tempo non è intenzionato a dire la verità sull’accaduto, mettendo i suoi compagni di giudizio di fronte a mille dubbi: coinvolgendo lo spettatore a ogni momento della sceneggiatura ottimamente scritta da Jonathan Abrams e della regia di un solido uomo di cinema che alla splendida età di 94 anni continua a non sbagliare un colpo. Durata 114 minuti. (Centrale V.O., Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Fratelli Marx sala Harpo, Greenwich Village sala 2, Ideal, Reposi sala 4)

Il gladiatore 2 – Storico. Regia di Ridley Scott, con Paul Mascal, Pedro Pascal, Connie Nielsen e Denzel Washington. A vent’anni dalla morte di Massimo Decimo Meridio, nella Roma governata da Geta e Caracalla, dalla Numidia arriva, mescolato a un gruppo di schiavi, un uomo di nome Annone, superbo lottatore che Macrino, ricco e potente consigliere dell’impero, eleggerà a gladiatore. Il giovane, in effetti il giovane Lucio nipote di Marc’Aurelio e figlio di Lucilla, si batterà dal momento che cerca la vendetta nei confronti del generale Marco Acacio, marito di Lucilla e responsabile della morte di sua moglie Arishat. Durata 150 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi sala 5, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Grand Tour – Drammatico. Regia di Miguel Gomes, con Gonçalo Waddington e Crista Alfaiate. È la fuga, attraverso i paesi dell’Estremo Oriente – dal Vietnam a Singapore, dalle Filippine al Giappone, dalla Thailandia al Tibet – del giovane Edward, promesso sposo di Molly, appena viene a conoscenza che in tempi stretti la fidanzata lo sta inseguendo per mettergli l’anello al dito. Tra le immagini di oggi e la documentazione dell’epoca (siamo nel 1917), una fotografia che alterna il bianco e nero e il colore, spostamenti in treno e non soltanto, cartoline illustrate, panorami che sprigionano bellezza. Gomes miglior regista a Cannes 2024. Le radici del film stanno in un racconto di Somerset Maugham. Durata 128 minuti. (Nazionale sala 2)

Indagine di famiglia – Drammatico. Regia di Gian Paolo Cugno, con Roberto Ronda e Mariano Regillo. Una lettera inviata da Floridia, una piccola cittadina in provincia di Siracusa, viene recapitata sessant’anni dopo in una casa del Connecticut, negli Stati Uniti. La destinataria è Maria Spada, emigrata dalla Sicilia nel dopoguerra, riunitasi quel giorno con la famiglia per festeggiare il suo centesimo compleanno. Nella lettera, datata 1960, l’avvocato Domenico Accaputo comunica a Maria di aver finalmente trovato prove inconfutabili dell’innocenza del padre Nicolò, del nonno Sebastiano e dello zio Pietro, ingiustamente accusati verso la fine del secolo precedente dell’omicidio di un ricco proprietario terriero di nome Dramonterre. Con l’intento di riportare alla luce la verità e ricostruire l’intera vicenda che ha sconvolto la sua famiglia, Nick, il giovane nipote di Maria, parte per la Sicilia. Ma a Floridia, dopo più di cento anni, qualcuno tenta ancora di tenere nascosta nell’ombra una storia di omertà, lotte di classe e ingiustizia. Durata 105 minuti. (Eliseo)

Io sono ancora qui – Drammatico. Regia di Walter Salles, con Fernanda Torres. Eunice, madre di cinque figli, vede cambiare bruscamente la propria esistenza quando il marito scompare improvvisamente, catturato dal regime militare del 1964. La donna è costretta all’attivismo, sperando di trovare in questo modo il marito e riuscire a salvarlo. Candidato brasiliano agli Oscar 2025, Coppa Volpi a Venezia per la migliore attrice. Durata 135 minuti. (Nazionale sala1)

Napoli New York – Drammatico. Regia di Gabriele Salvatores, con Pierfrancesco Favino, Dea Lazzaro e Antonio Guerra. Nell’immediato dopoguerra, tra le materie di una Napoli piegata dalle macerie e dalla miseria, i piccoli Carmine e Celestina tentano di sopravvivere come possono, aiutandosi a vicenda. Una notte s’imbarcano come clandestini su una nave diretta a New York per andare a vivere con la sorella di Celestina emigrata anni prima. I due bambini si unoiscono ai tanti emigranti italiani in cerca di fortuna in America e sbarcano in una metropoli sconosciuta, che dopo numerose peripezie impareranno a chiamare casa. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi sala 1, Romano sala 3, The Space Torino, Uci Lingotto,The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

L’orchestra stonata – Commedia. Regia di Emmanuel Courcol, con Benjamin Lavernhe e Pierre Lottin. La vita di Thibaut, un famoso direttore d’orchestra, cambia radicalmente quando scopre di avere una grave forma di leucemia. L’unico modo per salvarsi è il trapianto del midollo osseo ma trovare un donatore compatibile non è facile. Proprio a causa della scoperta della malattia, Thibaut viene a scoprire di essere adottato. Un donatore perfettamente compatibile sembra essere suo fratello biologico che non ha mai conosciuto. Si tratta di un modesto impiegato che vive in una piccola cittadina della Francia del Nord e suona il trombone nella fanfara comunale. La banda rischia di sciogliersi e la fabbrica della città sta per essere chiusa. Thibaut parte per andare a cercare suo fratello e il loro incontro si rivela un’incredibile avventura che cambia la vita di entrambi per sempre. Durata 103 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Piccole cose come queste – Drammatico. Regia di Tim Mielants, con Cillian Murphy e Emily Watson. Irlanda, 1985. Bill Furlog è un uomo silenzioso, dall’animo semplice ma anche un attento osservatore, che ha dedicato la vita al lavoro, alla moglie Eileen e alle loro cinque figlie. In un freddo giorno d’inverno, l’uomo trasporta e distribuisce la legna e il carbone per gli abitanti del villaggio. Siamo nei giorni che precedono il Natale, quando Bill entra nel cortile del convento locale diretto da Suor Mary, e fa un incontro che riporta a galla ricordi sepolti nella sua memoria. Non può ignorarli anche perché lo portano a scoprire segreti e verità che lo sconvolgeranno. Sarà il momento per Bill di decidere se voltarsi dall’altra parte o ascoltare il proprio cuore e sfidare il silenzio di una intera comunità. Durata 98 minuti. (Greenwich Village sala 2)

Il ragazzo in pantaloni rosa – Drammatico. Regia di Margherita Ferri, con Claudia Pandolfi e Samuele Carrino. La storia vera di Andrea Spezzacatena, suicida a 15 anni, vittima del bullismo, narrata dalla madre Teresa Manes in un libro dal titolo “Andrea oltre il pantalone rosa”. Andrea, ragazzo che studia, che ama i propri genitori e che ama trascorrere le vacanze in Calabria, Andrea che a scuola ha accanto l’amica Sara ma anche Christian, di cui cerca l’amicizia ma dal quale ottiene soltanto indifferenza. Una scuola dove il bullismo ha messo radici: un fatto – l’avere la mamma di Andrea stinto per errore un paio di pantaloni del ragazzo – scatena la tragedia e Andrea sceglierà la sua uscita definitiva dalla vita. Durata 121 minuti. (Ideal, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

La stanza accanto – Commedia drammatica. Regia di Pedro Almodòvar, con Tilda Swinton, Julianna Moore e John Turturro. Ingrid e Marta sono amiche da anni e non si sono mai dette mezze verità. Ingrid è una scrittrice di successo il cui ultimo libro racconta la sua incapacità di comprendere e accettare la morte. Martha è stata una corrispondente di guerra e ora è affetta da un tumore che potrebbe essere curabile con una terapia sperimentale, ma intanto si è preparata all’idea di morire e ha già scelto, nel caso, come farlo: con una pillola acquistata sul dark web. Ciò che vorrebbe però è non morire sola, e poiché il suo rapporto con la figlia le appare come irrimediabilmente compromesso chiede a Ingrid di soggiornare nella stanza accanto alla sua nel momento in cui dovesse decidere di “abbandonare il party”. Durata 107 minuti. (Centrale anche V.O., Due Giardini sala Nirvana, Eliseo Grande, Fratelli Marx sala Groucho, Massimo anche V.O., Nazionale sala 3 anche V.O., The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

The Substance – Drammatico. Regia di Coralie Fargeat, con Demi Moore, Margaret Qualley e Dennis Quaid. Elizabeth, un’attrice hollywoodiana finita nel dimenticatoio, è stata licenziata dal programma di aerobica che conduceva per aver superato i 50 anni di età. La donna decide di rispondere a un annuncio in cui cercano persone su cui sperimentare un misterioso siero che ringiovanisce. Somministratale la sostanza, la donna si rende conto che il siero agisce in maniera differente da come lei si aspettava, perché la porta a dare vita per partenogenesi a una versione più giovane e bella di lei di nome Sue. Durata 140 minuti. (Massaua, Fratelli Marx sala Harpo V.O.)

Una serata dedicata a Elda Lanza, la prima presentatrice della televisione italiana

Elda Lanza è stata nel 1952, in una Rai in fase sperimentale, quando ancora il termine non esisteva e quindi coniato appositamente per lei, la prima “presentatrice” della televisione italiana. Nel centenario della nascita, venerdì 13 dicembre, alle ore 21, alla Sala Pessini, in piazza Vittorio Veneto 2, a Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria, si svolgerà una serata in suo onore con il racconto della preziosa attività al servizio culturale e sociale della località dove scelse di vivere, arricchita dai ricordi di chi l’ha conosciuta e la narrazione del suo grande amico Mariano Sabatini, giornalista, scrittore ed autore di numerosi programmi televisivi come Unomattina, Parola mia e Tappeto volante. Elda Lanza, arrivata per caso da giornalista, a fare ben 14 provini alla Rai, venne scelta per testare programmi passati alla storia del piccolo schermo, quali Arrivi e partenze e Una risposta per voi.

Nella trasmissione “Vetrine” da lei ideata e condotta inventò la prima rubrica di cucina della televisione e date le telecamere giganti di allora, la sua prima idea fu quella di mettere uno specchio sopra il piano di lavoro, in modo tale che queste potessero riprendere quello che succedeva anche nelle pentole. Anni fa raccontò che si rese conto di quanto questa rubrica, con la partecipazione di Luisa De Ruggeri che non soltanto cucinava ma dava consigli pratici, ebbe successo quando diede la ricetta del Pesce di tonno, in cui metteva l’impasto in una forma di pesce di alluminio, e tutte le telespettatrici chiesero dove trovare quello stampo perché tutti i negozi l’avevano esaurito. Elda Lanza abbandonò il piccolo schermo a metà degli anni ’70 per dedicarsi alle pubbliche relazioni nell’agenzia di comunicazione fondata dal marito, il pubblicitario Vitaliano Damioli, occupandosi di grafica, giornalismo, architettura e arredamento. Ma ciò che davvero amava era scrivere e per tutta la vita ha scritto per quotidiani, periodici, novelle, romanzi e saggi.

Dopo una lunga pausa tornò ospite in tante trasmissioni tv, prima su La7 con Benedetta Parodi, e poi da Caterina Balivo, per una serie di tutorial sul “bon ton” a Detto fatto su Rai2. Nel 2012 esordì come giallista con “Niente lacrime per la signorina Olga” e le avventure dell’avvocato napoletano Max Gilardi, protagonista di numerosi titoli, tutti pubblicati da Salani. Nata a Milano il 5 ottobre 1924, scompare a Castelnuovo Scrivia, dove viveva, il 10 novembre 2019. La sua vita meriterebbe una fiction!

Igino Macagno

Pier Luigi Borla, la bellezza come occasione d’arte

Il Museo Etnografico Maison de Cogne Gerard Dayné  prestigiosa architettura che valorizza il patrimonio artistico-culturale della valle, ha accolto in permanenza, datate tra il 1963 e  il 1974, molte opere del noto pittore piemontese Pier Luigi Borla (Trino 1916- 1992), grazie alla donazione della figlia Bruna e del genero Mauro Galfrè anch’egli affermato artista.

I bellissimi scorci del villaggio di Cogne, luogo amato e scelto per trascorrere le vacanze estive, siano essi disegnati di getto a matita, penna a sfera e ad inchiostro nero, oltre ai cromatici dipinti ad olio confermano il temperamento riservato e meditativo di Borla che, tra le montagne del Gran Paradiso, trovava l’ambiente adatto per soddisfare il proprio senso estetico della bellezza intesa  anche come suggestiva occasione d’arte.

Le raffigurazioni della parrocchiale di sant’Orso, la chiesetta di Sant’Antonio, la piccola cappella votiva di Rue Revettaz, le stradine che collegavano agglomerati di tipiche abitazioni, molte delle quali non esistono più o sono state rimaneggiate, costituiscono una preziosissima e documentata memoria del tessuto urbano di quegli anni.

Contrassegnate da un’atmosfera avvolta nel silenzio escludendo la presenza di figure umane (tranne nel disegno del circo arrivato in paese dove si notano figurine pressoché  impercettibili  quasi potessero turbare e contaminare la purezza e l’incanto della montagna), le opere sono fissate nell’immobilità, bloccate per sempre nel tempo per  preservarle dall’oblio.

Ancor più i paesaggi, verdeggianti o innevati, che riprendono le vette del Gran Paradiso pervaso dal senso di sospensione, vengono trasferiti in uno spazio mentale avvicinandosi in qualche modo alla più prepotente atmosfera metafisica soffusa nelle figure muliebri dipinte in atelier che rendono  Pier Luigi Borla “il pittore dei silenzi e delle attese” come acutamente è stato definito.

Giuliana Romano Bussola

Due grandi interpreti per il film (di un maestro) che lascia dubbi

La stanza accanto”, sugli schermi il Leone d’oro di Venezia

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

In fondo quel melodramma che gli è caro, certo quei tanti autentici sentimenti che gli abbiamo da sempre riconosciuto all’interno di non pochi capolavori – “Tutto su mia madre” e “Parla con lei” sopra tutti, per restare tra i titoli più celebri, e non dimentichiamo il grande “Dolor y gloria” -, quella passione smoderata per le architetture e gli interni, per l’arte che qui compare con Hopper, per l’esposizione di alto design, per quei colori che riempiono le immagini, per il cinema che qui s’affaccia con l’antico Buster Keaton e con “The Dead” ultimo film di John Huston e per la letteratura che qui rovista nella vita di Virginia (Woolf) e di Vita (Sackville-West), per la guida perfetta, senza nessun ripensamento da parte di chi guarda, delle sue tante attrici che per blocchi temporali si sono susseguite nel suo cinema, quel cinema che ha già visto l’Oscar e coronato tra gli altri lo scorso settembre con il Leone d’oro veneziano: ogni cosa resta, ben salda. Lo sottoscriviamo. Pedro Almodòvar tante volte ci ha appassionato e coinvolto, innanzi tutto per quel lavoro d’attenzione e di raffinato cesello drammaturgico, pur spingendosi più volte ben sopra le righe, che stava alla base delle sue opere, in alcuni momenti ci ha deluso con spazi vuoti che sembravano memento di tempi del tutto trascorsi o scommesse perdute o interruzioni di un lungo cammino, tutto completamente buttato via (“La pelle che abito” o “Gli amanti passeggeri”). Oggi, davanti alla storia che il regista stesso ha tratto in prima persona e liberamente dal romanzo “Attraverso la vita” di Sigrid Nunez e alle immagini e all’avvicendarsi dei fatti della “Stanza accanto” non ci sentiamo di gridare all’ennesimo capolavoro, inconfutabile, senza se e senza ma: innegabile la fermezza nel suo primo film in lingua inglese dell’immaginario e delle doti che in questi decenni ci ha regalato, le radici di una architettura filmica almodovariana, ma qualche dubbio, mentre scorrono i titoli di coda, sulla scrittura, su un certo schematismo che attraversa la vicenda, su certi flashback che disturbano nella loro visiva narrazione (per chi vorrà vedere il film, l’incendio della vecchia casa, una forzatura), sui dialoghi che i due personaggi femminili si scambiano, davvero più recitati che vissuti, quasi imposti da una certa interna geometria, su quel tanto di artefatto e di obbligato dal momento in cui noi – ovvero la terra intera intesa come natura, paesaggio, verde, ambiente: in totale sopravvivenza – viviamo e ci dibattiamo: avverti che qualcosa non sta al punto giusto, scricchiola, non ti convince appieno. Anche se continueremo ad accompagnare Almodòvar con la parola “maestro”.

Per cui, quasi per eccesso, ti metti a seguire gli sguardi e i silenzi, le rabbie e le commozioni, la malinconia soffusa di due attrici, Tilda Swinton (semplicemente da applauso incondizionato) e Julianne Moore, che qualcuno ha detto potrebbero leggere l’elenco del telefono e sarebbero altrettanto perfette. Non ci ha pensato la giuria di Isabelle Huppert, rimedieranno le cinquine degli Oscar? Procedono ferme e lucide, costruiscono sguardi e sospensioni ed è fuori di dubbio che l’asse portante dell’intero film siano quelle due interpretazioni. Sono Martha che è stata una fotoreporter del New York Times, un’inviata di guerra che alleggeriva le immagini dolorose e furiose con un sesso offerto a piene mani, e che ora è ricoverata in una camera d’ospedale a subire un tumore impossibile da curare; e Ingrid, scrittrice di successo, che nell’apprendere la notizia decide di starle accanto e accompagnarla lungo quella strada di ultimi istanti di vita quando la bionda amica ritrovata deciderà di morire nella pienezza della propria volontà, nella piena dignità della morte. Hanno avuto momenti di felicità comune in gioventù (“Ti ricordi quanto casino negli anni ottanta a New York”: e quanto ne ha fatto Pedro a Madrid, in quegli stessi anni?), hanno condiviso lo stesso uomo, si sono poco a poco abbandonate ma un solo richiamo è sufficiente a riavvicinarle, con solidarietà, con intrigo, con una amicizia che non ha confini. Martha, nell’avvicinarsi della fine, guarda anche con rammarico alla sua realtà di madre che una figlia (la figlia che apparirà per alcuni istanti, ha i tratti ancora della Swinton, con parrucca nera) l’ha allontanata, messa da parte, ignorata, incapace di rispondere alla insistente domanda di chi fosse il padre, mentre si dispera per le cure che non approdano all’effetto sperato, mentre rivela di aver trovato sul dark web quella pillola che l’aiuterà nel gesto finale, che ora affida all’amica, rivelandogliene il nascondiglio. Tanti momenti di passaggio e di scrittura controversa, momenti che raccolgono l’ospedale mentre la neve cade sulla città, rosata per il cambiamento climatico, e la casa di Martha e il rifugio all’interno del bosco dove il disegno del regista rimanda a un impianto teatrale, dove l’allegria dei colori – un maglione, una parete, un vaso di Venini, l’ultimo abito – giallo – indossato da Martha sconvolge in un attimo l’atmosfera di morte, guidata e accolta: un tragitto, una componente di sorellanza dove forse il momento più rabbioso e doloroso allo stesso tempo è la presenza indagatrice e accusatrice del poliziotto Alessandro Nivola, nel chiuso di una stazione di polizia, a forzare le domande e le risposte di Ingrid, nel considerarla “una delinquente”, nel volerla degradare completamente.

Siamo d’accordo, i messaggi che Almodòvar manda al suo pubblico sono autentici, innegabili, fanno parte di un cinema alto: ma allo stesso tempo non supportati da altrettanta altezza del racconto, toccato a tratti da una debolezza che, stranissimo a dirsi, ce lo fa apparire lontano da noi, forse preso troppo nell’ingranaggio di due persone, per vederlo espandersi in una più dolorosa universalità.

“Attraverso lo specchio” con la Gypsy Musical Academy

Da Micheal Jackson a Saturday Night Fever  al Teatro Concordia di Venaria sabato 14 dicembre

 

Due decenni di successi e trionfi, tra i quali la finalissima di Italia’s Got Talent 2019 e la carriera di alcuni suoi allievi, oggi vere star. La Gypsy Musical Academy, una delle più importanti accademie di musical in Italia, che ha sede in via Pagliani 25 a Torino, è pronta a festeggiare i suoi primi vent’anni con lo spettacolo “Attraverso lo specchio”, in scena il 14 dicembre al Teatro Concordia di Venaria. Lo show è realizzato con la supervisione artistica di Reece Richards, protagonista di grandi musical nel West End di Londra come “Hair Spray” e “Mootown”, nonché protagonista di “Sex Education”. Reece sarà la guest star della serata e creatore delle coreografie, insieme a Cristina Fraternale Garavalli e il contributo di Federica Nicolò. La direzione musicale è di Marta Lauria e la regia è di Neva Velli.

In scaletta pezzi tratti dai grandi Jukebox dei musical londinesi: “MJ”, il musical sulla vita di Micheal Jackson che debuttò a Broadway nel 2021; “&Juliet”, musical molto in voga nel West End di Londra come sequel di Romeo e Giulietta (cosa sarebbe successo se Giulietta non si fosse uccisa ?) con le musiche di Britney Spears, Backstreet Boys, Katy Perry, Bob Jovi, Justin Timberlake e molti altri; “Moulin Rouge”, che nella nuova versione comprende diversi mush up di brani di Lady Gagà e di Annie Lennox, altri brani tratti dal musical “Tina”, sulla vita di Tina Turner, fino ad arrivare al più classico Jukebox musical con le musiche dei Bee Gees “Saturday Night Fever”.

Teatro Concordia – corso Puccini, Venaria Reale / 14 dicembre, ore 16.30 e ore 21

Info e prenotazioni: 349 1446282

 

Mara Martellotta

Il Biellese nelle opere di Basso al Grattacielo Piemonte

L’artista biellese presenta la sua esposizione fino al 19 gennaio prossimo negli spazi di Sala Trasparenza a Torino. Il Vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorino: “ L’evento raccoglie lo spirito del Natale e i valori del territorio”.

Il Natale e il Capodanno 2024/2025 si festeggiano con l’arte al Grattacielo della Regione Piemonte: fino al 19 gennaio 2025, infatti, la Sala Trasparenza ospiterà l’esposizione “Riflessi Biellesi” di Daniele Basso.

Un’iniziativa in cui le opere dell’artista racconteranno il Biellese in un percorso simbolico a tappe, non esaustivo, ma forte di alcuni dei tratti più distintivi di un territorio ricco di eccellenze e pronto per essere scoperto a livello nazionale e internazionale.

La mostra è un’occasione per far conoscere un patrimonio di cultura, tradizione e imprenditorialità. Ospitarla nel periodo del Santo Natale significa tenere vivo il sentimento delle tradizioni e riscoprire il significato profondo delle nostre radici. Le opere di Daniele Basso raffigurano il rapporto con i valori cristiani, ma anche la capacità di produrre, di innovare e di creare il saper fare d’eccellenza. Questi eventi sono fondamentali non solo per promuovere l’arte, ma anche per stimolare l’orgoglio delle comunità locali e rafforzare i principi della nostra identità” dichiara il Vicepresidente e Assessore a Lavoro e Istruzione della Regione Piemonte, Elena Chiorino.

Un’opportunità straordinaria per raccontare il Biellese attraverso un lavoro che dura da anni – prosegue Daniele Basso – Ringrazio non solo Elena Chiorino per l’invito, ma tutto il suo staff e l’Ufficio Patrimonio di Regione Piemonte che l’hanno reso possibile. E soprattutto ringrazio i diversi attori del territorio che nel tempo mi hanno commissionato parte delle opere oggi in esposizione, permettendomi di indagare significati e valori del Biellese e di interpretarli liberamente in simboli capaci di portarli in una dimensione universale, in cui tutti noi possiamo riconoscerci”.

Riflessi Biellesi è un allestimento altamente simbolico – sottolinea l’artista – che partendo da temi di attualità come spiritualità e famiglia, montagna e accoglienza, artigianalità e imprenditoria d’eccellenza, sostenibilità e progettualità futura, racconta un territorio attraverso l’arte contemporanea ed i propri simboli. Una storia intrisa dei valori identitari della cultura italiana… cristianità, etica, morale, coscienza, lavoro, saper fare… per riflettere anche sul carattere costruttivo del Biellese, e più in generale del Piemonte. Territori dallo spirito progettuale orientato al benessere, che tra “Spiritualità” e “Saper Fare Bene”, esprimono la propria attitudine all’eccellenza. In un momento di veloce evoluzione globale, l’allestimento è la testimonianza della capacità di reiventarsi nel solco del proprio passato, ma con valori saldi e lo sguardo rivolto al futuro”.