CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 35

“Maccaia” a fumetti. Al “Circolo dei lettori” di Torino

La presentazione del nuovo libro “a fumetti” dello scrittore Bruno Morchio e dell’illustratore Marco D’Aponte

Lunedì 30 settembre, ore 18

“Maccaia”!? Ma che diavoleria di nome (e di titolo d’un libro) sarà mai? Non state ad arrovellarvi. Ve lo spiega subito l’autore. “Genova – spiega – è una città che ha due facce, a seconda che il vento tiri dai monti o dal mare. Quello che soffia dal mare, gonfio di sale e di umidità, è lo scirocco, e si esaurisce in un’aria immobile. Quell’aria sospesa, dove tutto può accadere e niente mai accade. Noi genovesi la chiamiamo ‘maccaia’”. Ecco, dunque, svelato l’arcano. E l’autore è evidentemente genovese. Si tratta di Bruno Morchio, scrittore e psicologo, autore di romanzi appartenenti al genere “noir mediterraneo” e fortunato “papà” del detective Bacci Pagano che quest’anno festeggia il ventesimo genetliaco agghindandosi nell’intrigante forma di “graphic novel” (edizione a fumetti) realizzata dalla matita graffiante del pittore ed illustratore torinese, Marco D’Aponte. Uno “zeneize” e un “turineis”, gran bell’accoppiata.

Pubblicato da “Edizioni del Capricorno”, il libro della coppia Morchio – D’Aponte (160 pagine, 15 Euro) sarà presentato sotto la Mole al “Circolo dei Lettori” di via Bogino 9, lunedì 30 settembrealle ore 18. Prevista anche la presenza del “nostro” Alessandro Perissinotto.

In estrema sintesi, eccovi due notizie per avvicinarvi non impreparati alla storia. L’investigatore privato Bacci Pagano viene ingaggiato da una compagnia assicuratrice per indagare sulla morte di un anziano strozzino, in apparenza morto sbranato da un lupo nel “Parco delle Mura” (erette a difesa della città e del suo porto nel XVII secolo), più comunemente chiamato dai genovesi “Parco Peralto”. L’uomo aveva stipulato un’assicurazione milionaria sulla vita, con beneficiaria la giovane moglie panamense e Bacci Pagano si troverà a dover portare avanti un’indagine insolita, tra evidenze obiettive e menzogne, personaggi che spuntano dal nulla e altri che non sono quello che sembrano, cercando allo stesso tempo di gestire i rapporti con le tre donne della sua vita: l’ex moglie rabbiosa, la fidanzata e la figlia Aglaja. L’intera vicenda si svolge in una Genova assediata, per l’appunto (come da titolo) dalla “maccaia” primaverile, un’aria immobile e sospesa, un tepore umido e salmastro, che gronda “salsedine e noia”. Ed è proprio il capoluogo ligure, qui visto attraverso le splendide tavole di Marco D’Aponte, a essere allo stesso tempo “ambientazione e protagonista dell’indagine”.

Due “dritte” anche per meglio avvicinarvi agli autori.

Bruno Morchio ha esordito, in ambito letterario, nel 2004 creando l’investigatore privato Bacci Pagano (“Una storia da carruggi”), diventato il protagonista di una fortunata serie che, al momento, può contare su quindici titoli ambientati a Genova. “Maccaia. Una settimana con Bacci Pagano” è stato pubblicato nel 2004. Nel 2023 Bruno Morchio ha vinto il “Premio Scerbanenco” con “La fine è ignota”.

Marco D’Aponte, diplomato all’“Accademia Albertina” di Torino, pittore e illustratore, ha esordito negli anni Ottanta sulla rivista “Orient Express” diretta da Luigi Bernardi. Ha realizzato numerosi “graphic novel” tratti da celebri romanzi, come “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi e “La luna e i falò” di Cesare Pavese. Con le “Edizioni del Capricorno” ha pubblicato “Storia di Torino a fumetti”“Il Grande Torino a fumetti” e “Il magnifico 7”. Vive tra Torino e Sestri Levante.

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Cover “Maccaia” (“Ed. del Capricorno”)

–       Marco D’Aponte

–       Bruno Morchio

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La cittadinanza con lo sconto – Giorgia all’Onu – Lettere

La cittadinanza con lo sconto
La legge del 1992 sulla cittadinanza si è rivelata un’ottima legge, una delle poche ottime leggi.  Infatti nessun governo della II Repubblica l’ha cambiata, ne’ quelli di destra, ne’ quelli di sinistra. Oggi tre gatti di finti radicali di + Europa e i residuati bellici di quello che fu il partito socialista hanno lanciato un referendum per ridurre da 10 a 5 anni i tempi per la cittadinanza italiana, approfittando della raccolta delle firme (sempre 500mila, pochissime!) per via elettronica. Hanno dimenticato che il voto implica ancora di recarsi ai seggi di persona e che i referendum non hanno da tempo raggiunto il quorum necessario e hanno fatto sprecare denaro pubblico inutilmente. L’abuso di referendum andati in fumo per mancanza del quorum ha depotenziato lo strumento, screditandolo. Questo referendum è meramente strumentale perché una cittadinanza non può essere un dono, ma essa deve essere legata al rispetto di certe condizioni stabilite dalla democraticissima legge del 1992. I finti radicali di Magi (che è tutto fuorché un leader) non sono affidabili e non possono essere confusi con Pannella che mai si è lanciato in un referendum farlocco come questo.
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Giorgia all’Onu
Ho visto fotografie della presidente Giorgia Meloni che parlava all’ONU davanti ad una sala semivuota. Che tristezza per l’Italia, assai poco considerata, se penso che il ministro degli Esteri Fanfani, unico italiano, divenne presidente eletto dell’Onu. Neppure il fluido inglese della Meloni è bastato.  Tutto il suo impegno per la politica estera non ha dato frutti. Sono argomenti su cui meditare,  se consideriamo che l’impegno estero l’ha distolta dai problemi italiani abbandonati a ministri spesso non all’altezza del compito. Floris ha esibito quelle fotografie alla inguardabile 7, io che pongo l’Italia sopra tutto, sono amareggiato.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

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Corso Maroncelli e Italia ‘61

Una della arretratezze di Torino è  il caso della rotonda di corso Maroncelli e di Italia ‘61 che provoca lunghe code a tutte le ore. Cosa vogliono fare i sindaci di Torino e di Moncalieri? Non si può continuare così.  Elvira Ferraris

L’unico modo per togliere le code è un sottopasso tra Torino e Moncalieri, di cui si parla da anni,  ma non sembra sia in programma. Un sindaco competente come Lo Russo credo che comprenda il problema, anche per il collegamento strozzato con l’autostrada e la tangenziale; il sindaco di Moncalieri, invece, si sta baloccando con una Ztl collinare che davvero fa sorridere, se non facesse piangere, per non parlare della cultura dove sta disfacendo il lavoro decennale dell’assessore Pompeo.

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Don Ottaviano

Don Piero Ottaviano morto nel 2005 era un salesiano che insegnò religione al liceo Segre’ di Torino , pur avendo fatto studi alla Facoltà di Matematica forse senza conseguire la laurea . Aveva un grande carisma ed era un trascinatore. Andrebbe ricordato: io fui suo allievo.     Filippo de Sanctis

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Ho conosciuto don Ottaviano con cui ebbi scontri televisivi piuttosto aspri molti anni fa. Non era certo un diplomatico , era un credente molto convinto. Quando ci conoscemmo a tu per tu, capimmo che avremmo potuto andare d’accordo e così è stato per molti anni perché le cose che ci univano erano molte. So che tanti giovani e non giovani avevano per lui una venerazione e credo che l’uomo e il sacerdote lo meritasse per davvero. Io sono stato molto amico del filosofo e sacerdote ,docente in quello stesso liceo, don Luigi Lo Sacco. Lui, forse più ancora di 0ttaviano, andrebbe ricordato. A Lo Sacco ho voluto bene e l’amicizia è stata totale. Oggi esistono insegnantini di religione che non sono neppure comparabili con Ottaviano.

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Cossetto
Ho saputo che è stata inaugurata una targa che accomuna la martire delle foibe Norma Cossetto, medaglia d’oro al valor civile e una giovane partigiana comunista titina uccisa dai tedeschi. Mi sembra un accostamento del tutto improprio, anzi vergognoso.   Curzio Filippi
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Concordo con  Lei e con la indignazione della sorella di Norma Cossetto. Fui io a proporre al presidente  Ciampi la medaglia d’oro a Norma che Ciampi  conferì immediatamente. La partigiana titina appartiene ad un’altra storia, a quella degli infoibatori, dei persecutori, non degli oppressi. Questo è buonismo stupido e non in buona fede. Che la targa sia stata posta in una scuola appare una indecenza di cui il preside dovrebbe rispondere disciplinarmente.

Torino dalle sue origini al toro più conosciuto al mondo

Scopri – To  Alla scoperta di Torino

La città di Torino fondata nel terzo secolo A.C dai Taurini fu poi tasformata in colonia romana dall’Imperatore Augusto che le diede il nome di Iulia Augusta Taurinorum passò sotto vari domini, fino a diventare nel 1861 la prima capitale del nuovo Stato unitario ovvero del Regno d’Italia. Torino è conosciuta in Italia e nel mondo con uno stemma raffigurante un toro, derivante dall’araldica medievale che nel 1360 scelse questo simbolo per la città perché assomigliava al nome della stessa. Numerose sono le leggende legate al nome della città, fra cui la narrazione di un drago che attaccò la città e un enorme toro che la portò in salvo. Nel 1300 nacque anche lo stemma con base azzurra a cui si sovrappone un toro in movimento e sormontato da una corona d’oro con nove perle. Il toro è diventato negli anni un vero e proprio simbolo della città, vi sono più di duecento fontane con questo simbolo (chiamate “Turet”) e in Piazza San Carlo, nel 1930, in onore di San Carlo Borromeo, è stata posta al suolo l’immagine in bronzo del toro, dove si crede che passandoci sopra si possa essere più fortunati.

IL TORO E LE SUE VARIANTI

Un’altra opera curiosa e molto conosciuta che si rifà al simbolo della nostra Città si intitola “T’oro” e si trova in via delle Orfane 20, l’opera rappresenta un toro con le corna dorate che esce diettamente da un muro. L’opera è stata creata dall’artista Richi Ferrero, il quale voleva raffigurare una città che sfonda e supera il passato trovando un nuovo futuro con occhi diversi. Vi è poi il “Toro tricefalo”, una scultura dello scultore francese Georges Faure su una balconata di C.o Vittorio Emanuele 58, che rappresenta un toro a tre teste, creato nel 2006 per la Biennale dei Leoni, Lione-Torino. Un’altra opera a forma di toro molto famosa è “Toh”, un manifesto della nuova società torinese che comunica i valori dell’inclusione e della pace, l’opera rappresenta un toro in metallo con dei pezzi di fontana che gli cingono il collo. Toh è stato creato dall’artista Nicola Russo che si è fatto ispirare dai “Turet” le fontane a forma di toro presenti nella città sabauda; Nicola ha immaginato tutti i torinesi che conoscono bene quel toro ma ne conoscono solo il volto e mai il corpo o lo stato d’animo, lo stesso toro immaginandolo rinchiuso nella fontana vivrebbe sensazioni negative di smarrimento e mestizia, proprio per questo crea una statua con un toro che rompe il metallo della fontana. Ecco, quindi, che il “Toh” diventa il simbolo non solo dei torinesi, ma di tutti coloro i quali vogliono uscire dagli schemi e guardare avanti evidenziando le proprie diversità, che in quanto tali li rendono unici. Parte dei proventi delle opere “Toh” va alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul cancro.

GLI ALTRI SIMBOLI DELLA CITTA’

Oltre al toro uno dei simboli classici di Torino è sicuramente la “Mole Antonelliana” situata nel centro storico della città, ed edificata dall’architetto Alessandro Antonelli nel 1863. Anche la Basilica di Superga è un simbolo del Capoluogo Piemontese oltre a molti altri edifici e monumenti storici come Il castello del Valentino, Palazzo Madama e la Porta Palatina risalente al periodo dell’Imperatore Augusto detta anche Porta Capitolina, ma comunemente nota ai torinesi col nome plurale di Porte Palatine. Torino ha numerosissimi simboli che rappresentano la città, ma è anche molto conosciuta per le numerose leggende esoteriche che riguardano la magia bianca e la magia nera, in particolare in un punto preciso di piazza Castello si dice che converga la magia bianca…ma questa è un’altra storia… che richiede una narrazione a parte.

NOEMI GARIANO

“Ottobre nero, Il dilemma israeliano e la guerra di Hamas”, al Circolo dei Lettori di Torino

A quasi un anno di distanza dall’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, Stefano Piazza, giornalista di Panorama e La Verità, esperto di sicurezza e fondamentalismo islamico la scorsa settimana ha presentato, presso la Sala Musica del Circolo dei Lettori di Torino, il libro Ottobre nero, una testimonianza viva e documentata della tragedia che ha investito Israele prima e la Palestina dopo, adopera dei terroristi di Hamas. E’ intervenuta l’On. Sara Kelany di Fratelli d’Italia e la giornalista Maria La Barbera ha moderato l’evento.

   

Vi proponiamo una intervista all’autore di Alessandro Sartore

 

 

Partiamo dal titolo, “Ottobre nero” rimanda la memoria ad un altro atto sanguinoso, quello compiuto contro gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco ’72, da parte della organizzazione terroristica palestinese definita “Settembre nero”. Una scia di sangue che sembra non trovare fine.

 

A parte il titolo fortemente evocativo quanto avvenuto il 7/10/ 2023 credo sia paragonabile solo all’11 settembre 2001 per la pianificazione e la volontà di compiere una strage orrenda. Di fatto al-Qaeda, l’Isis o Hamas sono legate alla comune visione ideologia della Fratellanza musulmana. L’Iran vuole la distruzione di Israele e per questo finanzia i suoi proxy vedi Hamas, Jihad islamica, Huthi, milizie siro-irachene e altri. La lunga scia di sangue porta solo la firma iraniana tanto che ogni volta che c’è stata la possibilità di trovare un accordo i palestinesi si sono sempre sfilati anche perché lo status quo ha consentito ai capi e capetti di diventare ricchissimi e talvolta miliardari. Ogni euro o dollaro che arriva a Gaza finisce nelle loro mani e sono tutti soldi che Hamas usa per arricchirsi e per comprare missili e armi e non certo per la popolazione che usa come scudo umano. I palestinesi soffrono a causa di Hamas e non certo per gli israeliani. Il 7 ottobre 2023 non è stato una tragedia solo per Israele, ma una nuova macchia sulla civiltà umana nel suo insieme che ha dimenticato la Shoah. Quanto accaduto solleva domande profonde sulla natura dell’essere umano, sui pericoli dell’odio e del pregiudizio e sulle responsabilità degli individui e delle nazioni di fronte al male assoluto. Mi occupo di terrorismo e di fondamentalismo da molti anni, ma quanto ho visto durante il mio viaggio in Israele nel febbraio scorso è qualcosa di indicibile, di sconvolgente e che va combattuto, perché oggi tocca a Israele, domani invece sarà il nostro turno. Nessuno si illuda.

 

 

 

7 ottobre 2023, un atto terroristico di così grande portata come può essere sfuggito all’efficientissimo Mossad israeliano?

 

Sono stati commessi molti errori di valutazione sui quali si sta indagando e chi ha sbagliato dovrà pagare. Ma c’è un 7 ottobre che deve essere ancora scritto; chi impedì per ore le comunicazioni radio, telefoniche e web nel sud di Israele quella mattina? A mia precisa domanda la risposta è stata: «un’entità statale e stiamo indagando». Chi è stato e perché? Chi paga le manifestazioni di piazza contro Israele, chi finanzia le proteste negli atenei e chi paga coloro che vanno in televisione ogni giorno da ormai un anno per raccontare che Hamas è un movimento politico e che Israele è uno stato terrorista? Fateci caso: sono gli stessi che da più di due anni si sono messi al servizio della Russia di Vladimir Putin, lui sì criminale di guerra. Non può essere un caso.

 

 

 

Il tuo lavoro non è solo il tentativo di analizzare e comprendere come stanno veramente i fatti, ma pure una testimonianza di quanto accaduto. Sei stato sui luoghi della strage, cosa ti è rimasto impresso di quando visto?

 

Tutto perché ho visto il Male. È stato difficilissimo anche solo respirare quando sono entrato nelle case delle vittime vedi nel Kibbutz di Kvar Aza. Giovani vittime straziate in una maniera che è difficile raccontare e il racconto dei superstiti e delle famiglie degli ostaggi sono cose che non posso e voglio dimenticare. Credo di non essere mai davvero tornato da quei luoghi e questo mi rende un uomo migliore rispetto a prima.

 

 

 

I fatti tragici del 7 ottobre hanno riacceso lo scontro tra Israele e Hamas, elevandolo ad un livello che non ha precedenti. Ma dietro a questa recrudescenza della violenza ci sono precisi mandanti e nuovi posizionamenti politici, ce li puoi chiarire?

 

Come detto l’Iran è dietro a tutto questo e teme che Israele e Arabia Saudita si riconoscano reciprocamente perché così Teheran finirebbe nell’angolo. Ma questo accadrà e i mullah un giorno dovranno scappare di notte perché il popolo iraniano prima vittima delle loro nefandezze, li andrà a cercare. Nel conflitto si è subito inserita la Russia del criminale Vladimir Putin e degli staterelli a lei vicini. Anche costoro pagheranno il prezzo ed è solo questione di tempo.

 

 

 

In Occidente, intanto, sono esplosi un po’ovunque tanti fenomeni di antisemitismo. In molte università degli Stati Uniti abbiamo assistito a sit-in a favore della Palestina libera ma pure pro-Hamas. C’è tanta confusione nell’opinione pubblica, come la spieghi?

 

Con la corruzione. Il Qatar, l’Iran, il Kuwait e in passato l’Arabia Saudita, hanno investito miliardi di dollari nelle università americane dove hanno fatto nominare docenti di estrema sinistra e antisemiti per diffondere l’odio contro gli ebrei e oggi incassano quanto speso. Provo pena e disprezzo per quei giovani dalla testa vuota fomentati dai “cattivi maestri” e dai docenti corrotti, che parlano di “Palestina libera dal fiume al mare” quando il vero nemico è Hamas che opprime il suo stesso popolo usato come scudo umano.

 

 

 

Rigurgiti di antisemitismo si sono avuti anche in Europa, dall’Inghilterra alla Francia. Come può essere che nel continente che ha vissuto la Shoah il virus dell’odio contro gli ebrei sia ancora presente?

 

Stesse dinamiche con l’aggravante dell’immigrazione incontrollata degli ultimi anni. All’antisemitismo storico si è aggiunto quello arabo d’importazione che ha portato solo e soltanto guai.

 

 

 

C’è chi dice che per risolvere questo conflitto sia sufficiente dare ai palestinesi una terra con confini precisi. Tu come la vedi?

 

I palestinesi non vogliono questa soluzione perché per loro è meglio lo status quo e la distruzione di Israele. E poi con chi dovrebbe discutere Israele? Con una banda di tagliagole? Con gli Stati arabi? E quali? Oppure con l’Egitto che non vuole i palestinesi al punto di costruire muri ai suoi confini? “Due popoli due stati” è uno slogan pari a “Domani se non piove c’è il sole” e il dramma è che molti uomini politici lo ripetono come un mantra.

 

 

 

 

 

Negli ultimi giorni, Israele con i cyber attacchi compiuti attraverso i cerca persone ed i walkie-talkie ha inferto un duro colpo ai militanti di Hezbollah, ma soprattutto ha mostrato, dopo la defaillance del 7 ottobre, di disporre di uno stupefacente apparato tecnologico. Può essere questa la carta decisiva per piegare la resistenza dei suoi avversari?

 

Le guerre si vincono con la fanteria e con i soldati sul terreno. La tecnologia è importante ma il fattore umano è fondamentale. Hezbollah che sta distruggendo il Libano paga il prezzo dei suoi misfatti vedi gli oltre 8.000 missili lanciati contro Israele dall’8 ottobre 2023.

 

 

 

Quanto potrà influire sul proseguimento dello scontro il risultato delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti di novembre?

 

Credo sarà molto importante ma non decisivo ma di sicuro Kamala Harris e il suo entourage non sono certo il miglior alleato di Israele a differenza di Donald Trump.

 

 

 

Sul piano della comunicazione Israele appare in grossa difficoltà, per quale ragione i media mainstream tendono ad abbracciare la narrazione filo Hamas?

 

Follow the money” anche qui. Pensate ad Al Jazeera megafono della propaganda di Hamas che i media occidentali utilizzano come fonte. C’è chi lo fa per denaro, per una vacanza, un Rolex per sè o per l’amante, per una borsa di Hermes e chi si mette a disposizione perché appartiene alla categoria degli “idiotili utili” alla causa. Questa guerra così come quella in Ucraina ha mostrato quanto sia grave la situazione nel mondo dei media.

 

 

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

A cura di Elio Rabbione

Beetlejuice Beetlejuice – Commedia. Regia di Tim Burton, con Michael Keatom, Winona Ryder, Willem Defoe, Jenna Ortega Catherine O’Hara e Monica Bellucci. Alla morte improvvisa del padre, Lydia Deetz torna a Winter River per un ultimo saluto in compagnia della figlia Astrid., giovane e ribelle, e della matrigna Delia, proprio quando a distanza di ben trentacinque anni hanno nuovamente luogo le apparizioni di Beetlejuice, presenza di cui in verità sperava di essersi liberata per sempre. Ma i guai non colpiscono soltanto Lydia, anche lo “spiritello porcello” dovrà fare i conti con la sua ex consorte, ben felice di essere riuscita a rimettere in sesto il proprio cadavere, ricomponendolo grazie a una sparapunti, e aspirando a una vendetta che possa far sbalordire il mondo intero. Astrid nel frattempo incontra un ragazzo del luogo: e forse quell’incontro può essere l’inizio di altri guai. Film d’apertura – e di grande successo – alla 81a mostra di Venezia. Durata 104 minuti. (Centrale V.O., Fratelli Marx sala Chico, Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Campo di battaglia – Storico, drammatico. Regia di Gianni Amelio, con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini. Verso la fine della Prima Grande guerra, due ufficiali medici, amici da sempre, vivono e operano nello stesso ospedale, là dove arrivano ogni giorno uomini gravemente feriti. Molti quelle ferite se le sono procurati da soli, per non dover tornare al fronte. Da un lato, Stefano, rampollo dell’alta borghesia per il quale il padre sogna un futuro in politica, vede con occhio feroce questi autolesionisti e non vede altro che rimandarli a combattere in montagna. Giulio, più comprensivo, cerca di comprenderne le ragioni, è contrario a quei plotoni d’esecuzione che sempre più spesso sono lì a condannare in maniera definitiva. Tra di loro Anna, amica sin dai tempi universitari, forte davanti al duro lavoro che l’aspetta e pronta ad affrontare quella sua attività che la vede posta in secondo piano in quanto donna. Qualcosa capita tra i soldati, molti s’aggravano in maniera misteriosa, forse andrebbe ricercato l’intervento di qualcuno che espressamente provoca delle complicazioni alle loro ferite. Altresì una malattia, la cosiddetta spagnola, viene a decimare i feriti e la popolazione delle valli vicine. Durata 104 minuti. (Nazionale sala 4)

Il caso Goldman – Drammatico. Regia di Cédric Kahn, con Arieh Worthalter e Arturo Harari. La storia vera del secondo progetto a cui fu soggetto Pierre Goldman, militante della sinistra estrema francese nel 1975. Accusato di reali multipli, Goldman ammette tutti i capi d’accusa con la veemente eccezione di quelli per omicidio (durante una rapina all’interno di una farmacia erano state uccise due persone), per i quali non soltanto si proclama innocente ma si scaglia polemicamente contro tutto e tutti nell’aula di tribunale, rifiutando qualunque caratterizzazione moralistica della sua difficile vita. Durata 115 minuti. (Greenwich Village sala 3)

Finalement – Commedia. Regia di Claude Lelouch, con Kad Merad, Sandrine Bonnaire e Françoise Fabian. Ancora un film sui sentimenti da parte del regista di “Un uomo una donna”, classe. La storia di Lino, che ha preso a girare per tutta la Francia, da Nord a Sud, raccontando a chi lo accoglie in auto un po’ di sé. Avvocato di successo, una lunga carriera alle spalle, una bella famiglia che ama e da cui è amato, un uomo che una malattia improvvisa spinge ad un comportamento che lo mette di fronte alle proprie responsabilità. Non riesce più a mentire agli altri come a se stesso. Incontrerà nuove persone tra cui una donna di cui si innamorerà e una nuova passione: suonare la tromba. Il sottotitolo originale suona “La folie des sentiments”, quello italiano “Storia di una tromba che si innamora di un pianoforte”. Durata127 minuti. (Eliseo, Romano sala 2)

L’innocenza – Drammatico. Regia di Hirokazu Kore Eda. Minato, che ha 11 anni e vive con la madre vedova, inizia a comportarsi in modo strano e torna da scuola sempre più avvilito. Tutto lascia pensare che il responsabile sia un insegnante, così la madre si precipita a scuola per scoprire cosa sta succedendo. Ma la verità si rivelerà essere tutt’altra e i fatti sveleranno una toccante e profonda storia di amicizia. Durata 126 minuti. (Nazionale sala 3)

Madame Clicquot – Drammatico. Regia di Thomas Napper, con Haley Bennet e Sam Riley. Dopo la prematura morte del marito, Barbe-Nicole Ponsardin Clicquot sfida le convenzioni assumendo le redini dell’azienda vinicola che i due coniugi avevano da poco avviato insieme. Guidando l’azienda attraverso vertiginosi rovesci politici e finanziari, la protagonista resiste alle critiche, rivoluziona l’industria dello champagne e diventa una delle prime grandi donne d’affari nel mondo. Durata 89 minuti. (Classico, Greenwich Village sala 3 V.O.)

Il maestro che promise il mare – Drammatico. regia di Patricia Font, con Enric Auquer. Nel 1935, il maestro Antoni Benaiges accetta l’incarico come insegnante in un piccolo villaggio nella provincia di Burgos, in Spagna. Qui il giovane maestro instaura un intenso legame con i suoi studenti, bambini tra i sei e i dodici anni, ai quali fa una promessa: portarli a vedere il mare per la prima volta nella loro vita. Ma i metodi di insegnamento innovativi del maestro non incontrano il consenso del governo dell’epoca, che inizia una dura opposizione nei confronti dell’insegnante e dei suoi ideali. Settantacinque anni dopo, la nipote di uno di quegli alunni ricostruisce la meravigliosa storia vera nascosta dietro la promessa del maestro. Una storia di coraggio, dedizione e resistenza che rischiava di rimanere sepolta dalle ombre del regime franchista. Durata 105 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Maria Montessori – La nouvelle femme – Regia di Léa Todorov, con Jasmine Trinca. Lily d’Alengy, una cortigiana di successo nella Parigi dei primi anni del Novecento, reincontra una figlia inaccettabile per la società del suo tempo. La donna fugge a Roma, dove ha sentito ci sia un valido istituto capace di prendersi cura di bambine come la sua: qui incontra Maria Montessori, educatrice e madre di un ragazzino nato fuori del matrimonio. Sarà compito di Maria (unita agli sforzi del padre del ragazzo, un suo collega) spingere le autorità ad accettare la bontà e la validità di quel suo metodo educativo sinora rifiutato nei confronti di quell’infanzia sinora rifiutata. Durata 100 minuti. (Centrale anche V.O.,Due Giardini sala Nirvana, Fratelli Marx sala Groucho)

La misura del dubbio – Drammatico. Regia di e con Daniel Auteuil. Da quando ha fatto assolvere un assassino recidivo, l’avvocato Jean Monier non accetta più casi di giustizia penale. L’incontro con Nicolas Milik, padre di famiglia accusato dell’omicidio della moglie, lo tocca profondamente e fa vacillare le sue certezze. Convinto dell’innocenza del suo cliente, è disposto a tutto pur di fargli vincere il processo in corte d’assise, ritrovando in questo modo il senso della sua vocazione. Durata 115 minuti. (Eliseo Grande, Massimo sala Cabiria anche V.O.)

Thelma – Commedia. Regia di Josh Margolin, con June Squibb. Thelma Post è una esuberante nonna di 93 anni che viene aggirata da un truffatore telefonico che si finge suo nipote. Parte così per una ricerca insidiosa per le strade di Los Angeles, accompagnata da un amico e dal suo scooter, per reclamare quello che le è stato sottratto. Durata 98 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Fratelli Marx sala Chico e sala Harpo, Ideal, Romano sala 3)

Il tempo che ci vuole – Drammatico. Regia di Francesca Comencini, con Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano. Luigi e Francesca condividono la passione per il cinema, nonostante le diverse scelte di vita e i modi di stare al mondo.  La storia è ambientata durante gli anni di piombo, sul set di “Pinocchio”, il film a cui Luigi Comencini sta lavorando in quei giorni. Lei è una bambina ma lui le parla con serietà, compostezza e rispetto come si fa con un’adulta. Francesca cresce e diventa ragazza in un periodo storico di cambiamento, ricco di lotte politiche e di rivoluzioni sociali, ma purtroppo anche di stragi. La passione di Francesca per il cinema l’accompagna sempre ma la magia fa spazio all’insicurezza. È proprio in questo frammento della storia italiana che compare e si diffonde nel Paese l’eroina, che segnò e stravolse la vita di Francesca e della sua generazione. Luigi è disarmato, non sa come reagire, ma decide di starle accanto portandola con sé a Parigi. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Vermiglio – Drammatico. Regia di Maura Delpero, con Tommaso Ragno, Sara Serraiocco, Roberta Rovelli, Martina Scrinzi e Orietta Notari. In quattro stagioni la natura compie il suo giro. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. “Vermiglio”, ambientato tra le montagne della Val di Sole, in Trentino, racconta dell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, essa perde la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria. Leone d’Argento alla Mostra di Venezia, scelto a rappresentare l’Italia ai prossimi Oscar quale migliore film straniero. Durata 119 minuti. (Massimo, Nazionale sala 1)

L’editoria indipendente del Piemonte si racconta

Indipendent Book Tour:  tappa in sette capoluoghi della Regione

Dal 28 settembre al 30 novembre

Ideata da “Hangar del Libro” (progetto di “Regione Piemonte”) e dal “Salone Internazionale del Libro di Torino” – in collaborazione con la “Fondazione Circolo dei Lettori” – “Indipendent Book Tour”, giunto alla sua IV edizione, riparte con 31 case editrici e l’obiettivo fondante di raccontare la ricchezza e l’alta qualità dell’editoria indipendente piemontese, per un viaggio che toccherà sette capoluoghi piemontesi partendo sabato 28 settembre da  Novara, per concludersi sabato 30 novembre a Cuneo.“Un modo – sottolineano gli organizzatori – per valorizzare il lavoro svolto dalle case editrici indipendenti, capaci di sperimentare e innovare, di prestare attenzione alle voci emergenti o riscoprire autori del passato, di ampliare gli orizzonti culturali di lettrici e lettori”. Oltre a Novara e a Cuneo, il tour farà tappa a Torino (sabato 12 ottobre), Verbania (sabato 19 ottobre), Alessandria (sabato 26 ottobre), Asti (sabato 9 novembre) e a Biella (sabato 16 novembre).

A ogni appuntamento le “case editrici”, selezionate a giugno attraverso la call “Hangar del Libro”, presenteranno il loro libro del momento (segno di una “bibliodiversità” che permette di assecondare i gusti e le passioni di lettrici e lettori di ogni età ed interesse), accompagnate da brani musicali e azioni teatrali curate da “B-Teatro”. Novità di quest’anno sarà la partecipazione di quattro “gruppi di lettura” (“Teste di medusa” di Torino , “La voce della luna” di Alessandria, “Cuba Libri” di Asti, “Lettori per passione” di Cuneo) e 26 lettrici e lettori (“booklovers”) per presentare i libri ad ogni tappa, affiancando ognuno una determinata casa editrice e trasmettendo al pubblico le emozioni e le riflessioni di chi ama immergersi nella lettura, pubblicando anche sui propri ‘profili social’ recensioni e interviste”.

Il via, sabato 28 settembre (ore 17,30) a Novara, al “Circolo dei Lettori” (presso il “Castello Sforzesco”), con “Cose Note Edizioni” che presenta “Oddio, l’estate!” di Adriana Riccomagno“Edizioni Astragolo” che illustra “Dov’è finita la signora Consoli?” di Carlotta Benedetti“Gainsworth Publishing” che racconta “Death is not the worst – Inheritance” di Julia Sienna e “Hever Edizioni” che porta ai lettori “Cieli d’Olanda” di Barbara Da Ruos e Cristina Gregori.

Torino, la seconda tappa. Appuntamento, sabato 12 ottobre (ore 17,30) nell’ambito  della manifestazione “Portici di Carta” (in “Sala Turinetti” di “Gallerie d’Intesa”, piazza San Carlo 156) con: “LAReditore” e “Aeterna. La ragazza sbagliata” di Vanessa Genre“Beppe Grande Editore” con “Leggere è libertà. Dietrich Bpnhoeffer. Sophie School” di Barbara Fischer“Buendia Books” e “Certe donne a Torino” di Marina Rota“Buckfast Edizioni” e “Amori senza rete” di Consolata Lanza per finire con “Scritturapura” e “Mucche ballerine” di Marco Bosonetto.

Dopo Torino, la carovana di “Indipendent Book” proseguirà toccando le altre cinque tappe in programma, per mollare le redini sabato 30 novembre alla “Biblioteca 0-18” di Cuneo.

Per info e tutto il programma dettagliato: www.hangardellibro.it o www.salonelibro.it

Oltre alla consueta “vetrina” online su www.hangardellibro.it, quest’anno “Indipendent Book” sarà anche affiancato dalla nuova pagina Instagram@hangardellibro per permettere al pubblico di “sfogliare romanzi – sottolinea Lea Iandorioproject manager dell’evento – saggi, raccolte di poesie, ‘graphic novel’, albi illustrati e libri per bambini che fanno parte del variegato catalogo dell’editoria indipendente piemontese”.

g.m.

Nelle foto, scrittrici presenti nella tappa di Torino: Consolata Lanza, “Buckfast Edizioni”; Marina Rota, “Buendia Books”; Vanessa Genre, “LAReditore”

TAIT gallery, personale di Sabatino Cersosimo: “Zeitgiest”

La galleria d’arte TAIT Gallery, approdata a maggio sulle scene torinesi, inaugura una nuova mostra sabato 28 settembre in via San Quintino 1 bis. Protagonista è Sabatino Cersosimo con Zeitgiest. L’artista vive a Berlino ma è ritornato ad esporre dopo dodici anni. La mostra è curata dal giovane direttore artistico della galleria Matteo Scavetta, con la critica di Roberto Mastroianni.

A due passi dalla stazione di Porta Nuova, la TAIT Gallery si presenta nel panorama artistico nazionale e internazionale come luogo di scambio e di confronto. Tra i suoi obiettivi vi è la ricerca di dialogo e collaborazione con altri enti e gallerie per variare la proposta d’artisti.

Un progetto innovativo, basato sullo studio meticoloso del panorama artistico contemporaneo, ricercando non solo artisti mid career, ma soprattutto giovani emergenti talentuosi sia italiani sia stranieri. TAIT Gallery è sede della società TAIT Group, progetto voluto dai soci Lorenzo Palumbo e Simone Loiudice.

Sabatino Cersosimo è nato a Torino, dove si è laureato in Decorazione all’Accademia di Belle Arti. Zeigest sarà visitabile dal 28 settembre 2024 fino al 10 gennaio 2025.

Comprende venti opere a olio su acciaio con l’ausilio dell’ossidazione. È questa la tecnica artistica che contraddistingue il lavoro di Cersosimo. Le sue opere creano un parallelismo con la vita stessa, nasciamo, cresciamo e diventiamo maturi. L’arte è storicamente considerata eterna, ma i suoi dipinti sottolineano la natura metaforica. Mentre si osserva un’opera d’arte, in quello stesso istante essa si sviluppa, si stratifica e in alcuni casi muta in altre forme, proprio come gli elementi della natura sul pianeta. Le sue figure dipinte appaiono frammentate ed evanescenti, elaborano emozioni e dilemmi, rispecchiano costellazioni di umanità in piccole particelle. Presentano dunque molti punti in comune tra gli esseri umani, al di là della cultura, della lingua, del genere e della razza. Nei quadri di Cersosimo i corpi si amalgamano alla ruggine, certi elementi risultano mancanti come negli antichi affreschi ma, a differenza di questi, dove il tempo ha cancellato delle parti, ciò che non è completo non è mai stato presente, in un contesto in cui l’illusione dialoga con la fisicità della pittura e del metallo.

Il titolo della mostra ‘Zeitgiest’ è parola tedesca, ma anche universalmente conosciuta in ambito filosofico e, di rimando, artistico e sociologico, è stata pensata dall’artista in quanto “spirito del tempo”, la sua traduzione in italiano per la sua influenza sui nostri comportamenti e decisioni nelle epoche che occupiamo ( in quanto artisti, ma sia e soprattutto uomini), per la sua permanenza e il suo passaggio, il suo passare e scorrere, il tentativo illusorio di fermarlo in un istante, che rappresenta l’eternità dell’arte.

“Il suo soffio sugli affreschi, sui muri delle chiese e il suo peso sull’azione esercitata dalla natura sul mio acciaio ossidato e dipinto – spiega l’artista Sabatino Cersosimo – Mi piace definire i miei dipinti su acciaio degli affreschi al contrario, poiché, se nelle chiese il tempo ha cancellato delle parti di pitture murali, nei miei dipinti frammentati le parti mancanti non ci sono mai state, creando una forma di illusione. Il tornare ad esporre a Torino dopo dodici anni mi fa pensare di nuovo”.

L’ultima esposizione a Torino è stata alla galleria Raffaella De Chirico nel 2012 e poi nel 2013 al Circolo degli Imbianchini dietro la Gran Madre, luogo storico di pranzi sotto il pergolato e piccole mostre al piano superiore.

Sabatino Certosimo è nato il 18 novembre 1974 a Torino e vive e lavora a Berlino. Conseguiti il diploma in grafica pubblicitaria prosegue con l’Accademia di Belle Arti di Torino dove si laurea nel 1999 nel corso di decorazione. Dopo alcuni anni in cui si dedica principalmente alla critica d’arte, ai laboratori didattici museali, al restauro di libri e all’illustrazione per l’infanzia, dalla fine del 2006 riprende l’attività pittorica in maniera costante, realizzando, nell’autunno del 2007, due dipinti per il film “Senza fine” del giovane regista Roberto Cuzzillo.

Dopo gli anni romantici e surrealmetafisici dell’Accademia di Belle Arti e dell’elogio della natura come rappresentazione del sublime, la sua ricerca si è rivolta alla figura umana, dapprima in maniera quasi esclusiva al volto, in quanto maschera o reale espressione di stati d’animo. Le sue opere, oli su tavola, sono cariche di una certa dose di ironia, ricorrendo all’uso di espressioni facciali esagerate, grottesche o più sobrie. Un’esasperazione di una condizione personale e generale. Nelle sue ultime opere la focale è allontanata, prendendo il corpo intero come oggetto di studio e di riflessione e inserendolo nella gestualità del quotidiano, che vela una sensazione di inquietudine. La pittura è quella di pennellate sciolte e irriverenti, attente al disegno dei corpi, che non hanno nulla a che vedere con il concetto di ritratto.

Inaugurazione sabato 28 settembre ore 18

Orari galleria Lunedì-Venerdì 10.30-13.30/ 14.30-19

Sabato e domenica su appuntamento

Cell 34200116092

 

Mara Martellotta

 

Flashback Art Fair, una rassegna colta e divertente

Giunge alla sua XII edizione la fiera torinese Flashback Art Fair, in programma dal 31 ottobre al 3 novembre prossimo. Quest’anno è dedicata al tema dell’equilibrio grazie al contributo di molte gallerie nazionali e internazionali. Si tratterà di una rassegna colta e divertente, dove all’arte contemporanea si affiancheranno opere di Bruegel, Grimmer, Giaquinto, Hayez, fino a giungere a Balla, Fontana, Guttuso, Schifano e Vedova, Paolini e Christo, Maria Lai e Sassolino.

Negli affascinanti spazi di Flashback Habitat, a pochi minuti dal centro di Torino, Flashback Art Fair si interroga attraverso opere, performance, talk, musica e laboratori su molte sfaccettature di un tema complesso: l’equilibrio è equo, giusto e etico ?

L’immagine guida di Sandro Mele, “Equilibrium ?”, indica “Italians no longer have work”. Il nuovo centro artistico indipendente di 20.000 mq, situato a pochi passi dal centro di Torino, si rivela come un’entusiasmante sorpresa per chi non c’è mai stato e una conferma per coloro che frequentano con costanza gli spazi che, grazie alla direzione dell’artista Alessandro Bulgini, dal 2022 si sono trasformati rendendo l’ex brefotrofio un luogo di ricerca e sperimentazione artistica. Fra i padiglioni immersi nel verde, Flashback Art Fair propone anche in questa edizione la sua visione della storia dell’arte in un progetto che, rinnovandole ogni anno, non solo connette moderno e contemporaneo, ma offre una visione sorprendente sulla storia dell’arte e quella di oggi.

“Questa edizione si interroga sul significato profondo dell’equilibrio – dichiarano le direttrici Ginevra Pucci e Stefania Poddighe – uno stato di quiete che emerge dal bilanciamento delle forze, un concetto che attraversa numerosi ambiti, dalla scienza all’economia, dalla politica alla biologia, fino alla sfera sociale e psicologica, è inevitabilmente anche l’arte, ma il raggiungimento di tale equilibrio è davvero sinonimo di giustizia e correttezza ? In un’epoca in cui l’equilibrio è soltanto evocato o messo in discussione, questa dodicesima edizione non vuole dare risposte, ma sollevare domande attraverso incontri di vario genere”.

L’idea di equilibrio è comunemente associata a uno stato di armonia e stabilità. Questa edizione si interroga su tale concezione, chiedendosi se l’equilibrio sia davvero desiderabile o nasconda, in modo quasi controintuitivo, forme di ingiustizia e ineguaglianza. L’immagine guida di quest’anno, a opera dell’artista Sandro Mele, ci invita a confrontarsi sulla diseguaglianza e il precariato nel mondo lavorativo. L’uomo, dignitosamente vestito, cammina in punta di piedi su una fune ricercando l’equilibrio. Riuscirà a raggiungere il suo traguardo ? Equità, pari dignità sociale sono punti di partenza di una meditazione umana profonda che esamina il disequilibrio della nostra società.

Le gallerie ospiti di Flashback Art Fair declinano il tema con una diversificata proposta, che conduce i visitatori in un viaggio emozionale tra i corridoi di Flashback Habitat. Nelle opere d’arte proposte, lo spettatore scopre mondi simili e altri in antinomia tra loro. Si imbatte in scene di vita e di morte, da un lato il caos danzante e gioioso di Peter Bruegel, testimonianza di vita e di fuoco, con l’opera “The wedding dance outside”, dall’altro “Il trionfo della morte” di Franco Gentilini (Aleandri Arte Moderna), personificata da uno scheletro che marcia scandendo il ritmo della festa. Sono tante le donne che si incontrano, molto diverse tra loro nella rappresentazione degli obiettivi e delle condizioni, a testimonianza dell’ancora precario equilibrio della condizione femminile. Si passa dalla magnificenza e sontuosità della “Maddalena in estasi” di Francesco Guerreri (Galleria Giamblanco) al sensuale erotico de “L’odalisca” di Hayez (Bottegantica), rappresentato da giovani schiave vergini custodite negli harem e destinate a diventare concubine e mogli dei sultani turchi. Nelle opere di Emilia Palomba e Maria Lai (Mancaspazio) le donne sono eleganti e essenziali, maestose e monumentali, pur immerse nella vita quotidiana dei vicoli sardi. Si incontra poi il gruppo scultoreo della “Madonna seduta in trono col bambino” di Fabio Pozzallo, una significativa novità per gli studi della scultura lignea abruzzese del Trecento. Il perfetto ovale del volto, la netta canna nasale e le ampie arcate sopraccigliari conferiscono a Maria maggiore serenità. Il collo snello e slanciato le dona un’eleganza regale. Infine la donna raffinata e altolocata della statua togata ci riporta all’arte antica e alla tradizione greco romana.

La galleria dello Scudo presenta invece un dialogo basato sul tema dell’equilibrio e della circolarità della forma: “I tondi e oltre” (1985-1987) di Emilio Vedova si ritrovano a confronto con un cemento di grande formato creato per la fiera da Arcangelo Sassolino, artista che sottende conflitti e equilibri e che, per la prima volta, si cimenta con la forma circolare. In mostra sono anche rappresentati tre disegni antinazisti di Guttuso, di cui due pubblicati sulla prima pagina de l’Unità, e un altro raffigurante i partigiani della Brigata Garibaldi di un giovanissimo Pietro Consagra. In questo lungo percorso artistico il visitatore è stimolato nel riflettere sul concetto di equilibrio, nell’emergere dalla visone bucolica del Rinascimento e la prospettiva dinamica frammentata del Futurismo. Per esempio, il dipinto futurista di Giacomo Balla, “Velocità terrestre- l’auto è passata”, della galleria Russo, esprime una visione dirompente del mondo contemporaneo. L’incontro tra apollineo e dionisiaco è evidente nel gusto per la geometria, l’ordine, la misura della ricerca di Giulio Paolini (galleria Inarco), che fa da contraltare all’ istinto e agli impulsi primordiali scolpiti nel marmo di Carrara del “Busto del fauno” di Giuseppe Pisani. Gli opposti si attraggono, e questo è dimostrato dall’iperalismo dalle tinte oniriche di “Armonica e Ocarina” di Alfredo Serri (galleria Open Art), che dialoga con l’astrattismo della natura morta di Lucio Fontana (NP Art Lab).

 

Mara Martellotta

Il castello di Montecristo: il rifugio violato di Alexandre Dumas padre

Nel 2002, non senza qualche polemica da parte dei critici che mai erano stati molto teneri con la sua prolifica produzione, Alexandre Dumas padre entrava nel Pantheon di Parigi

Il senso della scelta di seppellire l’autore dei “Tre Moschettieri” accanto ad Émile Zola e Victor Hugo si evince chiaramente dalle parole che il Presidente francese Chirac pronunciò in quell’occasione, rivolgendosi direttamente a Dumas: “Con lei entrano nel Panthéon l’infanzia, le sue ore di lettura assaporate in segreto, l’emozione, la passione, l’avventura. Con lei abbiamo sognato e sogniamo ancora”.


Le pagine di Alexandre Dumas, i suoi personaggi, le sue storie sono stati protagonisti delle letture di intere generazioni e quando accanto al libro si sono imposte altre forme di comunicazione D’Artagnan, Edmond Dantès, la Regina Margot si sono soltanto trasferiti nel mondo della celluloide, continuando a perpetrare la propria immortalità.
Alexandre Dumas, dal canto suo, aveva voluto realizzare, almeno in parte, le proprie fantasie letterarie, decidendo nel 1844 di creare un “buen ritiro” che sembrasse uscito dai suoi romanzi.
Dalle sue idee stravaganti certo, ma sicuramente geniali e originali, nacque la proprietà situata a Port Marly poco distante da Parigi.
Dumas affidò all’architetto Hyppolite Duran la creazione, all’interno di un grande parco di un castello rinascimentale, le Chateau de Montecristo, la sua dimora, e proprio di fronte fece costruire un altro castello neogotico circondato da un fossato, le Chateau d’If, per farne il proprio studio, un edificio appartato e interamente ricoperto dai nomi dei suoi personaggi.
L’abitazione del celebre scrittore, salvata oggi dalla rovina grazie all’intervento dei privati, si presenta come la trasposizione architettonica delle pagine dei suoi romanzi, rievocando molte delle descrizioni del Conte di Montecristo sia attraverso la rigogliosa vegetazione e le grotte, sia con “le salon maresque” che richiama alla mente le immagini dei misteriosi appartamenti della principessa di Giannina Haydée.
Le Chateau de Montecristo, la trasposizione nella pietra delle fantasie di Dumas, una “bomboniera” secondo Honoré de Balzac, rimase per poco tempo proprietà dello scrittore che, rovinato dai debiti, fu costretto a svendere per 31.000 franchi una proprietà che a lui era costata parecchie centinaia.
Nel 1851 Dumas abbandonerà definitivamente il suo castello per rifugiarsi in Belgio, inseguito da centinaia di creditori.
Soltanto nel 1854 lo scrittore potrà fare ritorno a Parigi, ma ormai il suo rifugio era diventato proprietà di altri, era stato violato da presenze estranee e di quel periodo restava soltanto il ricordo.
Accade, in letteratura, che il racconto diventi un modo per dare vita al proprio desiderio di avventura, di viaggio, di evasione. Basti pensare a Emily Brontë che fece vivere ai personaggi del suo romanzo i grandi amori e i tormenti che la sua anima bramava o a Salgari che viaggiò in continenti lontani solo con la scrittura.
A Dumas fu concessa, invece, una vita frenetica e avventurosa come le sue opere.
Figlio di un generale della Rivoluzione francese che combatté anche al fianco di Napoleone, nipote di un marchese francese e di una schiava africana originaria di Haiti, orfano a 3 anni e mezzo, dopo un’infanzia difficile, a soli 21 anni entrò al servizio del re Luigi Filippo d’Orleans come copista, trovando presto l’ispirazione per scrivere opere teatrali e, successivamente, per creare i capolavori che l’avrebbero incoronato come padre del “feuilleton”.
In pochi anni raggiunse fama e ricchezza, costruì un castello e un teatro e in un tempo ancora più breve perse tutto. Iniziò a viaggiare, in Belgio, in Germania, in Russia, in Italia.
Nel 1860 finanziò e prese parte alla Spedizione dei Mille, fu testimone oculare della battaglia di Calatafimi e fu a fianco di Garibaldi quando entrò a Napoli, diventando così uno dei protagonisti del Risorgimento italiano.


Nel 1870 una malattia vascolare lo costrinse a trasferirsi a Puys, vicino a Dieppe, nella casa del figlio dove si spense il 5 dicembre.
Lo scrittore venne sepolto a Neuville-les-Dieppe e, poi, successivamente, come aveva disposto in vita, venne traslato a Villers Cotterêts, la sua città natale, accanto ai genitori.
Il trasferimento al Pantheon rappresenta l’ultimo capitolo, quello inaspettato, dell’esistenza di uno scrittore che aveva fatto dei colpi di scena il leitmotiv delle sue opere, il riconoscimento della sua grandezza giunto tardivo, esattamente come tardivo arrivato a D’Artagnan il bastone da maresciallo, mentre la morte lo coglieva.
Del resto era proprio Edmond Dantès divenuto il Conte di Montecristo ad affermare che “Tutta l’umana saggezza è racchiusa in queste due parole: attendere e sperare”.

Barbara Castellaro