CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 294

Fra narrazione e teatro. Questa é la nostra Ivrea

Tappa conclusiva di “Ciascuno è un libro. Ivrea racconta”

Sabato 12 novembre, ore 20,45

Ivrea (Torino)

L’appuntamento è al “Teatro Giacosa” (piazza Teatro 1) di Ivrea. Lì si terrà sabato prossimo, alle 20,45, la tappa conclusiva del progetto “Teatro di comunità”, curato da Gian Luca Favetto (noto scrittore, giornalista e drammaturgo), in collaborazione con Laura Curino (attrice, regista nonché direttrice dello stesso “Giacosa”) e 22 cittadini eporediesi che hanno contribuito, con le loro storie, a dar vita – in quattro mesi di preparazione – ad un’opera in cui la semplice narrazione si apre al pubblico per farsi singolare ed autentico vissuto teatrale. Titolo: “Ciascuno è un libro. Ivrea racconta”. Che, per le sue caratteristiche, è molto di più di un semplice spettacolo teatrale. “Si tratta – dicono i responsabili – di un intreccio di vite che raccontano un luogo, Ivrea, che è fatto dalle storie delle persone che la vivono. Le città infatti, più che monumenti e architetture, sono appunto le persone che le abitano, che le vivono, le attraversano, ci dormono e si risvegliano e le mangiano passo dopo passo. Una città è fatta dalle biografie di chi la vive e la percorre”. Partendo da questa convinzione, Favetto ha messo insieme le storie dei 22 eporediesi (loro gli “attori”, neppure bisognosi di calarsi in una parte che è per loro stato naturale di sempre) che si sono messi in gioco costruendo, passo dopo passo, l’architettura, quella esterna e quella più intima, della loro città, di questa Ivrea contemporanea, nell’anno che ha vissuto da “Capitale italiana del libro”, e che saranno presenti sul palco al “Giacosa” per mettere in scena la loro “parte di città”. Alla base c’è l’emblematico volume “Le città invisibili” di Italo Calvino che rappresenta il “diario di bordo” con cui, guidati da Favetto nei panni di Marco Polo, si viaggerà tra le storie di ogni partecipante e attraverso i loro libri del cuore, il tutto “cucito” dalla mise en espace di Laura Curino.

Racconta Gian Luca Favetto: “Tutto parte diversi mesi prima. Nel mio ruolo di Marco Polo, vado a cercare le persone e le storie. Le incontro, le ascolto e dialogo con loro. Da questo momento nasce il racconto che, insieme agli altri, costituisce un piccolo affresco di quella città che proprio le persone rappresentano. Questo è un tassello fondamentale: il coinvolgimento dei singoli che devono esporsi e dire in qualche modo ‘io ci sono, io sono parte della mia città’. È come mettere le fondamenta delle città, che sono fatte, e non mi stanco di ripeterlo, dalle persone, cosa che non teniamo mai abbastanza presente. Così sarà a Ivrea”. “Il progetto di Gian Luca Favetto – sottolinea Costanza Casali, assessore alla Cultura della città – ha permesso di far emergere l’essenza più profonda della nostra città, le storie delle persone che la compongono con il loro carico di speranze e aspettative per il futuro. ‘Ciascuno è un libro. Ivrea racconta’ è nato durante la candidatura di Ivrea a ‘Capitale italiana del libro 2022’ ed è contenuto nel dossier presentato al ‘Ministero della Cultura’ ”. L’ingresso allo spettacolo è libero.

Per ulteriori info: https://ivreacapitaledellibro.it/

g.m.

Nelle foto:

–       Gian Luca Favetto

–       Immagine – guida spettacolo

Al Circolo degli Artisti di Torino un omaggio all’opera pittorica di Alessandro Poma

Curato da Maria Luisa Reviglio della Veneria  e da Gian Giorgio Massara

 

Il Circolo degli Artisti, in corso San Maurizio 6, a Torino, ospita dall’11 novembre scorso fino al 28 novembre una personale dell’artista biellese Alessandro Poma. Nato nel 1874, completati gli studi classici e in seguito quelli universitari in Giurisprudenza, diede corso alla sua vocazione di artista nell’ambiente piemontese, dominato da figure di spicco quali Fontanesi, Delleani e Reycend. Frequentò, infatti, la scuola di Mario Viani d’Ovrano e di Lorenzo Delleani.

Ben presto si trasferì a Roma nella privilegiata residenza della “Casina di Raffaello” di Villa Borghese, su invito del principe Livio Borghese.

A partire dal 1901 fece parte dell’entourage di Giulio Aristide Sartorio ed ebbe frequenti contatti con i “XXV della CampagnaRomana”. I suoi dipinti furono, soprattutto, paesaggi, in buona parte ispirati a Villa Borghese, anche se trattò diversi altri temi, quali la figura, il ritratto le scene di animali, tra cui, in particolare, cigni, farfalle e animali al pascolo.

La mostra ospitata al Circolo degli Artisti è curata dai critici Gian Giorgio Massara e Maria Luisa Reviglio della Veneria e promossa dal Centro Studi Alessandro Poma presente a Roma.

L’arte pittorica di Alessandro Poma è gioiosa, intensa e legata a diversi siti italiani, tra cui anche montani, avendo trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita a Courmayeur, dipingendo ripetutamente la catena del Monte Bianco, il Monte Chetif e il suo canalone, soffermandosi incantato di fronte alle “Nevi di primavera”.

L’animo di Poma è, soprattutto, attratto dai particolari, colti in dipinti come quelli intitolati “I tronchi”, spogli e contorti di Tirecorne, accesi dai bagliori del manto nevoso, “Le genzianelle”, dall’intenso colore blu e i “Rododendri”, profilati contro una vetta aguzza. Anche altri monti sono amati dall’artista.  Tra questi,  fino alla fine dell’Ottocento quelli della val d’Alba, nei pressi di Lanzo. Qui ambienta i dipinti intitolati “Pecora, la chiesa “Parrocchiale di Ala”, i dossi verdeggianti che si concludono alle pendici dell’Uja di Mondrone.

Irrinunciabile per l’artista è  anche il mondo degli affetti, colto nel ritratto alla figlia Giuseppina.

Nel 1913 il Maestro  affittò per soggiorni temporanei parte della settecentesca Villa Maresca, a Piano di Sorrento, con un ampio parco a picco sul mare, una proprietà che egli avrebbe arricchito con un laghetto, per assicurarsi la presenza di alcuni cigni, simili a quelli da lui incontrati a Villa Borghese. In mostra risulta interessante l’opera intitolata “Il cigno con la sua corte”, molto ben giocata sul rapporto tra i chiari e lo scuro, esempio di una serie di dipinti importanti che ritraggono il medesimo soggetto.

Alla Piana di Sorrento dedicò alcune opere, tra cui “Marina di Piano di Sorrento” e “Costiera di Piano di Sorrento con ginestre”, che reca una ricca cromia.

Molti suoi dipinti traggono ispirazione dal tema marino, colto nell’ora più  dolce del tramonto, con la sponda che via via si allontana, oppure animato dall’Effetto di nubi, capaci di rincorrersi nel cielo attraverso un susseguirsi di grigi, bianchi e azzurri pallidi.

L’esposizione torinese si conclude con alcune sue opere, tra cui quella intitolata “Alberi rossi”, “Farfalle nell’azzurro”, il dipinto raffigurante il tempio di Paestum e Vortice di colore”, una rappresentazione del mondo sotto la luce di un caleidoscopio che conduce l’osservatore verso l’irrealtà  del Creato.

Alessandro Poma espose a Roma, Milano, Torino e Venezia, abbandonando il mondo delle mostre nel 1910, pur continuando a dipingere in solitudine, per meglio esprimere il suo talento, di cui era consapevole. I suoi ultimi anni furono in quasi completo isolamento, fino alle morte nel 1960, a Courmayeur.

MARA MARTELLOTTA

La Napoli di Raffaele La Capria, chi resta e chi fugge

Al Carignano, sino al 13 ottobre, “Ferito a morte” con la regia di Roberto Andò

Ho terminato nei giorni scorsi la lettura di “Ferito a morte”, il romanzo con cui Raffaele La Capria – scomparso nel giugno di quest’anno a tre mesi dai festeggiamenti del suo centesimo compleanno – aveva vinto lo Strega nel 1961, sopravanzando di un voto solo “Delitto d’onore” del nostro Giovanni Arpino e “Ballata levantina” di Fausta Cialente: e pagina dopo pagina mi chiedevo come sarebbe mai stata la trascrizione teatrale, questo “adattamento” portato questa settimana al Carignano dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale (coproduttori Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale (una gran bella importante compagine) per il cartellone del nostro Stabile, regista Roberto Andò e adattatore Emanuele Trevi (anche lui Premio Strega, 2021, con “Due vite”). Come portare in palcoscenico un romanzo che “parla di tutto e di niente” (a pochi mesi dalla morte, Dudù La Capria chiese a Trevi : “Senti, ma di che parla ‘Ferito a morte’?”), quegli incanti marini e quelle scorribande giovanili descritte sotto il pelo dell’acqua, a cominciare da quella “spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come un reattore quando lo vedi sbucare ancora silenzioso nel cerchio tranquillo del mattino”, quella Grande Occasione Mancata da un colpo d’arpione, “la freccia inutile”, quel mistero della “vita che nel momento decisivo ti abbandona.” Come?

Difficoltà visive, intuizioni e invenzioni che sapessero trasportare lo spettatore in un mondo parallelo, all’ombra di Palazzo Donn’Anna, lungo le rive dell’ampio golfo; come gli facessero sentire tutto quel respiro, quello sciabordio vitale che ha dell’incantesimo. Gli artefici della scommessa pienamente vinta, avvincente, sono Luca Scarzella per i video, le riprese acquatiche, la luce dei raggi del sole visti da sotto in su, il lento girovagare tra le acque azzurre, Hubert Westkemper per il suono e Gianni Carluccio per le scenografie, il lettino-pensatoio – un’isola appartata, lontana da tutti – di Massimo (che pare raccogliere attorno a sé realtà e fantasmi, come il Marcello della “Dolce vita”) da un lato e la grande terrazza, in alto, riflessa nel cielo, del Circolo, i testi e le battute che s’animano proprio grazie all’apparato che Carluccio si è inventato.

Un titolo suggerito da Peppino Patroni Griffi, in luogo dell’originale “Leoni di giugno”, dieci capitoli, i testi come frastagliati, sfuggenti, improvvisi, una scrittura che è “flusso di coscienza”, andando qui persino alla ricerca del nome di Joyce, un monologare interiore incessante, un fluire senza posa di personaggi che sbucano inaspettati nella pagina scritta e di pensieri scaturiti dal di dentro, una polifonia che insegue i ricordi e i preparativi dell’allontanamento del protagonista dalla propria inquietante quanto malata realtà (come il Moraldo di Fellini, via da Rimini, “quelle voci sono sempre un poco di falsetto, dicono e nascondono, ambiguamente cercano di difendere anzitutto se stessi, le proprie ragioni di vita”, scriveva Giorgio Barberi Squarotti in una prefazione al romanzo), di amori e di disillusioni, di ferite e di panorami, di aspirazioni e di fughe. Un gruppo di amici, quelli che potevano essere il gruppo di Dudù, con Francesco Rosi, Antonio Ghirelli, Patroni Griffi e Giorgio Napolitano, una bella giornata di sole del 1954, per arrivare negli ultimi tre capitoli all’inizio dei Sessanta, mettiamo, i “leoni al sole” di Caprioli o i “vitelloni” felliniani, una giovinezza, con i nomi di Ninì, di Sasà, di Cocò – ma nemmeno poi più tanto, gli anni sono già corsi in avanti -, sotto il cielo di Napoli, una città “che ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’e due le cose insieme”, tra le “evasioni” in mare e i tavolini del Middleton e la terrazza del Circolo nautico. Il Circolo che “non era più soltanto un posto noioso che ti sottoponeva alla logorrea dei soci, al logorio del tempo, no. Il Circolo diventava un osservatorio, e da quell’osservatorio tu potevi spingere lo sguardo sull’odiata classe media, causa ed origine di tutti i mali del sud”. Tra il riversarsi del tempo lasciato scivolar via, della perdita di patrimoni, delle stupide chiacchiere, di pettegolezzi, di scherzi tremendamente infantili, di permanenze al tavolo del poker capaci di durare due giorni interi, di amori e amorazzi, c’è chi resta come Ninì, il fratello-pagliaccio, che giorno dopo giorno costruisce la propria farsa e che di quelle chiacchiere vive, e chi fugge, come Gaetano, pronto ad andarsene al nord: portatori entrambi di ferite che lacerano, accettate e no. Si ride, ci si diverte, ma il puzzo di morte si sente tra quelle marionette che si sfidano a vivere. Anche l’apparizione finale di Sasà l’avverti come un requiem che nessuno cicatrizzerà mai.


Roberto Andò costruisce uno spettacolo che rispetta il divertimento e l’ironia dell’autore, la critica verso una società e una città, che con devozione ricalca le pagine di quello che è considerato lo spartiacque della letteratura italiana; coglie appieno l’occasione per ricordare a tutti che è uomo di cinema e quel pranzo domenicale in casa dei De Luca è un impagabile e variopinto e pirotecnico susseguirsi di primi piani, dove una compagnia, fatta di visi più (televisivi o sullo schermo) o meno (ahimè) noti, si mostra appieno in tutta la sua eccellenza. Andrea Renzi è il Massimo adulto, che mette sul piano la propria disillusione e guarda con un velo di tristezza al suo specchio giovanile, Sabatino Trombetta, e all’entusiasmo che lo pervade. Un successo personale per Giovanni Ludeno come Ninì e per Gea Martire come mammà premurosa, per la nonna vivacissima e nostalgica di Aurora Quattrocchi, per la solitudine povera, per la disperazione di Sasà vissuta con poche note, ma intimamente convincenti, da Paolo Mazzarelli. Applauditissimi con i loro compagni al termine, in uno spettacolo che lascerà il segno nella stagione. Un solo consiglio, non perdetelo. Si replica sino a domenica 13.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Lia Pasqualino

A pranzo con i Templari di Tomar

Si attraversa un intrico di vicoli e stradine del centro storico lungo le rive del fiume Nabao e si sale sul colle dove si staglia imponente e maestosa la fortezza dei Templari.
La città di Tomar nel Portogallo centrale e il suo castello sono fortemente legati alla storia dei Templari che aiutarono i portoghesi a riconquistare nel XII secolo il sud del Paese in mano agli arabi e in quella fortezza trovarono rifugio numerosi cavalieri dopo essere stati cacciati da altre parti d’Europa. Dentro le mura della roccaforte la giornata dei monaci-guerrieri del Tempio era scandita dalle ore rituali, ora et labora, si pregava e si lavorava, nei campi e in biblioteca per trascrivere i codici medievali, si prendeva posto nel refettorio in una lunga tavola a ridosso delle pareti, si mangiava in assoluto silenzio tra coppe e scodelle e si assisteva alla Messa in una chiesa a pianta circolare che consentiva ai cavalieri di restare in sella al proprio cavallo. Il tutto avveniva in uno dei luoghi più affascinanti del mondo dove la leggenda dei Cavalieri del Tempio è ancora viva. Entriamo nelle cucine medievali dei templari di Tomar sfogliando le pagine del libro di Enzo Valentini “Nel refettorio dei Templari, norme e prescrizioni alimentari dei cavalieri secondo la Regola dell’Ordine del Tempio”, edizioni Penne & Papiri, per scoprire il segreto della loro longevità. Valentini, autore di saggi e articoli sul tema e segretario nazionale della Larti (Libera associazione ricercatori templari italiani), guida il lettore nelle cucine, nel convento e nella chiesa, nella sala da pranzo e nelle cantine, nell’infermeria e nei magazzini dei viveri del castello di Tomar e in aziende vinicole di antiche precettorie templari in Francia descrivendo una giornata tipo dei cavalieri. Dei templari sappiamo molto, dalla nascita dell’Ordine nel 1118 fino alla tragica fine con il processo farsa, dai castelli in Terra Santa agli insediamenti in Europa, dalle tante battaglie ai capi storici che li comandarono. Nulla sappiamo sulla loro alimentazione e dei motivi per cui vivevano così a lungo. Solo qualche autore ne ha parlato all’interno della vita quotidiana dell’Ordine. Enzo Valentini ha cercato di colmare questo vuoto trattando i tempi e i modi del nutrirsi dei Cavalieri del Tempio, i prodotti messi a tavola, quelli vietati e quelli consentiti, le ore dei pasti vissute in comunità, il tutto attraverso la Regola del Tempio e i documenti storici dell’epoca. “Importante era infatti, sottolinea l’autore, il consumo dei pasti in comunità per favorire quell’unità di spirito, necessaria soprattutto in battaglia quando la vita di un Templare poteva dipendere da quella dei confratelli”. Ne viene fuori che i templari seguivano una dieta molto rigorosa, mediterranea, e vivevano trent’anni più degli altri. Mangiavano molto pesce (solo allevato da loro), frutti di mare, tanti legumi, olio d’oliva e agrumi in gran quantità.
Pochi grassi e la carne non più di due o tre volte alla settimana. Vietata ai religiosi, la carne era permessa ai monaci-cavalieri per non indebolire troppo il fisico. Era questo il regime alimentare dei cavalieri medievali in un’epoca in cui l’aspettativa di vita oscillava tra i 25 e i 40 anni. Uno stile di vita e un regime alimentare che, secondo i moderni nutrizionisti, avrebbe permesso ai templari una vita media più lunga degli uomini del tempo. Alcuni vissero fino a 70 anni. Ne è un esempio Jacques de Molay, l’ultimo Maestro dell’Ordine, il quale morì a 71 anni condannato al rogo e non per cause naturali. È quanto emerge da documenti storici relativi all’epoca compresa tra l’XI e il XIV secolo. Anche l’igiene a tavola aveva la sua importanza.
I rappresentanti dell’Ordine erano molto attenti alla pulizia e alla qualità degli alimenti, mangiavano solo in refettori curati e su tovaglie pulite e dovevano lavarsi le mani prima di mangiare. Non solo ma il cibo veniva controllato accuratamente e in tavola finivano solo alimenti di buona qualità. Da bere, oltre all’acqua ben disinfettata con agrumi, solo vino di palma al quale veniva aggiunta polpa di canapa e aloe vera. Il surplus degli alimenti veniva inviato in Terra Santa o venduto nei mercati locali e tutto ciò che avanzava nel refettorio veniva dato ai poveri. “In un certo senso, come annota la studiosa Simonetta Cerrini, potremmo dire che i templari nacquero a tavola, ma non come signori bensì come mendicanti e possiamo scorgere già in quest’occasione l’emergere dei valori templari originari, la povertà e l’umiltà”.
Filippo Re
Nelle foto Castello di Tomar, copertina libro, refettorio dei templari (foto in bianconero), refettorio dei templari (foto di Sandra Paganelli)

Al “Pannunzio” ciclo sul Futurismo. Si incomincia domani

VENERDI’ 11 NOVEMBRE ALLE ORE 17,30

Presso la sede del Centro Pannunzio  (via Maria Vittoria 35h, Torino), Marvi DEL POZZO terrà la prima conferenzareading di un ciclo di tre incontri sul Futurismo italiano in rapporto con analoghi movimenti europei. In questo primo appuntamento si esaminerà l’origine del Futurismo, con la lettura dei manifesti dell’epoca (1909 – 1911) relativi alla rivoluzione della letteratura, delle arti figurative, della musica: testi stilati dai grandi artisti futuristi della prima ora, accolti ed osannati dalle avanguardie parigine con enorme risonanza internazionale. La dirompenza con la tradizione e la provocatorietà di certi testi (“Uccidiamo il chiaro di luna” e “Contro Venezia passatista”) verranno esaltate dalla lettura degli attori Anna ABATE e Alessandro PIRON.

Da secoli anche a Torino si gioca al Tennis!

“Tenez! Tennis. Immagini di gioco dal Medioevo alla Contemporaneità”, in mostra alla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi

Fino all’8 gennaio 2023

Lunga storia quella del tennis anche a Torino! Lo dimostra il “Ritratto di Francesco Giacinto e di Carlo Emanuele di Savoia” (1636 – 1637) con tanto di racchetta e pallina in primo piano, fra le opere esposte, fino a domenica 8 gennaio 2023, alla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi, in occasione delle “Nitto Atp Finals” che si svolgeranno al subalpino “Pala Alpi Tour” dal 14 al 21 novembre prossimi. Mostra per immagini volta a valorizzare il percorso di visita dell’“appartamento di levante”, sottolineandone i riferimenti ludici, la rassegna vuol essere stimolo alla conoscenza del “trincotto”, denominazione piemontese dell’antico gioco, noto altrove in Italia come “della racchetta” o “pallacorda”, mentre in Francia come “jeu de paume”, nei paesi di lingua anglosassone “Tenys” e in Spagna “juego de la pelota”.

Nello storico dipinto succitato, i figli del duca Vittorio Amedeo I di Savoia e di Cristina di Francia posano un tantino incerti accanto ad un seggiolone rosso e mostrano alcuni dei loro, forse, passatempi preferiti: il più grande una pallina con racchetta di “pallacorda” (antenata del moderno gioco del tennis) e il più giovane, un uccellino legato a una cordicella. In entrambi i casi, ma in modo particolare nel primo, si vuole palesemente documentare l’importanza del gioco nella formazione fisica e mentale dei piccoli principi. Mens sana in corpore sano, insomma. L’esercizio corporale era infatti considerato essenziale per la “costruzione del valore militare” e l’uso della palla, nello specifico, aveva un doppio valore pedagogico in quanto esercizio fisico, atto al benessere del corpo, ma anche fonte preziosa di insegnamento per l’elaborazione di future strategie militari e per l’adeguarsi al rispetto delle regole. “Tenez! Tennis”, dunque. Strano ma ben spiegabile titolo. “Tenez!” era, infatti, il grido di avvertimento di inizio gioco che una cronaca fiorentina del Trecento attribuisce a nobili cavalieri di lingua francese accampati fuori le mura di Firenze in difesa della fazione guelfa in guerra con quella ghibellina. E “Tennis” conduce ovviamente alla contemporaneità. Nella mostra alla “Palazzina” di Stupinigi (il cui progetto è a cura di Alessandra Castellani Torta dell’“Accademia di Sant’Uberto” e “Club delle Balette” di Jesi con una serie di collaborazioni, le più varie e prestigiose) la storia del gioco, la sua funzione educativa per il corpo e lo spirito, gli spazi e l’attrezzatura vengono narrati mediante pannelli che presentano accattivanti immagini d’epoca e brevi commenti esplicativi.

 

Tra i rari e preziosi oggetti d’epoca esposti spicca la “baletta” (pallina) tardo rinascimentale, concessa in prestito dal “Club delle Balette” (Jesi), associazione ideata e voluta da Gianni Clerici, tennista, giornalista e grande “scriba” del tennis (secondo italiano dopo Nicola Pietrangeli ad essere stato inserito nel 2006 nella “International Tennis Hall of Fame”) recentemente deceduto che con l’imprescindibile “500anni di tennis” (Arnoldo Mondadori Editore) ha aperto la strada alla ricerca delle immagini e dei modi antichi di giocare. Una “racchetta” di fine Ottocento proveniente dalla “Collezione Thonet” e una attualmente impiegata al “Cercle du Jeu de Paume” di Fontainebleau conducono invece alla contemporaneità.

Il dialogo con i tempi odierni avviene anche con la presenza di opere d’arte particolarmente singolari. A partire dai “Volatili” della serie “Playing Cards”, sculture realizzate con carte da gioco – e con cifre stilistiche decisamente “pop-ironiche” – dal torinese (origini saluzzesi) Nicola Bolla, proposte in riferimento ai giochi da tavolo che anticamente, insieme al biliardo, venivano praticati nei locali pubblici di “jeu de paume”, consentendo l’accesso ad un pubblico assai diversificato; per finire  con l’allestimento di “Mappamondi” del geniale giramondo Ezio Gribaudo (scomparso nel luglio scorso), poetico riferimento alle nazioni ed ai continenti in cui il “jeu de paume” e il “real” o “court tennis” continuano a vivere, attirando crescente attenzione, in particolare da parte dei giovani.

g.m.

“Tenez! Tennis. Immagini di gioco dal Medioevo alla Contemporaneità”

“Palazzina di Caccia”, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (Torino); tel. 011/6200634 o www.ordinemauriziano.it

Fino all’8 gennaio 2023

Orari: dal mart. al ven. 10/17,30 – sab. dom. e festivi 10/1830

Nelle foto:

–       “Ritratto di Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II di Savoia” (1636 – ’37)

–       Pallina in pergamena imbottita in crine, Epoca tardo-rinascimentale (“Club delle Balette”, Jesi)

–       Pallina e racchette fine Ottocento – Novecento

–       Ezio Gribaudo: “Mappamondi”

“L’ospite inatteso”, tutto chiaro sin dall’inizio ma non c’è da fidarsi: è firmato Agatha Christie

L’inaugurazione all’Alfieri della stagione del “Fiore all’occhiello”

Giovedì 17 novembre ore 20.45 al Teatro Alfieri l’inaugurazione del “Fiore all’occhiello” è affidata al giallo “L’ospite inatteso”, il nuovo Agatha Christie firmato Compagnia Torino Spettacoli con cui prende il via il cartellone della Fabrizio Di Fiore Gestione Attività Teatrali che guida il Teatro Alfieri e il Teatro Gioiello. Repliche fino al 20 novembre (dal giovedì al sabato ore 20.45 – domenica ore 15.30). Protagonisti i beniamini della Compagnia Torino Spettacoli Simone Moretto, Elia Tedesco, Elena Soffiato, Barbara Cinquatti, Patrizia Pozzi, Carmelo Cancemi, Giuseppe Serra, con la partecipazione dei Germana Erbas Talents Luca Simeone e Simone Marietta.

L’ospite inatteso” di Agatha Christie (The Unexpected Guest), scritto nel 1958, è proposto nella traduzione di Edoardo Erba, per la regia di Girolamo Angione, la scena è firmata da Gian Mesturino, la produzione è di Torino Spettacoli. Un’altra occasione di sicuro successo, considerando i trent’anni di specializzazione nel mondo, fatto di omicidi e investigazioni, di Agatha Christie all’attivo della compagnia (“Trappola per topi”, “La tela del ragno”, “Assassinio sul Nilo” e “Caffè nero pero Poirot). Avvincente la storia sin dall’inizio. Michael Starkwedder, un ingegnere di ritorno dal Golfo Persico, si perde nella campagna inglese e, complice la nebbia, la sua auto finisce rovinosamente in un fosso; luomo riesce ad individuare una casa, immersa nelloscurità dove sicuramente potrà chiedere aiuto. Bussa alla porta finestra principale ma nessuno apre. Si fa coraggio, la porta è aperta ed entra… Niente è come sembra e la Christie è davvero diabolica nellaccompagnarci fino al colpo di scena finale.

“L’ospite inatteso” è stato definito con ottime ragioni un giallo alla Alfred Hitchcock. Un giallo psicologico, più dei fatti, contano le parole che rimandano alle storie dei personaggi, alla loro vita interiore. Ma altrettanto giustamente è stato definito – e resta – il vero capolavoro della regina del giallo. Ha scritto Angione nelle sue note di regia: Strano giallo, “L’ospite inatteso” di Agatha Christie! In meno di un minuto, all’apertura del sipario, è già tutto chiaro: c’è un delitto, c’è un colpevole e c’è la sua confessione, immediata, spontanea. Il caso è chiuso? Naturalmente, no. Il giallo delle finte verità è appena cominciato. In uno slancio di fervido altruismo, Michael Starkwedder, lo sconosciuto capitato quasi per caso in quella stanza dove ci sono il cadavere di un uomo e sua moglie con la pistola in mano, è il primo che s’affretta a negare la verità (finta) d’una colpevole rea confessa, per inventarne un’altra, altrettanto finta (forse) ma assai più opportuna: la vendetta dun tale John Mac Gregor per un torto di molti anni prima. Una finta verità a cui tutti, compresa la polizia, credono o fingono di credere. Strano giallo, “L’ospite inatteso”, eppure magistrale. Per più di metà della vicenda, il fulcro dell’interesse non sta nello scoprire chi sia l’assassino: di fatto, lo si sa dall’inizio; sta piuttosto nel seguire le mosse degli altri personaggi, loro sì realmente coinvolti nel delitto: Laura Warwick, la tormentata moglie della vittima che per prima si dichiara colpevole del delitto; il maggiore Farrar, un opportunista totalmente preso dallambizione politica; la devota infermiera, la signorina Bennett; perfino l’ambiguo maggiordomo Angell; ma sopra tutti, la straordinaria figura matriarcale della Signora Warwick, vera regina madredi shakespeariana memoria. Tutti i personaggi s’indagano tra loro, si scrutano dentro, s’interrogano su come possano essere andate davvero le cose. Ma, si badi bene, non per affermare la propria innocenza, accusandosi l’un l’altro; no, per potersi dichiarare essi stessi colpevoli, allontanando i sospetti dagli altri, in un’insolita gara di fedeltà e solidarietà. Perché? Perché, dietro tutto questo, c’è una storia familiare, bella e brutta, come tutte le storie di famiglia; ci sono sentimenti forti d’amore, odio, dolore, vissuti intensamente, ma spesso taciuti per non intaccare il perbenismo anglosassone. L’ospite inatteso, proprio perché è un estraneo, diviene il testimone silenzioso di quei sentimenti nascosti, di quelle storie difficili e il ricettacolo delle confidenze di tutti; e, in ultimo, il deus ex machina della vicenda. Una scrittura tesissima sostiene una vicenda che avvince e intriga lo spettatore con gli immancabili colpi di scena, le rivelazioni continue, le improvvise svolte drammatiche; ma anche con passaggi di intensa e tenera umanità, dedicati in particolare a Jan, il personaggio più giovane e problematico, amato da tutti e che tutti vogliono proteggere… Ma chi sia realmente Jan è difficile dire, senza svelare troppo.

Prezzi biglietti per “L’ospite inatteso”: platea: posto unico 28+1,50 – ridotto 23+1,50; galleria: 20+1,50 – ridotto 15+1,50; riduzioni valide x gruppi e abbonati, il giovedì e venerdì, riduzioni under 14 e disabile con accompagnatore valide tutte le repliche; pacchetto Family “L’ospite inatteso”, 64 cad. (2adulti e 2 under 14), valido tutte le repliche (III sett. platea e galleria)

e. rb.

Le foto dello spettacolo sono di Daniele Serra

Al Liceo Vittoria confronto su poesia ed editoria

Con Gian Giacomo Della Porta

 

L’incontro, martedì 8 novembre scorso, nell’Aula Magna del liceo torinese Vittoria da parte del poeta e editore Gian Giacomo Della Porta è stato occasione di dialogo con gli studenti sui temi della poesia, dell’editoria e della passione che deve accompagnare un percorso consapevole in tutte queste discipline.

La tematica della poesia è stata affrontata dal punto di vista più umano che letterario, individuando i benefici che questa arteapporta nei confronti di ciascuno, per migliorare la propria conoscenza personale e, in particolare negli studenti, per accentuare la consapevolezza nei confronti delle scelte e percorsi futuri.

L’essenza della poesia risiede proprio nello stimolo a rimanere in sincronia con il tempo che si sta vivendo,  facendo in modo che si possano comprendere gli avvenimenti al momento del loro accadere; si tratta di un aspetto che raramente si verifica, soprattutto in una società che presenta ritmi così veloci e che non riesce più a storicizzare gli avvenimenti che accadono.

Attraverso la poesia è stato possibile dialogare con gli studenti in merito alle proprie passioni individuali e sull’importanza di dare ascolto a queste come occasione di crescita nella propria vita emotiva.

La poetica, che alberga in ognuno di noi, se ascoltata, si fa, infatti,strumento imprescindibile per acquisire una migliore conoscenza interiore che renda più forti nella lotta e nel confronto con le dinamiche, spesso non facili e omologanti, che la vita presenta.

Un altro tema affrontato è stato quello dell’editoria che ha stimolato molto gli studenti, in quanto ha permesso di illustrare l’importanza della parola nella sua essenza. Comunicare significaamare e rispettare il pensiero di chi ci sta di fronte, superando la generale indifferenza tipica della società contemporanea.

MARA MARTELLOTTA

Alla Reggia di Venaria trionfano le sculture di luce di Marinella Senatore

È approdata alla Reggia di Venaria l’acclamata scultura di luce realizzata dall’artista Marinella Senatore, dal titolo ‘Assembly’, grazie al sostegno di PAC 2021, vale a dire il Piano per l’Arte contemporanea della Direzione Creatività del Ministero della Cultura.

Grazie a questa aggiudicazione, il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude acquisisce questa opera, diventata iconica, nel 2022, presente in una mostra diffusa dal titolo Afterglow”, promossa dalla galleria Mazzoleni di Torino a Londra. Durante questa esposizione la monumentale scultura luminosa era stata esposta e vissuta dalla comunità nel corso della parade di apertura alla Battersea Power Station. È poi stata consacrata dal Festival Alliance des Corps a Parigi, quando il Palais de Tokyo, per celebrare il suo ventesimo anniversario, ha lasciato carta bianca a Marinella Senatore per promuovere una mostra diffusa, che ha anche incluso collettive e incontri guidati dall’artista.
L’opera è esposta dal 4 novembre scorso e rimarrà a disposizione dei visitatori fino all’8 gennaio 2023, collocata nella piazza dell’Annunziata di Venaria Reale. Successivamente sarà collocata nella Citroniera Juvarriana della Reggia di Venaria
La scultura, detta Assembly, si ispira alle tradizionali strutture architettoniche illuminate che venivano utilizzate nel Sud Italia, all’aperto, in occasione delle celebrazioni pubbliche, a partire dal XV secolo.
Attraverso questa scultura, Marinella Senatore rende ‘spazi relazionali’ inserendo citazioni e motti che riprendono i temi dell’emancipazione e dell’emporwerment.
Fino al 5 febbraio prossimo, su iniziativa di Guido Curto, direttore del Consorzio e referente scientifico del progetto, e anche grazie alla collaborazione con la galleria Mazzoleni, negli ambienti aulico della Reggia, presso l’Anticamera dei valletti a piedi, saranno collocate sei sculture di luce sempre della stessa artista.

Mara Martellotta

“Io dono libri perché”

5000 euro di libri in donazione alle biblioteche civiche e scolastiche del sistema bibliotecario pinerolese ENTRO DICEMBRE 2022

Per celebrare i dieci anni della sua fondazione, l’Associazione Culturale Centro Studi Silvio Pellico, che opera nel territorio pinerolese per la promozione della cultura, la tutela del patrimonio letterario locale e nazionale di nicchia e l’accessibilità per lettori ipovedenti e dislessici, con il supporto e la collaborazione del Sistema Bibliotecario del Pinerolese indice il presente bando

1 – Il bando è rivolto alle Biblioteche pubbliche e private, civiche e scolastiche aderenti al Sistema Bibliotecario Pinerolese.

2 – Ad ogni Biblioteca avente i requisiti per partecipare al presente bando saranno offerti in donazione libri facenti parte del catalogo di cui all’allegato A per un importo di euro cinquecento.

3 – Le richieste per ricevere la donazione dovranno essere inoltrate esclusivamente via pec all’indirizzo centrostudisilviopellico@pec,it riportando nell’oggetto la dicitura “BANDO DONAZIONE LIBRI” fornendo i dati di cui all’allegato A (elenco dei titoli) esclusivamente in formato Excel o OpenOffice come da database forniti e all’allegato B, modulo dei dati amministrativi.

4 – Le richieste dovranno pervenire a partire dal 15 novembre 2022 e non oltre il 15 dicembre 2022 e saranno evase entro il 15 gennaio 2023.

5 – Le richieste saranno evase in ordine di invio da parte delle Biblioteche partecipanti, fino ad esaurimento dell’importo del bando stesso, pari a cinquemila euro totali.

6 – Ogni biblioteca avrà la facoltà di richiedere titoli per un importo massimo di euro cinquecento.

7 – Ogni richiesta potrà in ogni caso contenere anche un numero di titoli superiore al valore stabiliti, al fine di poter sostituire eventuali titoli esauriti. Si consiglia a tal fine di inserire un numero di titoli per un importo di almeno 600 euro.

8 – I libri saranno consegnati al Sistema Bibliotecario Pinerolese presso la Biblioteca Civica “Camillo Alliaudi” di Pinerolo, e dovranno essere ritirati dalle Biblioteche a propria cura o attraverso i canali di flusso del Sistema Bibliotecario stesso. Non è prevista in ogni caso la consegna alle singole Biblioteche.

9 – La pubblicità del presente bando è affidata al Sistema Bibliotecario Pinerolese

Cercenasco, 10 novembre 2022

 

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ALLEGATO A – ELENCO DEI TITOLI DISPONIBILI VERSIONE EXCEL

ALLEGATO A – ELENTO DEI TITOLI DISPONIBILI VERSIONE OPENOFFICE

ALLEGATO B – MODULO DI RICHIESTA E COMPILAZIONE DEI DATI

ALLEGATO C – ISTRUZIONI PER LA COMPILAZIONE