CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 236

Alla galleria Spazio 44 la personale di Giuseppe Sinesi: “Awakening

Inaugura l’8 settembre prossimo, alle 18, presso la galleria d’arte Spazio 44, in via Maria Vittoria 44, nel cuore pulsante culturale torinese, la mostra dal titolo “Awakening”. Si tratta della personale dell’artista Giuseppe Sinesi a cura di Elena Radovix. La mostra sarà visitabile fino al 29 settembre prossimo.

A partire dagli anni Novanta Sinesi iniziò a dipingere sotto la guida di illustri maestri, iniziando un percorso di formazione costante in cui ha avviato l’analisi della pittura figurativa e delle sue tecniche. L’approfondimento dei temi quotidiani lo ha condotto a sviluppare nuovi linguaggi artistici, in cui la pittura intreccia esperienze di vita personale. È così che abbandona la pittura formale per dare vita alla sua visione e sempre più raffinata sensibilità verso il colore.

“Comincio da zero – dichiara l’artista – Mi serve solo un piccolo segno, una traccia tangibile di un passato incolore”. Si concentra, così, sul monocromo e la ricerca dell’essenziale. La contrapposizioni tonali tra bianco e nero caratterizzano le piccole tele che emergono dalle riflessioni sul tempo, la memoria e una ricerca spirituale intima. È la”matrice” a diventare il punto focale del processo creativo intorno cui muove la sua indagine pittorica. Questa matrice si fa spazio diventando il modulo e il segno capaci di intessere un dialogo tra i colori e la luce, permettendo , quindi, il passaggio a tonalità nuove. Le sue sperimentazioni attingono a un’intimità in cui le riflessioni sull’essenza del percorso umano suggeriscono, nella contemporaneità del mondo terreno, un nuovo ciclo di opere.

La pittura diventa il linguaggio capace di narrare la tensione tra i silenzi di un’identità e la sua vacuità. Velature tonali dalle nuance pastello si sovrappongono delicatamente determinando una serie di opere in cui i colori dialogano tra loro imprimendosi sulla tela con una gestualità morbida, delicata, ma decisa. I segni pittorici sono eseguiti con tecniche miste e si sovrappongono, stratificandosi o su tavole di legno o su tele astratte di grandi dimensioni.

L’opera di Giuseppe Sinesi può essere valutata tra simbolismo e surrealismo. Nei suoi ultimi lavori il senso di continuità della sua pittura si esprime nell’adesione ripetuta di più supporti e segni grafici con inchiostri. Il colore è sicuramente una sua prerogativa raffinata e viene trattato ora con capacità e mestiere, in velature sovrapposte, ora utilizzando linee e segni essenziali e sintetici.

Giuseppe Senesi nel percorso espositivo della personale Awakening offre anche opere inedite, trasportando lo spettatore in un mondo in cui la poetica del linguaggio visivo si riempie di molteplici significati e la rinascita rappresenta il preludio liberatorio di un’umanità che si interroga su se stessa.

Awekening

A cura di Elena Radovix. Inaugurazione 8 settembre 2023 ore 18. Ingresso libero

Presso la galleria Spazio 44, via Maria Vittoria 44, a Torino

Orari: dal lunedì al venerdì 14/19. Sabato e domenica su appuntamento

Mara Martellotta

 

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

Sabato 2 e domenica 3 settembre

In occasione di Autolook Week, ingresso ridotto a 8 € per visitare le collezioni permanenti di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e MAO Museo di Arte Orientale

Domenica 3 settembre

BUDDHA10 RELOADED

MAO – chiude la mostra

(comunicato stampa in allegato)

Giovedì 7 settembre ore 19

CROSSING BORDERS. SHIGERU ISHIHARA (Dj Scotch Egg/Scotch Rolex) e SHIN HYO JIN.

MAO – performance in occasione del finissage di Buddha10 Reloaded

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI

1 – 7 settembre 2023

 

 

 

SABATO 2 SETTEMBRE

 

Sabato 2 e domenica 3 settembre, in occasione di Autolook Week, ingresso ridotto a 8 € per visitare le collezioni permanenti di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e MAO Museo di Arte Orientale

 

Sabato 2 settembre ore 16.30

I FASTI DEL BAROCCO

Palazzo Madama – visita guidata tematica

Entrare a Palazzo Madama per essere accompagnati in una visita che garantirà un’ampia descrizione del periodo barocco. Nel Palazzo i fasti dell’epoca sono evidenti, roboanti, splendenti: è un vero e proprio linguaggio di lusso che rappresenta la magnificenza della Torino di Sei e Settecento. Filo rosso del racconto saranno gli artisti di corte, i viaggi, il gusto per il collezionismo e, in generale, la passione e la consapevolezza del potere dell’arte. Sarà possibile, infatti, ammirare capolavori quali le tele di Orazio Gentileschi, Bartolomeo Caravoglia, Sebastiano Conca: alcuni dei nomi di spicco esposti nelle sale auliche del museo. Opere che costituivano i sontuosi sistemi decorativi dei palazzi della nobiltà sabauda e della dinastia regnante convergendo in un racconto iconografico tutto da scoprire in una visita ad hoc.

Costo: 6 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

DOMENICA 3 SETTEMBRE

 

Domenica 3 settembre

BUDDHA10 RELOADED

MAO – chiude la mostra

Chiude la mostra Buddha10 Reloaded, un dispositivo aperto capace di mettere in questione valori e conoscenze, un’esposizione multisensoriale che accompagna i visitatori in un percorso di consapevolezza sul significato degli oggetti esposti e sulla loro capacità trasformativa.

www.maotorino.it

 

Domenica 3 settembre ore 16.30

TRA GOTICO E RINASCIMENTO

Palazzo Madama – visita guidata tematica

Un itinerario che offre la possibilità di conoscere le collezioni di Palazzo Madama traendone una visione d’insieme. Il museo contempla un ampio percorso stilistico, cronologico ed espositivo; per questo motivo, previa presentazione generale delle opere in esso custodite, la visita rivolgerà un particolare focus all’arte gotica e rinascimentale. Ci si soffermerà quindi sul Ritratto d’uomo di Antonello da Messina, sulle opere dell’artista borgognone Antoine de Lonhy, continuando con artisti quali Martino Spanzotti e Defendente Ferrari. È un’occasione per conoscere il Museo Civico d’Arte Antica di Torino con uno sguardo rivolto ai secoli XV e XVI, quando il Rinascimento e le nuove correnti artistiche raggiunsero il territorio e diedero spunti nuovi a un Nord-Ovest pronto ad accogliere le importanti novità.

Costo: 6 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

GIOVEDI 7 SETTEMBRE

 

Giovedì 7 settembre ore 19

CROSSING BORDERS. SHIGERU ISHIHARA (Dj Scotch Egg/Scotch Rolex) e SHIN HYO JIN.

MAO – performance in occasione del finissage di Buddha10 Reloaded

Crossing Borders, ultimo appuntamento del public program Evolving Soundscapes a cura di Chiara Lee e freddie Murphy, è una performance composta dal produttore giapponese Scotch Rolex (alias DJ Scotch Egg/Scotch Rolex) insieme alla percussionista coreana Shin Hyo Jin, originariamente concepita per SOUND(ING) SYSTEMS 2021, una serie curata da Nik Nowak nell’ambito della mostra Schizo Sonics al Kesselhaus, KINDL – Centro per l’Arte Contemporanea di Berlino.

Il pezzo interroga le risonanze politiche e sonore dei confini fisici e virtuali. Scotch Rolex e Shin Hyo Jin mescolano musica elettronica sperimentale con tradizionali percussioni coreane cerimoniali, andando oltre i confini, in un rituale mistico e spirituale.

Il produttore giapponese Shigeru Ishihara è noto soprattutto come DJ Scotch Egg, il leggendario inventore della gameboy breakcore. Ishihara ha assemblato brani rivoluzionari per quasi due decenni e non è estraneo alla collaborazione; suona con Kiki Hitomi di King Midas Sound nel gruppo dub-pop WaqWaq Kingdom e con i pionieri dell’electro-shoegaze Seefeel. Di recente poi, con il nome Scotch Rolex, ha collaborato con la scena ugandese legata a Nyege Nyege.

Shin Hyojin si è formata in musica e arti tradizionali coreane da maestri come KIM Duk-Soo della Performing Arts Troupe Samul Nori Hanullim, KIM Dong-Won, membro del Silk Road Ensemble e LEE Yoon-Seok dei Goseong Okwangdae. Si è esibita con il gruppo Samulnori ChonDungSori e con l’Ensemble di spettacoli tradizionali coreani DoodulSori.

Dal 2006 è co-fondatrice e membro di Ensemble~su, un progetto sperimentale e interdisciplinare volto a espandere le forme contemporanee di suono e movimento in collaborazione con artisti di diversi generi e background culturali.

In occasione della performance verrà presentato al pubblico il vinile Co-existence, una co-produzione del MAO e del Mercato Centrale di Torino a cura di Chiara Lee e freddie Murphy – registrato e mixato da Shigeru Ishihara durante la sua residenza d’artista al MAO nel febbraio 2023, diventata anche parte dell’omonima installazione site-specific presso le Antiche Ghiacciaie del Merco Centrale: un materiale sciamanico composto dall’eco di suoni delle feste buddhiste e scintoiste giapponesi mescolato alle vibrazioni delle opere del museo e al riverbero naturale delle volte delle ghiacciaie, un tessuto sonoro che trascende i suoni rituali tradizionali per farsi universale.

Crossing borders sarà anticipato in Salone Mazzonis da un momento rituale condotto dalla monaca buddhista Elena Seishin Viviani, che consacrerà la statua del Buddha assiso in dhyānamudrā tramite la cosiddetta “cerimonia di apertura degli occhi”, un atto cerimoniale che ha lo scopo di conferire a nuove immagini del Buddha proprietà spirituali, consacrandole e trasformandole in oggetti di culto.

I biglietti sono acquistabili presso la biglietteria del museo e su Ticketone.

 

 

 

 

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

Al Teatro Romano di Torino La Colonia, testo utopistico scritto da Marivaux 

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Domenica 3 settembre – Lunedì 4 settembre 2023

Ore 21:00

 

TEATRO ROMANO DI TORINO

Via XX settembre, 88 – TORINO
Infoline: +39 011 5213323

 

Il biglietto di 9 euro per i Musei Reali di Torino dà automaticamente l’accesso allo spettacolo

Testo alternativo

© Filippo Manzini

Dopo il successo al Teatro della Pergola di Firenze, dove ha debuttato in anteprima nazionale, arriva al Teatro Romano di Torino il 3 e 4 settembre La Colonia, testo utopistico scritto da Marivaux nel 1750, ripreso e tradotto per la prima volta in italiano dal regista Beppe Navello. Un’opera di straordinaria attualità sulla condizione femminile che narra di una rivolta di donne, dopo un naufragio su un’isola deserta, contro i mariti che vogliono legiferare senza coinvolgerle, per costruire un nuovo mondo in quella colonia sperduta in mezzo all’oceano.

 

Con le scene e costumi di Luigi Perego, le musiche di Germano Mazzocchetti e le luci di Orso Casprini, la commedia è pensata per numerosi personaggi – più della metà sono donne, rarità nella tradizione teatrale – ai quali Marivaux offre la possibilità di misurarsi con molteplici registri interpretativi.

 

La compagine di interpreti, che fa parte de la “Compagnia di Sala Prove”, nata una decina di anni fa proprio grazie a Navello – è composta da Daria Pascal Attolini, Marcella Favilla, Luigi Tabita, Luchino Giordana, Maria Alberta Navello, Fabrizio Martorelli, Giuseppe Nitti, Cecilia Casini, Giulia Lanzilotto, Claudia Ludovica Marino, Erica Trinchera e Alessandro Panatteri.

Le tematiche espresse, che risuonano straordinariamente contemporanee alle nostre orecchie, erano uno dei più controversi argomenti nel dibattito filosofico e sociale dell’Illuminismo francese.

 

«Nel 1750 – ricorda Navello – Marivaux decise di riadattare una sua vecchia commedia in tre atti che non aveva avuto successo, ricompattandola in un atto unico: ventuno anni prima, il 18 giugno 1729 quella commedia, sotto il titolo La nouvelle colonie, era stata rappresentata al Théâtre des Italiens e, nonostante il cast annoverasse alcune star dell’epoca come Silvia Balletti e Pierre François Biancolelli, era stata ritirata dopo una sola rappresentazione. Colpa del testo ispirato a una delle questioni filosofiche più scottanti sollevate dagli illuministi? Colpa di un eccesso di verbosità in un teatro come quello italiano che i parigini continuavano a considerare erede della Commedia dell’Arte? Una scarna cronaca del “Mercure de France” è tutto quel che ci rimane della recita del 1729 e non consente valutazioni storico critiche convincenti.»

 

«Ma è un fatto significativo – continua il regista – che Marivaux, autore ormai affermato e consacrato alla fama, decida di rimettere mano a quell’opera dopo tanti anni: il problema dell’uguaglianza dei sessi poteva, sì, essere impopolare nella Francia ancien régime, ma non doveva essere rimosso per sempre nella storia contemporanea, proiettando la sua forza ineluttabile in un futuro prossimo nel quale le donne sarebbero state protagoniste. La colonia, quel secondo tentativo, Marivaux lo destinò soltanto alla lettura “in una Società”: come a ribadire che i tempi non erano maturi per declamare tanta sovversiva originalità sulle tavole del palcoscenico; come era successo d’altronde a un altro testo ispirato alle idee dei philosophes, L’Isola della Ragione, che l’autore si rammaricava di aver portato all’insuccesso teatrale dopo il buon esito riscontrato invece attraverso le letture ad amici e intellettuali.»

 

«Si dirà – conclude – che mettere in scena una commedia sulla rivolta delle donne non solo non comporta rischi, ma è così politicamente corretto da rischiare quasi il conformismo. Eppure, non è conformista ascoltare le parole di un classico (cioè di un autore che non finisce mai di essere contemporaneo, per ricordare una delle più felici definizioni della parola) a proposito della questione femminile, tema sociale e filosofico ben lontano dall’essere definitivamente risolto duecentosettantatré anni dopo. Proprio perché tiene conto con autoironia delle timidezze, delle resistenze, delle paure ancestrali che accompagnano da sempre l’accettazione di una parità completa tra le due metà del cielo. E poi perché è una commedia, forma teatrale che non si prende sul serio neanche quando fa finta di predicare, ma gioca con gli strumenti del buon teatro, con i caratteri, con le battutacce, con l’invenzione del naufragio in un’isola deserta, mitologica risorsa in teatro per rappresentare utopie palingenetiche. E se nel testo di Marivaux il finale resta prudentemente senza esito rispetto alle speranze che ha generato durante tutto il tempo dell’azione, è inevitabile sentire che quella conclusione è provvisoria e prefigura un futuro diverso affidato alle generazioni che verranno. È quanto cerca di esprimere questa messa in scena, la prima in italiano e nel nostro Paese, per quanto io sappia, della storia plurisecolare di questo testo”.

 

La Produzione è realizzata dall’Associazione Teatro Europeo in collaborazione con il Teatro della Toscana e con il sostegno di MIC Direzione Generale Spettacolo nell’ambito del Progetto “Marivaux: le utopie”. Un’iniziativa con il patrocinio dell’Institut français Italia. L’evento è in collaborazione con i Musei Reali di Torino.

BEPPE NAVELLO

Dopo aver compiuto studi universitari in Italia e in Francia, si è formato teatralmente al Teatro Stabile di Torino come regista assistente di Mario Missiroli, tra il 1977 e il 1981. Le sue prime regie sono su testi contemporanei: al Teatro Stabile dell’Aquila, nel 1983, dirige Questa sera da Tosti di Alberto Gozzi e al Teatro Stabile di Torino, nello stesso anno, La casa dell’ingegnere di Siro Ferrone, tratto da La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda. In quegli anni intraprende anche la collaborazione con i programmi culturali della RAI, firmando centinaia di testi e regie radiofoniche per le tre reti nazionali dell’emittente pubblica.

È del 1986 la prima nomina a direttore del Teatro Stabile dell’Aquila. Le sue regie più importanti: Sogno di Oblomov di Siro Ferrone, e un esperimento di teatro a puntate: I tre moschettieri, durato tutta la stagione ‘86/’87.  Tra il 1990 e il 1993 dirige il Teatro di Sardegna, a Cagliari, dove firma le regie de Il gioco delle parti di Luigi Pirandello, de Il vampiro di Angelo Brofferio e di Casa di bambola di Henrik Ibsen. Tra il 1994 e il 1997 torna alla direzione del Teatro Stabile dell’Aquila (regie di La donna del mare di Ibsen, Il Misantropo di Molière, Il caso Papaleo di Ennio Flaiano). In seguito, con una compagnia privata, firma le regie di Alfieri! Alfieri!Il costruttore Solness di Ibsen e La signorina Julie di Strindberg. Ha firmato anche, insieme a una regista francese e a un regista belga, la messa in scena di Le cercle de craie caucasien di Brecht al Festival di Aix-en-Othe e al Théâtre de la Villette a Parigi (1997).

Nel 2001 fonda il Festival internazionale “Teatro Europeo” diventato poi “Teatro a Corte” perché itinerante attraverso le dimore sabaude del Piemonte: fino al 2017, il festival è cresciuto all’insegna dell’amicizia italo francese (più di cento compagnie d’Oltralpe invitate nel corso degli anni), diventando punto di riferimento dell’innovazione europea in particolare per le creazioni in situ. Dal 2007 al 2017 ha diretto a Torino la Fondazione Teatro Piemonte Europa, riconosciuta dal Ministero Teatro Stabile d’Innovazione, poi promossa a Teatro di Rilevante Interesse Culturale e che dal 2010 ha ottenuto in gestione il Teatro Astra di Torino. Per quel palcoscenico, nello stesso periodo, ha creato numerosi spettacoli di successo presentati nei cartelloni dei maggiori teatri italiani, tra i quali: Donne informate sui fatti di Carlo Fruttero, Dette d’amour d’Eugène Durif, Il Divorzio di Vittorio Alfieri, Il Trionfo del Dio Denaro di Marivaux, Una delle ultime sere di Carnovale di Goldoni; e ha promosso, invitando registi stranieri (Jean Claude Penchenat, Myriam Tanant, Robert Talarczik), spettacoli bilingue con attori italiani, francesi e polacchi: Cinema! (in due versioni, italo francese e polacca); Bar Franco ItalienRemake. Dal febbraio al maggio 2017 ha occupato lo stesso Teatro Astra con l’imponente cantiere scenografico progettato da Luigi Perego per una riedizione della saga de I Tre Moschettieri in otto puntate, riprendendo i testi scritti trent’anni prima per il Teatro Stabile dell’Aquila dai maggiori drammaturghi italiani: un’avventura che ha coinvolto un centinaio di lavoratori dello spettacolo tra i quali una cinquantina di giovani attori e che ha appassionato ogni settimana il pubblico torinese per quarantotto repliche in otto puntate, ciascuna diretta da registi diversi (lo stesso Navello, Gigi Proietti, Piero Maccarinelli, Myriam Tanant, Andrea Baracco, Robert Talarczyk, Ugo Gregoretti e Emiliano Bronzino).

Dal 2019, B.N. siede nel Comitato Scientifico del progetto internazionale, sostenuto dall’Institut Universitaire de France, Marivaux et les scènes européennes guidato da Paola Ranzini dell’Università di Avignone: tra le altre iniziative, è in corso la pubblicazione degli Omnia di Marivaux in italiano presso l’editore Cue Press. Il primo volume è in libreria dal settembre 2021 e il 23 novembre 2021 ha debuttato alla Pergola di Firenze, per la prima volta in lingua italiana, La seconda sorpresa dell’amore, con la traduzione e la regia, appunto, di Beppe Navello.

Dal 2015 è consigliere d’amministrazione dell’Alliance Française di Torino e nel 2021 è stato nominato consigliere d’indirizzo del Teatro Regio di Torino dal Ministro della Cultura.

Nel suo percorso professionale, Beppe Navello ha diretto, tra gli altri: Paolo Bonacelli, Carmen Scarpitta, Caterina Vertova, Elia Schilton, Gianni Garko, Domiziana Giordano, Laura Lattuada, Pina Cei, Maddalena Crippa, Giustino Durano, Lina Sastri, Roberto Alpi, Giorgio Albertazzi, Anna Galiena, Romina Mondello, Lino Capolicchio, Giuseppe Pambieri, Daniela Poggi, Patrizia Zappa Mulas, Franca Valeri, Geneviève Penchenat, Antonino Juorio.

Cesare Peverelli. Ceramiche a Vallauris. Avec Pablo Picasso

 

In mostra a Mondovì le “ceramiche” realizzate in Costa Azzurra dall’artista milanese, accostate alle “linoleografie” del “padre del cubismo”

Dal 13 luglio al 5 novembre

Mondovì (Cuneo)

L’accostamento è perfetto. Peverelli e la leggenda assoluta dell’arte cubista. Peverelli e Picasso. A Cesare Peverelli (Milano, 1922 – Parigi, 2000), allievo a Brera, fra gli anni Trenta e Quaranta, di Carpi e Funi, ma soprattutto attento alle accese emotività di Morlotti e alle voci di “Corrente”attraverso una forte attrazione, in quel ribellarsi della natura contro la perfezione della realtà, per la picassiana “Guernica”, la “Fondazione CRC”dedica (in occasione del “Centenario” della nascita) una suggestiva e particolare mostra, in programma da giovedì 13 luglio fino a domenica 5 novembre, presso il “Museo della Ceramica” di Mondovì (Cuneo), in “Palazzo Fauzone di Germagnano”. Curata dallo storico e critico d’arte Enzo Biffi Gentili, l’esposizioneintende valorizzare la collezione di cinquanta ceramiche inedite realizzate da Peverelli a Vallauris, località situata tra Cannes e Antibes nelle Alpi Marittime, e donate alla “Fondazione CRC” − nell’ambito del progetto “Donare. Rilanciare la cultura del dono in provincia di Cuneo” − dall’imprenditore provenzal-piemontese, nonché fondatore e direttore del “Musée de la Poterie” di Vallauris, Michel Ribero. Cogliendo l’occasione del “Cinquantenario” della morte di Pablo Picasso, il curatore propone in mostra un interessante e saggio accostamento tra le ceramiche di Peverelli e una serie di linoleografie del “padre del cubismo”, concesse in prestito dall’“Avec”, storica Associazione di ceramisti vallauriens e anch’esse realizzate a Vallauris, dove Picasso visse, iniziando la pratica dell’arte ceramica, fra il 1948 ed il 1955 e dove ha sede (nell’antico “Chateau du Prieuré”) il “Museo Nazionale Pablo Picasso” ricco di oltre duemila opere del Maestro spagnolo, fra cui la monumentale “La Guerra e la Pace”, realizzata nel 1953 al termine della “Guerra di Corea”, a testimonianza del suo impegno politico come militante nel “Movimento per la Pace”, per il quale disegna anche, nel ’62, la celeberrima “Colomba”, in seguito riprodotta a livello mondiale.

L’esposizione, a Mondovì, sarà visitabile ad ingresso libero fino a domenica 5 novembresecondo i seguenti orari: dal 14 luglio al 15 settembre, venerdì e sabato dalle 15 alle 19, domenica e festivi dalle 10 alle 19; dal 16 settembre: giovedì, venerdì e sabato dalle 15 alle 18, domenica e festivi dalle 10 alle 19. Per info: iatmondovi@visitcuneese.it  o telefonare allo 0174/330358.

“L’esame delle ceramiche di Cesare Peverelli – spiega il curatore Biffi Gentili – rivela un’alta carica di ‘virus Picasso’, non foss’altro perché foggiate a Vallauris, città nella quale Pablo Picasso rivoluzionò quest’arte nel secondo dopoguerra, realizzando linoleografie dall’inizio degli anni ’50 ai primi anni ’60 presso la stamperia di Hidalgo Arnéra, come ‘affiches’ o manifesti per le mostre annuali degli artigiani locali”. Realizzate nel 1992 e 1993 – presso lo stabilimento “La Cigale – J. Ribero” di Vallauris, le ceramiche di Peverelli, esposte nella mostra monregalese, bene illuminano l’ultimo periodo del pittore milanese, quello ceramico appunto, mai storicamente documentato e criticamente affrontato, in cui si va, invece, ad articolare nel tempo “la sua vicenda politica e pittorica – ancora Biffi Gentili – dal picassismo al potcubismo, allo spazialismo sino, dopo il suo trasferimento in Francia nel 1957, dove vive e lavora sino alla morte, a una sorta di surrealismo nel quale viene sovente iscritto”.

Un lungo, intenso percorso, condotto sotto il segno di un’instancabile sperimentazione artistico-professionale, in cui “si rivelano anche aspetti rimasti in ombra come la grafica, artistica ed editoriale, accanto a letture e connessioni differenti, anche con generi e arti discusse come la ‘science-fiction’ e la ‘bande dessinée”, rispetto a più note, illustri referenze”. In ogni caso, l’opera di Peverelli rappresenta l’ultimo, grande hommage tributato da un pittore a Picasso a Vallauris nel secolo scorso. Pochissimi anni dopo, infatti, nel 1998, ha inizio una diversa “politica ceramica” dell’Amministrazione Comunale e del “Musée de la Céramique”, grazie al ruolo determinante di Michel Ribero (prima assessore e poi sindaco di Vallauris) che chiamerà a lavorare, con gli artigiani, non più artisti ma designer. Nello stesso anno, il commissario della 16^ “Biennale de la Céramique” di Vallauris, Carole Andréani (cui si deve il fondamentale libro sulla ceramica di Gauguin) decide di invitare, fra gli altri, un architetto – designer napoletano, Eduardo Alamaro, che esibisce una serie di bottiglie smaltate dedicate a Picasso (al “Padre Mediterraneo”), “se non irrisorie, ‘comiche’”. E proprio una di queste, un “cameo” mai esposto in Italia, la maiolica “Santé Picassò!” (1998) la troviamo esposta nella rassegna di Mondovì.

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Cesare Peverelli: “Vallis Aurea. Satirus”, maiolica, 1993

–       Pablo Picasso: “Faune pour Expo Vallauris”, linoleografia, 1955

–       Eduardo Alamaro: “Santé Picassò!”, maiolica, 1998  

“NERO E ORO. Anche il coraggio è fatto di paura”

In mostra all’ “Ufficio del Turismo” di Sauze d’Oulx, l’intensa narrazione pittorica del torinese Claudio Campini

Fino al 17 settembre

Sauze d’Oulx (Torino)

La pittura come coraggioso racconto di sé. Come emotiva confessione dell’ “io” più profondo narrato in contesti astratti (ma non solo) dove segno e colore si fanno voce inquieta e inquietante di esistenze spesso costrette nella routine del vivere quotidiano a immaginare di dover scegliere fra due opposti che opposti non sono.  Il “coraggio” e la “paura”. “Oro” e “Nero”. Non realtà totalmente  “altre” o sentimenti paralleli fra loro, sul cui possibile ipotetico incontro meglio non giocare un centesimo che sia uno, ma assidue compagne di strada, da tenere addosso e per mano con giusta considerazione, saggezza e tenace pacatezza. “Anche il coraggio è fatto di paura”: su questa ferma convinzione – fortemente espressa, in ogni tempo, da non pochi “grandi” della storia – trovano vita e diventano storie di “cuore”, “ragione” e “anima” gli acrilici (una ventina) esposti, fino a domenica 17 settembre prossimo, presso il salone espositivo dell’ “Ufficio del Turismo”di Sauze d’Oulx, dal pittore torinese Claudio (Claude) Campini, che già in precedenza, aveva realizzato un’analoga personale, sempre a Sauze, nella suggestiva location dello “Scacco Matto” di Paola Debili.

 

Non un’improvvisa (né tantomeno improvvisata) “folgorazione sulla via di Damasco”, la passione per la pittura, per Campini, ha radici ben profonde nel tempo. E per varie ragioni, motivazioni anche professionali. Ma esplode, in tutta la sua concretezza e nelle sue giuste esigenze di raffronto espositivo, solo di recente. “E’ solo nel 2018, al termine della mia vita professionale – ricorda il pittore – che decido di dedicarmi in toto a sviluppare quell’amore per segni e colori portato avanti da sempre, dedicandomi completamente al ‘mestiere’ del dipingere, con la volontà di sviluppare in particolare, oltre  all’immagine, idee che siano ‘idee creative’”.

Idee specchio del reale, frutto di  contesti sociali su cui confrontarsi e dialogare e aprirsi al mondo. Il colore è il grande protagonista delle sue tele. Grigi, neri, gialli luminosi si contendono, in grumosi grovigli materici, spazi di tela su cui la cifra stilistica riporta alle grandi lezioni dell’espressionismo astratto e informale non meno che a certe intuizioni arrivate dall’attenta osservazione e ammirazione per quei color field paintings espressioni di “avanguardie” novecentesche (Mark Rothko su tutti) sul cui tracciato Campini muove il suo attuale percorso creativo, per “raccontare, senza la pretesa di essere compreso, l’importanza del coraggio”. Coraggio “fatto anche di paura”. Come scriveva Oriana Fallaci, ricorda Campini, nel suo celebre “Insciallah”, ambientato ai tempi della guerra civile in Libano negli anni ’80, durante l’intervento delle forze internazionali, cui partecipò anche l’Italia. Romanzo corale, ma soprattutto “storia di coraggio”.

“La prova che senza il coraggio – sottolinea il pittore –  non fai nulla, che se non hai coraggio nemmeno l’intelligenza ti serve. Il coraggio ha molti volti, il volto della generosità, della curiosità, della necessità, dell’orgoglio, della disperazione perfino della ‘paura’ cui rimane sempre legato da un vincolo quasi filiale”. E conclude: “Nei protagonisti di quel romanzo ci siamo noi tutti, donne e uomini, quelle e quelli, ad esempio, che hanno avuto il coraggio di affrontare la pandemia e le sofferenze derivatene, portandosi dietro lo zaino ‘nero’ della paura”. “Nero” e “Oro”. L’ “oro” della sfera che sorge e sferza il “nero” del cielo o il contrapporsi dei ruvidi grovigli “gialli”e “grigi” e “neri” de “Il coraggio e la paura”, fino all’esplosione salvifica di skylines urbane capaci di aprire spazi d’azzurro in cieli ancora nuvolosi e mitigare il grigiore terrifico di oceani infernali, oscuro imbuto di disperse speranze. Campini ci apre il libro dei suoi “sogni” e delle sue emozioni. Cosa non semplice. Perché “ci vuole un sacco di coraggio – com’ebbe a dire la grande scrittrice statunitense, Erma Bombeckper mostrare i tuoi sogni a qualcun altro”.

Gianni Milani

“NERO E ORO. Anche il coraggio è fatto di paura”

“Ufficio del Turismo”, viale Genevris 7, Sauze d’Oulx (Torino); tel. 0122/858009 o www.comune.sauzedoulx.to.it

Fino a domenica 17 settembre

Orari: tutti i giorni, 9/12 e15/18

Nelle foto:

–       Claudio Campini

–       Claudio Campini: “Città dorata”

–       Claudio Campini: “Il coraggio e la paura”

–       Claudio Campini: “Notte di coraggio”

Nino Ventura, messaggero dell’arcaico, del fantastico e del mistero

Osservo dal basso la testa di una alta figura in terracotta: il viso é antico, sereno, concentrato, con gli occhi chiusi; sulla testa, come copricapo, una vecchia lattina arrugginita tenuta da una cinghietta in cuoio -sottogola, a mò di elmetto- a fianco della quale ne é attaccata un’altra, ma rivolta in avanti, con una lampadina dentro. Scendo con lo sguardo lungo il corpo stilizzato, modellato come una grande anfora rastremata verso l’alto, e questo gendarme (o forse sacerdote? La differenza é sfumata) reca sul petto dei fregi in oro a forma di pesce, riccamente decorati con decise incisioni. Sotto ancora, a lato, un pesce in oro a tecnica mista scende giù, passando sopra a una sorta di alta gonna che divide la metà inferiore della figura, di colore bruno distinto da quello naturale della materia, e corre fino a terra, alla parte più solidamente ampia della figura. La gonna funge da base e nasconde i piedi. Dietro la schiena, due grandi ali in metallo. Tutto é spesso, consistente, impreziosito da fregi e glifi: reminescenze di un alfabeto familiare, volutamente composto -per assonanza visiva- da grafie appartenenti alla nostra cultura mediterranea più antica. Citazioni, ricostruzioni, memorie, rielaborate variamente da una mano sensibile.

Estendo lo sguardo e comprendo di essere in piedi di fronte a uno dei nove Uomini Faro, che lo scultore chivassese Nino Ventura espone a Castellamonte, per la Mostra della Ceramica 2023,    unitamente alla Tribù dei Leviti, opera composta da 9 personaggi e 12 vasi officinali in terracotta bianca.

Il progetto generale si intitola «Arrivano dal Mare» e vede impegnato l’Artista da diversi anni a Castellamonte e, il prossimo anno, anche in Spagna. Nella suggestiva cornice della Rotonda Antonelliana, possiamo quindi ammirare Gli Uomini Faro, e nella Fornace Pagliero l’installazione «La Tribù dei Leviti ed i vasi officinali». Scende la sera, le ombre degli Uomini Faro si allungano e si disperdono, ma le loro luci si accendono, illuminando la Rotonda e abbagliando, come nove lampare nel mare di notte, il pubblico posto di fronte a loro, in mezzo a loro. L’ esposizione, nella sua veste notturna, trasla verso altri meridiani, cambia visione: bellissimi, suggestivi, immobili, i Nove Uomini vanno oltre la nostra dimensione, controllano che nel mondo invisibile avvenga solo ciò che é Scritto; che possa riprendere il proprio viaggio chi si é perso. Essi presidiano il nostro mondo, silenti e potenti; lì da sempre, da prima dei tempi.

 

Vorrei tornare indietro e scrivervi dell’artista che, dopo essersi impegnato per anni nel teatro come autore, registra e attore, inizia a modellare la terra dal 1991. Nino Ventura rifugge da posizioni puramente concettuali e autoreferenziali, come dalla corrosiva chimera della replica seriale di un modello riuscito. Egli auspica che di fronte al proprio lavoro non risultino necessarie interpretazioni preliminari, distinguo, classificazioni: le opere devono parlare in modo diretto alla testa e al cuore e l’approfondimento deve, semmai, partire con spontanea impellenza, dopo. Ventura é materico, necessita di solidità. E non c’é nulla di più concreto della terra e dei riferimenti alle culture che ci appartengono per camminare su un terreno solido. Lo scultore arriva infatti da Acireale, ovvero da uno dei gioielli della civiltà mediterranea, cittadina ricca di arte e dedicata alla figura mitologica di Aci, ucciso da Polifemo per gelosia, essendo entrambi innamorati di Galatea. Sangue, terra, amore e gelosia: tinte forti e profonde. E manipolare la terra, riutilizzare gesti arcaici, toccare la materia con le mani, può far riemergere antiche sapienze, tornare indietro e comprendere, rivivere, ritrovarsi. E con la terra si possono, ad esempio, modellare i pesci, uno dei topoi portanti dei lavori di Ventura sin dall’ inizio della sua attività. Infatti, in greco ichthys -ovvero pesce– é un acronimo/acrostico di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”, simbolo identitario della nascente fede cristiana, ma anche offerta del mare, vita dei pescatori, racconti della sera, vita e morte, cicli della Natura.

L’Autore sfiora appena le suggestioni del primitivismo ottocentesco, definendo e consolidando da subito un linguaggio del tutto personale, teso a ribaltare quella visione del mondo definito “primitivo”:    in lui l ‘omaggio all’ arcaico non passa per la semplice rievocazione, la citazione, l’ imitazione; non vuole portare a casa souvenir di un mondo pulito e incontaminato, da preservare e da esporre presso le nostre case come trofei, a contrasto di una cultura contemporanea ormai corrotta e generatrice di disvalori (ci riferiamo ancora a parte del pensiero primitivista ottocentesco e alle critiche che già allora gli vennero mosse). L’arcaico, invece, é letto da Ventura come sedimentazione di valori positivi, legati all’ Uomo e alla creatività, radicati e presenti nel nostro quotidiano; qualcosa che ci appartiene e che é sufficiente illuminare, rievocare, immergere nell’acqua, per vederlo riprendere consistenza e vividamente riaffiorare, per poi rimodellarlo, reinventarlo. Questa memoria é plastica materia che mantiene fecondo il suo portato di umanità; non é nostalgica riesumazione, quindi, ma parte viva di noi.

Nelle opere dello Scultore é spesso presente l’oro, che riporta alla sacralità e ad ambiti regali e magici. La terra é utilizzata nelle sue diverse tonalità e poi, ove necessario, tinta. Sono presenti animali, a volte stilizzati o solo accennati. E c’é uno spazio importante, di fianco al sacro e all’arcaico, per il capriccio e la risata, lo sberleffo, l’abnorme, il complice ammiccamento. Entrambi concorrono a connotare la natura delle opere di Ventura. Ogni pezzo é diverso e ogni argomentare permette interpretazioni a più livelli. Ma, comune a ogni lavoro, é l’ entrare in risonanza con l’osservatore, non lasciare indifferenti. Ecco: la prima sensazione delle opere di Ventura, in particolare quelle che riproducono fattezze umane, é la comunicazione immediata. Esse ci portano un messaggio? Sì, silente: recano doni, decorazioni, bellezza e spirito. Civiltà. Pace. Gioco. Sono in qualche misura doppie, come detto: sono latrici di antiche saggezze e di moniti per il futuro, ma anche di lazzo, motto di spirito e capriccio (nel senso più alto, musicale, pittorico). Si presentano con abnormi piedi e mani, orecchie e preziosità, decorazioni e vestiari. Nino Ventura riesce nella difficile impresa di utilizzare materiale misto, sempre unito alla terra modellata e cotta, senza che vi sia qualcosa di forzato o di maniera: ogni corda, segno, legno, ferro, pulviscolo, sabbia, smalto sgargiante, é lì al proprio posto. Senza eccessi che sfruttino effetti riusciti. E’ un linguaggio con un metro, delle proporzioni, un equilibrio. Queste opere sono legate strettamente alla manualità: lavorare e poi cuocere la terra é arte assai difficile, anche se quasi infantile e istintiva nella prima fase della modellazione, mentre essa é avida di maestria nella cottura, soprattutto delle parti più grandi, nelle quali una piccola bolla d’aria, uno spessore sbagliato, possono portare, in cottura, a crepe esiziali. Le opere più alte, infatti, sono necessariamente realizzate sovrapponendo parti separate, ai limiti della grandezza permessa dai forni. Nino Ventura lavora con mano sicura di artigiano che sa di raccogliere una eredità antica, con il divertimento e la bellezza del piccolo gesto. L’arzigogolo in oro, in corda, in fil di ferro, e le parche autocitazioni rendono la sua opera ben riconoscibile, sebbene sempre varia. Il prendersi non troppo sul serio, essere ironico, é la sua cifra.

Le figure umane di Ventura hanno spesso le labbra socchiuse, appaiono permanentemente stupite, e forse vogliono sussurrarci qualcosa. E hanno gli occhi pudichi di chi osserva con rispetto e amore, dopo aver visto tutto. Occhi che sono sempre chiusi e questa é una costante dell’Artista: scrutano lontano anche per noi, vegliano e insegnano, ma non osservano con le pupille, bensì con lo sguardo della mente, perché non hanno necessità fisica di guardare; per non distrarsi e ferirsi, perché l’ oggi é destinato a passare e a volte non é degno di essere visto e ricordato perché doloroso, sbagliato, opaco, miope, disumano, brutto. Queste palpebre immobili, invece, ci portano la bellezza dell’esistenza, l’ importanza di essere umani nel divenire della Storia, raccogliendo l’eredità di una tradizione legata a innumerevoli generazioni, ad antiche filosofie, a simboli e astrazioni appartenenti al Mare Nostrum, raccolti tra i sassi delle nostre spiagge. Sono occhi chiusi che ci sorridono.

Questi nove uomini-luce sono un po’ sacerdoti e un po’ soldati (si diceva all’inizio dei cappelli: elmetti o copricapi rituali?) e ci portano un messaggio, un augurio. Osservano dal passato, immortali, noi e il nostro futuro. Hanno donato la loro presenza oggi, ma lo hanno fatto prima, altrove, e lo faranno ancora. Nino Ventura li ha sentiti nelle mani e ha dato loro un corpo: sono immoti argonauti ai quali é stata restituita forma nello spazio. Posti di fronte a loro, lasciamo che una goccia della nostra singolare esistenza superi la spessa materia che li compone e li penetri. E per un attimo, se c’é silenzio, pare di sentirli risuonare. Loro, comunque, ci attendono. Dietro le loro spalle, scrivevamo, ci sono due grandi ali di metallo. Perché, forse, i variopinti e fantastici personaggi di Ventura, prima che essere giocosi o seriosi sacerdoti e soldati, non sono altro che Angeli.

Le opere di Nino Ventura sono esposte permanentemente a Fuenlabrada (Madrid, la spettacolare grande fontana Liquidas Convergencias); nel Museo de los Angeles” a Turegano (Spagna, Castiglia Leon), di cui è ideatrice e direttrice Lucia Bosé (“Angeli, Evoluzione della specie”, 12 sculture in terracotta alte più di 2 metri, anno 2001), a Chivasso (Il XII Angelo nel Centro storico e il bassorilievo “Mediterraneo Terra Mia” nella Quintana del Cedro), nello showroom di piazza Castello a Verbania e, per le grandi sculture, presso la Pellegrini Art Gallery di Civitanova Marche.

DAVIDE FICCO

“Ho imparato ad amare grazie a te”

Music Tales, la rubrica musicale 

 

“Per tutte le cose che non ti ho mai detto,

Scusa per quel che non ho fatto,

Ti ringrazio per il tuo tempo prezioso,

Ho imparato ad amare grazie a te”

Beth Hart nasce a Los Angeles il 24 gennaio 1972, coetanee solo che lei è una cantautrice statunitense diventata famosa grazie al suo singolo LA Song (Out of This Town), andata in onda nell’episodio 17 della decima e ultima stagione di Beverly Hills 90210. Io invece non sono famosa affatto!

 Il singolo è stato primo in classifica in Nuova Zelanda, raggiungendo la top 5 dell’Adult Contemporary statunitense e il numero 7 della classifica Adult Top 40 di Billboard.

Gli album successivi, Seesaw e Live in Amsterdam, frutto della collaborazione tra Beth Hart e Joe Bonamassa, hanno raggiunto il primo posto nella classifica Blues Album di Billboard. Bang Bang Boom Boom di Hart è salito al numero 3 della classifica Blues Album di Billboard, così come l’album Don’t Explain di Hart e Bonamassa.

Questo ci dice il web, e della sua vita privata pochissimo si sa, se non che è sposata a Scott Guetzkow e che vive a Pasadena.

Sua madre, la famiglia e i compagni di scuola la avvicinarono presto al jazz, al blues, a Bob Seger e Rickie Lee Jones, ai Sex Pistols e ai Circle Jerks, a Etta James e Otis Redding. Questi modelli le insegnarono a cantare il blues come può farlo solo una donna picchiata dalla vita ma ancora in piedi, un blues che nasce crudo e sanguinante dal cuore e si riversa sul palco senza alcuna censura. “La sua sincerità e la sua vulnerabilità sono i suoi punti di forza”, dice Scott Guetzkow, suo marito e road manager. “A volte scoppia a piangere e non riesce a smettere. Mette totalmente a nudo le sue emozioni”.

Mi ci ritrovo in questa donna, non per il talento ovviamente, ma per gli schiaffi presi dalla vita, per le difficoltà che sono la madre di una maturazione tempestiva ma elevata e spesso pesante proprio per la sua prematurità.

Proprio a sua madre è dedicato il brano che ho scelto: “mama this one’s for you”.

Ed io lo dedico alla mia, sperando possa perdonare gli errori che faccio e che ho fatto e che, probabilmente, ancora commetterò.

Vi linko il video ufficiale ma vi prego di voler ascoltare la performance live allegata sotto perchè la musica è soprattutto questo: emozione, palpitazioni, trisatezza, gioia, tutto e tutto insieme.

Buon ascolto

CHIARA DE CARLO

https://www.youtube.com/watch?v=QnbDIgQLQwI

https://www.youtube.com/watch?v=3VjFiipCReA

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Il lavoro e i diritti, prime notizie dal Job Film Days

Appuntamento a Torino dal 3 all’8 ottobre

Il 18 settembre avremo il programma intero della quarta edizione del Job Film Days, festival dedicato alle tematiche del lavoro e dei diritti, a Torino dal 3 all’8 ottobre, per ora iniziano ad arrivare le prime già interessanti anticipazioni. A presiedere la giuria del Premio Cinematografico “Lavoro 2023” che dovrà giudicare i lungometraggi in concorso che raggruppano il cinema documentario e di finzione sarà il critico cinematografico Paolo Mereghetti, penna eccellente del Corriere della Sera e del magazine Io Donna, già consulente della Mostra di Venezia, autore di saggi e volumi che hanno analizzato figure di registi e film, pronto quest’anno a festeggiare i trent’anni del suo personalissimo “Dizionario”, “Il Mereghetti” appunto, pubblicato da Baldini+Castoldi, vera miniera per quanti abbiano sete di notizie del passato e del presente della settima arte. A presiedere invece la giuria del Premio “Job for the Future” – Camera di Commercio di Torino, riservato ai cortometraggi realizzati nell’Unione Europea da registi Under 40, sarà Chiara Cremaschi, tra l’altro laureata in filmologia, più volte finalista al Premio Solinas, già vincitrice di vari prestigiosi riconoscimenti. Vive a Parigi e lavora tra Francia, Svizzera e Italia.

La consueta sezione su un paese o un’area del mondo sarà dedicata all’Africa subsahariana, un vastissimo territorio dove anche in anni recenti s’è dimostrata, all’interno della cultura e della produzione cinematografiche, una particolare attenzione verso il mondo del lavoro. Storie personali e collettive riunite in quattro titoli, che arrivano dal Burkina Faso con “A Golden Life” del cineasta Boubakar Sangaré, proveniente dal Mali, la storia del giovanissimo Rasmane che lavora con altri ragazzi della sua stessa età in una miniera d’oro nel sud del Burkina; dalla capitale del Centrafrica (alla coproduzione ci ha pensato la Cina), Bangui, in cui le registe Pascale Appora-Gnekindi e Ningyi Sun esplorano i rapporti personali ed economici di una intera collettività (“Eat Bitter”). È stato girato in Madagascar “Gwetto”, opera del regista Michaël Andrianaly, amaro ritratto di giovani immigrati senza tutela alcuna, giunti a lavorare nella città di Tamatawe. E ancora il road movie “No U-Turn” del regista nigeriano Ike Nnaebue, che racconta le donne e gli uomini del suo paesi pronti a dirigersi verso il nord, alla ricerca di un futuro migliore.

Una sessantina i partner che credono e che appoggiano il variopinto progetto di Job Film Days. Che sarà accompagnato, con inaugurazione il 27 settembre alle ore 18 (sino al 14 ottobre), dalla mostra dell’artista Gianluca Costantini, curata da Leonardo Guardigli. Nato nel 1971a Ravenna, Costantini è considerato tra i massimi esponenti italiani del graphic journalism e da anni con le sue opere combatte  per i diritti umani, collabora con differenti organizzazioni e con l’apprezzatissimo Ai Weiwei, è l’autore con Laura Cappon di “Patrick Zaki, una storia egiziana”, edito da Feltrinelli. È l’artista che ha costruito l’immagine guida di questa quarta edizione del Job Film Days: l’immagine dell’uomo-operaio, in particolare dell’uomo-macchina, di quell’uomo che per decenni ha lavorato nelle fabbriche e che a poco a poco finirà con l’essere sostituito dai robot, o ancor di più da quella realtà che è l’intelligenza artificiale, ulteriore passo verso un annientamento contro cui si dovrà prontamente combattere. L’appuntamento è negli spazi della Galleria Caracol di via Sant’Anselmo 26.

Elio Rabbione

Nelle immagini: il presidente di giuria Paolo Mereghetti, critico cinematografico; una scena del film “Gwetto” proposto dal Madagascar; l’immagine del Job Film Days, opera di Gianluca Costantini.

“Ladro di nuvole”, Antonio Carena ovvero “Il fenomeno della quintessenza”

Nelle sale di Palazzo Lomellini di Carmagnola, dal 1° settembre al 29 ottobre

Antonio Carena amava definirsi “ladro di nuvole”, racchiudendo porzioni di cielo dentro la sua arte. In occasione della Fiera Nazionale del Peperone di Carmagnola, le sale di Palazzo Lomellini ospitano dal 1° settembre (inaugurazione alle ore 18) al 29 ottobre la retrospettiva dell’arista, dal titolo “Antonio Carena, il fenomeno della quintessenza”, la prima dopo la sua morte, organizzata dalla Casa Museo di Rivoli, in collaborazione con la Città di Carmagnola. La mostra, curata da Nicolò Balocco, nipote dall’artista, ha come obiettivo quello di raccontare la storia del pittore, esplorando le diverse fasi della sua carriera artistica.

Le cinquanta opere esposte coprono infatti un ampio arco temporale, partendo dai primi anni accademici presso la scuola di Enrico Paulucci, alla prima mostra personale del 1955, curata da Albino Galvano, che ha segnato un importante momento di riconoscimento per Carena. Viene esplorato in seguito l’incontro con il critico Tapiè e le sue opere informali che lo portano ad essere selezionato per la mostra “Arte Nuova” al Circolo dei Lettori di Torino, insieme ad altri 71 artisti internazionali. Un approfondimento è dedicato alla sua amicizia con Lucio Fontana e ai suoi famosi cieli sparsi in tutta Europa, incluso l’uso creativo di una Fiat 500 come tela ambulante, nonché i suoi murales e l’happening del 1971 con i Cartelli Bianchi, in collaborazione con la Galleria Il Fauno.

Antonio Carena è noto per la sua affinità con l’elemento del cielo e per la sua capacità di catturare l’essenza delle nuvole nelle sue opere. Una delle sue citazioni più famose “Tra me e il cielo la distanza la decido io”, è stata una delle sue citazioni più famose, che metteva altresì a fuoco tutta le simpatia del suo carattere. In poche e semplici parole esprimeva la sua volontà di stabilire una connessione personale e creativa con il cielo, come se potesse decidere autonomamente la distanza e la relazione tra se stesso e l’infinito sopra di lui.

Antonio Carena, il fenomeno della quintessenza”, retrospettiva 1946-2009, mostra a cura di Nicolò Balocco. Orari di apertura mostra: 1-10 settembre dal lunedì al venerdì 20.30-23; sabato e domenica 15.30-18.30 e 20.30-23; 11 settembre/29 ottobre giovedì, venerdì e sabato 15.30-18.30; domenica 10.30-12.30 e 15.30-18.30.

Ingresso libero; www.comune.carmagnola.to.it o www.palazzolomellini.com

Oltre alla retrospettiva di Antonio Carena, a Carmagnola, durante la Fiera Nazionale del Peperone, si potranno visitare le mostre “Uno per uno”, la personale di Giuseppe Migliore, che realizza quadri a mosaico con più soggetti, realizzando opere uniche nel loro genere (Chiesa San Rocco, via Valobra, 1-10 settembre ore 9-13 e 15-20, a cura del Comitato Riapriamo San Rocco). “Un tesoro nascosto”, il ricordo di Piero Solavaggione nelle case dei suoi concittadini: la mostra dell’artista carmagnolese dalla pittura immediata che ricorda i “fauves” rimanendo fedele nel tempo a una figurazione dallo stile impressionista (Chiesa di San Giovanni Decollato, piazza Garavella, dal 2 al 10 settembre, inaugurazione sabato 2 settembre alle 16, a cura della Confraternita di San Giovanni Decollato. Orari di apertura: 2 settembre, 20.30-22.30; domenica 3 e 10, 10-22.30; da lunedì 4 a venerdì 8, 20.30-22.30; sabato 9, 10-12.30, 14.30-19.30, 20.30-22.30).

Uno sguardo particolare sulla personale di Lara Molinari, la disegnatrice della Walt Disney, alla Saletta d’Arte Celeghini, via Valobra 141, dal 2 al 23 settembre, con inaugurazione sabato 2 alle ore 17 (orario: 9-12 e 15-19; apertura serale Fiera 21-23; chiuso il lunedì). Nata a Milano nel 1970, muove giovanissima i primi passi nel mondo del fumetto. Come cartoonist per la Walt Disney Italia ha all’attivo storie, fumetti e copertine per il settimanale Topolino, illustrazioni per videogiochi Playstation e collaborazioni con Disney Channel con albi tradotti e pubblicati in ambito europeo. Collabora con Diego della Palma e con la Lindt, è ritrattista in varie trasmissioni televisive. Nel 2005, sull’onda del successo del “Codice da Vinci” di Dan Brown illustra la parodia “Zio Paperone e il Codice Metsys”. Attualmente si dedica allo studio di soggetti romantici naïf di matrice fumettistica, affiancati a opere dal fascino informale, opere in esposizione della Saletta in occasione della mostra. 35 acrilici e pastelli su carta da osservare e ammirare in tutta la loro allegra fantasia. Ha scritto di lei Carlo Chendi: “Il linguaggio cromatico dei suoi quadri trasmette una luce che comunica sensazioni di grande semplicità, di lirico ottimismo, di buoni sentimenti. E anche attraverso le immagini, in genere bambini e piccoli animali – uccelli, gatti, simpatici cagnolini – il messaggio che trasmette è di poetica tenerezza, l’immagine di un mondo come vorremmo che fosse: quello della gioia, della luce e del colore.” Ricreando un mondo dei sogni su cui è piacevole affacciarsi.

Alle mostre si aggiungono le tante proposte culturali dei musei della città a cura dell’Assessorato alla Cultura in collaborazione con l’associazione Museinsieme. All’Ecomuseo della Canapa nei weekend della Fiera sono in programma gli “Assaggi di Canapa”, degustazioni guidate di prodotti locali a base di canapa al termine della visita al museo. La canapa è una produzione carmagnolese di grande rilievo che regalò addirittura alla città l’appellativo di “Impero della canapa” (via Crissolo 20, Borgo San Bernardo, 2-3 e 9-10 settembre ore 15-18, costo: 6 euro). Al Museo Tipografico Rondani, “Giochi d’inchiostro”, laboratorio estemporaneo di stampa artigianale per adulti e bambini: carta, rulli e inchiostri diventano gli strumenti per sperimentare diverse tecniche di stampa e creare una personale opera artigianale (via Santorre di Santarosa 12, 2-3 e 9-10 settembre ore 15-18, offerta libera per l’attività). Per la Giornata Europea della Cultura Ebraica, domenica 10 settembre è in programma una visita guidata gratuita alla Sinagoga (via Bertini 8, ore 10-19). Visita guidata gratuita anche all’Antica Cereria (via San Bernardino 9, domenica 4 e 11, ore 10-12 e 14-19). Apertura serale, infine, del Museo Civico Navale, nei giorni della Fiera (piazza Mazzini 1, 1-10 settembre, ore 20.30-23).

e. rb.

Nelle immagini, le nuvole di Antonio Carena; di Lara Molinari, “Una gita con un carico di amici”, pastello e acrilico su carta a mano, 2020.

Si conclude con un concerto lo stage estivo di ErreMusica

Si conclude con un concerto lo stage estivo promosso dall’associazione musicale torinese ErreMusica, in collaborazione con l’Accademia Liuteria Piemontese San Filippo, che ha sede nella chiesa di San Filippo Neri

 

Lo stage estivo di ErreMusica, associazione culturale musicale torinese, per ragazzi è giunto alla sua seconda edizione e ha previsto un corso di Alta formazione per studenti di violino, pianoforte e chitarra, che si svolge presso l’Accademia Liuteria Piemontese San Filippo a Torino, in via Accademia delle Scienze 11, un luogo davvero affascinante che si trova all’interno della chiesa di San Filippo Neri, nel centro di Torino, davanti al Museo Egizio.

Presidente dell’Accademia è il maestro liutaio Tommaso Rovetta, che si occupa della scuola di alta formazione per liutai, un’arte artigianale di ricercata finezza.

Il corso è destinato agli allievi italiani e stranieri che abbiano intrapreso lo studio di uno strumento e desiderino approfondire, perfezionare la propria conoscenza con docenti musicisti di alto livello professionale e artistico.

Durante il periodo estivo è importante studiare e approfondire gli studi musicali, ma è importante farlo soprattutto in un ambiente circondato da bellezze artistiche, presenti a Torino, a pochi passi dall’Accademia, tutti luoghi che possono essere visitati insieme ai docenti, agli organizzatori e a una guida turistica.

Lo stage estivo si terrà il 31 agosto, il 1, 2, 3 settembre 2023.

Nell’ambito dello stage si terrà un concerto all’Accademia Liuteria Piemontese (solo su inviti per gli allievi dell’Associazione e i partecipanti allo stage), il 31 agosto, alle 16.45, che vedrà protagonisti i ragazzi dello stage, diretti dal maestro Francesco Bergamasco.

Lo scorso anno la prima edizione dello stage promosso da ErreMusica ha avuto luogo presso la Fondazione Michelangelo Pistoletto di Biella ed è stato presente anche il Maestro.

L’Accademia Liuteria Piemontese San Filippo APS rappresenta un polo culturale dedicato alla liuteria, uno spazio di formazione adiacente al teatro Carignano e ospitato nel complesso di San Filippo Neri. Dal 2016 al loro interno maestri liutai professionisti, scienziati e professionisti di diversi settori disciplinari insegnano l’arte della costruzione degli strumenti musicali a studenti di tutte le età, attraverso corsi di durata annuale e biennale. La realtà dell’Accademia rappresenta il desiderio di riportare in auge l’eccellenza della liuteria piemontese, nei secoli passati rappresentata da diversi autori come Rocca, Pressenda, Guadagnini e nota a livello internazionale. Molto profondo è il legame con la musica, accanto al desiderio di tramandare una passione che affonda le proprie radici nella tradizione della scuola piemontese.

L’Associazione musicale ErreMusica organizza, nell’ambito degli stage estivi, corsi preaccademici di primo livello e corsi di alto perfezionamento di secondo livello indirizzati a tutti coloro che abbiano già frequentato scuole a indirizzo musicale o Conservatori. Al termine del corso gli studenti si esibiranno insieme ai docenti in un concerto conclusivo.

ErreMusica è un’associazione nata nel quartiere della Circoscrizione 3 e lavora con assiduità con bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie di Torino, molti dei quali hanno raggiunto ottimi livelli e si sono diplomati al Conservatorio e specializzati, in seguito, nella didattica della musica.

Mara Martellotta