CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 15

“Ti lascio perché mi fai salire il cortisolo” con Giulia Pont


Un monologo su amori che finiscono e vita che ricomincia,  la musica leggera che ci ha rovinato con i suoi testi romantici,
le app di dating e le avventure che regalano,  le donne single che ancora vengono viste come “mancanti di un pezzo”

 

Se i divorzi sono in aumento, credere nella coppia è un progetto fallimentare? Se Emma Bovary avesse avuto Tinder, come sarebbe finita? E’ il Teatro San Sipario a San Sicario (Cesana) a fare da cornice allo spettacolo di Giulia Pont: venerdì 8 agosto alle 21 presenta “Ti lascio perché mi fai salire il cortisolo”, per la regia di Carla Carucci. Fa parte della rassegna estiva organizzata da Onda Larsen in collaborazione con l’Associazione Non Solo Neve, partner del progetto: i biglietti (10 euro) sono in vendita su www.ticket.it e alla cassa.

 

Giulia Pont snocciola una mitragliata di domande. Come si fa a pensare di aver trovato l’anima gemella al supermercato sotto casa se siamo 7 miliardi sulla Terra? Avranno ragione i poliamorosi? E ancora: la musica leggera ha rovinato la nostra idea di amore?

E se stare da soli, alla fin fine, fosse meglio?

 

Pont, che ha scritto il testo e che lo interpreta sola sul palco per 70 minuti ininterrotti, spiega: «”Ti lascio perché mi fai salire il cortisolo” nasce come sequel dello spettacolo “Ti lascio perché ho finito l’ossitocina”, monologo che ha debuttato nel 2013 durante la prima stagione del Torino Fringe Festival e che è stato lo spettacolo più visto di quell’edizione». Racconta: «Si riallaccia al tema della fine dell’amore per raccontare, però, un punto di vista nuovo. Narra infatti come la fine possa essere, in realtà, un nuovo inizio: scoperta di se stessi, della propria individualità e liberazione».

In un mondo in cui ancora troppo spesso una donna single è considerata come “mancante di un pezzo”, la protagonista lotta contro i pregiudizi della società e della famiglia per affermare se stessa e i suoi desideri nonostante un padre patriarca, una mamma sessantottina pentita e una zia con l’hobby delle domande inopportune.

«Nel suo percorso di scoperta di sé stessa si confronta anche con un mondo estremamente avventuroso e talvolta insidioso: l’universo del dating, spesso popolato da “casi umani”. Un viaggio nel quale la accompagna una controversa psicologa» sorride Pont.

Tra ritratti di personaggi bizzarri, momenti di stand-up comedy e canzoni, la protagonista affronta anche il tema della ricerca del piacere femminile. Scoprendo, con ironia ed eleganza, le carte di un gioco che per anni alle donne non è stato concesso.

 

Lo spettacolo ha vinto il Bando Residenze 2022 del Teatro della Caduta. La regia del monologo è di Carla Carucci, che ha già firmato altri due spettacoli della Pont: il monologo “Non tutto il male viene per nuocere ma questo sì” e la commedia “Effetti indesiderati anche gravi” che ha debuttato nel 2018 nella stagione del Teatro Stabile di Torino per “Il Cielo su Torino”.

 

D. Rodrigo de Souza Coutinho e Gabriella Asinari di San Marzano ritratti da de Sequeira

I personaggi pubblici dell’ancien régime spesso erano vivaci esponenti del mondo intellettuale. Così i lusitani de Souza Coutinho, soprattutto i diplomatici e gli uomini politici della famiglia. Tra essi D. Rodrigo de Souza Coutinho (Chaves, 3.08.1755 – Rio de Janeiro, 26.01.1812), 1° Conte di Linhares (Rio de Janeiro, 17.12.1808), che aveva iniziato la sua carriera come inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Portogallo alla corte di Torino, dove era vissuto dal 23.09.1779 al 30.07.1796, e l’8.03.1789 si unì in matrimonio a Gabriella Asinari di San Marzano (Torino, 31.07.1770 – Rio de Janeiro, 24.01.1821).

********************************************************************************

Torino, Via Garibaldi, il palazzo, che, alla sinistra della Chiesa di San Dalmazzo, delimita il ristretto

sagrato, all’epoca ospitava la residenza e gli uffici del Ministro di Portogallo alla Corte dei Savoia.

Torino, in Via Maria Vittoria, n° 4, nel Palazzo di famiglia, prospiciente la chiesa di S. Filippo,

D. Gabriella Asinari di San Marzano nacque e visse fino al matrimonio con D. Rodrigo de Souza Coutinho.

Fin dagli anni giovanili, il 1° Conte di Linhares mantenne buoni contatti con il mondo culturale. Così, in gioventù, era stato con l’abate Tommaso Valperga Caluso, a Lisbona presso il fratello, ministro plenipotenziario dei Savoia in Portogallo, e, successivamente plenipotenziario egli stesso, nei suoi dispacci da Torino, dove scrive della vivacità degli intellettuali nel Piemonte prerivoluzionario.

Qui ci soffermeremo soltanto sugli incontri del Coutinho col pittore Domingos Antonio de Sequeira, avvenuti a Lisbona nel palazzetto di famiglia dei conti di Linhares, tra il 1796 e il 1798, cioè dopo il rientro in Portogallo dei due uomini, reduci entrambi di prolungati soggiorni nella nostra Penisola, e conclusisi dopo, tra il 1797, quando arrivò a Lisbona la sposa di D. Rodrigo, e il 1807, quando i Coutinho si imbarcarono per il Brasile con la Corte portoghese.

Quanto al ministro plenipotenziario, nel dispaccio da Torino n° 65 del 30 luglio 1796, l’incaricato d’affari di Portogallo riferisce che, in quello stesso giorno, egli era partito alla volta di Genova, accompagnato dalla moglie ventisettenne, per imbarcarsi per Lisbona. Quel documento dice che, a quella data, non si sapeva ancora se il fratello di D. Rodrigo, D. Domingos de Souza, avrebbe occupato in Piemonte il posto lasciato libero dal Coutinho stesso, infatti il decreto di nomina del diplomatico avrebbe avuto la data del 1° novembre 1796, mentre, fin dal precedente 4 settembre, D. Rodrigo aveva ricevuto a Lisbona l’incarico di ministro di Stato per la marina e l’oltremare.

Lisbona, palazzetto de Souza Coutinho in Arroios: ingresso con vista dalla strada e biblioteca.

Rientrato in patria, nel 1796, D. Rodrigo prendeva alloggio con i fratelli nel palazzotto di Arroios, dove incominciava a ricevere le visite di Domingos António de Sequeira (Belém,10.03.1768 – Roma, 7.03.1837), pittore portoghese che a Roma si era perfezionato nell’arte.

A sinistra, Domingos António Sequeira (autoritratto, pastello, 1805 ca.) e, a destra, un raro ritratto del prelato

D. José António de Menezes e Sousa Coutinho, fratello di D. Rodrigo (disegno di Sequeira tratto dall’Album di Arroios).

Il pittore non aveva incontrato D. Rodrigo nel viaggio da Genova a Lisbona, poiché era in Portogallo fin dagli ultimi mesi del 1795, perciò solo nell’anno successivo «comincia a frequentare il palazzetto di D. Rodrigo de Sousa Coutinho, [poi] Conte di Linhares. Risulta da questa frequentazione una serie di 51 disegni di Sequeira (alcuni datati del 1796, 1797, 1798 e 1802), organizzati nel cosiddetto Album di Arroios». Di quei fogli, scriveva Alexandra Josephina Reis Gomes Markl, del«L’opera grafica di D. A. de Sequeira nel contesto della produzione europea del suo tempo», tesi di dottorato in belle arti / disegno, Università di Lisbona, 2013, p.122], scriveva: «Dalla relazione (di Sequeira) con la famiglia del Conte di Linhares, principalmente con D. Gabriella Asinari de Sousa Coutinho, risulta una parte significativa della sua produzione grafica di quel periodo. Un insieme di 51 disegni rimasti noti come Album Arroios, eseguiti, secondo la tradizione famigliare nelle serate che l’artista trascorreva con i Coutinho, tra i quali si incontrano alcuni fogli datati dal 1796 al 1802». Anche Manuel Pedro Alves Crespo de San Payo, nelle sue pagine intitolate: «Il disegno in viaggio, album, quaderno o diario grafico, l’album di D. A. de Sequeira», tesi di dottorato in belle arti / disegno, Università di Lisbona, 2019, p. 57, nota 15], che afferma: «Credo che Sequeira possa aver dato lezioni di disegno alla Contessa di Linhares o a qualcuno dei sui figli nel periodo compreso tra il 1796 e il 1798, giacché alcuni degli esercizi configurano alcune prove di questo tipo con tracce di linee veloci parallele e incrociate per le ombre».

Ma seguiamo meglio le vicende famigliari di D. Rodrigo dalle notizie che, su nostra indicazione, Andrée Mansuy pubblicò nel secondo tomo della sua biografia del Coutinho, dove scrive: «Plusieurs mois s’écoulèrent ainsi, jusqu’au moment où le frère de D. Gabriela, le marquis Asinari di S. Marzano, écrivit au comte Balbo, ambassadeur du roi de Sardaigne à Paris, en le priant d’obtenir du Directoire les passeports nécessaires pour que cette petite famille puisse entreprendre par voie de terre son voyage vers Lisbonne. Le 25 mai (1797), le comte Balbo communiqua au “Citoyen Secrétaire Général des Relations Extérieures” à Paris le signalement de D. Gabriela et des “gens de sa suite, tous Piémontais», qui l’accompagneraient dans sa traversée des «départements méridionaux de la France pour se rendre en Espagne pour rejoindre son mari». Quei documenti ricordano che la Signora Coutinho, nata San Marzano, aveva 26 anni, capelli castani scuri, occhi celesti, denti bianchissimi, quattro figli (dei quali il primo di sette anni, il secondo di cinque, il terzo di due e la quarta di un anno) e alcuni domestici al seguito (tra cui: un cuoco, un valletto, una bambinaia, una cameriera e un cameriere). Già il 23 giugno quella piccola comitiva arrivava a Barcellona, il seguente 10 luglio era a Madrid, mentre, già alla data del 23 agosto 1797, le prime notizie da Lisbona dicono che la piccola figlia dei Coutinho era in fin di vita: sarebbe morta il giorno successivo (memoria del martirio di San Bartolomeo apostolo).

Il disegno (già dell’album di Arroios) che qui riproduciamo, diversamente da quanto riporta la didascalia, non tratta il momento in cui, a Torino, D. Rodrigo si accomiatava dai famigliari (infatti la stessa Mansuy, nel secondo tomo della biografia del Coutinho, ricorda che la nobildonna accompagnò il marito a Genova, dov’egli si imbarcava per il Portogallo). La scritta sembrerebbe accogliere una voce che, pur circolando in casa dei Conti di Linhares, non era veritiera, anche se nata nel loro ambiente stesso. La vistosa cuffia, disegnata sul capo della gentildonna torinese, fa pensare che fosse più adatta all’abbigliamento di una donna che viaggiava per la capitale portoghese (spesso sferzata dai venti atlantici), piuttosto che riferibile a un afoso fine luglio torinese (infatti, come ricordano i dispacci dello stesso Ministro portoghese a Torino, nel periodo estivo erano frequenti le temperature elevate, accompagnate da picchi di umidità). Il disegno quindi è lo schizzo di un testimone (e Sequeira era presente in casa Coutinho a Lisbona, dove aveva visto D. Rodrigo accogliere i famigliari provenienti dal Piemonte). Nella stessa raccolta di disegni ce n’erano altri che ritraevano personaggi pure presenti a quell’incontro, uno di essi rappresenta Gabriella Asinari adagiata su un sedile (formalmente così ben definito da anticipare i lavori da designer che in anni successivi avrebbero impegnato l’artista) e un ritratto del secondo conte di Linhares, D. Vittorio, bambino, disegno che ben figurerebbe tra i migliori disegni inglesi del tempo.

Il lavoro più importante che Sequeira realizzò per i Coutinho tuttavia è un quadro a olio, a proposito del quale l’11 aprile 1985, D. Nuno de Souza Coutinho (1914–2006), 7° Conte di Linhares, nel riscontrare la prima lettera che gli avevo inviato nove giorni prima da Rio de Janeiro, scriveva per me le frasi che qui traduco dal portoghese: «Con molto piacere le mando una fotografia del quadro dei Conti di Linhares dipinto da Domingos Sequeira. Come si sa la Contessa di Linhares era portata per l’arte, soprattutto per la pittura, perciò D. Sequeira ebbe l’idea geniale di pensare alla Contessa che dipinge il ritratto del marito». Si tratta di un’opera pittorica per la quale un altro disegno dell’album di Arroios, eseguito a “punta d’argento”, si rivela un bellissimo studio preparatorio.

Una tela (mai uscita da Lisbona per seguire in Brasile i Coutinho) dalla quale, in Portogallo Francesco Bartolozzi (Firenze, 25.09.1728 – Lisbona, 7.03.1815), morto in Brasile il 1° Conte di Linhares, avrebbe tratto due lavori esemplari del suo ultimo periodo. In essi egli da prova delle sue notevoli abilità di incisore, ribaltando sul lato destro il sinistro per un delicato disegno a colori, e riproponendo il ritratto dipinto da Sequeira in un’acquaforte alla quale legherà indissolubilmente il ricordo del nobile portoghese.

********************************************************************************

Per approfondimenti sui conti di Linhares rimando alle mie pagine: «Gabriella Asinari di San Marzano, Contessa di Linhares e la sua missione per l’Ordine di Malta» («Al­manacco Piemontese 2002», Torino, Viglongo, dicembre 2001, pp. 131-137); «1779-1796: a Torino, Dom Rodrigo de Souza Coutinho, portoghese, futuro conte di Linhares e ministro di Stato» («Studi Piemontesi», Torino, giugno 2008, vol. XXXVII, fasc. 1, pp. 181-196) e soprattutto a: Andrée Mansuy Diniz Silva, Portrait d’un homme d’État: D. Rodrigo de Souza Coutinho, Comte de Linhares (1755-1812), (Centre Culturel Calouste Gulbenkian – Commission Nationale pour les Commémorations des Découvertes Portugaises Lisbonne et Paris, tom. 1°, Les années de formation 1755-1796, 2002, tom. 2°, L’homme d’État 1796-1812, 2006). Mentre per il Sequeira rimando a: José Alberto Seabra Carvalho nel catalogo «1768-1837 Sequeira, um Português na mudança dos tempos», Ministério da Cultura – Instituto Português de Museus – Museu Nacional de Arte Antiga, janeiro a março 1997, pp.102-122 «Uma cronologia».

D. Domingos António de Souza Coutinho, m.se di Funchal

(Chaves, 20.02.1762 – Brighton, 28.11.1833).

Miniatura inglese, dipinta verso il 1820.

D. Domingos António de Souza Coutinho

Figlio di D. Francisco Inocêncio de Souza Coutinho (Vila Viçosa, 28.12.1726-Madrid,1781), governatore dell’Angola, morto ambasciatorein Spagna, e di D. Ana Luísa Joaquina Teixeira da Silva de Andrade. Fu fratello di: D. Rodrigo de Souza Coutinho, conte di Linhares (padrino di battesimo del quale era stato il futuro marchese di Pombal), ministro aTorino e membro del gabinetto regio quindi Ministro di Stato in Portogalloe in Brasile che, nel 1796, aveva pubblicato a Parma per i tipi bodoniani «Le virtù del trono. Cantata per la nascita di S. A. R. Don Antonio de Bragança Principe da Beira»; D. José António de Meneses e Souza Coutinho (Chavez, 24.01.1757–Lisbona, 28.09.1817), arcidiacono della Chiesa Patriarcale di Lisbona, noto come Principal de Souza il quale, durante la permanenza in Brasile del re di  Portogallo, a partire dal 1811 e fino alla morte, fece parte del Consiglio di Reggenza del Regno come rappresentante della Chiesa portoghese; D. Francisco Maurício de Souza Coutinho (Contins, 1763/4–Rio de Janeiro, 19.11.1820), ammiraglio della marina reale portoghese, professo e commendatore dell’Ordine di Malta, governatore e capitano-generale del Gran Pará (1789-1801).

D. Domingos António de Souza Coutinho, unico tra i fratelli, si laureò in giurisprudenza all’Università di Coimbra (1781), fu inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Copenhagen (1790-1795), quindi a Torino(1796–1803), in ultimo a Londra (1803-1814) dove, nel 1810, fu elevato al grado di ambasciatore, infine a Roma (1814–1828). A Londra, aveva negoziato la dislocazione della corte portoghese in Brasile. Fu fatto conte di Funchal (17.12.1808), poi, poco prima di morire (nel giugno 1833), marchese di Funchal. Fu membro dell’Accademia delle Scienze di Lisbona fin dal 18.02.1810. Per combattere il Correio Braziliense di Hipólito José da Costa, fondò a Londra il periodico O Investigador Português em Inglaterra, che circolò fino al 1818.

**********************************************

À memória de minha esposa

Carmen Quireze Burdet (1951- 1988)

há 40 anos de nossa mudança do Brasil

Carlo Alfonso Maria Burdet

Il teatro e la cultura tornano al Festival di Fenestrelle

Il teatro e la cultura tornano al Festival di Fenestrelle, grazie al Festival Teatro e Letteratura  promosso dal Tangram Teatro tra i forti di Exilles e Fenestrelle dal 2 al 17 agosto. Il festival trae origini da tempi lontani, da quando i direttori artistici di Tangram Teatro Ivana Ferri e Bruno Maria Ferraro hanno iniziato a intrattenere un rapporto con il pubblico a Sauze d’Oulx che si sarebbe poi rivelato duraturo.

La trentesima edizione ha preso il via il 2 agosto  a Fenestrelle, con Matthias Martelli nel suo nuovo lavoro “ Il suono delle pagine”, di cui è,  oltre che interprete, anche autore. Era accompagnato dai jazzisti Mattia Basilico  e Alessandro Gwis. Si è trattato dell’interpretazione di pagine della grande letteratura italiana, dai giullari a Dante, da Trilussa a Rodari.

Il 6 agosto, alle 21, andrà in scena “’L’invenzione senza futuro. Viaggio nel cinema in 60 minuti”. A 130 anni di distanza dal quel 28 dicembre 1895, quando si tenne la prima proiezione cinematografica dei fratelli Lumière al Salon du Grand Café di Parigi, andrà in scena uno spettacolo che verrà presentato alle 21 nell’Arena ex bocciofila di Fenestrelle, a ingresso libero. Il testo è  interpretato da Celeste Gugliandolo, Mauro Parrinello e Matteo  Sintucci e scritto da Federico Giani,  Celeste Gugliandolo, Francesca Montanino e Mauro Parrinello. Al centro dello spettacolo la nascita del cinema, avvenuta per mano dei due fratelli francesi. Ciò che si pongono come obiettivo gli interpreti di questo testo è creare una fusione tra teatro e cinema.

L’8 settembre  a Fenestrelle sarà sul palco Neri Marcorè  che, accompagnato dal polistrumentista Domenico  Mariorenzi, proporrà un viaggio dei cantautori italiani e stranieri, da Elvis Costello agli Eagles, da Simon and Garfunkel a Elvis Presley, passando da De André,  molto amato da Marcorè,  a De Gregori e Ivan Graziani.

Bruno Maria Ferraro  porterà in scena “Viaggio con Dante”, seguito il giorno dopo da un incontro promosso sul Sommo Poeta dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino. A Exilles sarà di scena Laura Curino con la pièce “La lezione di Rachel  Carson. La Signora degli oceani”, dedicato a una delle maggiori protagoniste dell’ambientalismo americano.

Interessante incontro domenica 10 agosto a Fenestrelle nell’ambito di ‘Focus ambiente’ con la climatologa Elisa Palazzi, che dialogherà con la docente Maria Ludovico Gullino sul  tema delle conseguenze delle crisi climatiche sui territori montani.

Mara Martellotta

Pippo Leocata. “Parole Parole. Prove di speranza”

Sono una trentina, fra dipinti disegni e sculture, le opere  esposte nella suggestiva cornice del Cinquecentesco Castello di Santa Margherita Ligure

Fino al 15 agosto

Santa Margherita Ligure (Genova)

Da Torino alla Liguria. Riviera di Levante, Golfo del Tigullio. E ancora una volta, uno storico Castello. L’anno scorso fu l’antico “Castello sul mare” di Rapallo; quest’anno è invece il “Cinquecentesco Castello” di Santa Margherita Ligure, opera, costruita a difesa delle frequenti incursioni dei pirati saraceni, dal Maestro comicino Antonio de Càrabo ad ospitare, nel “Salone piano-terra” e nell’inquietante cavernoso “Seminterrato”, fino a venerdì 15 agosto, la personale di Pippo Leocata, pittore scultore, allievo in gioventù, al Politecnico di Torino, del grande Carlo Mollino e che per i Castelli (quali location espositive) pare decisamente avere un “debole” se si pensa anche a un’altra importante mostra da lui tenuta anni fa nelle sale del “Castello Normanno” di Adrano (l’antica “Adranon”), sua terra natia alle falde dell’Etna, fatto erigere nell’anno Mille dal Conte Ruggero I di Sicilia. E, del resto, quale miglior luogo di un “Castello” per mettere in mostra opere che da sempre vivono gli afflati, le atmosfere, le voci di un’antichità totalmente riflessa, ancor oggi, nelle opere dell’artista siculo-torinese, in immagini spesso visionarie fatte di attese, di sogni, di aspettative che hanno dentro l’intima essenza di un quotidiano faticosamente giocato fra presente e futuro?

Promossa dal “Lions Club Santa Margherita Ligure – Portofino” e dal “Comune di Santa Margherita Ligure”, l’attuale mostra nella cinquecentesca Fortezza Sanmargheritese ha un titolo decisamente curioso, se si pensa che in sé quel titolo, fatto di cinque ben calcolate parole, ne racchiude altri due riferiti ad opere che sono al centro del percorso scenico e concettuale della stessa rassegna. “Parole Parole. Prove di Speranza”. Partiamo proprio da quel “Prove di speranza”. Tre parole folgoranti pensate a dar voce (al centro del grande Salone a piano terra), nella loro simbolica asserzione ad un’installazione “performativa” – riferita al “Giubileo della Speranza” di Papa Francesco – che non credo di sbagliare nell’indicare come vero fulcro centrale della rassegna. In legno di pallet, catramina e olio (estremamente attuale nel riferimento all’atroce crudeltà dei tempi di guerra che oggi paralizzano il mondo) l’opera ci offre la tragica visione di due poderose, sbrecciate “Porte Sante” che, al loro aprirsi, non possono che restituirci sgomento, cumuli di macerie, frammenti di antichi simboli di fede, bianchi sudari di morte e oceani di lacrime di donne, uomini, bambini (quanti bambini!) per i quali la vita è stata solo, o quasi, guerra.

 

E, per molti, subito morte. A lato, un grande olio urla la parola “PACE”. Anche in lingua araba. E potrebbe farlo usando decine di altri idiomi, propri degli oltre cinquanta Paesi oggi coinvolti in conflitti internazionali, spesso ignoti. O ignorati. E, dunque, quanto Leocata può offrirci, al di là del suo agire artistico, sono solo, per l’appunto, “Prove di Speranza” prima ancora di “prove di pace”. Quella “speranza” e quella “pace”, mai come oggi parole sconosciute ai “Grandi (piccoli, piccoli) padroni del Pianeta”, carne senza cuore, bruciati dall’arsura di un potere che non conosce limiti e ormai sordo ad ogni minimo sussulto d’umanità. Capaci solo, per l’appunto, di “Parole.Parole”. Ed ecco l’altro titolo. E l’altra opera di Leocata (olio e acrilico su tela del 2014 – ma oggi ancora così attuale e utilizzato, fra l’altro, come cover di un libro di “Pedagogia”, pubblicato nel 2021 in Italia e in Germania) in cui “griglie” letterarie “alla Boetti” fanno corpo a strutture urbane sovrastate dal rosso di un cielo infuocato dove anche il cerchio solare pare soccombere al fuoco del “nulla”. Di “parole”, solo “parole”, “parole dette e non dette”, parole – fumo che lasciano a terra le macerie e gli ingombri delle “Porte Sante”. A raccoglierle e a farne nuove più solide strutture sarà forse quel milione di Giovani, i “Papa Boys”, cui l’attuale Santo Padre venuto dalle Americhe ha di recente affidato il sacrosanto universale “mandato di pace”. Le nuove generazioni. E che bella, in proposito, la “futuristica” poetica “Offerta di pace” (il fanciullo generoso e il truce guerriero), olio e acrilici su legno del 2019! Insieme a quella “chicca” assoluta delle bianche “argille” (Anni ’90) esposte nel cavernoso “Seminterrato” del Castello, “omaggio” prezioso alla secolare storia della “Fortezza”. Roccia su roccia.

Impalpabile riflesso luminoso sull’antico immaginifico universo del nostro Pippo, sulle sue “rocche”, i suoi “guerrieri”, su quella sua “Muntagna”, indimenticata madre e matrigna. Immagini di una vita intera. Un personalissimo, inconfondibile “antico” riproposto “nelle sue varie interpretazioni – ci ricorda lo stesso artista – e coinvolgimenti personali”.

Gianni Milani

“Parole.Parole. Prove di speranza”

Castello Cinquecentesco, Salita al Castello 1, Santa Margherita Ligure 1 (Genova); tel.0185/293135

Fino al 15 agosto

Orari: feriali 18/22; sab. e dom. 10/12 e 18/20

Nelle foto: “Porta Santa A/B”, legni di pallet, catramina, acrilici e olio, 2025; “Parole parole”, olio e acrilici su tela, 2014: “Offerta di pace”, olio acrilici su legno, 2019); Seminterrato, “Opere in argilla, legno e acrilici”, anni ‘90

Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio

Oltre Torino: storie miti e leggende del Torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte. 

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.

Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autoridelle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo Breve.

Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l’Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty:  Mucha  e  Grasset
9.  La linea che veglia su chi è stato:  Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa  Grock

Articolo 3. Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio

Con lEsposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna del 1902, Torino assume il ruolo di  polo di riferimento per il Liberty italiano. LEsposizione del 1902 è un evento di grandissimo successo, e numerosi sono gli architetti che offrono il proprio contributo, ma il protagonista indiscusso di questa stagione èPietro Fenoglio, il geniale ingegnere-architetto torinese, che abitònella palazzina di Corso Galileo Ferraris, 55.

Allinizio del Novecento, Torino vede in particolare il quartiere di Cit Turin al centro della propria trasformazione. A partire da Piazza Statuto si dirama il grande Corso Francia che, con le sue vie limitrofe, costituisce in questa zona un quartiere ricco di architetture in stile Art Nouveau unico nel suo genere. Un tratto urbanistico in cui sono presenti numerose testimonianze dellopera di Fenoglio, riconoscibile dai caratteristici colori pastello, dalle decorazioni che alternano soggetti floreali a elementi geometrici e dallaudace utilizzo del vetro e del ferro. 

Personalità artistica di estremo rilievo, Pietro Fenoglio contribuisce in modo particolare a rimodellare Torino secondo il gusto Liberty. Nato a Torino nel 1865, larchitetto-ingegnere orienta il suo campo dinteresse nelledilizia residenziale e nellarchitettura industriale. Nato da una famiglia di costruttori edili, frequenta la Regia Scuola di Applicazione per ingegneri di Torino; subito dopo la laurea, conseguita nel 1889, inizia unintensa attività lavorativa, raggiungendo ottimi risultati in ambito architettonico. Partecipa, nel 1902, allOrganizzazione internazionale di Arte Decorativa Moderna di Torino e in questoccasione approfondisce la conoscenza dello stile liberty, riuscendo poi a concretizzare quanto appreso nei numerosi interventi edilizi di carattere residenziale, ancora oggi visibili nel territorio cittadino. La sua attività di progettista si estende anche al campo dellarchitettura industriale, come testimoniano la Conceria Fiorio (1900 – Via Durandi, 11) o la Manifattura Gilardini (1904 – Lungo Dora Firenze, 19). Nel 1912, Pietro entra a far parte del Consiglio di Amministrazione della Banca Commerciale Italiana ed è tra i promotori della SocietàIdroelettrica Piemonte. Colto da morte improvvisa, Pietro Fenoglio muore il 22 agosto 1927, a soli 62 anni, nella grande casa di famiglia a Corio Canavese.

Tra tutte le sue realizzazioni spicca lopera più bella e più nota per la ricchezza degli ornati: Casa Fenoglio-La Fleur (1902), considerata unanimemente il più significativo esempio di stile Liberty in Italia. Progettata in ogni più piccolo particolare da Pietro Fenoglio per la sua famiglia, la palazzina di Corso Francia, angolo Via Principi dAcaja, trae ispirazione certamente dallArt Nouveau belga e francese, ma lobiettivo dellIngegnere è di dar vita al modello Liberty. La costruzione si articola su due corpi di fabbrica disposti ad elle, raccordati, nella parte angolare, da una straordinaria torre – bovindo più alta di un piano, in corrispondenza del soggiorno. Manifesto estetico di Fenoglio, ledificio – tre piani fuori terra, più il piano mansardato –  riflette lestro creativo dellarchitetto, che riesce a coniugare la rassicurante imponenza della parte muraria e le sue articolazioni funzionali, con la plasticità tipicamente Art Nouveau, che ne permea lesito complessivo. Meravigliosa, e di fortissimo impatto scenico, è la torre angolare, che vede convergere verso di sé le due ali della costruzione e su cui spicca il bovindo con i grandi vetri colorati che si aprono a sinuosi e animosi intrecci in ferro battuto. Unedicola di coronamento sovrasta lelegante terrazzino che sporge sopra le spettacolari vetrate.  Sulle facciate, infissi dalle linee tondeggianti, intrecci di alghe: un ricchissimo apparato ornamentale, che risponde a pieno allautentico Liberty. Gli stilemi fitomorfi trovano completa realizzazione, in particolare negli elementi del rosone superiore e nel modulo angolare. Altrettanto affascinanti per la loro eleganza sono landrone e il corpo scala a pianta esagonale. Si rimane davvero estasiati di fronte a quelle scale così belle, eleganti, raffinate, uniche. Straordinarie anche le porte in legno di noce, le vetrate, i mancorrenti, e le maniglie dottone che ripropongono lintreccio di germogli di fiori. 

La palazzina non è mai stata abitata dalla famiglia Fenoglio, e fu venduta, due anni dopo lultimazione, a Giorgio La Fleur, imprenditore del settore automobilistico, il quale volle aggiungere il proprio nome allimmobile, come testimonia una targa apposta nel settore angolare della struttura. Limprenditore vi abitò fino alla morte. Dopo un lungo periodo di decadenza,  la palazzina venne frazionata e ceduta a privati che negli anni Novanta si sono occupati del suo restauro conservativo.

Alessia Cagnotto

A Vercelli in autunno si celebrerà l’Espressionismo italiano

Opere provenienti dalla collezione Iannaccone nella chiesa di San Marco, presso lo spazio Arca

Una novità artistica contraddistinguerà il settembre vercellese e i mesi a seguire. Dall’11 settembre 2025 all’11 gennaio 2026 a Vercelli, nella chiesa di San Marco, Spazio Arca, verrà  allestita la mostra dal titolo “Guttuso, De Pisis, Fontana.. . L’espressionismo italiano”. Si tratta dell’inaugurazione di un progetto espositivo quinquennale nato dalla collaborazione tra Arca Arte Vercelli e Fondazione Giuseppe Iannaccone.
Saranno esposte in mostra 34 opere realizzate tra il 1920 e il 1945, appartenenti al nucleo storico  della Collezione Giuseppe Iannaccone, che verranno inserite in un unico percorso espositivo.
Tra gli artisti in mostra figurano Renato Guttuso, Renato Birolli, Lucio Fontana, Fausto Pirandello,  Aligi Sassu, Alberto Ziveri ed Emilio Vedova, che si sono distinti per aver mantenuto un’autonomia espressiva.
La mostra sarà  l’occasione unica per ammirare capolavori di rara intensità  e valore storico artistico, alcuni dei quali mai esposti al pubblico.

L’evento, fortemente voluto dal sindaco di Vercelli Roberto Scheda, celebra il periodo di grande attualità  nella storia dell’arte italiana del Novecento. L’esposizione è  curata da Daniele Fenaroli, direttore generale della Fondazione Giuseppe Iannacone, in partnership con Arthemisia, sponsor la Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, la Provincia e ASM.

“Attraverso colori vibranti e forme irregolari, queste opere raccontano un’Italia fragile, disallineata, attraversata da tensioni e solitudini, animata da una potente esigenza di verità e autenticità  – spiega Fenaroli – Lontano dalle estetiche celebrative e dalla propaganda ufficiale,  l’Espressionismo italiano si impone come una contronarrazione umana e profonda, capace di restituire all’individuo la dignità,  l’angoscia e il suo smarrimento. È  proprio in questa dimensione che la pittura espressionista italiana diventa “scavo emotivo e empatia, capaci di superare l’apparenza, per penetrare nel cuore dell’esperienza umana. In un contesto storico in cui l’arte era spesso utilizzata come strumento di  controllo e di omologazione, questi artisti furono in grado di dar voce al dissenso, all’ambiguità,  alla fragilità, consegnando un’eredità visiva di rara potenza.
L’allestimento è progettato per dialogare armonicamente con lo spazio di Arca e accompagnerà il visitatore in un percorso immersivo in cui luce, spazio e silenzio valorizzano la forza espressiva delle opere.

Tra i lavori esposti spiccano alcune opere emblematiche  dell’Espressionismo italiano come “Nudo in piedi” di Lucio Fontana del 1939, “Composizione  ( Siesta Rustica) di Fausto Pirandello (1924-1926), il Caffeuccio veneziano di  Emilio Vedova del ’42, lo Schermidore di Angelo del Bon del 1934 e Ritratto di Antonino Santangelo di Renato Guttuso del 1942.

Il progetto di collaborazione intende creare un dialogo multidisciplinare, proprio a partire dall’intreccio delle opere della Collezione di Giuseppe Iannaccone con quelle di un giovane artista emergente e con lo spazio dell’ex Chiesa di San Marco degli Eremiti.
In questa prima edizione la grande arte italiana del primo Novecento sarà affiancata da tre opere del giovane artista Norberto Spina, di Milano (1995), tra cui un prestito della Royal Academy di Londra e lavori site specific inediti, concepiti per l’occasione.
L’artista mostra un approccio ispirato a una rilettura della storia, suggerendo al tempo stesso una continuità nel modo in cui l’arte possa offrire una visione personale della realtà.
Spina, come gli artisti degli anni Trenta hanno rifiutato l’estetica celebrativa del potere, anche lui si muove ai margini della memoria collettiva, reinterpretando atmosfere, gesti e volti e riportandole alla luce senza indugiare nella nostalgia, ma attraverso un atto consapevole. Spina invita lo spettatore a non rimanere passivo osservatore di fronte agli intensi volti di Benito Albino Dassler, il figlio non riconosciuto di Mussolini, e a quello di Edda Ciano.
L’artista indaga le modalità con cui l’immagine del potere si riflette nel nostro sguardo contemporaneo. Il suo è un invito a leggere la storia non come un archivio chiuso, ma un organismo vivo e complesso, attraversato da tensioni sempre attuali.
Vi sono opere di Norberto Spina che instaurano un dialogo con il passato, tra queste “La battaglia dei tre cavalieri” di Aligi Sassu del 1941, accostata a ‘Presente’ di Norberto Spina del 2024, che rielabora un dettaglio del Sacrario di Redipuglia, fatto edificare da Mussolini nel 1938. Sassu, all’indomani della prigionia, in pieno conflitto mondiale, si affida ad una pittura epica per denunciare una guerra assurda; Spina, con un linguaggio minimale, isola una parola  nella pietra per confrontarla con il nostro tempo. Da un lato i corpi dei cavalieri esprimono nettamente la perdita dell’individuo, l’annientarsi dello spirito umano, dall’altro il potere espresso attraverso una monumentalità muta continua a interrogare il visitatore.

La  mostra dal titolo “Guttuso, De Pisis, Fontana, l’Espressionismo italiano” è ospitata nello spazio Arca di Vercelli, in piazza San Marco 1 dall’11 settembre 2025 all’11 gennaio 2026.

Tel 0161649605

Mara Martellotta

Le Grottesche, i mascheroni satirici che guardano Torino

Dalle forme plastiche suggestive, narrano di una città inquieta e fantastica.

i muri della città parlano” diceva il barone de La Brède e di Montesquieu che giunse a Torino nel 1728. Effettivamente è così, ma oltre a raccontare una parte della storia della città queste sculture in pietra, che rivestono perlopiù gli edifici storici di Torino, osservano cose e persone con sguardi talvolta caustici ed altri minacciosi. Queste opere d’arte che si fanno notare per la loro plasticità, i loro particolari e la ricchezza che conferiscono ai palazzi che li ospitano, sono le Grottesche, anche conosciute come Mascheroni. Possono essere entità fantastiche o mostruose, mitologiche, animali, facce deformi o altre sagome e rimandano al quello straordinario periodo artistico che è stato Barocco europeo, ma anche a epoche seguenti come il Liberty. Nella nostra città sono molte e conturbanti e non furono scolpite unicamente come ricco ornamento, ma anche come veicolo potente di un linguaggio simbolico e satirico, un mezzo per raccontare ciò che non si poteva dire apertamente: l’instabilità del potere, la vanità della ricchezza, le paure del mondo e i desideri inconfessabili, il tutto scolpito su una base monocolore in pietra e di stucchi o simili a quelle di epoca romana, caratterizzate da una pittura multi-cromata, trovate nei resti sotterranei della Domus di Nerone (le “grotte” appunto)

A Torino le Grottesche non sono urlate come nella Capitale o a Firenze, sono più nascoste, meno protagoniste e per un occhio che le cerca e guarda con attenzione e curiosità, ma nonostante questa loro personalità sobria, in linea con il carattere culturale territoriale, riescono a farsi notare, risultano eloquenti ed affascinanti.

Qualche esempio più noto? A Palazzo Chiablese, affacciato su piazza San Giovanni, ospita uno dei cicli più importanti di grottesche della città, con affreschi che ornano volte e stanze laterali. Qui si incontrano tritoni, chimere, teste giganti con occhi vuoti, tra decori vegetali e medaglioni enigmatici. Palazzo Carignano, tra le meraviglie barocche del Guarini, conserva motivi grotteschi sia all’interno sia all’esterno, tra mascheroni scolpiti nei timpani delle finestre. I volti deformati sembrano rimproverare severamente chi guarda, belli ma inflessibili.

Passeggiando, inoltre, per via della Rocca, via Giolitti, via Bogino, via San Francesco da Paola, ma anche per le strade di Cit Turin, come corso Francia dove si trova il Palazzo delle Vittoria, si possono osservare mascheroni sui portoni in legno o sulle chiavi di volta degli archi. Spesso sono volti demoniaci, nasi adunchi, oppure caricature dalla forma animale posizionati come elementi apotropaici, protettivi, per allontanare il male.

Anche in alcune chiese della città si possono trovare elementi grotteschi di interesse artistico, come nei dettagli in stucco della Chiesa della Misericordia o nelle cappelle laterali di San Lorenzo, si tratta di putti deformi o di volti che sembrano fondersi con il fogliame.

Le Grottesche sono, dunque, una forma d’arte in conflitto con qualsiasi canone, non mirano alla perfezione o alla armonia, ma all’inquietudine.
Guardarle e ammirarle significa comprendere che l’arte, nei secoli si è occupata anche di incubi, di paure e sogni deformati. Torino, con la sua personalità solenne e lineare, nasconde, ma neanche tanto, un’anima caustica e magicamente teatrale, un lato sarcastico in contrasto con la geometria a e il rigore sabaudo, i mascheroni sono un esempio di questo carattere anticonformista che fa di questa città un luogo eccezionale e complesso.

Maria La Barbera

5 libri per l’estate

/

THE PASSWORD Torino oltre gli asterischi 

 

Anche quest’anno l’estate è ufficialmente alle porte. Tra vacanze al mare ed esami universitari, la maggior parte delle persone trova questa stagione ideale per potersi concedere una pausa e dedicarsi alla lettura, trascorrendo le giornate più calde al fresco in un prato o sotto l’ombrellone, sfogliando le pagine di un buon libro. I generi prediletti dai lettori durante il periodo estivo spaziano tra avventura, giallo, saggistica e romance, ma, nonostante le profonde differenze di genere, i libri perfetti per l’estate sono generalmente caratterizzati da trame leggere ma intriganti, difficili da scordare.

Oggi vi proporremo 5 libri per la vostra estate 2023.

Wild.

Il più famoso romanzo dell’autrice americana Cheryl Strayed ci dona un’emozionante storia di crescita personale e di avventura, nella quale una giovane ventiseienne si ritrova senza una meta in seguito alla morte della madre e alla fine del suo prematuro matrimonio. Decide pertanto di mettersi in cammino e di attraversare a piedi l’America, immergendosi nella natura selvaggia. Tra foreste, dirupi e animali selvatici, la fragile ragazza affronterà così un’avventura indimenticabile, fatta di paure, coraggio e formazione.

L’insostenibile leggerezza dell’essere

Questo romanzo di Milan Kundera, scritto nel 1982, è forse tra i più letti e apprezzati degli ultimi anni. Già il titolo enigmatico del romanzo affascina, trasportandoci verso una dimensione esistenziale fatta di mille dubbi, scaturiti dalle storie dei personaggi: vista la transitorietà delle nostre vite, è meglio scegliere la leggerezza o la pesantezza? Troviamo così Tereza e Tomáš a rappresentare i due poli opposti di pesantezza e leggerezza in amore, dove uno non desidera legarsi nuovamente a una donna, mentre l’altra sente il “peso” della mancanza di un compagno di vita. Allo stesso modo troviamo Sabina e Franz, i quali si ritrovano a rivalutare le loro scelte di vita di fronte all’inevitabile sbocciare dell’amore. Una storia di amori, compromessi, scelte e conseguenze che riflettono la complessità della vita stessa, ponendoci domande senza risposte.

L’isola del tesoro

L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson è un classico intramontabile, ambientato nell’Inghilterra del Settecento. Il protagonista, Jim Hawkins, gestisce una locanda insieme alla madre, spesso frequentata da un vecchio pirata. La morte di quest’ultimo porta il giovane Jim a trovare una mappa di un tesoro nascosto su un’isola: si tratta dell’ambito tesoro nascosto del capitano Flint. Jim, insieme al dottor Liversey e a un nobile gentiluomo, decidono di organizzare una spedizione alla volta dell’isola, portando con sé anche un cuoco, Long John Silver, un uomo apparentemente innocuo con una gamba di legno. Inizierà così un’avventura che porterà Jim all’iniziazione della vita adulta e alla scoperta della cattiveria degli esseri umani. Un romanzo perfetto per gli amanti delle avventure e dei pirati.

I miei giorni alla libreria Morisaki

Si tratta del romanzo d’esordio dell’autore giapponese Satoshi Yagisawa, ambientato a Tokyo. Qui Tatako, una giovane ragazza piuttosto infelice, trova il suo posto grazie al quartiere Jinbōchō, tranquillo e pieno di librerie e case editrici. Insomma, un vero e proprio paradiso per i lettori, dove si possono scorgere libri di ogni tipo e dove si trova la libreria Morisaki, che appartiene all’eccentrico zio di Tatako, il quale dedica la propria vita ai libri. Ospitata dallo zio, la protagonista si ritrova improvvisamente immersa in questo mondo a lei nuovo e pieno di colori, imparando piano piano a relazionarsi con gli altri attraverso le letture, lasciandosi finalmente andare.

Il cacciatore di teste

Questo thriller mozzafiato di Jo Nesbø è ricco di colpi di scena e sfide psicologiche. Il protagonista, Roger Brown, possiede la fama di miglior “cacciatore di teste” per via della sua abilità a trovare le persone giuste da assumere per le grandi aziende. Possiede, tuttavia, un hobby segreto: i furti d’arte, grazie ai quali si permette l’elevato stile di vita che conduce con la moglie. Quando viene a conoscenza di Clas Greve, un dirigente perfetto da assumere per un’importante società, Roger scopre che quest’ultimo possiede un importante dipinto andato perduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Decide pertanto di compiere l’ennesimo colpo, ma le cose purtroppo non vanno come sperava: intrufolandosi nella casa del dirigente, il protagonista si ritrova presto in una situazione inaspettata, rendendosi conto di non essere cacciatore ma vittima.

Monica Poletti

Ecco il  sito del nostro giornale e le nostre pagine social: Instagram Spotify

“Lemon Therapy”, l’adolescenza a San Sicario

Sette mesi di interviste e incontri con ragazzi trasformate in una commedia

 

 

Uno spettacolo sull’adolescenza: l’epoca delle passioni tristi, delle non scelte, dove la risposta a tutto è “boh!”, la stagione dove il desiderio è essere contemporaneamente come tutti gli altri e come nessun altro, quella fase precaria dell’esistenza dove l’identità appena abbozzata gioca tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna. Il tempo in cui si comincia a scoprire se stessi, a entrare in contatto con la propria sessualità e a sperimentarla. E’ questo “Lemon therapy” di Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, uno spettacolo della compagnia modenese Quinta parete in scena giovedì 7 agosto alle 21 al Teatro San Sipario, a San Sicario, frazione di Cesana (10 euro,  biglietti in vendita su www.ticket.it e alla cassa). Rientra nella stagione “Spettacoli di mezza estate… in vetta”,firmata dalla compagnia teatrale torinese Onda Larsen in collaborazione con l’Associazione Non Solo Neve, partner del progetto.

 

Diretto e interpretato da Enrico Lombardi e Alice Melloni, questo è uno spettacolo che nasce da un’indagine durata sette mesi fatta di interviste, incontri e laboratori con ragazzi dagli 11 ai 20 anni, i loro genitori e insegnanti. Un percorso che parte dai ragazzi, dalle scuole, luogo in cui si sente sempre più l’esigenza di affrontare un argomento spinoso come la sessualità e l’affettività in età adolescenziale, non in termini di prevenzione o dal punto di vista tecnico-scientifico ma in termini di relazione ed educazione. Utilizzando lo strumento teatro e mettendo al centro di questi incontri e laboratori il corpo, un corpo che sta cambiando, che pulsa, che chiede e cerca risposte, Enrico Lombardi e Alice Melloni sono riusciti a entrare in contatto con i ragazzi, a esplorare la loro sfera emotiva, aiutandoli ad esprimersi, a raccontare le loro emozioni, per arrivare a comprendere come i tempi sono cambiati, cosa provano oggi, quali sono i loro dubbi, le loro certezze e come vivono la loro sessualità.

 

Ci si è chiesto: esistono nodi intergenerazionali? La prima volta? L’attesa, la tensione, la sperimentazione, la scoperta di sè e dell’incontro con l’altro.  Chi sono? Come mi percepiscono gli altri? Come sono cambiato?

 

Nelle loro mani questo materiale è diventata una commedia in cui P., un trentacinquenne che ha rimosso completamente il ricordo della sua adolescenza, viene aiutato da  V., una psicoterapeuta con una “originale” terapia. Terapia in cui la Dottoressa, con provocatorie richieste, rompe più volte la quarta parete, rendendo il pubblico co-protagosta dello spettacolo che, intercettando le reazioni degli spettatori, si trasforma da una replica all’altra.

 

La scenografia firmata da Rewik Grossi fa emergere  la contrapposizione tipica adolescenziale di ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, una pianta di limoni viva e reale e uno schermo artificiale ne sono i simboli, come a volere riportare sul palco ciò che si scatena all’interno dell’animo di un adolescente: il contrasto tra il fingere di essere invulnerabile e la realtà di essere fragili.

E’ così che ha preso forma “Lemon Therapy”, una commedia leggera ma non superficiale, che non vuole solo far ridere, non pretende di dare risposte, lascia spazio alla riflessione e lancia provocazioni sul tema, senza scimmiottare o prendere in giro il mondo adolescenziale ma cogliendone l’ironia, la crudeltà e la tragicità.