Nove rom e otto italiani erano i componenti della banda di ladri. Tra di loro anche due “pensionati”: un esperto in gas esplosivi sessantunenne e un nobile torinese di 70 anni. Credevano di essersi specializzati in furti di oggetti preziosi, ma sono stati sgominati dai carabinieri. Il nobile subalpino è stato accusato di ricettazione per aver profanato la tomba della moglie

Che, alla base di tutto, si tratti di crisi non c’è dubbio. Che poi sia crisi economica o di valori è un’altra cosa. Certo la storia sembra tratta da un film della commedia all’italiana e fa sorridere amaramente. Nove rom e otto italiani erano i componenti della banda di ladri. Tra di loro anche due “pensionati”: un esperto in gas esplosivi sessantunenne e un nobile torinese di 70 anni.
Credevano di essersi specializzati in furti di oggetti preziosi, ma sono stati sgominati dai carabinieri. Il nobile subalpino è stato accusato di ricettazione. La tomba della consorte, scomparsa qualche anno fa, fu infatti profanata: gli inquirenti sono convinti che quel furto avvenne su commissione per accaparrarsi i gioielli della defunta, che riposa al cimitero di Corio.
Manca solo il grande Totò ma è una via di mezzo tra “I soliti ignoti” e “La banda egli onesti”. Anzi: “Miseria e nobiltà”.
(cb)
(Nella foto Totò in una scena di “Miseria e nobiità” di Mario Mattoli, 1954)
Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.