Redazioneweb

N’aso carià ‘d sòld, il profondo detto piemontese

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi 

N’aso carià ‘d sòld. Un modo di dire piemontese che letteralmente si traduce “un asino carico di soldi”. Il significato è profondo: si riferisce a persona che per quanto si abbellisca di orpelli, di soldi, se non arricchisce il suo animo resta comunque quel che è. “In effetti un asino anche se lo carichi di ornamenti, gioielli e lo si tappezza di banconote rimane sempre un asino

[Vedi: Piero Abrate – Pino Perrone, Modi di dire piemontesi, prefazione di Albina Malerba, disegni di Dario Allolio, Genova, Ligurpress, 2016, pp. 366].

A tu per tu con Luca Balbiano, ultima guida della famiglia che ridiede lustro alla Freisa

Rubrica a cura di ScattoTorino

Il filosofo britannico Herbert Spencer sosteneva: “L’uomo saggio deve ricordarsi che è un discendente del passato, ma anche un genitore del futuro”. Questo pensiero è condiviso dalla Famiglia Balbiano, che vanta 79 anni di storia e notorietà nel settore vitivinicolo. Le loro uve crescono in Piemonte, sulla collina torinese, e danno origine al celebre Freisa di Chieri e ad un considerevole numero di etichette che si suddividono in vini rossi, bianchi, rosati, spumanti, vini per dolci e grappe che da Andezeno, sede delle Cantine Balbiano ricche di charme e tradizione, vengono distribuite in Italia e all’estero grazie anche all’e-commerce. Perché la storia non esclude l’innovazione. ScattoTorino ha incontrato Luca Balbiano, terza generazione alla guida dell’azienda oltre che Presidente del Consorzio di Tutela delle DOC Freisa di Chieri e Collina Torinese, Cavaliere del Tartufo e dei Vini di Alba e Cittadino Onorario della Republique du Montmartre. Curioso, dinamico e attento alle sfide che il presente gli offre, da poco ha lanciato l’interessante iniziativa #stappatincasa, la campagna in diretta social per condividere l’amore per il vino anche durante la quarantena che il Covid-19 ci impone.

L’azienda vitivinicola nasce nel 1941. Ripercorriamo la sua storia?

“Il fondatore della Balbiano Melchiorre snc fu mio nonno che era un mediatore di uve e gestiva le cascine del territorio. Nel ’41 si mise in proprio e iniziò a vinificare. Molti di coloro che vivevano nelle campagne piemontesi possedevano delle terre, ma la vigna era la più laboriosa da gestire e raggiungere un buon risultato era punto di orgoglio. La parte del Piemonte in cui operiamo è spesso conosciuta per la propensione alla meccanica e alla meccatronica, ma la grande espansione viticola sulla collina di Torino è stata la culla di molte varietà autoctone già citate in scritti di 500 anni fa. Il primo documento storico che parla di Freisa, ad esempio, è una bolla doganale di Pancalieri del 1517. Con l’avvento di mio padre Francesco in azienda, nella metà degli anni ‘70, c’è stato un innalzamento della qualità a scapito della quantità. Il concetto su cui ha puntato era: bere meno, ma bere meglio. Si è passati dal vino sfuso nella damigiana al vino in bottiglia, si è posta maggiore attenzione alla vigna e alla cantina e c’è stata una rivoluzione tecnologica per cui la vinificazione veniva fatta a temperatura controllata e si impiegavano fondi per le ricerche scientifiche in modo da conoscere meglio il vino del territorio. In quegli anni abbiamo trasferito la sede da Andezeno a quella che era la casa di campagna di famiglia, una villa del 1700 che oggi ospita la cantina di produzione, la cantina di invecchiamento e il Museo Balbiano. Io mi sono laureato in giurisprudenza nel 2006, ma lavoravo già in azienda durante gli studi. Desideravo continuare la tradizione dei Balbiano, consapevole che fare il vignaiolo è una professione difficile dove non ci sono week end e neppure vacanze. Ho appreso le dinamiche di questo mondo vivendolo, ma l’università mi ha permesso di avere una visione diversa del settore. Come mio padre e mio nonno, ho sempre amato coltivare passioni diverse che nel tempo sono servite per il mio lavoro e che oggi mi aiutano, in qualche caso, anche per apportare delle innovazioni”.

Una delle vostre eccellenze è la Freisa di Chieri

“Abbiamo scelto di vinificare solo vitigni autoctoni, soprattutto la Freisa che nel chierese trova la sua sede storica e che un tempo era uno dei vitigni più diffusi in Piemonte. Le difficoltà di vinificazione l’hanno reso meno modaiolo per cui la nostra è stata una scelta un po’ donchisciottesca, ma volevamo una varietà che raccontasse la storia delle nostre terre. Con mio padre c’è stata la grande trasformazione che ha salvato la Freisa dal rischio di scomparire dal panorama vitivinicolo piemontese, che in quegli anni si proiettava su qualità più gentili come Barbera e Dolcetto perché erano più facili da coltivare. La Freisa per secoli è stato un vitigno di supporto ad altre varietà, ad esempio al Nebbiolo con il colore. Era un vitigno da taglio, per cui l’altra grande operazione di mio padre è stata la rinascita del blasone Freisa che è sempre stato poco amato dall’intellighenzia vinicola piemontese. È stato un percorso complesso portarlo all’attuale rango, ma oggi il comparto Freisa rappresenta il 2% della produzione locale ed è entrato nei salotti buoni grazie a papà e agli altri viticoltori. In Italia è più difficile sradicare la sua nomea, ma il pubblico giovane è interessato a scoprirlo e siamo contenti di averlo preservato dal suo declino. Siamo una delle cantine pioniere”.

Tradizione fa rima con innovazione?

“Ho sempre avuto interesse per la tecnologia e cerco di applicare le dinamiche moderne ad un mondo che per certi versi è ancora legato al passato e alla storia. Infatti il vino si produce più o meno sempre nello stesso modo da secoli. A me piace andare oltre le abitudini, soprattutto nella comunicazione. Non si può parlare ad un trentenne con un linguaggio aulico e i millennial hanno un accesso rapido alle informazioni, verificano, vogliono essere consigliati dai coetanei e il dialogo con loro deve essere diverso. Rispetto al cibo, che ha un’esposizione mediatica notevole grazie anche ai format televisivi, il vino non parla al grande pubblico. Il nostro racconto è quindi più arretrato, ma si può attualizzarlo, ad esempio è possibile comunicare in modo targetizzato in base all’età. I social network hanno un ruolo importante in questo senso, ma sarà sempre più fondamentale che i produttori ci mettano la faccia e comunichino in modo diretto. La strada da fare è ancora lunga perché occorre mettere in gioco certezze cristallizzate, ma ogni produttore nel suo piccolo può fare la differenza e nei prossimi anni vincerà la sfida”.

Grazie a voi Vigna della Regina è una delle pochissime vigne urbane del mondo. Come è nato questo progetto?

“È un pezzo di cuore perché è il primo progetto che ho seguito in prima persona, dal 2004 quando è nato. È un lavoro entusiasmante perché all’inizio sembrava una missione quasi impossibile. Come sa, Villa della Regina è stata ripresa da uno stato di abbandono e ci sono voluti 10 anni per restaurarla. L’architetto Fontana, persona di grande visione, voleva che tornasse alla sua vocazione agricola ed essendo nostro cliente, ci ha contattati per avere un’opinione sulla fattibilità del progetto. Siamo andati a fare la supervisione al versante nord della proprietà in un giorno cupo di novembre e vedendo dove l’architetto voleva che crescesse la vigna, eravamo propensi a non accettare la sfida. Il tempo di andare dalla Villa in azienda e lo abbiamo chiamato per dare la nostra disponibilità.

Per mesi abbiamo fatto le analisi dell’aria, dell’acqua, delle falde e abbiamo cercato di capire cosa fosse stato piantato in passato. Siamo riusciti a recuperare alcune radici che sono state studiate da Anna Schneider, una delle più grandi ampelografe italiane, e dal Professor Vincenzo Gerbi della facoltà di Agraria dell’Università di Torino e pare che un tempo in quelle terre ci fosse proprio la Freisa. Così abbiamo reimpiantato 2700 barbatelle di Freisa nel 2005, nel 2009 c’è stata la prima vendemmia e dal 2011 il vigneto di Villa della Regina è a Denominazione di Origine Controllata, oltre che uno dei pochi vigneti urbani. È stato complicato e faticoso, ma ci siamo riusciti. L’orgoglio di ridare a Torino il suo unico vino è stato importante. La vigna è sotto la tutela del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’azienda Balbiano lo gestisce per conto del Ministero per cui sappiamo che, allo scadere del contratto, potremmo perdere questo ruolo, ma non importa perché questo vino è un distillato d’amore in bottiglia”.

In questi giorni di quarantena lei ha ideato #stappatincasa. Di cosa si tratta?

“È un’operazione di azione-reazione. Il 9 marzo, dopo il discorso del Presidente Conte alla nazione, ho pensato che non volevo rimanere passivo nei confronti della situazione e mi sono chiesto cosa potevo fare per essere di aiuto. Lavorando nel settore vitivinicolo so che il nostro è un mondo fatto di socialità: il vino è un collante importante che spesso viene consumato in compagnia. Con lo stop forzato delle attività si rischiava di fermare il racconto del vino, che è fortemente legato al territorio, alle epoche e alle persone.

Con la nostra azienda ho sempre cercato di portare avanti una comunicazione che raccontasse le emozioni, perché altrimenti il vino sarebbe solo una bevanda. Avendo il tempo, il mattino dopo ho registrato un video dove invitavo i colleghi e gli appassionati che hanno un feeling con il vino a realizzare un video o una diretta per raccontare una bottiglia del cuore legata ad un ricordo. L’idea era potenzialmente semplice, ma ha avuto un enorme riscontro e in pochi giorni migliaia di persone hanno iniziato a seguire le pagine Facebook e Instagram. Sono contento perché vuol dire che questo tipo di approccio ha un senso e che la passione per il vino è vera”.

Qual è lo step successivo di #stappatincasa?

“Una campagna di raccolta fondi per la Croce Rossa di Bergamo perché abbiamo amici e colleghi della zona che ci raccontano le grandi difficoltà che purtroppo stanno vivendo. Abbiamo chiesto alle circa 60 cantine che fanno parte del progetto di offrire degustazioni nelle loro strutture. Chi donerà più di 10 euro per la CRI di Bergamo riceverà in cambio una degustazione: un’occasione per fare del bene, per degustare – quando si potrà uscire – vini di qualità, e per aiutare il comparto a ripartire”.

Torino per lei è?

“Per me è senso di appartenenza. Senza questo legame per il territorio e per la città un’operazione come la vigna di Villa della Regina non l’avrei mai intrapresa. Questo mix tra l’understatement sabaudo e l’orgoglio di voler fare qualcosa di unico e lasciare un piccolo segno nel grande libro di Torino ha spinto mio padre e me a fare cose che forse non avremmo fatto. Il mio è un legame vero, fisico, viscerale che mi rende orgoglioso e che mi porta a parlare di Torino e della mia terra prima ancora che dei miei vini. Credo infatti che sia importante raccontare la provenienza di qualcosa prima della cosa stessa”.

Un ricordo legato alla città?

“Se chiudo gli occhi e penso a Torino vedo la vigna di Villa della Regina con la Mole sul fondo e le montagne e in quel ricordo è sintetizzata la storia della città e la voglia di rinascere. Un po’ come la vite che ogni volta nasce, cresce, dà i suoi frutti poi si ferma per ricominciare, anche Torino ha saputo covare sotto la cenere la sua bellezza ed ora è pronta a farsi vedere. L’understatement sabaudo rischia di svalutare ciò che abbiamo, ma in realtà a noi Torinesi non manca nulla. Forse in questo momento dobbiamo rivedere le nostre idee e capire che ci sono tantissime cose vicino a noi che parlano di storia, arte, tradizione millenaria e non sono affatto scontate”.

La vigna Balbiano, accanto a Villa della Regina, che guarda Torino dalla collina

Coordinamento: Carole Allamandi

Intervista: Barbara Odetto

Le rolatine in crosta de La Cuoca Insolita

Non so voi, ma io mi sto organizzando per preparare il pranzo di Pasqua senza bisogno di uscire di casa a fare la spesa. La cosa più divertente è scoprire che si possono preparare da zero tanti piatti deliziosi, a casa propria, con ingredienti semplici, quasi sempre già nella dispensa. Nella grande difficoltà che tutti noi stiamo vivendo in questi mesi, la cucina può essere un bel momento di condivisione con la famiglia. E così sarà anche la Pasqua, che auguro a tutti di festeggiare in modo sereno, tra le mura di casa propria, resistendo alla tentazione di uscire. E gli agnellini, almeno con questa ricetta, saranno stati risparmiati!

Tempi: Preparazione 1 ora; Cottura 30 min

Attrezzatura necessaria: Tagliere e coltello a lama liscia, robot mixer tritatutto, leccapentole, 2 ciotole di medie dimensioni, pellicola da cucina, teglia da forno, matterello, rotella per losanghe (non essenziale)

Difficoltà (da 1 a 3): 2

Costo totale: 4,40 € (3,60 €/kg)

Ingredienti (4 rolatine da 150 g cad):

Per la pasta brisée

  • Farina manitoba – 75 g
  • Olio di oliva – 2 cucchiai
  • Acqua + vino bianco – 25 g in tutto (metà e metà)
  • Lievito di birra secco – 1 g
  • Sale fino – 3 pizzichi

Per l’impasto del polpettone

  • Ceci cotti e sgocciolati – 130 g
  • Noci sgusciate – 40 g
  • Verdure cotte – 40 g (finocchi e carote)
  • Uovo intero miscelato – 40 g
  • Cipolla – 40 g + Aglio – 1 pezzetto piccolissimo (1 g)
  • Olio e.v.o. – 15 g
  • Rosmarino (1 rametto) e prezzemolo fresco tritato (2 cucchiai)
  • Sale fino (1/2 cucchiaino) e pepe
  • Farina di semi di lino – 55 g
  • Farina di mais – 35 g

Per completare la rolata

  • Spinaci in padella – 160 g
  • Parmigiano – 4 cucchiai
  • Olio extra vergine – 4 cucchiai
  • 1 rosso d’uovo

Per completare il piatto

  • Patate – 500 g

1 rametto di rosmarino, olio e sale

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: 236 Kcal/100 g (escluse le patate)
  • Oltre alla soddisfazione di aver fatto tutto voi, andate a vedere su un’etichetta qualsiasi di un prodotto industriale quanti conservanti e additivi ci sono.  In questa ricetta non ne avete neanche uno.
  • Le noci sono ricche di Vitamina E, utile a contrastare la formazione dei radicali liberi.
  • Grazie alle noci e ai semi di lino, ci garantiamo la dose giornaliera raccomandata (RDA) di acidi grassi Omega 3 (la stessa quantità in un filetto di salmone) = riduzione del rischio di malattie cardiovascolari.
  • In 100 g di impasto delle rolatine c’è una quantità di fibre circa 3-4 volte superiore rispetto a 100 g di una carota. Aggiungete anche gli spinaci e saranno ancora di più!

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/).

In caso di allergie…

Allergeni presenti: Cereali contenenti glutine, latte, uova, anidride solforosa e solfiti (da vino bianco)

Preparazione

FASE 1: LA PASTA BRISEE

Mescolate tutti gli ingredienti tranne il sale fino ad ottenere una palla omogenea. Aggiungete quindi il sale e mescolate ancora per un minuto. Chiudete in un foglio di pellicola e fate riposare per mezz’ora a temperatura ambiente.

Fase 2: L’IMPASTO DELLE ROLATINE

Se avete un robot con una buona potenza, potete preparare in casa la farina di semi di lino. Strappate le foglioline di rosmarino dal gambo e tagliatele a piccoli pezzetti con un coltello a lama liscia. Nel contenitore del robot mixer mettete tutti gli ingredienti tranne le farine (di lino e di mais). Tritate a massima velocità fino ad ottenere un composto cremoso (va benissimo che resti qualche pezzetto intero). Aggiungete la farina di semi di lino e la farina di mais e mescolate ancora con il robot. L’impasto dovrà risultare morbido ma non appiccicoso. Se necessario, aggiungete altra farina di semi di lino o di mais. Lasciate riposare per 15 minuti circa.

FASE 3: IL MONTAGGIO DELLE ROLATINE E LE PATATE

Tritate grossolanamente gli spinaci già cotti in modo che non siano filosi. Dividete la palla di pasta brisée in 4 parti uguali e formate con il matterello 4 fogli più o meno quadrati. Con la rotella per losanghe create una maglia e aprite i fori in modo regolare.

Dividete in 4 pezzi uguali l’impasto delle rolatine e ponetene una parte alla volta in un foglio di pellicola: con le mani schiacciate l’impasto per formare un rettangolo di circa 10 x 15 cm. Ripetete l’operazione per ogni pezzo. Distribuite gli spinaci sulla superficie di ogni rettangolo di impasto delle rolatine, spolverate con il parmigiano, un filo d’olio e una macinata di pepe.

Ora arrotolate ogni rettangolo su sé stesso e con le mani sigillate le due estremità del rotolo, formando una rolatina. Avvolgetela ora con la maglia di pasta brisée, che chiuderete nella parte inferiore, eliminando l’esubero di pasta con un coltello. Spennellate la pasta brisée con il rosso d’uovo.

Spelate le patate e tagliatele a cubetti piccoli (2 cm). Se possibile mettetele a bagno per 30 min in modo che rilascino parte dell’amido. Scolatele e asciugatele.

FASE 4: LA COTTURA

Accendete il forno a 190° C in modalità statica. Disponete in una teglia da forno le patate, condite con olio, rosmarino e sale e le rolatine in crosta. Cuocete per 30 minuti circa. Se la pasta brisée non è ben cotta nella parte inferiore, girate le rolatine e cuocete ancora per qualche minuto.

CONSERVAZIONE

In frigorifero: 4-5 giorni (cotti)

Nel surgelatore: 3-6 mesi (da crudi)

Chi è La Cuoca Insolita

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog (www.lacuocainsolita.it) e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina https://www.lacuocainsolita.it/consigli/corsi/

Le parole tradizionali della Settimana Santa

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi 

Prendiamo da Alberto Viriglio, Voci e cose del vecchio Piemonte (prima edizione Lattes 1917, ultima Viglongo, 1992), alcune parole tradizionali della Settimana Santa:
‘l di che le fomne a comando /il giorno in cui comandano le donne: Martedì Santo
‘l di dël përdon/il giorno del perdono: Giovedì Santo, giorno dedicato alle visite del Sepolcro allestito nelle chiese.
la mëssa suita, la messa del Venerdì Santo, senza rintocchi di campane;
ma i ragazzi scuotono le cantaran-e (Raganelle)
…fino al Sabato Santo quando risuoneranno liete le ciòche dël Glòria!

Chi è Andrea Marangione, da talento di famiglia a imprenditore gentleman

Rubrica a cura di ScattoTorino

Giovane e talentuoso, Andrea Marangione si è laureato in Business Administration presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino e ha trascorso un periodo di formazione anche presso la University of Brighton. La prima esperienza lavorativa è in un’azienda di famiglia, la Maider NCG, oggi leader in Italia nella creazione di soluzioni su misura per l’industrial packaging sostenibile. Dopo alcuni anni di trasferisce negli Stati Uniti, dove, per conto della multinazionale Mauser Packaging Solutions, ha ricoperto il ruolo di project manager. Contemporaneamente si è specializzato in business development dividendosi tra Chicago, Houston, Charlotte e New York. Nel 2014 è tornato in Italia in qualità di CEO di Maider NCG, avviando contemporaneamente una diversificazione delle attività della Holding. Last but not least, Andrea Marangione è Vicepresidente del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale di Torino e socio del Club degli Investitori di Torino. Versatile e curioso, questo gentleman contemporaneo non vive di solo business e pratica sci, corsa e tennis, ama l’enogastronomia, la lettura ed è attento al sociale.

Maider NCG è da sempre un’azienda innovativa. Ce la presenta?

“La società fu fondata da mia madre nel febbraio del 1990 per sviluppare il business del ricondizionamento di contenitori industriali. Maider è stata il primo esempio di economia circolare nel settore dell’industrial packaging in Italia e in Europa: sino ad allora il prodotto era un rifiuto che comportava elevati costi di smaltimento e problematiche legate all’ingombro. Lei invece ebbe l’idea di recuperare gratuitamente questi imballaggi e riutilizzarli. Nel 2006 Maider diventa Maider NCG, società dedicata esclusivamente al ricondizionamento di imballaggi industriali, un business ecosostenibile in forte crescita. Nel 2011 la multinazionale leader nell’industrial packaging, Mauser Packaging Solutions, è entrata in Maider NCG”.

Intervista a Andrea Marangione - CEO di Maider Holding

Maider Holding opera in diversi settori: quali?

Industrial, real estate, venture e private equity. Maider NCG rappresenta il business storico di famiglia ed è un’azienda nella quale crediamo e investiamo molto: conserviamo il 100% del management e abbiamo un socio molto forte che ha la nostra stessa vision. Sin dagli esordi diamo grande importanza alla ricerca e allo sviluppo per l’implementazione di nuovi sistemi e linee produttive tecnologicamente d’avanguardia nel campo dell’industrial packaging. Inoltre stiamo portando avanti una crescita per linee esterne che è rivolta ad aziende che operano in aree geografiche diverse dalla nostra. Il settore del real estate abbiamo iniziato a svilupparlo nel 2011 tramite conoscenze famigliari e professionali presenti a Torino, a Milano e in Liguria; successivamente anche noi abbiamo lanciato alcune iniziative immobiliari in cui siamo stati operating partner. Nel settore del real estate siamo presenti in Italia, Miami, Panama e San Paolo.  Nel contempo, grazie al network di contatti professionali che via via si stava ampliando, abbiamo potuto perseguire anche opportunità di investimento nel settore del venture capital e del private equity, sia su aziende giovani sia su aziende più strutturate, tutte con una forte ambizione di crescita. Da oltre quattro anni, Maider opera in questo campo utilizzando sia capitali propri sia coinvolgendo altri partner/investitori. Per ampliare questo business, insieme a tre professionisti di lunga esperienza, sia advisor sia manager, ho recentemente fondato Net4Capital, un’origination company di private equity e venture capital. Ricapitolando, Maider è una holding company di famiglia attiva, per tramite delle varie partecipate, nell’industrial packaging, nel real estate, nel private equity e nel venture capital”.

Il vostro pay off è: Evaluating opportunities. Approfondiamo questo tema?

Maider fa della capacità relazionale il suo punto di forza. Siamo quotidianamente impegnati a costruire un network cui contribuire e da cui poter trarre vantaggio. Valutiamo opportunità di qualsiasi natura, in qualsiasi settore, purché non vadano in contrasto con i nostri principi etici e morali”.

Vi occupate anche di ecosostenibilità. In che modo?

Maider NCG è stato il primo esempio in Italia e in Europa di economia circolare nell’industrial packaging. Un contenitore industriale che viene riutilizzato evita che nell’ambiente siano introdotte nuove materie prime plastiche o ferrose; questo può essere riutilizzato 6 o 7 volte, per cui estendiamo fortemente il suo ciclo di vita.

Andrea Marangione

Oggi le multinazionali, che sono oltre il 70% della nostra customer base, utilizzano i nostri contenitori ricondizionati, i quali non comportano emissione di CO2 nell’atmosfera. Crediamo fortemente nelle imprese innovative e secondo questa convinzione investiamo. Un esempio è ReMat, società fondata da studenti del Politecnico, che si occupa di produrre e commercializzare semilavorati derivati dal riciclo di grandi imbottiti e dagli sfridi della lavorazione del foam”.

Partnership significa?

Significa fiducia, capacità di coltivare relazioni e condivisione di valori. Maider parte dalle persone che sono alla base di ogni opportunità di business”.

Come supportate la crescita dei partner?

Con il capitale, con la competenza diretta e indiretta, e con il network, che oggi più che mai è un valore aggiunto. Affinché le aziende e i progetti in cui investiamo godano di vantaggio competitivo, mettiamo a loro disposizione ogni strumento di cui disponiamo”.

Torino per lei è?

Una bellissima signora, molto elegante, una città meravigliosa. In passato ha vissuto una fase di boom economico, ma si è affidata troppo a una specifica industria e non ha saputo diversificare e inventare altre opportunità. Negli ultimi anni sta cercando di colmare questo gap con la tecnologia, che riflette le sue eccellenze, ma il potenziale da esprimere è ancora tanto. Torino ha una vocazione turistica molto forte che al momento non viene valorizzata. Siamo circondati dalle montagne, tra le più belle al del mondo, siamo relativamente vicini al mare, vantiamo una tradizione enogastronomica forte e un patrimonio artistico importante, ma, per una certa pigrizia intellettuale, la città stenta a crescere. Mancano forse un po’ di brio e la voglia di rischiare”.

Un ricordo legato alla città?

Le Olimpiadi del 2006. I Piemontesi sono orgogliosi di ciò che fanno e di come lo fanno. Quella fu una bellissima dimostrazione di come sanno fare squadra quando c’è un obiettivo comune da perseguire: far conoscere Torino al mondo e mostrare la bellezza del nostro territorio. Ho avuto la fortuna di lavorare per quell’evento e ricordo la felicità negli occhi dei visitatori, nello scoprire la città, così come quella nei nostri occhi nel mostrarla. Mi è spiaciuto che le istituzioni non abbiano voluto concorrere alle Olimpiadi del 2026 perché il capoluogo e il Piemonte hanno le strutture e questa sarebbe stata un’ottima opportunità per riqualificarle”.

Coordinamento: Carole Allamandi

Intervista: Barbara Odetto

Croissants di pasta brisée alle zucchine

Rubrica a cura de La Cuoca Insolita

Eh sì, in questi giorni non possiamo raggiungere il nostro adorato bar per fare colazione. Dobbiamo affrontare il “problema” con una soluzione casalinga. Ecco quindi la ricetta dei croissants alle zucchine di pasta brisée. Per non rinunciare al piacere delle cose buone, in questi giorni difficili. Croissants salati, perfetti a colazione o per uno spuntino, anche per i bambini. Buoni come quelli del bar, ma con il 35% di grassi e calorie in meno. Ci sono riuscita sostituendo il latte, il burro e le uova con altri ingredienti… insoliti. Se a casa vi manca qualche ingrediente, non c’è problema: vi ho messo anche delle alternative!

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Rispetto ad un croissant “industriale”, farcito con salumi, la ricetta della Cuoca Insolita ha il 72% in meno di grassi saturi (un buon motivo per sostituire il burro con l’olio ) e il triplo di fibre.
  • Bene quindi per tenere a bada il colesterolo alto!
  • Questi croissants alle zucchine di pasta brisée sono senza burro, senza uova e senza formaggio. Eppure buonissimi!

Qualche curiosità sulla Canapa sativa: è perfetta per preparare il latte di canapa in ricette salate (guardate qui come ho fatto io) ed è piena di proprietà benefiche: potente antinfiammatorio, è composta per il 20-25% circa da proteine che contengono tutti gli otto aminoacidi essenziali (quelli che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare da solo per comporre le proteine che servono per tutte le funzioni vitali). Nei semi di Canapa sativa il rapporto tra gli acidi grassi precursori degli Omega 6 e degli Omega 3 è di circa 3:1, che è considerato il rapporto ottimale secondo le più recenti ricerche scientifiche. I semi di canapa sono composti da 25-30% di fibre.

Tempi: Preparazione (40 min); Lievitazione (30 min), Cottura (10 min per ripieno + 20 in forno)

Attrezzatura necessaria: Robot mixer tritatutto (non essenziale), contenitore rotondo di medie dimensioni, tagliere e coltello a lama liscia o mandolina, padella da 24 cm diametro, casseruola piccola, mattarello da 40 cm, grosso tagliere di legno o tappetino in silicone 40 x 60 per stendere la pasta brisée (non essenziali), cucchiaio di legno, frusta.

Difficoltà (da 1 a 3): 2

Costo totale: 2,64 € (4,44 €/kg)

Ingredienti per 8 croissants:

Per la pasta brisée:

  • Farina manitoba – 75 g
  • Farina di farro tipo 1 (o altra farina adatta alla panificazione) – 75 g
  • Olio di girasole o di oliva – 3 cucchiai
  • Acqua – 55 g
  • Sale fino integrale –5 pizzichi
  • Lievito di birra disidratato – 1 cucchiaino da caffè (o lievito di birra fresco)
  • Semi di sesamo – 2 cucchiai

Per il ripieno di verdure:

  • Zucchine pulite – 85 g
  • Tofu (o ricotta) – 70 g
  • Porro (o scalogno o cipolla) – 20 g
  • Olio e.v.o. – 1 cucchiaino
  • Zenzero in polvere – 1/4 di cucchiaino
  • Sale fino integrale – 3 pizzichi abbondanti

Per la besciamella:

  • Latte di soia o di canapa (o di mucca) – 125 g
  • Farina di farro integrale (o altra farina) – mezzo cucchiaio
  • Olio e.v.o. – 1 cucchiaio
  • Sale fino integrale – 4 pizzichi
  • Lievito alimentare in scaglie (o parmigiano) – 1,5 cucchiai

Per la doratura dei cornetti:

  • Latte di soia – 50 g
  • Malto di orzo – 1 cucchiaino (20 g)
    (Oppure spennellato con rosso d’uovo)

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link.

In caso di allergie…

Allergeni presenti: Cereali contenenti glutine, soia, sesamo

La cuoca insolita CroissantsPreparazione dei croissants

FASE 1: LA PASTA BRISEE

Mescolate tutti gli ingredienti (tranne i semi di sesamo) in una terrina rotonda e impastate per 2-3 minuti. Lasciate riposare l’impasto, coperto da un canovaccio, per circa 30 minuti.

FASE 2: LE VERDURE DEL RIPIENO

Sbriciolate a pezzettini molto piccoli il tofu con il robot tritatutto o con le mani. Lavate e tagliate le zucchine a fiammifero, in pezzetti lunghi circa 2-3 cm.

Nella padella mettete l’olio a scaldare a calore sostenuto. Intanto tagliate il porro finemente e fatelo rosolare nell’olio caldo. Quando ha preso colore versate un dito d’acqua e lasciate evaporare completamente. Versate nella padella il tofu e fatelo insaporire per 3 minuti. Aggiungete le zucchine e mescolate. Abbassate il fuoco e fate cuocere per 5 minuti, girando ogni tanto. Verso la fine aggiungete il sale e lo zenzero.

FASE 3: LA BESCIAMELLA

In un pentolino mettete olio e farina e sale e amalgamateli tra loro. Scaldate il latte a parte e versatelo a poco a poco nel mix di farina e olio. Intanto mescolate con la frusta in modo che non si formino grumi. Unite quindi il resto del latte e mettete a cuocere a calore moderato fino a quando la besciamella inizia ad addensarsi (ci vorranno un paio di minuti al massimo). Spegnete il fuoco, aggiungete il lievito alimentare in scaglie e date un’ultima mescolata. Unite la besciamella alle verdure del ripieno (in proporzione circa 1:1).

FASE 4: STENDERE LA PASTA BRISEE E PREPARARE I CORNETTI

Disponete farina in abbondanza sul tagliere o sul tappetino di silicone (se non avete nessuno dei due, basta un piano di lavoro ben infarinato). Spolverate quindi con i semi di sesamo (vedi ingredienti pasta brisée) e stendete la pasta brisée (tutta in una volta per una porzione da 6 croissants), cercando di darle una forma rotonda. La pasta dovrà essere stesa sottile il più possibile (circa un disco da 40 cm diam). Con un coltello tagliate la pasta in 8 spicchi.

Disponete nella parte superiore di ogni spicchio il preparato per il ripieno (verdure e besciamella già mescolate). Bagnate i lati lunghi del triangolo con dell’acqua (o del rosso d’uovo). Chiudete il triangolo, cercando di non stringere troppo la parte in cui c’è il ripieno (gonfierà durante la cottura). Lasciate riposare i cornetti per almeno 2-3 ore in forno spento e chiuso, mettendo dentro un pentolino con dell’acqua bollente. Il volume dovrà quasi raddoppiare.

In una ciotolina sciogliete il malto d’orzo nel latte di soia e spennellate la superficie dei cornetti. A fine cottura resteranno dorati, quasi come se aveste usato il rosso d’uovo!

FASE 5: LA COTTURA

Fate cuocere a 170° C (ventilato) per 25 minuti.

Chi è La Cuoca Insolita

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

 

Chi è Cristina Di Bari, imprenditrice e attenta al sociale

Rubrica a cura di ScattoTorino

Cristina Di Bari è un’imprenditrice di successo che sa unire testa e cuore. La passione per il lavoro, trasmessa prima dal papà Nicola e poi dallo zio Giovanni Cottino, unita alla costanza e all’impegno in qualsiasi progetto la veda protagonista, sono il leit motiv della sua vita. Dopo gli studi, a 25 anni subentra al padre nella conduzione dell’azienda che operava nel settore del commercio e nel 1994 è chiamata dallo zio a creare e dirigere un’altra azienda di famiglia, la TRA.SMA Spa che si occupa di produzione di fili di rame trafilati, della quale oggi è Socio e Amministratore Unico.

Infaticabile ed entusiasta, ricopre con successo altri ruoli apicali: è infatti Vice Presidente della Fondazione Giovanni ed Annamaria Cottino, del Cottino Social Impact Campus e di Unionchimica Torino, è Membro del Comitato di indirizzo della Fondazione CRT, Consigliere di Amministrazione di Corep e Confapifidi oltre che Membro della Commissione Finanza di Confapi nazionale. Imprenditrice, donna sensibile e attenta al sociale. Cristina Di Bari agisce con etica e savoir-faire in tutti i settori e crede fermamente che il futuro si costruisca oggi.

TRA.SMA S.p.A., della quale è Amministratore Unico, opera ponendo attenzione alle politiche ambientali e sociali. In che modo?

“Io appartengo alla seconda generazione di questa azienda, che è un’eccellenza nel suo settore. È infatti una delle prime tre in Italia e una delle prime cinque in Europa. Nella gestione della società ho avuto la fortuna di poter esprimere non solo attenzione al profitto economico, essenziale per ogni impresa, ma anche alle politiche ambientali e sociali. Da 20 anni abbiamo ottenuto la certificazione ambientale e in azienda ormai è una prassi collaudata per tutti operare nel rispetto di tali norme.

Cristina Di Bari Imprenditrice

Abbiamo poi installato due cogeneratori per l’autoproduzione di energia elettrica da gas metano ottenendo efficienze energetiche anche per il riscaldamento ed il raffrescamento dello stabilimento e degli uffici, ma siamo orgogliosi di poter attuare anche una significativa politica di inclusione sociale. Collaborando con il Sermig di Torino, e grazie alla sensibilità sviluppata all’interno del team, abbiamo oggi presenti in azienda lavoratori di tante etnie diverse– filippini, rumeni, africani, italiani – e abbiamo sperimentato anche l’inclusione di detenuti in semilibertà. È una bella soddisfazione offrire l’opportunità a noi e ai nostri dipendenti di convivere con persone di altre culture e diversi stati sociali”.

Ci presenta la Fondazione Cottino, della quale è Vice Presidente?

La Fondazione nasce nel 2002 per volontà dei miei zii Annamaria Di Bari e Giovanni Cottino per realizzare l’ideale di restituzione rispondendo ai bisogni semplici del territorio in termini di assistenza ai più deboli. E’ stato poi avviato un percorso evolutivo verso la così detta filantropia strategica che, ispirandosi a modelli imprenditoriali a noi cari, mira a essere propulsore di sviluppo. Questo tipo di filantropia opera in tre diverse aree: Formazione Trasformativa, Charity e Territorio, Ricerca & Innovazione.

Rispetto alla prima area, l’iniziativa più recente e rilevante è l’istituzione del Cottino Social Impact Campus che è il primo campus in Europa dedicato ad un’offerta formativa innovativa per la creazione di worldmakers for social impact. L’area Charity & Territorio è quella che costituisce da sempre il DNA del nostro ente. Operiamo direttamente e sosteniamo organizzazioni che agiscono sul territorio a favore dei più fragili per il bene delle famiglie, dei bambini e degli anziani. È l’area di tanti interventi tra i quali quelli della ricostruzione, dopo il sisma del 2016, della scuola dell’infanzia del Comune di Loro Piceno e della costruzione, nel 2018, del nuovo oratorio Onda Giovane Salus di Torino. Innovazione e Ricerca, infine, è l’area di focus che vede la Fondazione Cottino direttamente coinvolta nel percorso di sviluppo: dall’idea all’impresa. Attraverso molteplici strumenti e forme di intervento, l’obiettivo è quello di promuovere e sostenere progetti imprenditoriali che con l’innovazione tecnologica e la ricerca siano in grado di valorizzare il capitale umano, la sostenibilità e l’impatto sociale. È l’area del fare e del fare impresa, del Premio Applico, di H4O (Hackathon for Ophthalmology) e dell’Ospedalizzazione a Domicilio (OAD)”.

Il Cottino Social Impact Campus è un progetto nuovo: di cosa si tratta?

“Sono due le anime innovative in gioco ed entrambe hanno in comune il modello di intervento di stampo imprenditoriale. Una è relativa alla costruzione del futuro Cottino Learning Center del Politecnico di Torino, un centro di quasi 4.000 mq che verrà realizzato all’interno della Cittadella politecnica con un esempio innovativo di progettazione e realizzazione condivisa pubblico-privato e l’altra è relativa alla realizzazione di un Social Impact Campus che sarà il primo centro in Europa ad occuparsi di Impact Education”.

La filosofia del Campus si basa sulla cultura trasformativa. Approfondiamo il tema?

“Si tratta di un progetto attraverso il quale generare un cambiamento sistemico attraverso la cultura. Vogliamo contribuire a formare giovani, imprenditori, manager, professionisti e organizzazioni in grado di rispondere alle sfide sociali contemporanee e immaginare nuove soluzioni. Vogliamo portare una cultura – oggi di nicchia – ad essere di massa per generare un vero cambiamento. Attraverso un percorso di apprendimento e sperimentazione unico ed altamente distintivo, il Campus Cottino formerà queste figure dotandole di nuovi strumenti, metodologie e prospettive perché sappiano produrre nei rispettivi ambiti di lavoro un impatto sociale positivo.

Vogliamo offrire una visione che coniughi la redditività economica alla sostenibilità economica, ambientale e soprattutto sociale. Non si tratta di classiche lezioni in aula, ma di reali esperienze dove la teoria si integra alla pratica con progetti concreti su cui docenti e studenti si confrontano. Grazie alle partnership strategiche con il Politecnico di Torino, l’Opera Torinese del Murialdo, Social Fare e anche con Torino Social Impact, Assifero, EVPA, ESCP Business School – realtà tutte eccezionali e di esposizione internazionale per una proposta ben oltre i confini locali – svilupperemo veri e propri Impact Leader”.

Da imprenditrice, qual è il suo ruolo nel direttivo di APID?

“Sono molti i miei impegni associativi sia a livello locale che nazionale. Per più di 8 anni sono stata Vice Presidente Vicario di Api Torino e oggi sono parte della governance a livello nazionale. Apid è il luogo dove ho mosso i primi passi associativi e dove ho sperimentato l’importanza ed il valore del dialogo, del confronto e della rete tra imprenditori condividendo le parole della past President Giovanna Boschis: “da soli siamo invisibili, insieme siamo invincibili”.

Noi donne abbiamo un’incredibile innata capacità di fare le cose bene e velocemente e più di altri abbiamo la sensibilità, il coraggio e la resilienza per affrontare i cambiamenti e gestire la rivalità. Il mio ruolo è fare squadra ed essere complementare per lo studio e la realizzazione dei progetti, ma anche fare squadra per condividere momenti di socialità e divertimento”.

Quali sono le parole chiave per la Torino di domani?

Cristina Di Bari ImprenditriceInnovazione tecnologica e sociale, formazione, investimenti. Torino deve diventare un laboratorio di innovazione grazie ai nuovi progetti creati in sinergia sul territorio tra università, imprese e fondazioni. Abbiamo delle eccellenze rappresentate dalle Università e dal Politecnico di Torino che devono essere implementate per offrire una formazione nuova come la making school e come gli Itis professionali, perché oggi c’è bisogno di nuove figure. Occorre anche attrarre nuovi investimenti per far sì che la città possa offrire lavoro, e quindi residenza, ai tanti che popolano le nostri eccellenti università in modo che possano restare, mettere su famiglia e vivere in un contesto ottimale dal punto di vista sociale e ambientale. Come imprenditrice credo che occorra creare una Torino nuova che punti sulla cultura e sul rilancio attraverso grandi eventi che attraggano il turismo”.

Torino per lei è?

È la mia casa. Qui c’è la mia grande famiglia. Ci sono mio marito Nicola, mio figlio Edoardo, mia mamma, i miei nipoti, i cugini e i diversi parenti. Qui ho mosso i primi passi imprenditoriali seguendo le orme di mio padre prima e di mio zio successivamente. Ho avuto modo, grazie ai miei impegni istituzionali, di vedere Torino sotto tanti aspetti: imprenditoriale, culturale, politico, sociale. Questa è una città che ha radici solide nei suoi cittadini e un potenziale di sviluppo e di crescita enorme. È sempre stata un grande incubatore di innovazione: basta pensare alle tante cose che sono nate a Torino e a quelle che ancora oggi stanno nascendo. Infine è la città ideale per vivere e per lavorare e può diventare un modello per il futuro”.

Un ricordo legato alla città?

“Ho la fortuna di abitare in una posizione dove posso godere di tre viste ogni mattina: la collina, le montagne e la città. Ognuno di questi panorami suscita in me dei ricordi passati e presenti. La bellezza delle passeggiate in bici o a piedi nel verde della collina o in riva al fiume sin da quando ero bambina, la forza che mi ispira ogni giorno il Monviso con le sue cime innevate e il cielo azzurro e la città, con i suoi palazzi storici, i suoi portici e i grattacieli e poi la bellezza delle persone, il valore degli amici in una dimensione tutt’altro che da bugia nen”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Foto Cristina Di Bari e Campus – Ph: MybossWas e Nicola Gaudiomonte

La lotta al maggiolino giapponese per proteggere le nostre colture

Rubrica a cura di IPLA – Istituto per Piante da Legno e per l’Ambiente

Rinvenuto in Italia, nel Parco del Ticino, per la prima volta nel 2014, questo coleottero, scientificamente chiamato Popillia japonica, sta divenendo un problema importante per la nostra agricoltura. Ne sanno qualcosa gli abitanti del Novarese e del Vercellese orientale che lo hanno già sul loro territorio. Gli adulti del maggiolino giapponese, assai voraci e numerosi, si nutrono collettivamente a spese di molte specie coltivate e spontanee. Le larve, invece, vivono nel terreno cibandosi degli apparati radicali delle specie erbacee. L’UE ha inserito questo insetto nelle cosiddette “specie da quarantena”, contro le quali la lotta è obbligatoria.

L’IPLA e l’impegno per contrastare il maggiolino giapponese

L’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente (IPLA SpA) segue per conto del Settore Fitosanitario da 3 anni le attività di contrasto, che negli anni scorsi hanno compreso l’immissione nelle aree di riproduzione di una particolare specie di nematode e una di un fungo, capaci di parassitizzare le larve. E dallo scorso anno la disposizione sul territorio complessivamente di migliaia di trappole per gli adulti.

maggiolino giapponeseLe trappole per la lotta a questo coleottero così invasivo

Per andare nello secifico, nell’estate 2019 sono state installate 600 trappole a cattura massale degli adulti (già utilizzate dall’inizio in collaborazione con il Parco del Ticino), le quali vengono svuotate periodicamente. Solo nel 2018 con questa modalità sono stati catturati 24 milioni di adulti. Sono inoltre state posizionate 400 trappole per la disseminazione di un fungo entomopatogeno che agisce sull’insetto, causandone la morte. Non solo: sono state posizionate altre 1500 trappole a rete insetticida per l’abbattimento diretto degli adulti del maggiolino giapponese. Queste ultime possono possono abbattere fino a 26.000 adulti per trappola al giorno.
Tutte le trappole suddette sono innescate con un attrattivo a due componenti: il feromone sessuale femminile (che attira i maschi) e un’essenza floreale (che attira entrambi i sessi) proprio per condurre gli insetti nella trappola. Le trappole sono installate secondo schemi precisi e in modo da evitare di attirare il coleottero in zone ancora indenni e limitare quindi il più possibile l’espandersi dell’infestazione. Durante i mesi primaverili-estivi sul territorio sono in azione numerose squadre per la gestione e il monitoraggio delle trappole, anche per evitare eventuali azioni di vandalismo.

Quali progetti per la lotta al maggiolino giapponese?

Per l’annata 2020 le azioni di contenimento sono già programmate e saranno essenzialmente concentrate nella disposizione sul territorio infestato di circa 2500 trappole a ombrello, progettate e realizzate secondo le direttive tecniche dell’IPLA e del Settore Fitosanitario della Regione Pimeonte, che hanno dimostrato una efficacia maggiore rispetto ad analoghe trappole utilizzatein altri territori.
Per approfondire il tema si può consultare la pagina dedicata sul sito della Regione Piemonte.
Per approfondire le schede tecniche e le caratteristiche della Popillia ma anche di altri patogeni inseriti nella lista delle specie da quarantena individuate dalla UE si può consultare la seguente pagina sul sito istituzionale dell’IPLA.

Chi è Luca Vicini, bassista dei Subsonica, producer e scrittore

Rubrica a cura di ScattoTorino

Non si può parlare di musica a Torino senza parlare dei Subsonica. Grazie alla band, infatti, la nostra città – un tempo simbolo industriale – si è fatta conoscere anche per le sue sonorità. I “5 di piazza Vittorio” hanno saputo segnare una svolta nel panorama musicale italiano e internazionale, come dimostrano i tanti riconoscimenti: dal disco di platino per Microchip Emozionale (2000), Amorematico (2002) e Terrestre (2005) ai due MTV Music Awards come Best Italian Act (nel 2000 e nel 2002). ScattoTorino ha incontrato Luca Vicini, in arte Vicio, che oltre ad essere il bassista dei Subsonica è anche un producer affermato e autore di due libri: Il silenzio tra le note, edito da Ultra, e Quattro corde pubblicato da Arcana.

L’amore per la musica quado è nato?

“Mia madre dice che a quattro anni imitavo Riccardo Cocciante e cantavo Bella senz’anima. A otto anni una cugina mi ha fatto scoprire Message in a bottle dei Police e sono impazzito. Mi piaceva il rock e avevo un animo da dj: mi divertivo a far sentire la musica agli altri e con un amico giocavamo alla radio”.

Luca Vicini bassista dei Subsonica

E la passione per il basso?

“Ero al liceo e seguivo gruppi dark e punk, ma soprattutto metal. Suonavo la chitarra, ma mi piacevano le band dove il basso era in evidenza e così ho cambiato strumento. Sono entrato in un gruppo, ma ero autodidatta. Solo in seguito ho studiato al Centro jazz di Torino”.

L’avventura Subsonica come è iniziata?

“Quando sono nati i Subs il bassista era Pierfunk. Poi lui ha abbandonato la band mentre io ero in Spagna con una persona amica del loro fonico che mi ha suggerito di farmi avanti. Ho chiamato Boosta (il tastierista n.d.r.), che conoscevo, e da lì è nato tutto”.

Ci presenti il Punto V?

È il mio studio di registrazione. Un luogo accogliente in bassa Valle di Susa in cui io, ma anche tanti musicisti, possiamo creare, arrangiare e registrare. Ci sono sintetizzatori analogici, strumenti etnici, percussioni, e naturalmente bassi di ogni tipo”.

Da lì sono nati tanti progetti. Ce ne segnali qualcuno?

“All’interno del Punto V hanno preso forma produzioni come i singoli The Color Inside Her di Jeffrey Jey, Show Me The Way To Heaven di Raf, la traccia su album La sedia di Lillà di Antonella Ruggero. Ho collaborato con Ermal Meta a La vita migliore che è nell’album Vietato morire e sono passati dal Punto V artisti come Antonello Venditti e Zero Assoluto”.

Il tuo ultimo libro è Quattro corde. Di cosa tratta?

Il sottotitolo è Passato, presente, futuro e Subsonica. È uscito a fine febbraio e si compone di dodici capitoli che prendono spunto da alcune canzoni cruciali per il mio sviluppo come persona e come bassista dei Subsonica. Sono canzoni che oggi non hanno più un significato specifico per me e che sono fuori dal tempo. Quelle che racconto sono storie singole e storie che si intrecciano. Sono ricordi semplici, divertenti e a volte dolorosi, ma che fanno parte di me. Descrivo anche come sono arrivato ai Subsonica e i primi momenti di condivisione con la band. Attimi simili ad un amore, fatto di sentimenti positivi e negativi, di avvicinamenti e allontanamenti, ma anche parentesi di stabilità come quello che sto e stiamo vivendo adesso. Purtroppo lo scenario nazionale attuale ha imposto di far slittare le presentazioni del libro. Quando si tornerà alla normalità ricomincerò a promuoverlo e sarà bello condividere senza essere ad un metro di distanza”.

Luca Vicini bassista dei SubsonicaHai altri progetti extra Subsonica?

Come producer sto curando il primo lavoro da solista di Linda Messerklinger e tutto sta procedendo velocemente e in maniera entusiasmante. Si tratta di un progetto musicale che dedicherà molta attenzione a ciò che ognuno di noi è chiamato a vivere quotidianamente. Tra le tracce ci sono alcuni mash up di brani rivisitati in chiave nuova, che potete ascoltare su Spotify, Apple Music e su tutte le principali piattaforme di streaming: Enjoy the silence dei Depeche mode con Moments in love degli Art of noise e In our sleep di Laurie Anderson con All is full of love di Bjork. Ci saranno anche pezzi inediti scritti da lei e accompagnati da me per la parte musicale: il primo è Voyage dans la lune il cui titolo si rifà al film di George Meliès e che presto sarà accompagnato da un video curato da Alla Chiara Luzzitelli e Linda Messerklinger in cui si parla di temi contemporanei: dall’utilizzo delle biotecnologie alla sostenibilità. Tra i protagonisti ci saranno il designer Piergiorgio Robino, il filosofo Leonardo Caffo, il sottoscritto e molti altri personaggi di rilievo del panorama italiano”.

Torino per te è?

“Anche se da tempo ho scelto di vivere in Valle di Susa, ci ho abitato dai 30 ai 37 anni. Mi piace stare vicino alla natura, ma ho comunque bisogno di avere una metropoli accanto perché ho costantemente contatti con la cultura, con l’arte e con tutto ciò che è in fermento all’ombra della Mole. Per me è fondamentale uscire, andare ai concerti, scoprire nuovi luoghi in cui bere un aperitivo e ritrovare un ambiente stimolante dove spesso nascono le idee, i progetti artistici e le stesse unioni che servono per far crescere la società. Non potrei mai stare troppo lontano da Torino”.

Un ricordo legato alla città?

“Ero single e vivevo nella zona del Balon. Una sera doveva passare da me Maurizio Lobina degli Eiffel 65, che si è presentato a casa alle 2.30 del mattino. Decisamente molto dopo rispetto all’orario che mi aveva detto. Insieme siamo usciti per andare ai Murazzi e siamo rientrati alle 8. Quel ricordo è legato ad un momento nostalgico, un periodo leggero in cui la musica era sempre dietro l’angolo e insieme abbiamo composto molti lavori. Un altro ricordo è legato a piazza Vittorio quando ancora il parcheggio era sterrato. Era la piazza dove c’era Casasonica, ma anche il simbolo di un tempo passato, di una Torino diversa e meno sterile”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Foto Luca Vicini in bianco e nero – Ph: Luca Carlino
Foto Subsonica – Ph: Pasquale Modica

 

Contacc, una parola piemontese per indicare il contagio

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi 

Contacc! Parola che negli anni ha assunto un significato “quasi” simpatico, come espressione di meraviglia, o dispetto. Pensiamo alla poesia Ij Bogianen di Angelo Brofferio; all’uso che ne fecero Cavour o Massimo d’Azeglio (se ne trova traccia nei rispettivi Epistolari).
Letteralmente da tradurre con Contagio! “Espressione divulagata in ambiente medico e sanitario e riferita al pericolo di pestilenza, soprattutto durante le epidemie di peste del 1559 e del 1630, disatrose anche in Piemonte…” (per storia e etimologia vedi REP Repertorio Etimologico Piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2015).