ilTorinese

“Beat It Now”contro il tumore al pancreas

Rotary Club Torino Lagrange e la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro – Candiolo insieme 

Torino, 11 ottobre 2025 – In occasione del decennale dalla sua fondazione, il Rotary Club Torino Lagrange insieme alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro – Candiolo presenta “Beat It Now”, un progetto di ricerca scientifica e cooperazione internazionale dedicato alla lotta contro il tumore al pancreas, una delle neoplasie più aggressive e difficili da diagnosticare precocemente.

 

Un traguardo che diventa una nuova sfida

Fondato nel 2015 da un gruppo di giovani imprenditori, manager e professionisti torinesi, il Rotary Club Torino Lagrange ha saputo distinguersi per il suo approccio innovativo e per una visione di servizio fondata su concretezza, rete e responsabilità. In questi dieci anni, il Club ha realizzato dieci progetti di rilievo, che hanno lasciato un segno tangibile nelle comunità locali e nella crescita personale dei suoi soci.

“Oggi – nell’anno del nostro decennale – abbiamo sentito il bisogno di guardare oltre, di alzare l’asticella e cambiare prospettiva”, spiega il Presidente del Rotary Club Torino Lagrange Jonathan Bessone – “non più un progetto tra tanti, ma un progetto unico, capace di trasformare il futuro e lasciare un segno indelebile”.

 

“Beat It Now”: una visione decennale e globale

Da questa riflessione nasce Beat It Now, un’iniziativa di service internazionale senza precedenti, sviluppata in partnership con la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro – Candiolo — una collaborazione che accompagna il Rotary Torino Lagrange fin dalla sua nascita. Il progetto mira a creare il più grande repository globale di dati diagnostici sul tumore al pancreas, coinvolgendo una rete internazionale di centri di ricerca e il network mondiale del Rotary.
L’obiettivo è sviluppare strategie di diagnosi precoce, prevenzione e cura anche attraverso l’uso di tecnologie avanzate di intelligenza artificiale. La durata decennale di Beat It Now rappresenta una caratteristica straordinaria nel panorama dei progetti scientifici, simbolo di una visione di lungo periodo e di un impegno continuativo nel tempo, in perfetta sintonia con i valori rotariani di perseveranza e costruzione del futuro.

Le dichiarazioni

Nel Rotary, ogni progetto è un atto di servizio. Da dieci anni mettiamo le nostre competenze, il nostro tempo e la nostra energia al servizio delle persone e dei territori. Con Beat It Now vogliamo fare un passo in più: trasformare il nostro service locale in un impegno globale. Unire le forze della comunità rotariana internazionale e della ricerca scientifica significa dare senso concreto alla nostra missione: costruire ponti, generare impatto e creare speranza. È il modo migliore per celebrare i nostri primi dieci anni, guardando ai prossimi dieci con coraggio e responsabilità”, dichiara Jonathan BessonePresidente del Rotary Club Torino Lagrange.

Beat It Now rappresenta perfettamente lo spirito con cui la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro opera da quasi quarant’anni: unire le forze, le competenze e la generosità di chi crede nella ricerca per trasformare la speranza in risultati concreti. La collaborazione con il Rotary Club Torino Lagrange, che dura da anni e che oggi si rinnova con un progetto di respiro internazionale, testimonia come la solidarietà e la scienza possano camminare insieme verso un obiettivo comune: quello di sconfiggere il cancro. È grazie a iniziative come questa che possiamo guardare al futuro con fiducia, consapevoli che ogni passo avanti nella ricerca è un passo avanti per tutti”, dichiara Allegra Agnelli, Presidente della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro – Candiolo.

 

Una luce di speranza che parte da Torino

Con “Beat It Now”, il Rotary Club Torino Lagrange e la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro lanciano una sfida che va oltre la scienza: una sfida di speranza. Una luce che dice ai pazienti e alle loro famiglie “non siete soli”, che unisce i ricercatori in un impegno comune e che invita le nuove generazioni a credere che il futuro si può cambiare, con coraggio e determinazione.

Dopo dieci anni di attività al servizio della comunità, il Club torinese guarda al prossimo decennio con una missione chiara: costruire un futuro in cui la diagnosi precoce e la ricerca sul tumore al pancreas non siano più un sogno, ma una realtà.

Affrontare il cambiamento

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In ogni situazione in cui improvvisamente le condizioni esterne, i contesti e la situazione mutano in maniera significativa, in genere creandoci qualche difficoltà e disagio, ci troviamo di fronte alla necessità di affrontare il cambiamento, di adeguarci e di modificare i nostri comportamenti in relazione a quanto la nuova realtà ci richiede.

Talvolta questi mutamenti, che in ogni caso incidono in modo significativo sulla nostra vita, avvengono più lentamente e impercettibilmente, fino a quando ne prediamo improvvisamente coscienza, realizzando in un solo momento che le cose sono cambiate e che dobbiamo adeguarci, sia nel comportamenti esteriori che dentro di noi.

Le cause del cambiamento delle condizioni esterne possono riguardare l’intera società o parte di essa, ad esempio come nel caso delle conseguenze della epidemia Covid, oppure soltanto la nostra sfera personale.

Può trattarsi di una perdita (di una persona cara o la cui presenza è per noi fondamentale, di un amore o di una amicizia importante, del lavoro, di proprietà, ecc.) o di qualcosa che ci costringa a una improvvisa e importante variazione delle nostre abitudini.

Di norma a una prima fase di resistenza, nella quale tendiamo a mantenere la precedente situazione (o a illuderci, talvolta in modo irreale e illusorio, che non sia cambiata), fa seguito un tortuoso periodo di presa di coscienza della inevitabilità di adeguarci al cambiamento, e poi di modificazione, più o meno lenta, delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti.

In ogni caso, se sappiamo reagire in modo adeguato, il cambiamento si rivela quasi sempre una condizione di crescita personale, e saper far fronte al cambiamento è una competenza importante per vivere sereni e per conseguire i nostri obiettivi. Qualunque sia l’ambito nel quale il cambiamento avviene, e la modalità con la quale esso si presenta.

(Fine della prima parte dell’argomento).

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Niccolò Fabi e “Una notte per Gaza”

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Blah Blah si esibiscono i The Morlocks. All’Hiroshima Mon Amour è di scena Simba.

Martedì. Al Pala Gianni Asti di Torino, serata “Una Notte per Gaza”. Concerto a sostegno di Medici Senza Frontiere con tante band fra cui:Fratelli di Soledad, Persiana Jones, The Originals (Africa Unite + The Bluebeaters), Medusa, Statuto, Loscxhi Dezi, Fiori, Oh Die!, Lotta e tanti altri.

Mercoledì. Al teatro Colosseo arriva Niccolò Fabi.

All’Osteria Rabezzana si esibisce il quartetto di Lowell Levinger.

Giovedì. Allo Ziggy sono di scena i Lomsk + Duir. Il quartetto Smallable Ensemble suona alla Piazza dei Mestieri. Al Blah Blah si esibiscono i Plastic Drop +Dag. All’ Hiroshima suonano gli L’Entourloop. Al Cap 10100 è di scena Mark William Lewis. All’Off Topic si esibiscono i Frenesi.

Venerdì. Al Blah Blah è di scena Suzi Sabotage + Newdress. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Modena City Ramblers + Mistral Kizz. Al Cap 10100 si esibiscono i Machinedrum. Al Circolino  suonano i Cavour Country Boys.

Sabato. Allo Ziggy sono di scena i Decrow +Scaglia + Emokills. Al Blah Blah si esibiscono i Klasse Kriminale. Al Folk Club suonano i Willos’.

Domenica. Allo Ziggy sono di scena Wyatt E. /Ainu.

Pier Luigi Fuggetta

Estonia-Italia 1-3: Azzurri solidi, tre punti d’oro verso il Mondiale

 

Missione compiuta a Tallinn per l’Italia di Gattuso, che sabato 11 ottobre ha superato l’Estonia 3-1 nelle qualificazioni ai Mondiali 2026. Gli Azzurri partono forte: al 4’ Kean sblocca il risultato su assist di Dimarco, ma è costretto a uscire poco dopo per un infortunio. Al suo posto entra Pio Esposito, protagonista nel secondo tempo.
Dopo un rigore sbagliato da Retegui, l’attaccante si rifà al 38’, firmando il 2-0 con un destro preciso su assist di Orsolini. Nella ripresa, il giovane Esposito chiude i conti con il suo primo gol in Nazionale, mentre un errore di Donnarumma regala all’Estonia il gol della bandiera (Sappinen, 76’).
Con questo successo, l’Italia resta in corsa nel gruppo I e si prepara al match decisivo contro Israele. Il Mondiale è ancora lontano, ma la direzione è quella giusta.

Enzo Grassano

La 13ª edizione di Flashback Art Fair: senza titolo, limiti, confini e tempo

La 13ª edizione di Falshback Art Fair, che ritorna negli spazi di Flashback Habitat, il centro artistico indipendente di corso G.Lanza 75, dal 30 ottobre al 2 novembre prossimo, quest’anno ha scelto di non avere un titolo. La direzione, con Ginevra Pucci, Stefania Poddighe e il direttore artistico di Flashback Habitat Alessandro Bulgini, hanno deciso di non dare un titolo perché vogliono farne un centro di accoglienza e confronto finalizzato ad accogliere la diversità.

Dal suo esordio Flashbak non è mai stata solo una fiera, ma un progetto in divenire, che ogni anno si trasforma per consolidare il proprio legame con il presente in un racconto che restituisce all’arte, anche quella storicizzata, un legame forte e attuale con la contemporaneità e la vita familiare e quotidiana. Non dare un titolo è un atto deliberato di resistenza, equivale a rifiutare qualsiasi narrazione, unica o imposta. Significa creare un Habitat fertile, uno spazio denso, in continuo movimento, dove le diversità si incontrano e si confrontano. In questa zona “franca” dell’arte, l’accoglienza delle differenze, delle molteplici identità e delle voci fuori dal coro diventano principi fondanti. Con questa scelta Flashback non celebra solo la libertà dell’arte, ma afferma con chiarezza la volontà di abbattere le barriere fisiche e temporali per restituire visibilità all’invisibile. L’immagine guida di questa edizione è duplice, dicotomica, refrattaria a ogni tentativo di catalogazione, e porta la firma di Antonello Bulgini, fratello del direttore artistico scomparso prematuramente nel 2011.

“Le immagini guida di quest’anno appartengono a mio fratello Antonello, ‘Iafet’ e ‘Mister Marshmallow’ – dichiara Alessandro Bulgini – non è solo un omaggio affettivo, ma una scelta in perfetta sintonia con lo spirito di Flashback, che è un habitat di relazioni umane oltre che artistiche. ‘Iafet’ nasce da un episodio familiare e rimanda al famoso ritratto di Antonello da Messina, con un segno infantile che diventa parola biblica, trasformando la tela in un enigma stratificato. ‘Mister Marshmallow’ al contrario rivela in modo immediato la sua natura mostruosa, due facce della stessa medaglia che rispecchiano il tema di una edizione senza titolo, rifiuto delle etichette e apertura a molteplici interpretazioni.

Dal 30 ottobre al 2 novembre prossimi, a Flashback Habitat Ecosistema per le culture contemporanee, di 20 mila mq immersi nel verde di Borgo Crimea a Torino, luogo denso di storia e di storie, prestigiose gallerie internazionali daranno vita a un racconto corale all’interno di un percorso che si snoda nella familiarità delle stanze del padiglione B, attraversando epoche e linguaggi senza soluzione di continuità e restituendo al pubblico un paesaggio fertile e in continuo movimento. Un mosaico di visioni attraverso cui Flashback Art Fair ribadisce la sua scelta, quella di lasciare spazio al molteplice, accogliere le differenze e dar voce a ciò che sfugge alle narrazioni dominanti.

Il mito, la metamorfosi eil legame con l’ancestrale emergono nelle “Danzatrici” di Franz Von Stuck (Aleandri Arte Moderna di Roma), visioni ipnotiche di una danza dionisiaca, cosiccome ne “Il cavallo e il cavaliere” di Marino Marin, proveniente dalla galleria romana Antiques Par Force, risulta un archetipo che oltrepassa i secoli fino a lambire l’astrazione. Della stessa galleria il barocco “Giunone e Argo” di Antonio Gherardi, che rievoca la trasformazione del pastore in pavone, mentre i “Lupi” di Domicella Božekowska incarnano la forza primordiale e selvaggia della natura. In questa linea si inserisce la “Madonna con Bambino” quattrocentesca (galleria Flavio Pozzallo), scultura linea che restituisce la potenza del frammento e della materia grezza. I temi dell’identità e del misticismo attraversano i “Tableau vivant” di Luigi Ontani (galleria l’Incontro), che abbattono i confini tra Oriente e Occidente, pittura e fotografia, e si ritrova nei “Dervisci danzanti” di Aldo Mondino (galleria Umberto Benappi), dove il corpo diventa esperienza estatica e rito. Qui l’arte rifiuta la classificazione e si apre alla contaminazione di linguaggi. La riflessione sui materiali dell’arte è al centro del dialogo proposto dalla galleria Dello Scudo, che accosta i disegni di Modigliani e Morandi all’opera di Arcangelo Sassolino, e ancora ne “La donna che legge” di Umberto Boccioni, bozzetto in negativo che esalta la vitalità del segno e della carta. Le pietre sonore di Pinuccio Sciola segnano il confine tra scultura, musica e grafica, aprendo a una dimensione sinestetica della materia. Il “senza titolo” di Mario Schifano (galleria Roberto Ducci) diventa manifesto del rifiuto di ogni definizione, spazio potenziale in cui l’interpretazione rimane sempre aperta. L’episodio pittorico di “Muzio Scevola davanti a Porsenna” di Luigi Miradori, detto il Genovesino (galleria Canesso) rievoca il coraggio e l’integrità come segni di resistenza, mentre la Frascione Gallery ci conduce nel mondo di Bernardo Strozzi, artista accusato di disonorare l’abito religioso con la pittura profana, e proprio per questo figura di rottura e libertà. Non mancano i maestri stranieri come Adriaen Van Overbeke, artista indipendente che testimonia un‘arte capace di sottrarsi all’unicità del genio celebrato per restituire valore alla pluralità dei linguaggi e delle esperienze, e il maestro rinascimentale Albrecht Dürer con una ricca raccolta di incisioni (Il Cartiglio), che offre un esempio della capacità dell’artista di trasformare l’immagine in archetipo universale, un’occasione per riscoprire la forza del segno e l’attualità del suo linguaggio.

In occasione di Flashback Art Fair 2025 prende forma un public program di laboratori, visite guidate, talk e performance. Si segnalano “Butterfky”, rassegna di videoarte a cura di Rebecca Russo, che inaugurerà il 25 settembre, un percorso visivo dedicato alla trasformazione, alla memoria e alla rinascita, dove gli artisti coinvolti riflettono sulla fragilità e la forza interiore dell’essere umano, e “Compassione”, intervento site specific di Mustafà Fazari, che inaugurerà giovedì 16 ottobre e che propone una riflessione intensa sul tema dell’empatia come strumento per costruire connessioni tra individui e comunità. I Flashback Lab saranno aperti a ogni fascia d’età, e il Flashback Storytelling costituirà un ciclo di visite guidate in dislogo con opere, artisti e gallerie.

Mara Martellotta

Zandonai al Regio: Francesca risorge tra l’incanto e il desiderio

Di Renato Verga

Inaugurare la stagione con Francesca da Rimini non è cosa da poco. Al Teatro Regio di Torino ci prova Andrea Battistoni, nuovo direttore musicale, e lo fa con un titolo che più suo non si può: lopera italiana del tardo Ottocento-primo Novecento, quella in bilico tra il sudore verista e i profumi decadenti. Ed eccola, la Francesca di Zandonai, una delle poche riscoperte del periodo che non finiscono dritte nel reparto opere da archeologia. Dopo Parigi, Strasburgo, Milano e Berlino, tocca di nuovo a Torino dove, nel 1914, tutto era cominciato.

Zandonai non partiva da zero: la coppia più celebre della letteratura adulterina, immortalata da Dante, aveva già ispirato Paisiello, Mercadante, Thomas, Rachmaninov e pure Čajkovskij, ma lui volle la versione dannunziana, quella della Duse, tutta intrisa di veli, sangue e profumi dambra. Tito Ricordi, uomo pratico, sfrondò il poema di sangue e lussuriadel Vate, ma non abbastanza da risparmiare agli spettatori arboscelli verzicantie vivande cadenti in gualdana. Per una volta, i sopratitoli inglesi servono anche agli italiani.

Nel 1914 la Francesca rompeva col verismo per inseguire la moda floreale e preraffaellita: la passione diventa languore, la tragedia si veste di seta liberty. Eppure la musica è tutto fuorché leziosa: Zandonai fonde Wagner, Debussy e un pizzico di Janáček, con una libertà armonica che non sfigurerebbe a Parigi o a Lipsia. La sua orchestra sa farsi mare, onda, luce: la Francesca da Rimini, più che lultimo spasmo del verismo, è forse la prima vera opera moderna italiana.

A raccogliere leredità visiva tocca ad Andrea Bernard, regista bolzanino premiato con lAbbiati nel 2024. Con laiuto di Alberto Beltrame (scene), Marco Alba (luci) ed Elena Beccaro (costumi), costruisce un mondo che è stanza, mente, memoria e abisso. Le scarpe rosse abbandonate davanti al letto bastano a dire tutto: lamore come rovina, la rovina come libertà.

La sua Francesca non è più la martire dannunziana, ma una donna viva, capace di desiderare e decidere. Bernard la libera dal languore estetizzante per restituirle unanima moderna. Il risultato è un teatro che respira, che non teme il silenzio, che lascia alla musica il compito di completare il gesto.

Battistoni, dal canto suo, dirige come se avesse aspettato questo momento tutta la vita. In buca è focoso, meticoloso, lirico e teatrale insieme: sa quando far brillare e quando far respirare, quando spingere e quando sospendere. LOrchestra del Regio risponde con smalto e precisione, il Coro istruito da Ulisse Trabacchin fa miracoli di chiarezza e dinamica. Il primo atto si chiude con unesplosione di colori che pare dipinta da Klimt.

Nel cast, Barno Ismatullaeva domina la scena con voce ambrata e acuti taglienti come pugnali, più regina che vittima. Roberto Alagna, Paolo bello e dannato, conserva il carisma di sempre, anche se la scrittura lo mette a dura prova. George Gagnidze è un Gianciotto torvo e autorevole, Matteo Mezzaro un Malatestino di ottimo veleno, Devid Cecconi un Ostasio giustamente cinico e crudele. Le dame di Francesca, guidate da Valentina Mastrangelo e Albina Tonkikh, formano un quartetto di voci incantevoli; Valentina Boi tocca corde di vera grazia nella sua Samaritana.

Alla fine resta limpressione di un lavoro vivo, intelligente, forse un potroppo lucidoper chi ama la polvere del verismo, ma proprio per questo necessario. Francesca da Rimini torna a essere ciò che DAnnunzio, in fondo, non avrebbe mai voluto: unopera vera, teatrale, commovente e, finalmente, moderna.

Metro, Gtt: “Ripristinate scale mobili e ascensori”

Gtt comunica di avere “ripristinato tutti gli impianti di risalita coinvolti nell’anomalia elettrica che si era verificata ieri nella stazione della metropolitana di Porta Nuova, dovuta a fattori esterni non riconducibili a Gtt”. Lo annuncia la società  in una nota. Nel complesso sono state interessate ottanta scale mobili e vari ascensori che ieri erano state interessati da anomalie elettriche.

Caffè Malabar apre le porte alla moda

Con una sfilata all’interno del sito produttivo di via Sansovino 207, il 9 ottobre, la storica torrefazione torinese si è trasformata nella location della sfilata primavera/estate 2026 di Anjoy.

Torino è una città di tesori nascosti, di persone schive che arrossiscono quando fai notare loro la straordinarietà delle loro storie. Le porte, qui, sono spesso chiuse: non c’è tempo per la frivolezza, si lavora. Ma quando si aprono, permettono di scoprire realtà bellissime.

È quello che è successo il 9 ottobre, quando Caffè Malabar, storica torrefazione torinese fondata nel 1947, ha trasformato per una sera il proprio sito produttivo di via Sansovino 207 in una passerella di moda. Tra macchinari, profumi di arabica e tostatura, è andata in scena la sfilata di Anjoy, giovane brand torinese con atelier in via Miglietti 10.

Un incontro inaspettato tra due mondi – quello del caffè e quello della moda – che condividono però la stessa filosofia: artigianalità, cura del dettaglio e passione autentica per ciò che è fatto bene.

Tutto nasce nel dopoguerra, quando Marcello Crosta, contadino, decide di intraprendere un’avventura al sapore di caffè. È il 1947, l’Italia deve ricostruirsi, e per buttarsi in un’impresa serve coraggio. Oggi le redini di Malabar sono nelle mani del genero Flavio e di sua moglie Antonella, figlia di Marcello, insieme alle tre figlie Arianna, Rebecca e Carlotta, che continuano la tradizione di famiglia.

Ed è proprio Carlotta ad avere l’idea di trasformare, per una notte, la torrefazione in una passerella. Scopre Anjoy, marchio altrettanto torinese fondato dalla designer Joyce Canova, e si riconosce nella sua filosofia: abiti artigianali, ricerca di qualità e una forte componente etica.

La sfilata, intitolata Amazing Blend, gioca su un doppio significato: la miscela come unione di aromi e sapori, ma anche di generi, culture e linguaggi. Anjoy propone infatti capi unisex, versatili e intercambiabili, in un progetto di moda consapevole che rompe le convenzioni e promuove la diversità.

“Le mie radici sono indiane” racconta Joyce Canova. “Vivo a Torino ma la mia anima abbraccia il mondo intero. Credo in una moda che non giudica e che non esclude.”

Il suo messaggio si riflette nel claim del brand, “Siamo tutti uguali”, e in una visione inclusiva della bellezza: un’attività che intreccia artigianalità e attivismo, dando vita ad abiti che parlano di uguaglianza, rispetto e libertà di espressione.

L’incontro tra Malabar e Anjoy nasce quasi per caso, davanti a una tazza di caffè. Da una parte Carlotta Viola, la prima a credere in questo connubio, e dall’altra Joyce Canova, fashion designer e titolare del marchio Anjoy. Donne brillanti, intuitive, accomunate dagli stessi valori e da uno sguardo rivolto al futuro.

Quel caffè è diventato simbolo di un viaggio: una bevanda che racconta un viaggio attorno al mondo, dall’America Latina all’Africa, un gesto, un rituale, una tradizione tutta italiana. È proprio utilizzando il caffè Malabar che Joyce Canova ha colorato i tessuti della collezione primavera-estate 2026, presentata all’interno della torrefazione.

“Amazing Blend è davvero la migliore descrizione del risultato del nostro incontro con Joyce” spiegano le sorelle Viola, “perché sembra sintetizzare la storia della nostra famiglia, che dal 1946 ad oggi ha saputo miscelare non solo ottime qualità di caffè, ma momenti storici e scelte di vita, investendo su un futuro di cui si scorgevano solo i contorni. Oggi la nostra miscela straordinaria è fatta di artigianalità, coerenza e della scelta di lavorare in modo tradizionale e autentico, come una volta, gli stessi valori che abbiamo ritrovato nella proposta di moda di Joyce Canova.”

Una collaborazione che sa di futuro, radici e passione. Una miscela perfetta, capace di unire due tradizioni torinesi – il caffè e la moda – in un’unica, sorprendente esperienza sensoriale.

Lori Barozzino

Velleda Capello: “Non tutto sarà tuo”. Una storia di scoperte inattese e di radici ritrovate

Informazione promozionale

Un viaggio che conduce la protagonista in un luogo dove il tempo si misura in maree e le risposte risiedono nei silenzi. Questo racconto è un’immersione profonda nella memoria e nei legami che definiscono chi siamo

L’AUTRICE

Velleda Capello , scrittrice per passione  nasce a Torino il 03/06/1976 , trova nella scrittura un modo per raccontare emozioni autentiche e per allontanarsi, almeno per un momento, dalla frenesia della quotidianità. Ama le storie che intrecciano sentimenti e mistero, capaci di toccare corde profonde e di lasciare nel lettore un’emozione sospesa. Diplomata al Liceo Scientifico Padano di Torino , vive a Sanfrè , un piccolo paese in provincia di Cuneo , tra le colline del Piemonte. Non tutto sarà tuo è il suo primo libro, nato dal desiderio di trasformare pensieri e sensazioni in parole che restano, scritto nel silenzio delle sere quando le parole chiedevano spazio e voce.

IL LIBRO

Alma parte per Zanzibar con il peso di un segreto non ancora svelato, trasportando una busta sigillata. La sua fuga dal caos della vita torinese si trasforma in un’intensa ricerca di sé, guidata da messaggi misteriosi e incontri inaspettati.  Attraverso le strade polverose di Kiwengwa e i vicoli labirintici di Stone Town, si trova ad affrontare un passato che la chiama, un’origine che credeva perduta.  Mami Bibi, una donna saggia e silenziosa, e i suoi segni nascosti tra pietre, conchiglie e lettere, diventano una mappa per Alma. Ogni indizio la avvicina alla verità su Leila, una figura velata dal tempo che custodisce la chiave della sua stessa identità.  Questo viaggio la conduce in un luogo dove il tempo si misura in maree e le risposte risiedono nei silenzi.
Questo racconto è un’immersione profonda nella memoria e nei legami che definiscono chi siamo.  È una storia che parla di scoperte inattese, di radici ritrovate e della forza delle donne che, in modi diversi, tessono la trama della vita.  Alma impara a dare voce a ciò che è sempre stato dentro di lei, a costruire un futuro che finalmente le appartiene.

Disponibile presso tutte le librerie on line, Amazon, Youcanprint

sia in formato cartaceo che eBook.

Instagram: velleda_capello

Un click d’amore per la montagna

“Oltre lo scatto”: è la mostra fotografica presentata dal “Forte di Bard”, in collaborazione con il “Parco Nazionale Gran Paradiso”

Fino all’8 dicembre

Bard (Aosta)

Fotografia “Wildlife”. Scatti di “Natura”. Le meraviglie di boschi e di prati incontaminati, la montagna a far da cornice a scenari in cui paiono vivere solo esseri umani “illuminati” e animali selvatici che hanno imparato (o forse è il contrario) a condividere le loro giornate con quegli “amici”, esseri umani “illuminati”. Che bella e rassicurante è la mostra “Oltre lo scatto” ospitata fino a lunedì 8 dicembre nelle “Scuderie” del “Forte di Bard” e organizzata dall’antica “Fortezza sabauda” in collaborazione con il “Parco Nazionale Gran Paradiso”! Mostra “etica”, l’hanno definita i responsabili. “Etica” e (aggiungerei) saggiamente “didattica”. L’obiettivo è infatti, si sottolinea, quello di “promuovere una riflessione sull’etica della fotografia naturalistica e più in generale sull’importanza di un approccio all’ambiente alpino rispettoso, proponendo un percorso che accompagni il visitatore oltre la dimensione estetica dell’immagine e invitandolo a interrogarsi su ciò che accade prima, durante e dopo lo scatto fotografico”. C’è un prima, un durante e un dopo dietro ogni scatto. No all’improvvisazione, no alla fotografia a tutti i costi “perfetta” (anche in barba al buon senso e al doveroso rispetto verso animali e cose) da condividere magari sui social “tanto più accattivante quanto più rappresentativa di momenti eccezionali, come gli incontri con gli animali selvatici”. Teniamo a riposo per un attimo (e anche un po’di più) l’obiettivo per evitare che i nostri comportamenti possano avere effetti negativi sulla fauna selvatica. Adottiamo atteggiamenti responsabili. E’ questo il monito che arriva dalle opere esposte. E dai testi che spesso accompagnano la mano del fotografo e le sue immagini, “raccontando le emozioni, il caso, la tenacia, l’ironia, le verità che si nascondono dietro ogni incontro con la fauna alpina”: parole sante, scritte per Roberto Andrighetto, guida valdostana che dal 2006 conduce con il fotografo Enzo Massa Micon i trekking foto naturalistici in Vallée e le Escursioni Fotografiche “Obiettivo Parco” organizzate in collaborazione con il “Parco Nazionale Gran Paradiso”.

E proprio di Andrighetto è una stupendo, per effetto tecnico e di acuta intuizione, scatto fotografico presente in mostra, dove una simpatica paciosa “Marmotta” si lascia immortalare, per nulla stranita, dall’obiettivo di un “amico fotografo”, intento a “documentare” e a “raccogliere emozioni”, ben lontano dalla ricerca dello “scoop”, della “foto rubata” che avrebbe forse spaventato e allontanato l’“amica marmotta”. Un altro scatto di Jean Laurent Jordaney (detto “Patience”) – guida di Courmayeur – ci racconta invece della fierezza e della geniale capacità di mimetizzarsi con l’ambiente, di un “Gufo” sicuramente “Reale” o “Gufo Aquila” (per quei bizzarri ciuffi di piume sulla testa che sembrano orecchie), quasi un tutt’uno con la corteccia e l’intreccio dei rami dell’albero che è ormai la sua casa. Simpatica, di una vivacità e vitalità quasi sfrontata è, poi, la vispa “Volpe” dal pelo  grigio-marrone in perfetto risalto cromatico con il candore della neve, cristallizzata, senza disturbo alcuno alla quiete che è nell’aria intorno, dall’aostano Dario De Siena, fotografo e, dal ’90, Guardiaparco del “Primo Parco Nazionale d’Italia”, con lo “Stambecco” a simbolo universale.

Complessivamente sono oltre 20 le immagini, in grande e medio formato, esposte a Bard. Con esse, uno storytelling che evidenzia le conseguenze di azioni umane solo in apparenza innocue, due pannelli didattici, di cui uno interattivo, che permettono di scoprire i mesi più vulnerabili per alcune specie montane e le complesse interconnessioni tra flora e fauna nell’ecosistema alpino. Il percorso si conclude con due proiezioni video: ad uno, in special modo, è affidato il compito di far ritrovare al fruitore “equilibrio e connessione” con la natura di cui fa parte, avvicinandolo con gli occhi e con il cuore a quell’ecosistema alpino fatto (e questo è importante sapere) di delicati equilibri e di stretti legami in grado di tenere uniti piante, animali e uomo. “La mostra – concludono gli organizzatori – diventa così un viaggio di consapevolezza che porta a riconoscere il nostro ruolo all’interno di questa rete ecologica e a comprendere come ogni gesto, ogni scelta, ogni scatto lasci un segno”.

Da segnalareFino a domenica 26 ottobre, il “Forte” presenta anche la decima edizione de “Le Sommet de l’Artisanat Valdôtain” esponendo, nell’ex “Cappella Militare” le opere premiate alla 72^ “Mostra-Concorso dell’Artigianato Valdostano” di Aosta. L’evento intende essere un omaggio all’eccellenza di un artigianato che ha saputo evolvere nei tempi, senza mai rinnegare l’antica sapienza di un “savoir-faire” che porta i tratti rigorosi di un “mestiere” tramandato nei secoli.

Gianni Milani

“Oltre lo scatto”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino all’8 dicembre. Orari: Feriali 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle foto: alcuni scatti di Roberto Andrighetto, Jean Laurent Jordaney e Dario De Siena con una scultura dalla mostra “Le Sommet de l’Artisanat  Valdôtain”.