Hot parade
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https://www.lidentita.it/hot-parade-265/
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Campagna Amica Torino organizza la seconda edizione della “Cena in giallo” che si svolgerà venerdì 21 giugno a partire dalle ore 19,00 al Parco della Tesoriera a Torino, nell’ambito dell’Evergreen Fest.
Il dress code della cena è una maglietta, un paio di pantaloni, un cappello, insomma un capo di abbigliamento giallo.
La cena in giallo è ideata per portare dentro le serate estive torinesi la cultura del cibo a Km Zero di origine contadina, direttamente dal produttore-agricoltore.
Il costo è di 16 euro.
Ecco il menù:
Pasta con pesto di zucchine e nocciole; hamburger di carne piemontese con fetta di toma e insalatine di stagione oppure Parmigiana fredda con fetta di toma e insalatine di stagione (e pane).
Tutti coloro che indosseranno un capo d’abbigliamento giallo riceveranno un omaggio.
Prenotazioni: https://evergreenfest.it/prenotazioni-cena/
torino.coldiretti.it
“La scuola non va”, lo cantavano i Lunapop nel 1999. E certe mattine viene voglia di cantarlo anche a me.
Alle prime ore del giorno c’è ancora la nebbia, percorro così, ovattata nell’atmosfera fumosa, il tragitto che mi separa da scuola, parcheggio la macchina, mi dirigo verso il caffè delle 7:45 – obbligatorio per sopravvivere alla mattinata lavorativa- ed eccoli già lì, “vivaci” e “frizzanti”, come li descriviamo nei verbali, si avvicinano saltellando e mi ingurgitano di affermazioni e dubbi: “Il cartoncino era per oggi?”, “Ho dimenticato la cartellina”, “Ha scritto i compiti su Argo?”, “Oggi c’è Arte o teoria?”.
Meravigliosi e terribili, come si fa a non affezionarsi?
Ecco, forse non è chiaro a tutti, ma la scuola esiste per loro, per gli studenti.
La scuola è lì per tutti i “Giammaria” di Filippo Caccamo, per i “Giovannino” di Rousseau e per i “Gianni” e i “Pierino” di Don Milani.
Credo fermamente nel mestiere del docente ed è per tale motivo che sento di discostarmi da tante situazioni e decisioni che ultimamente stanno tramutando il sistema scolastico in un ludico parcheggio privo di significato, i docenti in clown multimediali e gli studenti in amebe viziate.
In questa società liquida (Z. Bauman), fluida e spettacolarizzata (riprendendo la teoria di Guy Debord), in cui il politicaly correct ha il sopravvento sulle coscienze e in cui l’egoismo e l’egocentrismo vengono scambiati –ad hoc- per libertà individuale e indipendenza, mi sento di andare controcorrente e prendere delle posizioni ferme, lo faccio per i miei alunni, perché non voglio che diventino come quegli adulti che mangiano fissando il cellulare anziché la persona che hanno di fronte, affinché non siano educati in un mondo che preferisce l’indisponenza, al fine di renderli quella “cosa bella” di cui parlava Menandro (IV sec. a. C.).
Per far sì che ciò avvenga, come molti altri colleghi docenti, mi interrogo sulle direzioni da intraprendere per rattoppare questa scuola che al momento “non va”; riflessione dopo riflessione, lettura dopo lettura, mi è (ri)capitato tra le mani “Lettera ad una professoressa” di Don Milani.
Si tratta di uno dei testi che più mi ha colpito e su cui ho più ponderato, un libro –a parer mio- obbligatorio per chi vuole intraprendere questa professione, al di là del giudizio personale.
Dopo un’accurata rilettura, che mi ha confermato l’opinione più che positiva che già avevo a riguardo, mi domando: è davvero possibile considerare attuale un testo scritto negli anni Sessanta?
“Lettera ad una professoressa” rimane una testimonianza tutt’altro che banale o di semplice definizione, pubblicato nel 1967 da una non proprio famosa casa editrice fiorentina, si presenta come un autentico “livre de chevet” di una generazione, una sorta di “vademecum” per gli insegnanti democratici o una sorta di “Libretto rosso” sessantottino.
Lo scritto è “un classico” della letteratura scolastica e, data la particolarità delle affermazioni asserite, ha fin da subito diviso i lettori in due parti, chi grossomodo concorda con le riflessioni apportate dai ragazzi di Barbiana e chi invece preferisce un approccio diverso e si discosta, in entrambi i casi il libro segna uno snodo centrale nelle grandi battaglie avvenute per riformare il sistema educativo. Tuttavia è bene puntualizzare che, se da una parte esso denuncia apertamente e per la prima volta le falle di quell’apparato burocratico, dall’altra le parole degli studenti di Don Milani comportano anche l’inizio della fine dell’autorità degli insegnanti, dello stare in disparte dei genitori e – secondo alcuni- della voglia di studiare dei fanciulli.
Di certo un’opera non politicaly correct.
L’ho anticipato, mi riprometto di prendere posizione, pur non ritenendo concretizzabili tutti i punti esplicati nel testo e pur tenendo in chiara considerazione la differenza legata al periodo storico in cui il testo viene redatto, mi possono ritenere una “donmilaniana” convinta.
Lavoro a scuola da qualche anno ormai, mi trovo a diretto contatto con gli studenti – e talvolta con mamme e papà-, sto assistendo ai cambiamenti generazionali e ogni giorno mi rendo conto di quanto sia necessario un cambio di rotta.
In sostanza credo che potrebbe giovare maggiormente all’attuale sistema scolastico una rilettura di gruppo di “Lettera ad una professoressa” anziché il solo focalizzarsi sull’uso di ChatGPT.
Cosa ricercare allora in un libro scritto tempo addietro e in un contesto tanto differente dal nostro?
I princìpi, la risposta è questa.
Se me lo consentite, cari lettori, vorrei spiegarmi meglio, prendendo in esame alcuni punti che ritengo salienti e utili e tralasciando per forza di cose la totalità del testo che, pur non essendo particolarmente lungo, non può essere commentato “in toto” in questa sede.
Si parta con le ovvietà: la società, i bisogni e le necessità degli anni Sessanta non sono le medesime che sentiamo ora. Si pensi prima di tutto al problema dell’obbligo d’istruzione, che si estende oggi fino ai sedici anni d’età (Legge 296 del 2006), oppure si prendano in considerazione le accortezze e le norme che assicurano agli studenti con difficoltà (intellettive o socio-culturali) di frequentare uno specifico percorso scolastico al pari degli altri compagni, inoltre mi sento di poter abolire la dicitura “scuola classista”, poiché, per quanto permangano talune differenze tra periferia, centro o prima cintura, ogni struttura scolastica offre ad oggi un servizio eguale per tutti.
Non è vero dunque che “non va mai bene niente”, le istituzioni collaborano sempre più con il territorio, si assicura una formazione continua agli insegnanti e cresce costantemente l’attenzione verso il fenomeno del bullismo o del cyber-bullismo. L’offerta formativa è più che migliorata nel tempo, l’idea di istruzione ha preso le distanze dal tanto temuto “nozionismo” e le molteplici attività rendono un po’ più appetibile il frequentare le lezioni anche da parte dei più svogliati.
Non è nemmeno vero che “non ci sono più i ragazzi di una volta”. I giovani sono sempre gli stessi, sono semplicemente “figli del nostro tempo”, e nonostante li consideriamo più fragili o ineducati di una volta, non è di certo colpa loro, ma di chi gli sta attorno.
Osserviamo ora da vicino le tematiche su cui ancora oggi possiamo –e dovremmo- interrogarci.
Iniziamo dalla problematica dei “programmi”, queste benedette indicazioni nazionali a cui siamo obbligati a fare riferimento: dite la verità, cari colleghi, sono o non sono un’angoscia?
I ragazzi di Barbiana sostengono che ciò che viene insegnato a scuola sia puro nozionismo enciclopedico e che le informazioni impartite dai docenti riguardino argomentazioni che non hanno riscontro alcuno nell’attualità della vita al di fuori della classe, un sapere così elargito non porta dunque alla formazione di cittadini consapevoli.
I giovani di Don Milani – e questo è un merito che nessuno gli può togliere- non si limitano a criticare ma avanzano delle risoluzioni alle lacune che vedono nel sistema scolastico.
Essi suggeriscono di rimpiazzare i programmi con una continua ricerca critica del sapere all’ interno di un percorso multidisciplinare costruito strada facendo, in questo modo gli alunni acquisiscono gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita collettiva.
Mai stata così d’accordo: è necessario partire dall’attualità per poi collegarci al passato, stupire con l’immediatezza del contemporaneo e spiegarlo andando a ritroso, alla ricerca nella storia delle cause che hanno portato al nostro presente. Un sogno ad occhi aperti, pensate come sarebbe bello leggere in classe articoli di giornale, riviste specializzate, ascoltare interviste di personaggi pubblici, spiegare le notizie dei telegiornali o commentare insieme gli ultimi “scoop” –inerenti ovviamente alla materia d’insegnamento.-
Certo c’è il sogno e poi la dura realtà: gli studenti di oggi conoscono poco o nulla del loro presente, quasi non leggono, non vedono i telegiornali e apprendono informazioni –semplificate e parziali- tramite i social.
Sarebbe quindi opportuno convincerli che “Tick-Tock” non basta per ritenersi “informati sui fatti”, che non sempre gli influencer conoscono l’argomento di cui desiderano trattare e infine che no, dieci minuti non sono sufficienti per apprendere alcuna argomentazione.
Non sono brava come i ragazzi di Barbiana, non ho una vera e propria soluzione a tale problema, mi limito ad avere un’opinione. Forse il problema è il tempo, forse aveva ragione –ancora una volta- Don Milani a dire che noi insegnanti dovremmo “lavorare di più”, magari se i ragazzi rimanessero a scuola per più ore avremmo la possibilità costruire le nostre unità didattiche in altra maniera e potremmo permetterci una maggiore attenzione nei riguardi dell’attualità. Inoltre i fanciulli starebbero più tempo insieme e meno “vis-à-vis” con il proprio smartphone.
Proseguiamo: i voti. Quante ne abbiamo sentite sui voti quest’anno? Voti sì, voti no, sostituirli con i giudizi, non scrivere niente se non frasi incoraggianti sui compiti, e poi tutti quei casi di giovani studenti caduti in disperazione per un “4”, insomma un capitolo tutt’altro che chiuso.
A Barbiana il voto non è visto di buon occhio, per diverse motivazioni, prima fra tutte perché “è ingiusto fare parti uguali tra disuguali”, in secondo luogo monopolizza l’attenzione e l’interesse degli studenti, facendoli studiare solo per la valutazione, ponendoli in una situazione di ansia e competizione, infine il voto dato non è uno strumento di lavoro e non aiuta gli studenti a migliorare.
Resta difficile immaginare una scuola senza voto, anche se ce ne sono. Personalmente concordo con le motivazioni apportate dai ragazzi di Don Milani, eppure sono una sostenitrice dell’utilizzo dei voti, l’appunto che mi sento di fare tuttavia riguarda una delucidazione necessaria per gli studenti – e i genitori a casa- , il numero che scrivo sul compito è una valutazione circoscritta a “quel” compito in “quel” determinato momento, è solo una valutazione della preparazione “al momento” dello svolgimento della verifica, esso non ha nulla a che fare con la personalità o la totalità del ragazzo, non è un giudizio sulla persona ma solo sul livello di conoscenza che l’alunno aveva in quel determinato momento. Che sia chiaro: i voti cambiano, in meglio o in peggio, e servono per imparare ad essere autocritici verso noi stessi, sono strumenti utili per imparare a migliorare, non solo per quel che concerne i contenuti ma sopratutto per lavorare sull’autostima.
E poi, li bocciamo o no, questi incolti e illetterati studenti dell’ultimo banco?
Ovviamente a Barbiana la bocciatura non è contemplata, al contrario si propone “il tempo pieno”, si assicurano in questo modo più tempo e più mezzi per dare a tutti gli studenti, anche quelli che partono sfavoriti, la possibilità di avere successo scolastico.
Come non essere d’accordo?
Anche qui però ci si scontra con la realtà dei fatti: come convincere i ragazzi di oggi che a scuola si viene per questione di dignità personale, per poter essere sempre in grado di decidere con la propria testa cosa fare e cosa no, anche andando contro la norma comune (se necessario)?
La bocciatura diviene uno spauracchio obbligato di fronte alle classi attuali, ormai composte da individui che non hanno la percezione dell’importanza della cultura e della conoscenza. Concordo con Don Milani, è necessario educare alla dignità e diseducare alle mode, che sono l’antitesi della capacità critica, e condivido che per fare ciò non dobbiamo mettere i giovani sotto una campana di vetro ma dobbiamo aiutarli a divenire liberi pensatori. Questa è la teoria, la pratica poi è tutt’altra cosa.
Ultimo punto: gli alunni. I ragazzi che ci troviamo a fronteggiare oggi non hanno nulla a che vedere con quelli che frequentavano Barbiana, questo purtroppo è vero. Gli studenti di Don Milani hanno ben chiara la propria battaglia, essi alzano la voce perché sanno – come Lucio che possiede 36 mucche – che “la scuola sarà sempre meglio della merda.” I giovani fiorentini si battono per una scuola libera, democratica e popolare, conoscono le fatiche del lavoro e la rassegnazione, hanno ben presente cosa significa avere paura di non poter cambiare la propria posizione sociale o le proprie abitudini di vita, di conseguenza sono giovani coraggiosi, che non temono di esporsi per ottenere quegli stessi diritti scritti nella Costituzione.
I nostri ragazzi non sono così “fortunati”, sono sempre più soli ed isolati, non fanno tardi al pomeriggio o alla sera, non temono le note dei professori, non affrontano individualmente i problemi che non sanno risolvere. Non conoscono i limiti né il brivido che si prova nel superarli, non distinguono il merito perché gli abbiamo insegnato che tutto gli è dovuto.
A furia di “volerli aiutare” li abbiamo resi interdipendenti dagli adulti di riferimento, eppure è il momento di renderci conto che non possiamo salvarli dal crescere.
Forse a scuola da Don Milani dovremmo tornarci un po’ tutti, lui ci incoraggerebbe a prenderci qualche responsabilità in più, forse ci direbbe di fare dei passi indietro e di osservare i nostri “piccoli” mentre si rialzano da soli con le ginocchia sbucciate. Ce lo insegnerebbe con qualche scappellotto sul collo, ma questi sono i rischi che corre chi si ostina a non voler imparare.
ALESSIA CAGNOTTO
POLITICA – ESTERI
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I più pessimisti prevedono che tra qualche decennio l’INPS non sarà più in grado di erogare le pensioni a tutti.
I più ottimisti pensano che con una pensione integrativa si potrà sopperire alle ridotte entrate pensionistiche pubbliche.
Nessuno pensa che l’attuale sistema possa garantire in futuro un trattamento almeno uguale quello attuale, perché la continua riduzione degli “attivi” (cioè chi paga i contributi sociali) rispetto agli “inattivi” (cioè chi incassa le pensioni) è tale per cui lo sbilancio inevitabilmente comporterà conseguenze nel ricalcolo delle erogazioni a chi va in quiescenza.
Il problema pensione è particolarmente grave per chi oggi ha tra i venti e i quarant’anni, e tutte le simulazioni che sono predisposte dagli esperti lo dimostrano.
E’ quindi sempre più urgente pensare di costruirsi una pensione “personale” se non vogliamo arrivare al termine dell’attività lavorativa poveri (oppure se non vogliamo lavorare per sempre) utilizzando gli strumenti a disposizione che consentono di costruire una previdenza complementare.
Si può far ricorso agli strumenti “istituzionali” (fondi pensione e Piani Individuali pensionistici), oppure ad una sorta di “fai da te”, programmando investimenti in grado di erogare a scadenza una rendita.
1-La previdenza integrativa
E’ basata su un sistema di forme pensionistiche incaricate di raccogliere il risparmio mediante il quale, al termine della vita lavorativa, si potrà beneficiare di una pensione complementare.
Comprende i fondi pensione (“secondo pilastro”) ed i piani pensionistici individuali (“terzo pilastro”):
In tutte queste forme la rendita garantisce la reversibilità (cioè il pagamento al coniuge) di una quota della pensione in caso di decesso del beneficiario. E’ possibile anche chiedere il riscatto anticipato del capitale maturato in casi gravi (invalidità permanente, disoccupazione per più di 48 mesi, morte). Si possono inoltre ottenere somme parziali (anticipazioni) prima dell’età pensionabile nel caso di acquisto o ristrutturazione della prima casa, o per altre necessità (ma solo dopo 8 anni dall’adesione) o per sostenere spese mediche gravi ed urgenti.
Date le finalità previdenziali, la fiscalità è favorevole: è prevista la deducibilità dei versamenti fino ad un massimo di 5.164,57 euro l’anno, e le plusvalenze realizzate dal capitale sono tassate al 20% (anziché al 26% di aliquota “ordinaria”). Infine, al momento del pensionamento, è possibile chiedere il 50% del capitale accumulato con incasso immediato, beneficiando della pensione per un importo ovviamente ridotto.
A fronte di questi benefici, occorre però considerare alcuni aspetti critici del sistema, in particolare i costi elevati (specie per i fondi aperti ed i PIP), calcolati dalla COVIP (l’ente che sovraintende l’attività del settore della previdenza complementare) in circa il 2-3% annuo.
E’ stato calcolato che un costo medio del 2% può ridurre il capitale accumulato dopo 35 anni di partecipazione al piano pensionistico di circa il 18%. Chi sceglie un Pip al posto di un fondo di categoria si condanna a una pensione complementaredefalcata dal 20 al 40% circa.
2- La previdenza “fai da te”
Esistono alternative alla previdenza integrativa per garantirsi una serena vecchiaia con una pensione sufficiente?
La risposta è sì, pur se con alcune precisazioni importanti da mettere in evidenza.
Una prima soluzione è di tipo assicurativo, costituita da polizze “finanziarie” che offrono l’accumulo del capitale svincolato dallarigida normativa previdenziale (che proibisce l’incasso integrale del capitale accumulato), ma che non godono delle agevolazioni fiscali non essendo previdenziali. Si può ottenere una rendita vitalizia a partire dalla data che si preferisce, addirittura a partire dalla stipula (rendite immediate).
Una seconda soluzione è di tipo finanziario “puro”, realizzabile attraverso un PAC (Piano d’accumulo del capitale) in un fondo comune d’investimento. In questo caso i costi sono nettamente inferiori (intorno all‘1%), ma il risultato non è garantito (un fondo potrebbe anche perdere valore per le oscillazioni dei titoli) e soprattutto non garantisce una rendita vitalizia ma solo una rendita legata ai risultati conseguiti: in pratica, il capitale potrebbe esaurirsi prima della morte del titolare, lasciandolo con la sola pensione INPS.
Meglio un fondo pensione od un fondo comune?
La risposta unica e sicura non c’è, in quanto dipende dall’obiettivo di chi cerca una rendita, dalla sua situazione familiare, dalle sue disponibilità.
Certo, nella fase di accumulo il ricorso al fondo comune è preferibile, in quanto consente di giungere a cifre più elevate; ma nella fase di utilizzo, il fondo pensione è preferibile perché dà la garanzia del vitalizio. E comunque non va sottovalutato il fatto che la rendita è garantita e che è indicizzata nel tempo solo in misura crescente.
Per contro, il fondo pensione, al decesso dell’assicurato e dell’eventuale beneficiario supplementare estingue il capitale, mentre un fondo comune rimane a disposizione degli eredi per la parte non utilizzata.
La soluzione ideale quindi è un “mix” dei due strumenti che consenta di mediare le diverse esigenze; come sempre, la diversificazione è la risposta giusta ai problemi finanziari.
3- Una soluzione innovativa: i BTPppi
Una forma innovativa, infine (ma è ancora da realizzare, trattandosi al momento di uno studio teorico) (1) è quella di emissioni di Buoni del Tesoro riservati ai futuri pensionati, icosiddetti BTPppi i quali, a differenza dei BTP normali, permetterebbero di costruire dei flussi di cassa utili alle necessità pensionistiche del sottoscrittore.
Il titolo sarebbe una sorta di “salvadanaio” in cui si metterebbero, con acquisti periodici, i risparmi per i 30-40 anni di vita lavorativa. Al momento della pensione lo Stato restituirà per un periodo di 15-20 anni una rendita, partendo dal capitale complessivo versato, incrementato annualmente dalle cedole non pagate, in regime di capitalizzazione composta. La rendita potrà essere indicizzata all’inflazione corrente anno per anno per mantenere intatto il suo valore reale.
L’idea è quella di fornire un’ulteriore forma complementare di previdenza a costi bassissimi, essendo un investimento sicuro, privo di commissioni e di costi di gestione.
Si tratta di un sistema più prossimo a quello di un PAC che ad un PIP, riflettendone quindi pregi e difetti, ma con notevoli vantaggi per il lavoratore (costo praticamente nullo, massima flessibilità nei versamenti – variabili a piacimento – tassazione agevolata al 12,5% sui rendimenti, esenzione dall’imposta di successione).
Ed anche lo Stato ne trarrebbe vantaggio, attraverso l’emissione di titoli di debito a collocamento “sicuro” e, per tutto il periodo dell’accumulo, senza oneri di liquidità poiché non è previsto il pagamento delle cedole.
Insomma, le alternative al “primo pilastro” ed alla previdenza complementare ci possono essere, ognuna con i suoi pregi ed i suoi difetti, offrendo ai risparmiatori-lavoratori una gamma varia ed articolata di soluzioni fra le quali scegliere (anche con opportuni “mix” delle formule) il modo ottimale per pensare serenamente alla propria vecchiaia.
*Giornalista e scrittore
Ferrere d’Asti. Vista dal Municipio: la Chiesa dei Battuti, la Chiesa di San Secondo e il Castelrosso. L’immagine è di Alessandra Macario.
Torino, 19 giugno 2024 – Guida Sicura, il progetto rivolto al personale di Poste Italiane nell’ambito di un protocollo d’intesa firmato con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha visto anche la partecipazione dei dipendenti della provincia di Torino nella tappa che ha avuto luogo questa mattina.
Sviluppare la cultura della prevenzione degli incidenti stradali, dare priorità alla sicurezza delle persone, rispettare le regole per una guida sicura e responsabile sono le finalità dell’iniziativa rivolta a tutti i dipendenti che durante l’orario di servizio utilizzano un veicolo per lo svolgimento della propria attività, in particolare portalettere, venditori e autisti di mezzi pesanti.
Fra le varie forme di collaborazione formativa tra PosteItaliane e Polizia di Stato rientra anche l’incontro odiernodurante il quale i funzionari della Polizia Stradale hanno illustrato le situazioni di rischio e le modalità per affrontarle, le distrazioni più comuni e pericolose, i dispositivi di protezione individuale e i limiti di velocità.
L’iniziativa rientra in un programma di appuntamenti che, dal 2023 ad oggi ha già coinvolto 144 dipendenti in Piemonte di cui 71 torinesi.
L’ Azienda pone costante attenzione ai temi della sicurezzastradale che coinvolge ogni giorno il personale impiegato nel servizio di distribuzione di pacchi e corrispondenza attraverso motocicli, tricicli, quadricicli, auto e furgoni. In provincia di Torino sono oltre 660 gli addetti alle consegne.
Nei prossimi mesi Guida Sicura coinvolgerà i dipendenti di Poste Italiane delle altre regioni italiane per un totale di 33 appuntamenti.
Lo rende noto studio dell’Osservatorio Economico della Federazione Piccole e Medie Imprese presieduto da Luca Pantanella
“Transizione ecologica e digitale lontane per PMI piemontesi”. Lo rivela uno studio di Luca Pantanella, presidente dell’Osservatorio Economico Federazione Medie e Piccole imprese che in Piemonte conta oltre 500 aziende su un totale di 6000 in Italia.
“Gli obiettivi dell’agenda 2030 in termini di automazione dei processi ed ecosostenibilità risultano ancora impraticabili per l’85% dei piccoli imprenditori in regione. La crisi di liquidità seguita a una fase di stagnazione di mercato post pandemica porta le aziende a ridefinire priorità e urgenze nella gestione quotidiana del business, fra cui la rinegoziazione di accordi fra banche e fornitori per un maggiore equilibrio nella vita operativa dell’impresa”.
Ma c’è di più. “I mutamenti post Covid su rating e parametri di merito creditizio – chiosa Pantanella – hanno reso più arduo il ricorso a bandi pubblici di finanza agevolata preposti allo scopo, che prevedono stringenti condizioni di solidità e stabilità dell’azienda molto più idonee a grandi produttori che a piccole realtà con massimo 15 dipendenti l’una, per ovvie ragioni di volumi e risorse strutturate in forma più semplice e impossibilitate ad avere un management specificamente profilato. È un po’ come proporre un seggiolone a chi è affetto da nanismo”, chiosa Pantanella.
Martedì 18 giugno alle ore 18,30 presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino sono stati premiati i vincitori della seconda edizione del Premio Giornalistico Paolo Osiride Ferrero 2024.
Il Premio è ideato e promosso da CPD – Consulta per le Persone in Difficoltà grazie al sostegno e alla partnership strategica con Fondazione CRT nell’ambito del progetto Agenda della Disabilità, con il Patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, della Federazione Nazionale Stampa Italiana,della Città di Torino, della Regione Piemonte e in collaborazione con il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca”dell’Università di Torino, l’Associazione Angelo Burzi, OPES aps, la media partnership con l’Agenzia ANSA e il sostegno di ASTM Group, Avio Aero, Reply e Fondazione Venesio Ente Filantropico.
L’iniziativa nasce dalla volontà di valorizzare chi all’interno del mondo dell’informazione in Italia si sia particolarmente distinto attraverso la propria attività giornalistica, autoriale o di creatore di contenuti nel sensibilizzare sui temi della disabilità e dell’inclusione sociale oltre ai sei goal fondamentali contenuti dentro l’Agenda della Disabilità, il progetto ideato da CPD e Fondazione CRT, utilizzando un approccio, un linguaggio e una trattazione originale degli argomenti in grado di far progredire realmente la società civile su questo versante così centrale.
Numerose le adesioni arrivate quest’anno, più di 150, provenienti oltre al Piemonte da tutto il territorio nazionale, dal Trentino al Lazio fino alla Sicilia e alla Sardegna.
Il merito è anche degli eventi di promozione del concorso che all’inizio di quest’anno è stato presentato alla stampa nazionale nella sala conferenze della Camera dei Deputati a Roma, alla presenza di Alessandra Locatelli, Ministro per le disabilità.
Oltre alla provenienza, si è soprattutto allargata la tipologia delle testate giornalistiche a cui appartengono le tante firme che hanno inviato i propri lavori alla segreteria del Premio. Tra queste si segnalano in particolare: La Stampa, Il Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tempo, Avvenire, Il Tirreno, il Riformista, Tuttosport, Il Secolo XIX, TG2 Medicina, TG Sport RAI 2, RAI 3, TGR, RADIO 1 RAI e TV 2000.
Sono stati assegnati:
Premio Carta stampata e un assegno di 2.000 euro ad Antonio Mira per l’articolo “Cercarla anche se non è facile”,pubblicato sul bimestrale cartaceo “La Via Libera” (n. 23 del 2023).
Premio Radio e TV e un assegno di 2.000 euro a Laura Bertie Lidia Scognamiglio per il servizio andato in onda il 25 dicembre 2023 su TG2 Medicina 33.
Premio Web e Social e un assegno di 2.000 euro a Elena Magagnoli per l’articolo “UE: le donne con disabilità sono vittime di sterilizzazione forzata” pubblicato su La Svolta quotidiano online il 7 dicembre 2023.
Premio Speciale al LAD – Liceo Artistico del Design di Torinoper la comunicazione visual del Premio Giornalistico Paolo Osiride Ferrero.
Durante la serata condotta dalla giornalista Carla Piro Mandersi è tenuto un talk sul tema Comunicazione e Disabilità cui hanno partecipato Luigi Contu, Direttore dell’ANSA, Valentina Tomirotti, giornalista e attivista, Claudio Arrigoni, giornalistadella Gazzetta dello Sport, Marco Andriano, influencer eFabrizio Vespa, giornalista e coordinatore del Premio.
I testi selezionati dal Premio Paolo Osiride Ferrero sono stati in grado, secondo il giudizio insindacabile della giuria, di accendere l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sul tema della disabilità e delle persone in difficoltà attraverso il racconto di storie originali e che si pongano in una chiave esemplare oltreché di indagine o di denuncia.
L’obiettivo finale è migliorare la percezione generale su queste tematiche così centrali, superando l’ancora troppo frequente approccio pietistico e strumentalizzante e far progredire il linguaggio e la comunicazione verso una modalità più corretta, innovativa e moderna.
Inoltre, il titolo del Premio porta con sé la memoria di Paolo Osiride Ferrero, Presidente storico della Consulta per le Persone in Difficoltà, eletto nel 1995 e alla quale si è dedicato per tutta la vita fino alla sua scomparsa. In particolare, nel suo lavoro incessante per far progredire questi temi, Paolo Osiride Ferrero si è caratterizzato non solo per le modalità innovative di interlocuzione con le istituzioni e il mondo associativo, ma soprattutto per la sua capacità di dialogo e interazione con il mondo della comunicazione. Figura di rottura anche in questo, aveva infatti intuito fin da subito l’urgenza di superare la barriera culturale che relegava i temi della disabilità al di fuori dei normali canali e del lessico della comunicazione.
BIO VINCITORI
ANTONIO MARIA MIRA, detto Toni, nato a Roma il 5 gennaio 1954, sposato e con quattro figli, è collaboratore del quotidiano Avvenire dopo esserne stato caporedattore, inviato speciale e editorialista curando le inchieste e i dossier di approfondimento.È membro dell’Osservatorio su ambiente e legalità di Legambiente ed è tra i collaboratori del dossier annuale “Ecomafie”.
Fa parte della Commissione Consultiva Permanente di Avviso pubblico, del Comitato scientifico del bimestrale “lavialibera” il progetto editoriale di Libera e del Gruppo Abele, del Comitato scientifico del Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia e del Movimento antimafia di Corleone, del Comitato scientifico del progetto “Libera il bene” promosso da Libera e dalla Conferenza episcopale italiana. È membro del Comitato scientifico dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil sul caporalato e lo sfruttamento.
LIDIA SCOGNAMIGLIO
Nata a Napoli, vive e lavora da anni a Roma. Laureata in Lettere moderne, si è specializzata alla Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Nel 2007 è diventata giornalista professionista e ha iniziato il suo percorso in Rai, inizialmente a Rainews24 e al Giornale Radio Rai mentre dal 2008 è al TG2 nella rubrica Medicina 33 e nella redazione di Scienze. Si è sempre occupata di medicina, cercando di dar spazio nei servizi anche al risvolto umano delle persone e dei pazienti.
LAURA BERTI
Nata a Roma il 26 novembre 1959, laureata in Lingua e Letteratura Angloamericana all’Università La Sapienza con Master in Giornalismo presso la Luiss, è giornalista professionista dal 1993. Ha lavorato per il Messaggero, Paese Sera, Espresso e TMC. È caporedattrice del TG2, dal 2014 è conduttrice e curatrice della rubrica TG2 “Medicina 33”. Sempre per il TG2 è stata inviata in Etiopia, Africa Centrale, Sudafrica, Canada, Romania e Bulgaria oltre a essere autrice di numerosi dossier a sfondo scientifico.
ELENA MAGAGNOLI
Autrice freelance, laureata in Giurisprudenza all’Università Bocconi, scrive di diritti umani, questioni di genere e cultura. Collabora con La Svolta, La Nazione e Luce!.
Open day prevenzione al femminile: venerdì 21 giugno l’ospedale Sant’Anna di Torino organizza l’evento “Prevenzione al femminile nelle fasi della vita”. Il 19 giugno visite e servizi gratuiti in oltre 160 ospedali Bollino Rosa di Fondazione Onda ETS Venerdì 21 giugno 2024 dalle ore 14 alle ore 18 l’ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino organizza, presso l’Aula Dellepiane (via Ventimiglia 1), l’evento “Prevenzione al femminile nelle fasi della vita”. Fondazione Onda ETS nella giornata del 19 giugno 2024 coinvolge gli ospedali Bollino Rosa per promuovere la prima edizione dell’(H) Open Day prevenzione al femminile – dalla pubertà alla menopausa, offrendo gratuitamente servizi clinico-diagnostici ed informativi, quali visite, esami strumentali, colloqui, infopoint, conferenze e distribuzione di materiale dedicato nelle aree specialistiche di cardiologia, dermatologia, diabetologia, dietologia e nutrizione, endocrinologia e malattie del metabolismo, ginecologia e ostetricia, neurologia, oncologia ginecologica, oncologia medica, psichiatria, senologia ed urologia. «Promuoviamo per la prima volta l’(H) Open Day prevenzione al femminile – dalla pubertà alla menopausa con l’obiettivo di promuovere presso la popolazione femminile una corretta prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi della vita, dalla pubertà alla menopausa appunto, in relazione alle modificazioni ormonali che le accompagnano e le caratterizzano in modo molto specifico, impattando sulla salute e sul benessere psico-fisico», dichiara Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda ETS. Per l’occasione verrà distribuito negli ospedali un opuscolo divulgativo-informativo dal titolo “Ormoni e Salute femminile”, disponibile anche in formato elettronico sul sito www.fondazioneonda.it nella sezione “Pubblicazioni”. I servizi offerti dalle oltre 160 strutture del network Bollino Rosa che hanno aderito all’iniziativa saranno consultabili a partire dal 10 giugno 2024 sul sito www.bollinirosa.it con indicazioni su date, orari e modalità di prenotazione, accedendo alla sezione “consulta i servizi offerti”. È possibile selezionare la regione e la provincia di interesse per visualizzare l’elenco degli ospedali aderenti. Fondazione Onda ETS dal 2007 attribuisce agli ospedali che erogano servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie femminili il riconoscimento del Bollino Rosa. Il network, composto da 361 ospedali dislocati sul territorio nazionale, sostiene Fondazione Onda ETS nel promuovere, anche all’interno degli ospedali, un approccio “di genere” nella definizione e nella programmazione strategica dei servizi clinico-assistenziali, indispensabile per garantire il diritto alla salute non solo delle donne ma anche degli uomini. L’iniziativa è realizzata con il patrocinio di AOGOI – Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani, SID – Società Italiana di Diabetologia, SIDeMaST – Società Italiana di Dermatologia medica chirurgica estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse, SIE – Società Italiana di Endocrinologia, SIGO – Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, SIIA – Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa, SINPF – Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, SIP – Società Italiana di Psichiatria e con il contributo incondizionato di Vichy nell’ambito del progetto etico Hormonall, un programma di formazione dedicato all’impatto delle variazioni ormonali sul benessere delle donne.