ilTorinese

Protesta “incendiaria” nel carcere di Torino

Follia e pericolo, protesta e fuoco: sono questi gli ingredienti dell’ennesima giornata di squilibrio vissuta a Torino, nella Casa circondariale. “Nel primo pomeriggio di ieri, presso l’undicesima Sezione del Padiglione B, un detenuto di nazionalità marocchina ha dato luogo a una protesta, appiccando il fuoco a diversi oggetti presenti all’interno della propria camera detentiva”, spiega il segretario per il Piemonte del SAPPE, Vicente Santilli. “La protesta sarebbe riconducibile alla richiesta del detenuto di mantenere aperta la porta della cella, nonostante fosse sottoposto a regime di isolamento disciplinare. Durante l’intervento del personale per il ripristino dell’ordine e della sicurezza, un agente ha riportato sintomi da intossicazione da fumo ed è stato trasportato presso il primo nosocomio disponibile per ricevere le cure necessarie”, conclude il sindacalista: “Ancora una volta il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari ha impedito peggiori conseguenze alla struttura ed agli reclusi ristretti e si meriterebbero una adeguata ricompensa ministeriale“.
Quanto accaduto a Torino deve necessariamente far riflettere per individuare soluzioni a breve ed evitare che la Polizia penitenziaria sia continuo bersaglio di situazioni di grave stress e grande disagio durante l’espletamento del proprio servizio, quale quella di sventare le conseguenze di un assurdo incendio”, commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Non possono più essere ammissibili e tollerati atteggiamenti prevaricatori, arroganti da parte di una parte di popolazione detenuta che ormai, è notorio a tutti, è sempre più spietata ed insofferente al regime penitenziario, sia adulto che minorile! La politica deve farsi carico di tale problema assumendo idonee iniziative legislative per risolvere quando prima tale questione! Il Sappe, in merito a quanto accaduto, e per la droga sequestrata e per l’incendio sventato, intende rivolgere la propria vicinanza ai poliziotti per il coraggio e le capacità dimostrate dai Baschi Azzurri di Torino”.

Arrestati due fratelli: spacciavano droga tra i giovani

Due fratelli di 33 e 42 anni sono stati arrestati a Nichelino con l’accusa di detenzione illecita di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio in concorso. Sono ai domiciliari per aver fornito droga ai giovani del posto. I carabinieri hanno documentato numerose cessioni di droga nei pressi di un chiosco della zona e nel corso di una perquisizione domiciliare, i carabinieri hanno trovato nove panetti di hashish.

Libri e autori nella magia del foliage

Proseguono gli incontri e gli eventi della sesta edizione di “Bellezza tra le righe”, la rassegna che anima le dimore storiche della Regione

Domenica 9 novembre

Piossasco / San Secondo di Pinerolo / Racconigi

Sono ben cinque gli appuntamenti programmati per la prossima domenica 9 novembre, nell’ambito della sesta edizione (nata con il patrocinio di “Adsi – Associazione dimore storiche italiane”) della Rassegna “Bellezza tra le righe”, che, nella magia unica del “foliage” autunnale, invitano alla riscoperta del  piacere della lettura nel contesto singolare di “Casa Lajolo” a Piossasco, del “Castello di Miradolo”, a San Secondo di Pinerolo e della “Tenuta Berroni”, a Racconigi.

Alla settecentesca “Casa Lajolo”, in via San Vito 23 a Piossascoalle 15,  è previsto l’incontro con Franco Faggiani. Lo scrittore romano presenterà “Basta un filo di vento” (Fazi Editore), l’ultimo suo romanzo: una storia di amore, amicizia e solidarietà che narra l’attaccamento alla terra da parte di una comunità capace di creare legami solidi e duraturi che possono salvare e proteggere. In dialogo con lui, ci sarà Sante Altizio, presidente dell’ “APS BookPostino”.

Faggiani ha lavorato come reporter nelle aree più calde del mondo e ha scritto manuali sportivi, guide, biografie e romanzi ma da sempre alterna alla scrittura lunghe e solitarie esplorazioni in montagna. Esplorazioni che gli hanno fatto vincere, fra i tanti, il “Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo 2023”, il “Premio Gambrinus Mazzotti 2023” e il “Premio Selezione Bancarella 2024”. I suoi romanzi sono stati tradotti con successo in Olanda, Ucraina, Bulgaria e Francia dove, con “L’inventaire des nuages”, ha vinto il “Grand Prix du Salon International du Livre de Montagne de Passy 2024”.

San Secondo di Pinerolo, in via Cardonata 2, al “Castello di Miradolo” (appartenuto fino al 1950 al Casato dei “Conti Cacherano di Bricherasio” che vantò il titolo di “vicerè dei Savoia” e dal 2008 sede della “Fondazione Cosso”), alle 10,30, si inizia invece la giornata con un’attività pensata per i più piccoli (0-6 anni): si intitola “Piccole storie all’ombra delle foglie” ed è a cura della stessa “Fondazione Cosso”“Cosa c’è di più bello – dicono gli organizzatori – che ascoltare una storia stando seduti sull’erba, con il cielo sopra la testa e gli alberi tutto intorno? Tra coperte e foglie, si darà voce a libri illustrati, filastrocche e piccole-grandi avventure”.

Quindi, alle 11, l’incontro con Marcello Petitta, fisico e climatologo, ricercatore all’“Università di Tor Vergata” a Roma dove lavora sulle questioni energetiche e climatiche. Petitta presenta “La tempesta perfetta e altre storie sul clima”. Al centro della presentazione e del volume, l’obiettivo di scoprire come funzionano il clima e i maggiori eventi climatici e, di conseguenza, tentare di comprendere i cambiamenti in corso e le loro conseguenze.

“Petitta, anche a Miradolo – si spiega – si pone una sfida: rendere comprensibile il clima, anche là dove sembra più difficile parlarne. Perché capire il clima significa anche capire le leggi che lo governano: per questo, usa un linguaggio il più possibile semplice e metafore esemplificative”.

Alle 12,30, si terrà il cosiddetto “pranzo letterario” nel restaurato “Atelier” della Contessa Sofia.

Domenica 9 novembre, infine, nella settecentesca “Tenuta Berroni” (proprietà oggi della contessa Castelbarco Visconti) di Racconigi (Cuneo), da quest’anno nel circuito di “Bellezza tra le righe”, alle 15,30, è previsto l’incontro con la scrittrice e “dottore forestale” Cristina Converso (nata a Torino ma oggi residente in Val di Susa) che, intervistata dal giornalista Fabio Marzano, co-fondatore del “Festival del Verde” di Torino, presenterà “A radici nude”.

Tre storie, tre vite che si intrecciano nel volume come radici che mostrano la loro bellezza e fragilità, la loro tenacia e il legame fortissimo con la terra e le presenze che la abitano: Converso, nel suo, libro accompagna nel cuore della Val di Susa, dove un contesto naturale unico come l’“Orrido di Chianocco” (canyon naturale con paesaggi mozzafiato e una ricca diversità di flora e fauna, la cui conservazione è fondamentale per preservare la biodiversità per le future generazioni) rischia “di essere minacciato – scrive – dalla sete di potere e dall’ambizione, da un presunto progresso, mentre segreti sepolti, parole taciute e antichi incanti ancora sussistono, in una danza silenziosa e potente che si rinnova generazione dopo generazione”.

Per maggiori infowww.bellezzatralerighe.it

G.m.

Nelle foto: Franco Faggiani; Letture bimbi all’ombra delle foglie”; Marcello Petitta

“Ma cos’era mai questo Toro?”

Sabrina Gonzatto e la passione granata a vent’anni dall’uscita del suo libro

Sabrina Gonzatto, torinese, scrittrice “per caso”, riservata ma luminosa, laureata in lingue, esperta di comunicazione e appassionata granata, ha vissuto per un periodo in Francia dove ha approfondito i suoi studi di marketing. Amante della pittura ha organizzato mostre d’arte arricchendo il suo patrimonio professionale; un giorno risponde ad un annuncio di lavoro pubblicato su La Stampa, come si faceva qualche anno fa, e viene assunta dopo una lunga selezione, in quella che oggi si chiama Università ECampus. La prima sede dell’azienda, a Corso Vittorio Emanuele 77, è stata l’ex quartier generale del Torino scelta dal presidente Orfeo Pianelli, coincidenza suggestiva? “Era scritto che dovessi vivere in quella sede, era il destino”.

Il Toro è una passione di famiglia?

Si, dopo essere andati a visitare la nostra prima sede aziendale sono tornata a casa e i miei genitori mi hanno detto subito che quella era la ex sede granata. Dopo qualche tempo, senza avere l’intenzione di scrivere un libro, ho cominciato a buttare giù delle pagine sul Toro supportata da mio padre con cui avevo un rapporto speciale; da piccola lo accompagnavo allo stadio, un luogo che mi attraeva per l’atmosfera e per tutte quelle persone appassionate, lui tifava molto e a volte tornava a casa senza voce. Dopo qualche tempo questi scritti hanno preso forma, li ho mostrati a mio marito Giulio Graglia che, a mia insaputa e con mia grande sorpresa, ne ha creato un progetto teatrale.

È così che è diventata una scrittrice?

Esatto, al libro “Ma cos’ era mai questo Toro?” uscito la prima volta nel 2005, ne sono seguiti altri come la biografia “Orfeo Pianelli – Il presidente del Toro campione” dedicato alla figlia Cristina. Il fatto di essere entrata nella comunità granata e non essere più unicamente una tifosa, mi ha incoraggiato ad occuparmi maggiormente della mia squadra di calcio; posso dire di essere la capostipite, nel periodo contemporaneo, ad aver dedicato diversi libri al Toro, questo primato mi rende molto orgogliosa, ma allo stesso tempo riconosco di non essere sola in questa importante attività “sentimentale”.

Il libro e lo spettacolo teatrale raccontano di Marco, del suo diario e del suo amore granata?

Sì. Marco torna a casa dei suoi genitori e trova il suo diario di quando era adolescente, ma anche figurine Panini e tra le foto una di sua figlia da piccola. Con questa immagine di Carlotta inizia un dialogo/monologo immaginario fatto di confidenze, di ricordi e della sua passione granata. Il titolo “Ma cos’era mai questo Toro?” è la considerazione della figlia Carlotta al parlare con grande enfasi e slancio del Toro del suo papà. Nel libro racconto anche della tragedia di Superga, dello scudetto del 1975/76, mi fermo calcisticamente agli anni ’90.

L’ho dedicato a tutti i papà, ma soprattutto al mio che mi ha insegnato l’amore per il Grande Torino.

Maria La Barbera

Sapori di famiglia: il polpettone gustoso e casereccio

Polpettone al forno con patate

Una ricetta della tradizione dagli antichi sapori di pranzi in famiglia. Questo è il polpettone, un secondo gustoso ed economico che racchiude un goloso e succulento ripieno.
Un piatto che rende felice tutti.

Ingredienti

600gr. di carne trita di manzo
2 uova
50gr.di grana grattugiato
4 grissini ridotti in polvere
3 fette di prosciutto crudo
100gr. di toma o fontina
Sale, pepe q.b.
5 patate
1 rametto di rosmarino
Sale, olio q.b.

In una ciotola impastare la carne con le uova, il parmigiano, la polvere di grissini, il sale ed il pepe. Stendere l’impasto su un foglio di carta forno, dare una forma rettangolare, sistemare le fette di prosciutto e sopra, il formaggio a tocchetti.
Arrotolare la carne aiutandosi con la carta forno e sigillare bene. Chiudere a caramella e sovrapporre un altro foglio di carta forno sigillando bene. Sistemare il polpettone al centro di una pirofila da forno, aggiungere le patate tagliate a cubetti condite con olio e rosmarino.
Infornare a 180 gradi per 30 minuti. Estrarre il polpettone, togliere la carta e rimettere in teglia per altri 15 minuti.

Servire caldo.

Paperita Patty

 

La solitudine delle donne

Sole, ma non per scelta, e fra mille difficoltà. Palazzo Lascaris ha ospitato  il convegno “La solitudine delle donne”, organizzato dalla Consulta femminile regionale, per approfondire e portare alla luce la solitudine femminile nelle sue diverse sfaccettature, psicologiche, sociali, professionali.

“Questo convegno affronta un tema spesso taciuto, ma che ha invece bisogno di attenzione da parte della società civile e delle istituzioni”, ha dichiarato la consigliera segretaria Valentina Cera. “Sempre più sono i casi di donne anziane sole che hanno bisogno di trovare nella società una rete di supporto e vicinanza. Come sempre di più sono i casi di ragazze che si auto isolano dalla società, affrontando periodi di estrema difficoltà psicologica. Bisogna fare di più in termini di servizi per la salute mentale delle giovani generazioni. Si tratta quindi di un convegno importante, che deve portare i decisori politici a riflettere e approfondire la tematica della solitudine. Ringrazio la Consulta per impegnarsi a essere stimolo culturale rivolto alla cura delle fragilità delle donne. Un importante lavoro che, come consigliera regionale dell’Ufficio di presidenza, delegata alla Consulta, condivido e ho voluto fare mio”.

“L’iniziativa di oggi è una lente che attraversa tutta la vita di una donna: tutte le età, tutte le condizioni, dall’adolescenza al lavoro, dalla malattia alla famiglia”, ha dichiarato il presidente del Consiglio regionale Davide Nicco, che pur non riuscendo a presenziare ha voluto condividere la sua riflessione. “E l’attenzione si focalizza sui segmenti più fragili e più invisibili: le bambine e le adolescenti, le imprenditrici e le libere professioniste, le donne che combattono malattie non riconosciute, le anziane sole, le caregiver che reggono pezzi di welfare informale. L’istituzione che rappresento deve essere – e sarà – alleata nel portare luce dentro le ombre che in questi tempi si stanno annidando. Perché riconoscere la solitudine significa assumere una responsabilità: quella di costruire reti, servizi, strumenti che rendano la società più vicina, più presente, più capace di prevenire e proteggere”.

La solitudine è una condizione piacevole solo se viene scelta, diventa invece una ferita profonda quando è imposta o subita”, ha affermato la presidente della Consulta femminile regionale Fulvia Pedani. “Con questo incontro, che ha coinvolto esperti provenienti dal mondo accademico, sanitario ed economico, abbiamo voluto porre l’attenzione su un tema tanto complesso e attuale che colpisce tutte le fasce d’età, per promuovere una più consapevole presa di coscienza collettiva. Dalla pandemia di Covid-19 in poi, solitudine e isolamento si sono acuiti accompagnando le giornate di molte persone, segnando considerevolmente la loro quotidianità.  Nelle donne, in particolare, questa condizione assume sfumature ancora più complesse: dal disagio emotivo al peso della gestione familiare, fino alla responsabilità sempre maggiore nei contesti professionali e imprenditoriali. Raccontare questa realtà significa riconoscerne il valore e la sofferenza. Creare una maggiore consapevolezza su questo problema sommerso può rappresentare un punto di partenza per costruire insieme quel cambiamento e impegno condiviso per tessere relazioni, reti di sostegno e risposte più eque e umane.”

Riccardo Torta, oncologo e psiconcologo dell’Università di Torino, ha approfondito gli aspetti clinici e gestionali della solitudine, mentre Maria Ludovica Franchini dell’Osservatorio Violenza e Suicidio Piemonte ha messo in evidenza le criticità riguardanti bambini e adolescenti, tra disturbi alimentari e rischio di suicidio. Il carico di responsabilità che devono affrontare le donne imprenditrici e le libere professioniste è stato analizzato da Silvia Ramasso e Serena Bonfanti, di Giunta Apid, Imprenditorialità Donna e sullo stesso tema Alessandra Colombelli del Politecnico di Torino ha fornito alcuni dati relativi all’indagine svolta dal progetto “La solitudine dell’imprenditrice”. Le difficoltà emergenti dell’era del post-Covid per la donna lavoratrice, fra smart working e burn out sono state esaminate da Valentina Ieraci dell’Ordine degli psicologi di Torino, mentre la sociologa Valentina Di Liberto, ha illustrato il fenomeno in preoccupante crescita del ritiro sociale e della sindrome Hikikomori fra le giovanissime. Il disagio psicologico e relazionale è stato al centro della relazione della scrittrice Tea RannoAlessandro Bonansea, direttore della Struttura complessa di psicologia sovrazonale Aslto3, Aslto4, Aou San Luigi ha sottolineato il peso della solitudine nella gestione famigliare e Claudia Tavernari, economista Forensic and Fraud Investigation, ha evidenziato i costi sociali della solitudine.

Riconoscere il ruolo dei caregiver quale vero e proprio lavoro, retribuito, è stata infine la proposta lanciata dalla presidente Pedani al consigliere regionale Silvio Magliano, intervenuto per sottolineare l’impegno del Consiglio regionale in diversi ambiti dove agisce la solitudine. Magliano ha ricordato quattro leggi di cui è stato promotore, ovvero quella per la prevenzione e cura dei disturbi alimentari e quella per il riconoscimento della fibromialgia quale malattia invalidante, approvate nella scorsa legislatura. Il consigliere ha poi ricordato nell’attuale legislatura la legge per il contrasto delle truffe affettive online e la norma che istitutiva della Giornata regionale dell’ascolto e dell’osservatorio regionale per la prevenzione e il contrasto di solitudine e abbandono.

Due cuori, una città: la storia di Juventus e Torino, orgoglio e passione sabauda

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SCOPRI – TO ALLA SCOPERTA DI TORINO

Torino è una città dal passo lento e dallo sguardo profondo, una città che porta addosso il peso della storia e la grazia della sobrietà. Tra le sue strade eleganti, le piazze porticate e le fabbriche che un tempo ne scandivano il ritmo, si muove un sentimento che unisce e divide allo stesso tempo: quello per il calcio. Qui, dove la nebbia avvolge i palazzi e le domeniche profumano ancora di caffè e giornali sportivi, convivono due anime, due colori, due storie che raccontano in modo diverso la stessa passione. Da un lato la Juventus, simbolo di vittoria e rigore, di tradizione borghese e visione internazionale. Dall’altro il Torino, figlio del popolo, della fatica e del coraggio, della speranza che rinasce anche quando tutto sembra perduto. Due squadre nate a pochi anni di distanza, cresciute nello stesso terreno eppure così diverse per stile, carattere e destino. In una città spesso riservata e discreta, il calcio è diventato un linguaggio d’identità collettiva, una forma di appartenenza che supera generazioni e differenze sociali. Il derby della Mole non è solo una partita: è un racconto che si rinnova da più di un secolo, fatto di rivalità, rispetto e memoria. Torino vive di questi due cuori che battono all’unisono, anche quando sembrano scontrarsi. È una città che si riconosce tanto nella compostezza vincente della Signora quanto nell’orgoglio ferito ma indomabile del Toro.
La Juventus, l’eleganza della vittoria
La storia della Juventus inizia nel 1897, quando un gruppo di giovani studenti del liceo D’Azeglio, in una Torino ancora aristocratica ma già proiettata verso la modernità industriale, decise di fondare una società sportiva per divertirsi con quel gioco inglese che stava conquistando l’Europa. La chiamarono “Juventus”, parola latina che significa giovinezza, forse senza sapere che quel nome sarebbe diventato sinonimo di vittoria, disciplina e prestigio. I primi anni furono quelli dell’entusiasmo e dell’improvvisazione, con divise rosa e partite giocate su campi sterrati. Poi arrivò il bianco e nero, ispirato al Notts County, e con esso l’inizio di un’identità destinata a durare nel tempo. La Juventus cominciò presto a imporsi nel panorama nazionale, conquistando scudetti e costruendo una mentalità vincente che non l’avrebbe più abbandonata. Negli anni Venti e Trenta, con l’arrivo della famiglia Agnelli, la società trovò stabilità economica e visione. La Juventus divenne non solo una squadra di calcio, ma un simbolo dell’Italia che cresceva, lavorava, innovava. Nacque così la leggenda della Signora, elegante ma spietata, capace di risollevarsi dopo ogni caduta.
Nel corso dei decenni, la Juventus ha cambiato volti e stadi, ma non anima. Dal vecchio Comunale, teatro di mille imprese, al futuristico Delle Alpi e infine all’Allianz Stadium, un impianto moderno e funzionale che rappresenta la nuova dimensione globale del club. In campo, la storia è passata attraverso nomi che hanno scritto pagine indimenticabili: Giampiero Boniperti, simbolo di classe e leadership; Michel Platini, il genio francese che trasformava ogni punizione in un’opera d’arte; Alessandro Del Piero, capitano gentile e cuore bianconero per eccellenza; e Gianluigi Buffon, volto di un’epoca fatta di sacrificio e carisma.
Ma la Juventus non è solo un elenco di vittorie o di campioni: è un modo di intendere il calcio e la vita. È la capacità di ricominciare dopo le difficoltà, come accadde dopo la tragedia dell’Heysel o gli anni di Calciopoli. È una squadra che ha saputo vincere in silenzio e perdere con dignità, che ha costruito la propria grandezza sul lavoro e sull’equilibrio, proprio come la città che la ospita. A Torino, la Juventus rappresenta l’eleganza della vittoria, la misura di chi non ha bisogno di clamori per sentirsi grande.
Il Torino, la leggenda che non muore mai
Il Torino, invece, nasce dal dissenso, da un atto di ribellione e passione. Era il 1906 quando un gruppo di ex dirigenti e giocatori della Juventus decise di fondare una nuova squadra, libera da gerarchie e animata da spirito popolare. Nacque così il Foot-Ball Club Torino, e da quel giorno la città trovò la sua seconda anima. Il granata, colore scelto in onore di una squadra svizzera, divenne il simbolo di un popolo fiero, pronto a sostenere la propria squadra anche nei momenti più difficili. Fin dai primi anni, il Toro si distinse per il suo carattere combattivo, per la capacità di emozionare e trascinare. Il suo cuore pulsava al Filadelfia, lo stadio che per decenni è stato la culla del calcio romantico, il luogo dove i sogni diventavano realtà e dove ogni allenamento era una lezione di vita.
Negli anni Trenta e Quaranta, il Torino raggiunse l’apice della sua gloria con la nascita del Grande Torino, una squadra che superò i confini dello sport per diventare un simbolo nazionale. Guidati da Valentino Mazzola, un capitano carismatico e generoso, i granata dominavano i campionati, giocando un calcio moderno, veloce, fatto di armonia e coraggio. Erano anni difficili, con l’Italia che cercava di rialzarsi dalle ferite della guerra, ma quella squadra rappresentava la speranza, la voglia di rinascere. Il Grande Torino non era solo una formazione di fuoriclasse: era un esempio di unità e amicizia, un gruppo di uomini che in campo e fuori incarnavano il senso più autentico dello sport.
Poi arrivò il 4 maggio 1949, il giorno che cambiò tutto. L’aereo che riportava la squadra da Lisbona si schiantò contro la collina di Superga, alle porte di Torino. Nessuno sopravvisse. In un attimo, il calcio italiano e la città intera persero i loro eroi. La tragedia di Superga non cancellò però la leggenda, la rese eterna. Da allora il Torino è diventato molto più di una squadra: è un sentimento collettivo, una memoria viva che si tramanda di padre in figlio. Ogni anno, i tifosi si ritrovano ai piedi della basilica per ricordare quei campioni, e il loro nome risuona ancora tra le mura del nuovo stadio Olimpico Grande Torino, dove ogni partita è una preghiera laica, un modo per dire che la leggenda non morirà mai.
Dopo Superga, il Toro ha conosciuto anni di luci e ombre, ha vinto e sofferto, è caduto e si è rialzato mille volte, ma ha sempre conservato la propria identità. Giocatori come Paolo Pulici, Francesco Graziani, Claudio Sala e più tardi Gianluigi Lentini e Andrea Belotti hanno portato avanti quello spirito di appartenenza che fa del Torino una squadra unica. Il Toro non vive per vincere a ogni costo: vive per emozionare, per rappresentare la parte più sincera e appassionata della città. Se la Juventus è la perfezione del gesto, il Torino è il battito del cuore.
Torino, nel profondo, è questo: una città che ama attraverso le sue squadre, che si riconosce in due colori opposti ma complementari, che da oltre un secolo scrive la propria storia attraverso le vittorie, le sconfitte e le lacrime di un pallone. Nelle vie di San Salvario o lungo corso Vittorio, nei bar del centro o nei quartieri popolari, non passa giorno senza che qualcuno parli di Juve o di Toro. Perché qui il calcio non è un passatempo, è una forma di identità. Due squadre, due destini, un solo spirito. Torino vive così, sospesa tra eleganza e passione, tra gloria e dolore, tra due cuori che battono per la stessa città.
NOEMI GARIANO

Se a sinistra vince il radicalismo

LO SCENARIO POLITICO  di Giorgio Merlo

L’esito del voto di New York da un lato ma, soprattutto, le quasi grottesche reazioni della sinistra
italiana dall’altro, hanno riproposto all’attenzione del dibattito politico il capitolo del radicalismo. O
meglio, della trasformazione della sinistra italiana da forza riformista, democratica e di governo a
cartello elettorale che esalta la vocazione infantile e primigenia della stessa sinistra. E cioè, il
massimalismo, il radicalismo, l’estremismo e, purtroppo, anche il populismo. E proprio il
commento al voto americano lo ha, e nuovamente e persino plasticamente, confermato.
Ora, però, c’è un aspetto che non può e non deve più essere sottaciuto. E cioè, ormai l’impianto e
il progetto politico, culturale e programmatico del cosiddetto “campo largo”, o larghissimo che
sia, ha una chiara, netta ed inequivoca impronta radicale. Che alcuni definiscono anche
estremista ma, comunque sia, fortemente ideologizzata. Come sia possibile, garantendo e
perseguendo questa imposizione, renderla compatibile con una altrettanto credibile cultura di
governo è francamente ed oggettivamente impossibile. E questo per una ragione persin troppo
semplice da spiegare. Ovvero, non è attraverso la deriva estremista e massimalista che si può
governare un paese come l’Italia. A cominciare dal versante più delicato, se non addirittura
decisivo, che è rappresentato dalla politica estera con precisi ed ineludibili vincoli internazionali
ed europei. E quindi, dalla politica estera alle politiche legate alla crescita e allo sviluppo per non
parlare del tema, altrettanto decisivo in questa delicata congiuntura nazionale ed internazionale,
della sicurezza a garanzia e a tutela di tutti i cittadini. Ma l’approccio estremista, massimalista e
radicale, oltre ad essere incompatibile – lo ripeto – con qualsiasi cultura di governo, è altrettanto
nefasto per la stessa conservazione della qualità della nostra democrazia. E questo perchè la
radicalizzazione del conflitto politico, la polarizzazione del confronto ideologico, la voglia di
delegittimare moralmente e di criminalizzare politicamente il nemico, sono gli ingredienti
fondamentali della deriva politica nel nostro paese. E se c’è qualche partito – la Lega nella
coalizione di centro destra o i 5 stelle nell’alleanza di sinistra – o addirittura una intera coalizione
come il ‘campo largo’ guidato da Schelin, Conte, Landini , Fratoianni/Bonelli/Salis con l’appoggio
incondizionato e per nulla secondario di realtà importanti come l’ANM e le testate giornalistiche e
televisive che assecondano quel progetto politico, è del tutto naturale che l’imbarbarimento del
conflitto politico è destinato a fare un salto di qualità. Come, del resto, sta puntualmente
capitando nel nostro paese.
Ecco perchè, e partendo proprio dal commento al recente voto amministrativo americano, l’unica
cultura politica, l’unico progetto politico e, soprattutto, l’unico metodo politico capace di mettere
in discussione quell’impianto radicale e massimalista è, oggi, la cosiddetta “politica di centro”.
Chi, oggi, nel nostro paese persegue quella strada – penso alla cultura e alla prassi del
cattolicesimo politico italiano, ma non solo, da un lato e ai partiti che perseguono concretamente
quel progetto dall’altro, a cominciare da Azione di Calenda – non può non essere sostenuto ed
incoraggiato. Per il bene e per la qualità della nostra democrazia e non solo per il futuro e la
prospettiva di quelle culture o di quei partiti.

Torino porta la sua innovazione a Barcellona. Visioni e strategie che trasformano le metropoli

C’è un filo che unisce le città che stanno immaginando il proprio domani: idee, visioni e strategie che trasformano metropoli in luoghi più vivibili, resilienti e sostenibili, e che si sono intrecciate in questi giorni a Barcellona all’interno di due eventi unici per chi progetta, studia o investe nel futuro urbano: lo Smart City Expo World Congress e il Tomorrow.Mobility World Congress.

Torino è arrivata in Catalogna con una storia da raccontare: quella di Capitale Europea dell’Innovazione 2024-2025, città laboratorio dove sperimentazione tecnologica, inclusione sociale e cooperazione internazionale si incontrano ogni giorno.

“A Barcellona non abbiamo portato solo i nostri progetti, ma la nostra idea di futuro,” sottolinea l’assessora all’Innovazione, Mobilità e Transizione Digitale Chiara Foglietta, a capo della delegazione. “Un futuro che mette le persone al centro, dove innovazione significa fiducia, collaborazione e trasformare la tecnologia in bene comune.”

Nei tre giorni di appuntamenti Torino ha illustrato concretamente come questa visione prende forma e ha attivato relazioni strategiche con reti e Città su scala globale.

Alla Coalition of Global City CIOs, organizzato da Bloomberg Torino ha condiviso le proprie sfide locali e ha mostrato come progettualità quali Torino City Lab, con la Casa delle Tecnologie Emergenti e il nuovo Living Lab ToMove siano piattaforme per, al contempo, sperimentare soluzioni urbane concrete – dall’intelligenza artificiale nella gestione pubblica a nuovi servizi di mobilità – e contribuire alla creazione di ecosistemi imprenditoriali inclusivi. Il modello torinese, già punto di riferimento europeo, ha ispirato ad esempio la stessa Città di Barcellona a introdurre regolamenti per favorire la collaborazione pubblico–privato e la creazione di sandbox urbane per la sperimentazione in campo.

Nei workshop tematici, le città europee e asiatiche hanno condiviso approcci diversi, ma un messaggio è emerso chiaro: l’innovazione funziona solo se accompagnata da fiducia, dati di qualità e competenze interne, e se entra nella cultura organizzativa dei servizi pubblici.

Al Tomorrow.Mobility World Congress, Torino ha presentato fra l’altro “AutoMove” il servizio collettivo a chiamata integrato con il trasporto pubblico e la rete digitale urbana recentemente lanciato. La sperimentazione dimostra come guida autonoma e mobilità condivisa possano rendere la città più accessibile, inclusiva e sostenibile, invitando i cittadini a cambiare i propri comportamenti.

Il riconoscimento di “Top MaaS City” ha poi premiato la strategia cittadina che ha messo al centro la collaborazione tra cittadini, imprese e istituzioni per costruire soluzioni concrete che rendano la mobilità più verde e intelligente.

Al Smart City Expo, Torino ha ribadito nella partecipazione a diversi panel e incontri strategici il suo ruolo di laboratorio europeo: con progetti come ToMove e 5G4LIVES ha mostrano come sperimentazione, innovazione etica e dati aperti possano trasformarsi in servizi concreti per la comunità. L’uso responsabile dell’intelligenza artificiale, la co-progettazione con i cittadini e -oggi con il nuovo “Torino Talent Gateway – la valorizzazione dei talenti fanno di Torino un punto di riferimento europeo per politiche urbane orientate a obiettivi concreti e di impatto sociale.

Il percorso torinese culminerà ora al Cities Innovate Summit in programma ai primi di dicembre alle OGR, dove città, istituzioni, imprese e centri di ricerca si incontreranno per costruire insieme nuovi modelli di competitività urbana e innovazione mission-driven.

Il messaggio che arriva da Barcellona è chiaro: innovazione urbana non significa solo tecnologia, ma cultura, collaborazione e fiducia. Torino, con il suo approccio strategico che mette al centro le persone, dimostra che una città può diventare più connessa, sostenibile e attrattiva, trasformando l’innovazione in leva concreta di crescita e impatto positivo per la comunità.

TORINO CLICK

Coldiretti Torino alle ATP Finals 

Coldiretti Torino è presente alle ATP Finals nel calendario degli eventi collaterali organizzati a Casa Gusto dalla Camera di Commercio. La scelta è comunicare al pubblico delle ATP le filiere corte del cibo promosse dalle donne coltivatrici e promuovere l’olio canavesano, un prodotto ancora poco conosciuto, frutto del cambiamento climatico.

Il primo appuntamento è previsto per lunedì 10 novembre, dalle 16 alle 17 con l’olio canavesano. Sarà possibile degustare gli oli di frangitura 2025 dell’azienda agricola La Turna di Settimo Vittone, all’imbocco della Valle d’Aosta, dell’azienda agricola Buemi di Piverone, sulla Serra d’Ivrea, e un olio degli appassionati di Vialfrè, sulla collina morenica canavesana. Le degustazioni saranno guidate da EVO School Fondazione per la diffusione della conoscenza dell’olio italiano. All’evento saranno presenti anche Valentino Veglio presidente di ASSPO, associazione dei produttori oleari piemontesi, e Stefano Roletti, esperto naturalista della Collina morenica. Gli oli si assaggeranno anche di fette di pane di Panacea panificato da filiera di grano di Stupinigi.

Il secondo appuntamento è con le Donne Coldiretti, mercoledì 12 novembre dalle 11.30 alle 12.30. Qui saranno illustrate le filiere corte del cibo promosse da Coldiretti. Saranno presenti tre donne che porteranno testimonianze di filiere corte: Tiziana Merlo, titolare a Rivarolo dell’agrimacelleria Azienda agricola sorelle Merlo con vendita diretta in azienda di carne da razza Piemontese; Marta Bianco che a Vauda Canavese (e al Pian della Mussa in estate) alleva mucche da latte trasformando il latte in formaggi della tradizione canavesana e delle valli di Lanzo, tra cui la Tuma Mola, formaggio da spalmare dal tipico gusto acidulo che avremo il piacere di assaggiare accanto alla carne cruda delle sorelle Merlo. Marta vende direttamente con la madre i propri formaggi ai mercati di Campagna Amica

A completare il quadro delle filiere corte ci sarà l’esperienza di Panacea, cooperativa sociale, che ha scelto di dedicarsi alla panificazione di alta qualità con l’inserimento di persone fragili. Panacea presenterà il nuovo pane prodotto da farina della filiera del grano di Stupinigi.

«Il grande evento sportivo mondiale delle ATP Finals – commenta il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici – è un’occasione importante per fare conoscere il mondo agricolo torinese con le sue produzioni alta qualità adatte al consumo degli sportivi e di chi pratica uno stile di vita attivo. In particolare presentiamo gli oli del Canavese che piano piano, da fenomeno da hobbisti stanno diventando produzioni quasi identitarie per un territorio pedemontano che non è risparmiato dal cambiamento climatico. Inoltre, ci pare importante parlare proprio qui delle filiere corte che garantiscono all’agricoltore una giusta remunerazione e al consumatore un prodotto salubre e fresco».

Con la presenza agli eventi collaterali delle ATP inizia anche il conto alla rovescia per l’apertura del nuovo mercato coperto torinese di Campagna Amica. «Proprio il nuovo mercato coperto sarà anche un luogo di cultura del cibo dove verranno esaltati i prodotti del territorio e le filiere corte».

Gli appuntamenti sono in programma nei locali ribattezzati Casa Gusto degli Archivi di Stato in piazzetta Mollino (accanto al Teatro Regio) dove la Camera di Commercio ha allestito spazi a disposizione dei giornalisti e del pubblico delle ATP per conoscere le eccellenze agroalimentari del territorio torinese.