ilTorinese

Gli istituti paritari diventati “esamifici”. Ma certa scuola era già malata nella Torino anni ‘70

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Un’ ispezione del ministro Valditara su 47 istituti paritari svela gravissime irregolarità che rivelano del marcio.  Gli istituti paritari nacquero per iniziativa del ministro Luigi Berlinguer e non, come qualcuno potrebbe pensare, da qualche ministro Dc favorevole alla scuola privata, anche detta non statale e in parte cattolica. Fu un lunghissimo dibattito che divise il Paese: scuola pubblica e scuola non statale sovvenzionata, malgrado il divieto dell’ articolo 33 della Costituzione. Andò avanti decine di anni una polemica astiosa e in fondo inutile. Esistevano le scuole legalmente riconosciute e pareggiate, ma con meno obblighi e diritti in materia di conferimento a titoli di studio di valore legale perché gli scrutini avvenivano in presenza di commissari governativi. Berlinguer abolì questi controlli e creò le scuole paritarie in tutto e per tutto rispondenti ad una scuola pubblica.  Ho una lunga esperienza in materia e mi resi conto con facilità che le scuole private erano molto distanti dalle scuole statali per docenti, attrezzature ed altro. Era anche in gioco la laicità dello Stato ma Berlinguer ci passò sopra, pur di giungere al suo compromesso storico “scolastico” che, tra il resto, non diede i risultati sperati perché le scuole paritarie, se si escludono quelle religiose, sono finite in pessime acque. La scuola statale, assopitasi la contestazione sessantottina, finì di prevalere e la scuola privata “laica” chiuse quasi i battenti. In effetti soprattutto al Sud la scuola paritaria ha continuato a vivere e prosperare, come si può vedere dalle ispezioni di Valditara diventando un esamificio che sforna titoli di studio in base a pagamenti a volte illeciti e senza i requisiti di legge da parte della scuola medesima e degli alunni.  Siamo tornati indietro a quando dei miei compagni di scuola, bocciati alla scuola di Stato si rivolgevano a scuole del Sud per ottenere più facilmente il diploma.  Diventa assai importante che il ministro Valditara abbia mandato degli ispettori in ben 47 strutture che si sono rivelate paritarie solo nel nome: docenti senza titoli di legge, aule  insufficienti, strutture inesistenti, documenti in disordine. La scuola era in piena funzione quasi solo per gli esami con iscrizioni tardive di alunni provenienti da altre località. Il garantismo voluto da Berlinguer senza più controlli ha creato il mostro dell’affarismo scolastico (già ben individuabile a Torino negli anni 70 e 80) anche se le gerarchie regionali e provinciali del ministero avrebbero dovuto vigilare.  Il rilassamento era già presente molti anni fa quando – faccio un esempio personale –  venne fatta un’arrogante resistenza ad un commissario governativo in una importante scuola torinese cattolica alla richiesta della lettura dei fascicoli dei professori e in altra scuola, in presenza di un titolo non idoneo, non si provvide ad alcuna sostituzione. Ci furono anche funzionari infedeli dello Stato postisi in modo indecente al servizio della scuola non statale persino nella sostituzione in corsa di commissari di esami di maturità: una bolgia infernale superata dalla più grave delle riforme, la maturità con commissioni interne che ha perso ogni valore selettivo di Esame di Stato e di Maturità. Ma che si scoprano ancora oggi casi di scuole in cui vendano i titoli di studio è davvero disperante.  Si tratta di un vaso di Pandora da squarciare totalmente. Torino non era indenne da certe anomalie vergognose, mai toccate dai sindacati confederali che si occupavano d’altro. C’è da sperare che il Ministro vada fino in fondo. Quella di oggi è una scuola malata, poco utile, arroccata nelle enclavi ideologiche, ma essa va difesa nella speranza che arrivi una nuova riforma Gentile.

Yoga a raggi liberi: l’evento al Green Pea di Torino sabato 22 giugno

Lo yoga come strumento per superare le barriere del corpo e – sopratuttodella mente e come mezzo per arrivare alla piena conoscenza di sé. E’ questo lo spirito che muove Patrizia Saccà- ex campionessa paralimpica e uno dei nomi più rilevanti del panorama torinese sportivo- come si evince dal suo ultimo libro “Il saluto alla Luna- Yoga a raggi liberi”– edito Laskmi editore. Il testo verrà presentatosabato 22 giugno alle ore 18.00 presso l’innovativa struttura  “Green Pea” di Torino. La presentazione sarà previamente introdotta da una lezione dal vivo da parte dell’autrice che darà la possibilità di provare in maniera gratuita il suo metodo.

Patrizia Saccà è stata una campionessa paralimpica per 28 anni conquistando 18 titoli italiani, Bronzo alle Paralimpiadi di Barcellona ‘92 in team, Paralimpiadi di Pechino 2008 in team 4° posto oltre ad aver preso parte a 5 mondiali e 12 campionati Europei e averne vinti altrettanti.

 

Il libro è il suo secondo lavoro dopo la pubblicazione nel 2018 del “Saluto al Sole a Raggi Liberi” (dove inizia ad utilizzare il nome spirituale Toshini Davi) e dove già sperimentava e insegnava metodi alternativi per praticare l’antica disciplina orientale. L’atleta mette nuovamente a disposizione la sua capacità creativa e la lunga esperienza nel campo dando vita a nuovi metodi per praticare il suo metodo di yoga  e “superare così le limitazioni fisiche e sperimentare l’unione di corpo-mente-spirito”. 

 

Questo libro diventa, quindi, rappresentazione della particolare tecnica da cui prende origine il libro – il saluto alla luna appuntoe altri asana ovvero posizioni inventate dalla Saccà ed appositamente studiate per esser svolte in posizione seduta e/o in piedi. Nel libro, oltre a consigli pratici e metodi volti al migliore svolgimento della pratica, vi sono diversi approfondimenti dedicati alla cura e al rispetto del proprio corpo e della propria mente. Per questo il testo si pone come un strumento per “praticare” la disciplina a tutto tondo e tentare di sperimentare difficile connubio di raggiungimento dell’equilibro tra il mondo corporeo e quello spirituale.

 

Patrizia Saccà da anni, attraverso libri e lezione guidate, è alla guida di “Yoga a raggi liberi” grazie al quale porta avanti il suo metodo di insegnamento dello yoga che è divenuto per lei non solo perno centrale della sua attività professionale ma anche strumento di conoscenza della propria interiorità.

VALERIA ROMBOLA’

Torino, la protesta della polizia penitenziaria

“TRASFERITO IL COMANDANTE DI REPARTO, NESSUN DIRIGENTE CME SOSTITUTO. MA LA SITUAZIONE È UN CAOS IN TUTTO IL PIEMONTE”

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO- Protesta la Polizia Penitenziaria di Torino e del Piemonte. Motivo del contendete è la guida di molti Reparti del Corpo, presso Istituti e servizi della Regione, per la carenza di Dirigenti/Funzionari di Polizia Penitenziaria che interessa la regione. Spiega Vicente Santilli, segretario del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che valuta con preoccupazione la situazione in divenire nella Casa circondariale di Torino: “Il carcere di Torino è una struttura estremamente complessa, senza uguali rispetto alle altre del Distretto, di difficile gestione e che necessita esperienza e continuità nella linea di Comando, con quasi 1.600 detenuti presenti. Eppure, successivamente all’imminente trasferimento dell’attuale Comandante di sede, pare che l’Amministrazione ancora non abbia individuato un “navigato” sostituto che possa guidare i Baschi Azzurri all’assolvimento dei compiti istituzionali previsti. Addirittura, sembra che l’istituto di Torino sarà posto sotto il comando di un viceispettore. Ebbene, ammettendo pure che il designato ispettore sia particolarmente capace, noi, in tutta onestà, crediamo che non sia affatto una soluzione temporanea percorribile.    Il penitenziario di Torino, oltre ad essere oggettivamente complesso, deve essere affidato ad un Dirigente di Polizia Penitenziaria esperto e che sul proprio curriculum lavorativo può già vantare il comando di altre e pregresse realtà”. Donato Capece, segretario generale del SAPPE, in una nota trasmessa ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria proprio per stigmatizzare la situazione, rimarca che “nonostante tempo addietro fossimo stati rassicurati del fatto che tutti gli istituti penitenziari del Paese sarebbero stati posti sotto il comando di almeno un Funzionario/Dirigente di Polizia Penitenziaria, ad oggi, specie presso la regione Piemonte, quanto “promesso” ancora non ha trovato completa attuazione.  A noi, infatti, risulta che vi sono istituti ancora privi di Comandanti titolari, ove, per pochi giorni a settimana, vengono inviati in missione Dirigenti/Funzionari in forza in altri penitenziari che, alle volte, sono chiamati a gestire la delicata e complessa Area Sicurezza di addirittura tre penitenziari in contemporanea! In altri istituti, invece, in aperta deroga a quanto previsto dalle leggi vigenti, il comando di sede è affidato a appartenenti al ruolo degli ispettori e, in alcuni casi, finanche a coloro i quali sono in possesso della sola qualifica di vice ispettore”. Da qui la richiesta del SAPPE ai vertici ministeriali, “onde evitare che prima o poi possano accadere eventi irreparabili, di dare corso ad una celere procedura per individuare il Dirigente di Polizia Penitenziaria al quale affidare la guida del complesso carcere di Torino e monitorare la situazione in atto nelle varie carceri del Piemonte.

Graffiti. Il pugilato casalese metà ‘900

Gli anni ’50 riportarono alla ribalta uno sport nobile e popolare dimenticato a causa del secondo conflitto mondiale, la Boxe. 

Sulla scia internazionale del pugile di Borgo San Martino Erminio Spalla campione europeo dei pesi massimi, cantante lirico, scultore e attore cinematografico, diversi dilettanti monferrini intrapresero questa attività sportiva anche senza gli spazi di informazione dell’epoca. Il peso piuma Antonello Roccheri classe 1932, nonostante non fosse in possesso di misure eccezionali, era dotato di spirito combattivo, forza incredibile e grande coraggio. Il suo esordio avvenne a soli 14 anni durante i tornei cittadini ai quali partecipavano anche militari in servizio nelle nostre caserme. Non avendo uno sponsor ufficiale, le spese organizzative degli incontri e del materiale agonistico erano sostenute da Giovanni Pagliano, titolare con il figlio Carlo del negozio di arredamenti in via Paleologi a Casale Monferrato. I pomeriggi pugilistici avvenivano in diversi punti della città: piazza Mazzini, palestra Leardi, giardini pubblici, palestra dello stadio, mostra di San Giuseppe e in alcune feste patronali del territorio con grande partecipazione di pubblico.
I continui successi del pugile emergente lo proiettarono alle fasi finali piemontesi e nel 1948 fu contattato per la pubblicazione di una sua immagine dalla rivista illustrata “La Settimana Incom” dove lavoravano firme importanti come Indro Montanelli, rivista romana che vide il proprio declino a causa dell’avvento della TV. Il matrimonio del 1954 con Anna Capra di Murisengo segnò la fine della sua breve carriera pugilistica. Per salvaguardare l’economia familiare trovò occupazione come operaio nella fabbrica di amianto Eternit, tragico destino di tante persone casalesi. I pugili dilettanti del periodo postbellico favorirono la nascita dell’Associazione Sportiva Boxe Casale, fondata nel 1955 da un gruppo di appassionati. Nel 1959 il sodalizio prese il nome di Franger Frigor Casale Ring portando a livello nazionale ottimi pugili come Bruno Zorzan, Paolo Amisano, Umberto Simbola e nel 1965 fu mutuato in Casale Ring Lambretta Innocenti. Dopo il declino inevitabile degli anni d’oro del pugilato casalese, oggi vengono organizzati incontri di diverse arti marziali quali Lotta Libera e Greco-Romana, Kick Boxing, Shorinji Kempo, Karate, Judo e Boxe tradizionale maschile e femminile come associazioni sportive dilettantistiche.
Armano Luigi Gozzano

A Torino la seconda edizione della cena in giallo all’Evergreen Fest

Campagna Amica Torino organizza la seconda edizione della “Cena in giallo che si svolgerà venerdì 21 giugno a partire dalle ore 19,00 al Parco della Tesoriera a Torino, nell’ambito dell’Evergreen Fest.

Il dress code della cena è una maglietta, un paio di pantaloni, un cappello, insomma un capo di abbigliamento giallo.

La cena in giallo è ideata per portare dentro le serate estive torinesi la cultura del cibo a Km Zero di origine contadina, direttamente dal produttore-agricoltore.

Il costo è di 16 euro.

Ecco il menù:

Pasta con pesto di zucchine e nocciole; hamburger di carne piemontese con fetta di toma e insalatine di stagione oppure Parmigiana fredda con fetta di toma e insalatine di stagione (e pane).

Tutti coloro che indosseranno un capo d’abbigliamento giallo riceveranno un omaggio.

Prenotazioni: https://evergreenfest.it/prenotazioni-cena/

torino.coldiretti.it

“Lettera a una professoressa”: una lezione sempre attuale

La scuola non va, lo cantavano i Lunapop nel 1999. E certe mattine viene voglia di cantarlo anche a me.


Alle prime ore del giorno c’è ancora la nebbia, percorro così, ovattata nellatmosfera fumosa, il tragitto che mi separa da scuola, parcheggio la macchina, mi dirigo verso il caffè delle 7:45 obbligatorio per sopravvivere alla mattinata lavorativa- ed eccoli già lì, vivacie frizzanti, come li descriviamo nei verbali, si avvicinano saltellando e mi ingurgitano di affermazioni e dubbi: Il cartoncino era per oggi?, Ho dimenticato la cartellina, Ha scritto i compiti su Argo?, Oggi c’è Arte o teoria?.
Meravigliosi e terribili, come si fa a non affezionarsi?
Ecco, forse non è chiaro a tutti, ma la scuola esiste per loro, per gli studenti.
La scuola è lì per tutti i Giammariadi Filippo Caccamo, per i Giovanninodi Rousseau e per i Giannie i Pierinodi Don Milani.
Credo fermamente nel mestiere del docente ed è per tale motivo che sento di discostarmi da tante situazioni e decisioni che ultimamente stanno tramutando il sistema scolastico in un ludico parcheggio privo di significato, i docenti in clown multimediali e gli studenti in amebe viziate.
In questa società liquida (Z. Bauman), fluida e spettacolarizzata (riprendendo la teoria di Guy Debord), in cui il politicaly correct ha il sopravvento sulle coscienze e in cui legoismo e legocentrismo vengono scambiati ad hoc- per libertà individuale e indipendenza, mi sento di andare controcorrente e prendere delle posizioni ferme, lo faccio per i miei alunni, perché non voglio che diventino come quegli adulti che mangiano fissando il cellulare anziché la persona che hanno di fronte, affinché non siano educati in un mondo che preferisce lindisponenza, al fine di renderli quella cosa belladi cui parlava Menandro (IV sec. a. C.).
Per far sì che ciò avvenga, come molti altri colleghi docenti, mi interrogo sulle direzioni da intraprendere per rattoppare questa scuola che al momento non va; riflessione dopo riflessione, lettura dopo lettura, mi è (ri)capitato tra le mani Lettera ad una professoressa di Don Milani.
Si tratta di uno dei testi che più mi ha colpito e su cui ho più ponderato, un libro a parer mio- obbligatorio per chi vuole intraprendere questa professione, al di là del giudizio personale.
Dopo unaccurata rilettura, che mi ha confermato lopinione più che positiva che già avevo a riguardo, mi domando: è davvero possibile considerare attuale un testo scritto negli anni Sessanta?
Lettera ad una professoressarimane una testimonianza tuttaltro che banale o di semplice definizione, pubblicato nel 1967 da una non proprio famosa casa editrice fiorentina, si presenta come un autentico livre de chevetdi una generazione, una sorta di vademecumper gli insegnanti democratici o una sorta di Libretto rossosessantottino.


Lo scritto è “un classicodella letteratura scolastica e, data la particolarità delle affermazioni asserite, ha fin da subito diviso i lettori in due parti, chi grossomodo concorda con le riflessioni apportate dai ragazzi di Barbiana e chi invece preferisce un approccio diverso e si discosta, in entrambi i casi il libro segna uno snodo centrale nelle grandi battaglie avvenute per riformare il sistema educativo. Tuttavia è bene puntualizzare che, se da una parte esso denuncia apertamente e per la prima volta le falle di quellapparato burocratico, dallaltra le parole degli studenti di Don Milani comportano anche linizio della fine dellautorità degli insegnanti, dello stare in disparte dei genitori e secondo alcuni- della voglia di studiare dei fanciulli.
Di certo unopera non politicaly correct.
Lho anticipato, mi riprometto di prendere posizione, pur non ritenendo concretizzabili tutti i punti esplicati nel testo e pur tenendo in chiara considerazione la differenza legata al periodo storico in cui il testo viene redatto, mi possono ritenere una donmilanianaconvinta.
Lavoro a scuola da qualche anno ormai, mi trovo a diretto contatto con gli studenti e talvolta con mamme e papà-, sto assistendo ai cambiamenti generazionali e ogni giorno mi rendo conto di quanto sia necessario un cambio di rotta.
In sostanza credo che potrebbe giovare maggiormente allattuale sistema scolastico una rilettura di gruppo di Lettera ad una professoressaanziché il solo focalizzarsi sulluso di ChatGPT.
Cosa ricercare allora in un libro scritto tempo addietro e in un contesto tanto differente dal nostro?
I princìpi, la risposta è questa.
Se me lo consentite, cari lettori, vorrei spiegarmi meglio, prendendo in esame alcuni punti che ritengo salienti e utili e tralasciando per forza di cose la totalità del testo che, pur non essendo particolarmente lungo, non può essere commentato in totoin questa sede.
Si parta con le ovvietà: la società, i bisogni e le necessità degli anni Sessanta non sono le medesime che sentiamo ora. Si pensi prima di tutto al problema dellobbligo distruzione, che si estende oggi fino ai sedici anni detà (Legge 296 del 2006), oppure si prendano in considerazione le accortezze e le norme che assicurano agli studenti con difficoltà (intellettive o socio-culturali) di frequentare uno specifico percorso scolastico al pari degli altri compagni, inoltre mi sento di poter abolire la dicitura scuola classista, poiché, per quanto permangano talune differenze tra periferia, centro o prima cintura, ogni struttura scolastica offre ad oggi un servizio eguale per tutti.
Non è vero dunque che non va mai bene niente, le istituzioni collaborano sempre più con il territorio, si assicura una formazione continua agli insegnanti e cresce costantemente lattenzione verso il fenomeno del bullismo o del cyber-bullismo. Lofferta formativa è più che migliorata nel tempo, lidea di istruzione ha preso le distanze dal tanto temuto nozionismoe le molteplici attività rendono un popiù appetibile il frequentare le lezioni anche da parte dei più svogliati.
Non è nemmeno vero che non ci sono più i ragazzi di una volta. I giovani sono sempre gli stessi, sono semplicemente figli del nostro tempo, e nonostante li consideriamo più fragili o ineducati di una volta, non è di certo colpa loro, ma di chi gli sta attorno.
Osserviamo ora da vicino le tematiche su cui ancora oggi possiamo e dovremmo- interrogarci.
Iniziamo dalla problematica dei programmi, queste benedette indicazioni nazionali a cui siamo obbligati a fare riferimento: dite la verità, cari colleghi, sono o non sono unangoscia?
I ragazzi di Barbiana sostengono che ciò che viene insegnato a scuola sia puro nozionismo enciclopedico e che le informazioni impartite dai docenti riguardino argomentazioni che non hanno riscontro alcuno nellattualità della vita al di fuori della classe, un sapere così elargito non porta dunque alla formazione di cittadini consapevoli.
I giovani di Don Milani e questo è un merito che nessuno gli può togliere- non si limitano a criticare ma avanzano delle risoluzioni alle lacune che vedono nel sistema scolastico.
Essi suggeriscono di rimpiazzare i programmi con una continua ricerca critica del sapere allinterno di un percorso multidisciplinare costruito strada facendo, in questo modo gli alunni acquisiscono gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita collettiva.
Mai stata così daccordo: è necessario partire dallattualità per poi collegarci al passato, stupire con limmediatezza del contemporaneo e spiegarlo andando a ritroso, alla ricerca nella storia delle cause che hanno portato al nostro presente. Un sogno ad occhi aperti, pensate come sarebbe bello leggere in classe articoli di giornale, riviste specializzate, ascoltare interviste di personaggi pubblici, spiegare le notizie dei telegiornali o commentare insieme gli ultimi scoop” –inerenti ovviamente alla materia dinsegnamento.-
Certo c’è il sogno e poi la dura realtà: gli studenti di oggi conoscono poco o nulla del loro presente, quasi non leggono, non vedono i telegiornali e apprendono informazioni semplificate e parziali- tramite i social.
Sarebbe quindi opportuno convincerli che Tick-Tocknon basta per ritenersi informati sui fatti, che non sempre gli influencer conoscono largomento di cui desiderano trattare e infine che no, dieci minuti non sono sufficienti per apprendere alcuna argomentazione.
Non sono brava come i ragazzi di Barbiana, non ho una vera e propria soluzione a tale problema, mi limito ad avere unopinione. Forse il problema è il tempo, forse aveva ragione ancora una volta- Don Milani a dire che noi insegnanti dovremmo lavorare di più”, magari se i ragazzi rimanessero a scuola per più ore avremmo la possibilità costruire le nostre unità didattiche in altra maniera e potremmo permetterci una maggiore attenzione nei riguardi dellattualità. Inoltre i fanciulli starebbero più tempo insieme e meno vis-à-viscon il proprio smartphone.
Proseguiamo: i voti. Quante ne abbiamo sentite sui voti questanno? Voti sì, voti no, sostituirli con i giudizi, non scrivere niente se non frasi incoraggianti sui compiti, e poi tutti quei casi di giovani studenti caduti in disperazione per un 4, insomma un capitolo tuttaltro che chiuso.
A Barbiana il voto non è visto di buon occhio, per diverse motivazioni, prima fra tutte perché “è ingiusto fare parti uguali tra disuguali, in secondo luogo monopolizza lattenzione e linteresse degli studenti, facendoli studiare solo per la valutazione, ponendoli in una situazione di ansia e competizione, infine il voto dato non è uno strumento di lavoro e non aiuta gli studenti a migliorare.
Resta difficile immaginare una scuola senza voto, anche se ce ne sono. Personalmente concordo con le motivazioni apportate dai ragazzi di Don Milani, eppure sono una sostenitrice dellutilizzo dei voti, lappunto che mi sento di fare tuttavia riguarda una delucidazione necessaria per gli studenti e i genitori a casa- , il numero che scrivo sul compito è una valutazione circoscritta a quelcompito in quel determinato momento, è solo una valutazione della preparazione al momentodello svolgimento della verifica, esso non ha nulla a che fare con la personalità o la totalità del ragazzo, non è un giudizio sulla persona ma solo sul livello di conoscenza che lalunno aveva in quel determinato momento. Che sia chiaro: i voti cambiano, in meglio o in peggio, e servono per imparare ad essere autocritici verso noi stessi, sono strumenti utili per imparare a migliorare, non solo per quel che concerne i contenuti ma sopratutto per lavorare sullautostima.


E poi, li bocciamo o no, questi incolti e illetterati studenti dellultimo banco?
Ovviamente a Barbiana la bocciatura non è contemplata, al contrario si propone il tempo pieno, si assicurano in questo modo più tempo e più mezzi per dare a tutti gli studenti, anche quelli che partono sfavoriti, la possibilità di avere successo scolastico.
Come non essere daccordo?
Anche qui però ci si scontra con la realtà dei fatti: come convincere i ragazzi di oggi che a scuola si viene per questione di dignità personale, per poter essere sempre in grado di decidere con la propria testa cosa fare e cosa no, anche andando contro la norma comune (se necessario)?
La bocciatura diviene uno spauracchio obbligato di fronte alle classi attuali, ormai composte da individui che non hanno la percezione dellimportanza della cultura e della conoscenza. Concordo con Don Milani, è necessario educare alla dignità e diseducare alle mode, che sono lantitesi della capacità critica, e condivido che per fare ciò non dobbiamo mettere i giovani sotto una campana di vetro ma dobbiamo aiutarli a divenire liberi pensatori. Questa è la teoria, la pratica poi è tuttaltra cosa.
Ultimo punto: gli alunni. I ragazzi che ci troviamo a fronteggiare oggi non hanno nulla a che vedere con quelli che frequentavano Barbiana, questo purtroppo è vero. Gli studenti di Don Milani hanno ben chiara la propria battaglia, essi alzano la voce perché sanno come Lucio che possiede 36 mucche – che la scuola sarà sempre meglio della merda.I giovani fiorentini si battono per una scuola libera, democratica e popolare, conoscono le fatiche del lavoro e la rassegnazione, hanno ben presente cosa significa avere paura di non poter cambiare la propria posizione sociale o le proprie abitudini di vita, di conseguenza sono giovani coraggiosi, che non temono di esporsi per ottenere quegli stessi diritti scritti nella Costituzione.
I nostri ragazzi non sono così “fortunati, sono sempre più soli ed isolati, non fanno tardi al pomeriggio o alla sera, non temono le note dei professori, non affrontano individualmente i problemi che non sanno risolvere. Non conoscono i limiti né il brivido che si prova nel superarli, non distinguono il merito perché gli abbiamo insegnato che tutto gli è dovuto.
A furia di volerli aiutareli abbiamo resi interdipendenti dagli adulti di riferimento, eppure è il momento di renderci conto che non possiamo salvarli dal crescere.
Forse a scuola da Don Milani dovremmo tornarci un potutti, lui ci incoraggerebbe a prenderci qualche responsabilità in più, forse ci direbbe di fare dei passi indietro e di osservare i nostri piccolimentre si rialzano da soli con le ginocchia sbucciate. Ce lo insegnerebbe con qualche scappellotto sul collo, ma questi sono i rischi che corre chi si ostina a non voler imparare.

ALESSIA CAGNOTTO

 

Pensione integrativa? Oppure è meglio il “fai da te”?

 

di Gianluigi De Marchi *

 

I più pessimisti prevedono che tra qualche decennio l’INPS non sarà più in grado di erogare le pensioni a tutti.

I più ottimisti pensano che con una pensione integrativa si potrà sopperire alle ridotte entrate pensionistiche pubbliche.

Nessuno pensa che l’attuale sistema possa garantire in futuro un trattamento almeno uguale quello attuale, perché la continua riduzione degli “attivi” (cioè chi paga i contributi sociali) rispetto agli “inattivi” (cioè chi incassa le pensioni) è tale per cui lo sbilancio inevitabilmente comporterà conseguenze nel ricalcolo delle erogazioni a chi va in quiescenza.

 

 

Il problema pensione è particolarmente grave per chi oggi ha tra i venti e i quarant’anni, e tutte le simulazioni che sono predisposte dagli esperti lo dimostrano.

E’ quindi sempre più urgente pensare di costruirsi una pensione “personale” se non vogliamo arrivare al termine dell’attività lavorativa poveri (oppure se non vogliamo lavorare per sempre) utilizzando gli strumenti a disposizione che consentono di costruire una previdenza complementare.
Si può far ricorso agli strumenti “istituzionali” (fondi pensione e Piani Individuali pensionistici), oppure ad una sorta di “fai da te”, programmando investimenti in grado di erogare a scadenza una rendita.

 

1-La previdenza integrativa

 

E’ basata su un sistema di forme pensionistiche incaricate di raccogliere il risparmio mediante il quale, al termine della vita lavorativa, si potrà beneficiare di una pensione complementare.

Comprende i fondi pensione (“secondo pilastro”) ed i piani pensionistici individuali (“terzo pilastro”):

I fondi chiusi di origine “negoziale” sono istituiti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale. I contributi sono versati dal lavoratore e dall’azienda e beneficiano di un trattamento fiscale agevolato sulle plusvalenze conseguite dalla gestione.
I fondi aperti sono istituiti da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio e società d’intermediazione mobiliare cui possono aderire tutti i lavoratori, compresi quelli autonomi.
I Piani pensionistici individuali (PIP) sono contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale. Con il PIP, il lavoratore versa periodicamente una quota del suo reddito, accumulando nel tempo un capitale che gli sarà restituito (sotto forma di rendita mensile) dal momento in cui andrà in pensione.

In tutte queste forme la rendita garantisce la reversibilità (cioè il pagamento al coniuge) di una quota della pensione in caso di decesso del beneficiario. E’ possibile anche chiedere il riscatto anticipato del capitale maturato in casi gravi (invalidità permanente, disoccupazione per più di 48 mesi, morte). Si possono inoltre ottenere somme parziali (anticipazioni) prima dell’età pensionabile nel caso di acquisto o ristrutturazione della prima casa, o per altre necessità (ma solo dopo 8 anni dall’adesione) o per sostenere spese mediche gravi ed urgenti.

Date le finalità previdenziali, la fiscalità è favorevole: è prevista la deducibilità dei versamenti fino ad un massimo di 5.164,57 euro l’anno, e le plusvalenze realizzate dal capitale sono tassate al 20% (anziché al 26% di aliquota “ordinaria”). Infine, al momento del pensionamento, è possibile chiedere il 50% del capitale accumulato con incasso immediato, beneficiando della pensione per un importo ovviamente ridotto.

A fronte di questi benefici, occorre però considerare alcuni aspetti critici del sistema, in particolare i costi elevati (specie per i fondi aperti ed i PIP), calcolati dalla COVIP (l’ente che sovraintende l’attività del settore della previdenza complementare) in circa il 2-3% annuo.

E’ stato calcolato che un costo medio del 2% può ridurre il capitale accumulato dopo 35 anni di partecipazione al piano pensionistico di circa il 18%. Chi sceglie un Pip al posto di un fondo di categoria si condanna a una pensione complementaredefalcata dal 20 al 40% circa.

 

2- La previdenza “fai da te”

 

Esistono alternative alla previdenza integrativa per garantirsi una serena vecchiaia con una pensione sufficiente?

La risposta è , pur se con alcune precisazioni importanti da mettere in evidenza.

Una prima soluzione è di tipo assicurativo, costituita da polizze “finanziarie” che offrono l’accumulo del capitale svincolato dallarigida normativa previdenziale (che proibisce l’incasso integrale del capitale accumulato), ma che non godono delle agevolazioni fiscali non essendo previdenziali. Si può ottenere una rendita vitalizia a partire dalla data che si preferisce, addirittura a partire dalla stipula (rendite immediate).

Una seconda soluzione è di tipo finanziario “puro”, realizzabile attraverso un PAC (Piano d’accumulo del capitale) in un fondo comune d’investimento. In questo caso i costi sono nettamente inferiori (intorno all1%), ma il risultato non è garantito (un fondo potrebbe anche perdere valore per le oscillazioni dei titoli) e soprattutto non garantisce una rendita vitalizia ma solo una rendita legata ai risultati conseguiti: in pratica, il capitale potrebbe esaurirsi prima della morte del titolare, lasciandolo con la sola pensione INPS.

Meglio un fondo pensione od un fondo comune?

La risposta unica e sicura non c’è, in quanto dipende dall’obiettivo di chi cerca una rendita, dalla sua situazione familiare, dalle sue disponibilità.

Certo, nella fase di accumulo il ricorso al fondo comune è preferibile, in quanto consente di giungere a cifre più elevate; ma nella fase di utilizzo, il fondo pensione è preferibile perché dà la garanzia del vitalizio. E comunque non va sottovalutato il fatto che la rendita è garantita e che è indicizzata nel tempo solo in misura crescente.

Per contro, il fondo pensione, al decesso dell’assicurato e dell’eventuale beneficiario supplementare estingue il capitale, mentre un fondo comune rimane a disposizione degli eredi per la parte non utilizzata.

La soluzione ideale quindi è un “mix” dei due strumenti che consenta di mediare le diverse esigenze; come sempre, la diversificazione è la risposta giusta ai problemi finanziari.

 

3- Una soluzione innovativa: i BTPppi

 

Una forma innovativa, infine (ma è ancora da realizzare, trattandosi al momento di uno studio teorico) (1) è quella di emissioni di Buoni del Tesoro riservati ai futuri pensionati, icosiddetti BTPppi i quali, a differenza dei BTP normali, permetterebbero di costruire dei flussi di cassa utili alle necessità pensionistiche del sottoscrittore.

Il titolo sarebbe una sorta di salvadanaio in cui si metterebbero, con acquisti periodici, i risparmi per i 30-40 anni di vita lavorativa. Al momento della pensione lo Stato restituirà per un periodo di 15-20 anni una rendita, partendo dal capitale complessivo versato, incrementato annualmente dalle cedole non pagate, in regime di capitalizzazione composta. La rendita potrà essere indicizzata all’inflazione corrente anno per anno per mantenere intatto il suo valore reale.

L’idea è quella di fornire un’ulteriore forma complementare di previdenza a costi bassissimi, essendo un investimento sicuro, privo di commissioni e di costi di gestione.

Si tratta di un sistema più prossimo a quello di un PAC che ad un PIP, riflettendone quindi pregi e difetti, ma con notevoli vantaggi per il lavoratore (costo praticamente nullo, massima flessibilità nei versamenti variabili a piacimento – tassazione agevolata al 12,5% sui rendimenti, esenzione dall’imposta di successione).

Ed anche lo Stato ne trarrebbe vantaggio, attraverso l’emissione di titoli di debito a collocamento “sicuro” e, per tutto il periodo dell’accumulo, senza oneri di liquidità poiché non è previsto il pagamento delle cedole.

Insomma, le alternative al “primo pilastro” ed alla previdenza complementare ci possono essere, ognuna con i suoi pregi ed i suoi difetti, offrendo ai risparmiatori-lavoratori una gamma varia ed articolata di soluzioni fra le quali scegliere (anche con opportuni “mix” delle formule) il modo ottimale per pensare serenamente alla propria vecchiaia.

(1) Si veda “Investi nel tuo futuro e nel futuro dell’Italia” di Arun MuralidharFabio Galli e Giorgio Fano

*Giornalista e scrittore