ilTorinese

Carlo Gloria ritorna a Palazzo Bricherasio

Il prossimo 30 ottobre 

 

Si inaugura mercoledì 30 ottobre alle 17,30 nell’androne di Palazzo Bricherasio in Via Lagrange 20, una installazione di Carlo Gloria, Vado e Vengo, che crea un nuovo collegamento tra il passato e il presente dell’edificio.

Carlo Gloria inaugurò, infatti, nel 2002 – nell’allora sede della Fondazione Palazzo Bricherasio -, la rassegna “Outside: interventi site specific di arte contemporanea”, curata da Guido Curto. Oggi l’artista ritorna con una installazione che richiama la precedente e riapre di fatto il dialogo tra l’arte contemporanea e lo stesso Palazzo, sede istituzionale di Banca Patrimoni Sella & C.

Per ritrovare il giusto fil rouge tra ciò che è stato e ciò che è attualmente, Daniela Magnetti, già direttrice della Fondazione Palazzo Bricherasio e ora direttrice artistica di Banca Patrimoni Sella & C., riscopre quel che è rimasto dell’opera di Carlo Gloria Dodici milionesimi e chiede all’artista di rivederla in chiave attuale. Infatti, dei 12 affreschi digitali realizzati nel 2002 nelle esedre e lungo le pareti dell’ingresso, solo 3 sono ancora esistenti, parti integranti dell’edificio: le due grandi figure nelle nicchie e l’opera nella piccola cupola sopra lo scalone d’onore.

Da qui riparte il lavoro di Carlo Gloria con Vado e Vengo, una riflessione spazio-temporale che coinvolge sia il luogo sia coloro che lo frequentano e l’hanno frequentato. Le figure che animano gli spazi affrescati 15 anni fa, sono visibilmente “diverse” da quelle riprodotte allora: cambiano gli abiti e gli atteggiamenti, così come è cambiata la destinazione d’uso del Palazzo. Differente è anche lo sguardo dell’artista, che rende più “fluidi” i soggetti, trasformandoli in immagini che, seppure anonime, comunicano ancora familiarità. Realizzate partendo da fotografie scattate nei pressi del palazzo, rielaborate al computer con una post produzione che sfuoca le figure rendendole “forme cromatiche”, le immagini vengono poi stampate con il plotter a getto d’inchiostro e applicate al muro.

Dal 2017 Banca Patrimoni Sella & C. ha iniziato a partecipare attivamente ad alcune iniziative culturali sia sul territorio torinese che nazionale, per restare fedele all’identità storica e artistica che sin dalla sua istituzione – con il cenacolo della contessa Sofia di Bricherasio – si respira nelle sale del Palazzo.  “Una sorta di DNA innato – dice Federico Sella, Amministratore Delegato e Direttore generale di Banca Patrimoni Sella & C. – proteso all’arte e al mecenatismo che il nostro Istituto condivide profondamente e intende fare suo”. Sostiene ancora Daniela Magnetti: “Non esistendo più la possibilità di dedicare esclusivamente all’arte le sale interne dell’edificio, Banca Patrimoni Sella & C. esce dagli spazi canonici, allestendo la mostra di Carlo Gloria nel lungo corridoio di accesso del Palazzo, trasformandolo in un luogo espositivo fruibile da tutta la cittadinanza”. Sabato 2 novembre, in occasione della notte bianca dell’arte contemporanea, l’accesso alla mostra rimarrà eccezionalmente aperto dalle 15 alle 23. Per informazioni 347 7365180.

Nell’immagine, Carlo Gloria, bozzetto per l’installazione “Vado e vengo”, 2019.

A Brozolo apre il Mulino Valsusa


E’ collegato a un progetto di filiera alimentare: già coinvolti gli agricoltori della valle

E’ una data da ricordare  per la Valle di Susa. Mercoledì 30 ottobre apre ufficialmente il Mulino Valsusa, nell’antico mulino ad acqua del 1884 di Bruzolo, rimasto attivo fino ai primi anni Ottanta e oggetto di un importante progetto di restauro. E’ il primo mulino della valle che viene recuperato non solo per fini didattici ma soprattutto la sua messa in funzione  è collegata a un progetto importante di filiera alimentare principalmente valsusina. Qui, infatti, vengono, e verranno, lavorati grani antichi, tradizionali e moderni: molti arriveranno dalla stessa Valle di Susa. Massimiliano Spigolon, l’uomo che ha deciso di far tornare in vita il mulino, ha già stretto importanti collaborazioni con gli agricoltori del territorio. Oggi oltre una decina hanno aderito e così i metri quadri di terreni che sono stati seminati con antiche varietà sono 120mila. Quando fu lanciato il progetto, un anno fa, erano appena seimila e si può già dire che l’iniziativa abbia fatto centro nell’obiettivo di riattivare una parte di agricoltura che era andata persa e con essa un patrimonio di semi di qualità. Bassa e Alta valle insieme: qui, sfidando il clima, hanno dedicato importanti spazi alla semina. Tutti i contadini che hanno aderito al disciplinare hanno la certezza che il Mulino Valsusa non li lascerà soli, anzi li aiuterà nel raccolto. Per questo, Spigolon ha acquistato dal Giappone una speciale trebbiatrice parcellare in grado di lavorare piccoli terreni: può essere utilizzata anche in montagna. E’ dunque ideale per questi territori. Poi, le farine macinate a Bruzolo finiranno in panifici, pastifici, pasticcerie, pizzerie e ristoranti della Valle.

Il Mulino ha battezzato tutto il progetto “Per un futuro più buono” pensando alla salvaguardia e alla valorizzazione della biodiversità: lo scopo è ripopolare i terreni della Valle e diffondere varietà di cereali. Per ora, venderà due farine. I nomi scelti sono particolari: la Facondia e la Prosperosa. «Sono nomi italiani in disuso che così cerchiamo di recuperare, esattamente come i grani», spiega Spigolon. Entrambe le linee sono state declinate in varianti (con più o meno crusca). Sono frutto di una lavorazione che unisce tradizione e tecnologia, ovvero le macine in pietra naturale (per produrre farine di notevole pregio) e strumenti tecnologici per un miglior controllo e automatizzazione dell’attività.

Queste sono le prime farine in commercio,  ma ovviamente l’obiettivo è crearne molte di più. Per questo, sono già partiti vari test con i grani antichi, castagne, antichi mais piemontesi per ottenere farine pregiate. Parallelamente, in queste settimane Mulino Valsusa butta un occhio anche ai campi e alla semina che sarà strategica per il prossimo anno.

Il progetto di riattivazione delle filiere del Mulino è stata portata avanti senza contributi pubblici e associazioni di categoria. Moltissime sono le collaborazioni che sono nate e che nasceranno, con soggetti pubblici e privati del territorio. «Vogliamo essere quel progetto che alla Valle di Susa mancava, in grado di generare entusiasmo e ravvivare le collaborazioni, capaci di sviluppare filiere corte e produzioni agricole locali – conclude Spigolon – Abbiamo incontrato e condiviso il progetto con moltissime persone che coinvolgono tutta la filiera, in grado di dare il proprio contributo intellettuale e pratico».

Percepiva l’indennità di disoccupazione ma viveva all’estero

C.M. le sue iniziali, quarantottenne di origini romene, è un’infermiera professionale

La Guardia di Finanza di Torino ha appurato come la donna aveva mantenuto la propria residenza anagrafica a Ciriè (TO) e subaffittato l’alloggio dove viveva ad una sua connazionale, senza disdire il contratto di locazione a suo nome. La “Naspi”, nel frattempo, continuava ad essere accreditata sul suo conto corrente acceso presso uno sportello bancario ubicato nel ciriacese; anche la targhetta con il suo nome apposta sul citofono era stata lasciata al suo posto.

I Finanzieri della Tenenza di Lanzo Torinese, hanno però accertato come la beneficiaria dello speciale emolumento, a seguito di una chiamata effettuata dal Centro per l’Impiego di Ciriè, relativa ad una procedura di selezione per infermieri, non si era presentata e che, dal momento del suo trasferimento, era ritornata in Italia solo per ottenere il rilascio di documentazione utile ad esercitare la professione di infermiera in Romania, dove nel frattempo si era trasferita.

In ogni caso la donna era tenuta a comunicare al Centro per l’Impiego e all’I.N.P.S. il suo trasferimento dall’Italia, incombenza alla quale, invece, come acclarato dai finanzieri la destinataria dell’indennità non ha adempiuto.

L’infermiera, che fino ad oggi ha guadagnato indebitamente circa 15 mila Euro, è stata denunciata alla Procura della Repubblica di Ivrea per indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato. Rischia una reclusione da sei mesi a tre anni. La posizione della donna è anche al vaglio della Procura Regionale della Corte dei Conti al fine di quantificare il danno causato alla comunità.

L’attività svolta dalle Fiamme Gialle rientra tra le principali mission strategiche della Guardia di Finanza, a tutela della “spesa pubblica”, attraverso specifiche verifiche sul corretto utilizzo dei fondi statali stanziati a favore delle persone meno abbienti.

“Primo Levi. Figure” Le fantasiose, bizzarre “creazioni metalliche” dello scrittore torinese

In mostra alla GAM di Torino
Fino al 26 gennaio 2020
In mostra troviamo il volto, o meglio uno dei volti meno noti al grande pubblico, di Primo Levi. Non solo accorato testimone con la parola scritta (fra le più alte e toccanti nel panorama letterario internazionale) degli orrori di Auschwitz e della Shoah, ma anche personaggio complesso, ricco di molteplici interessi e infinite bizzarre fanciullesche curiosità che si traducevano in svariate elaborazioni della mano e della mente, accompagnandosi ai quotidiani impegni professionali di chimico delle vernici, nonché direttore della “Siva” di Settimo Torinese.

Fra queste, l’originale creazione di lavori tridimensionali in filo di rame smaltato (metallo“sangue del mio sangue”, poiché già nell’infanzia suo compagno di giochi nel laboratorio del padre Cesare, ingegnere dirigente dell’ungherese Ganz, e anni dopo suo primo materiale di lavoro alla “Siva”) attraverso cui si divertiva a creare figure stupefacenti per la certosina pazienza della composizione e per l’esaltante carica di fantasia che a ruota libera Levi lasciava correre nella definizione di sagome di animali – dai più comuni agli improbabili vilmy o agli atoula con le loro femmine nacunu – ma anche di creature fantastiche e di soggetti umani. O umanoidi. Si tratta di lavori risalenti probabilmente al periodo 1955/’75, con un forte carattere intimo e domestico, destinati agli scaffali dello studio nell’alloggio dello scrittore in corso Re Umberto a Torino, oppure ad essere regalati agli amici più cari: mai considerati (ci mancherebbe! E men che meno dallo stesso Levi) come opere d’arte, ma come “gioco” esaltante, allegro, ironico, istrionico e visionario, senza nulla togliere alla grazia e alla squisita armonia di manufatti che rivelano la grande abilità manuale dello scrittore (“imparare a fare una cosa – diceva – è ben diverso dall’imparare una cosa”) tradotta nella precisione scientifica di particolari in cui mai è negato l’estro “impressionista”, a volte casuale, dell’esecuzione.

 

Orbene, un piccolo suggestivo nucleo di queste “figure metalliche” le troviamo esposte, per la prima volta in Italia, fino al 26 gennaio del 2020, negli spazi della Wunderkammer della GAM di Torino, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi e in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore, nato a Torino il 31 luglio del 1919 e a Torino tragicamente scomparso l’11 aprile dell’ ‘87. Curata da Fabio Levi e Guido Vaglio, con il progetto di allestimento di Gianfranco Cavaglià in collaborazione con Anna Rita Bertorello, la rassegna accosta 17 opere, che sono esaltazione del lavoro libero e del confronto ludico “alla Bruno Munari” (autore, fra l’altro, nel ’58 della sovracoperta di “Se questo è un uomo”, in edizione Einaudi) con la materia, che, se compresa, rivela per davvero i segreti più profondi atti a interpretare il mondo. A commento delle “figure”, sono state scelte dai curatori citazioni letterarie – tratte per lo più dall’opera di Levi e, in alcuni casi, da alcuni dei suoi autori prediletti – anziché puntuali didascalie. Scelta che lo stesso scrittore avrebbe condiviso.

 

Lui che affermava: “Non conosco noia maggiore di un curriculum di letture ordinato e credo invece negli accostamenti impossibili”. Così accanto alla figura del “ragno”, leggiamo “meraviglia, meditazioni, stimoli e brividi”; a quella del “gufo”, “ho sentito il gufo ripetere la sua concava nota presaga” e a quella del “guerriero”, “Noi propaggine ribelle Di molto ingegno e poco senno”. Citazioni che pure aiutano a scoprire tratti inediti di una personalità così sfaccettata e complessa come quella di Levi, aprendoci un piccolo varco in quell’“ecosistema – asseriva arguto lo stesso scrittore – che alberga insospettato nelle mie viscere, saprofiti, uccelli diurni e notturni, rampicanti, farfalle, grilli e muffe”.

Gianni Milani

“Primo Levi. Figure”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 26 gennaio 2020
Orari: dal mart. alla dom. 10/18; lunedì chiuso

– Foto: Pino Dell’Aquila

– La foto di Primo Levi con la scultura del gufo é di Mario Monge

“Requiem per la Bosnia”, viaggio emozionale nel cuore della ex-Jugoslavia

Il libro di Barbara Castellaro è pubblicato da Infinito Edizioni 

Nel suo libro “Requiem per la Bosnia” Barbara Castellaro racconta le emozioni degli incontri e dei luoghi che ha conosciuto nel cuore dei Balcani. Lì, nel bel mezzo della terra degli slavi del sud, s’incontrano l’Oriente e l’Occidente e ci si accorge che molta della storia europea inizia e finisce in quel luogo.

Un tempo era il territorio al centro di un Paese che non c’è più, la parte più jugoslava della Jugoslavia. Lì si può incontrare la quintessenza dei Balcani e si può immaginare quello che sono stati da sempre: un luogo d’incontro, scambio, mescolanza e di appartenenza a un destino comune. “Bratstvo i jedinstvo”, “fratellanza e unità”, come recitava il motto coniato ai tempi di Tito per indicare il tratto d’unione dei popoli della Repubblica federale. Era lo spirito laico, interetnico e tollerante sul quale si fondava la Jugoslavia. Poi, tutto precipitò in una escalation che portò alla guerra con tutto il suo carico di orrori e tragedie, fino a quando tacquero le armi e venne la “terribile pace”. Barbara Castellaro, nel suo libro ( pubblicato da Infinito Edizioni nella prestigiosa collana “Orienti” con l’introduzione e le foto di Paolo Siccardi) non ha inteso affrontare il tema dei conflitti, guardando al “tempo del dopo”, a ciò che rimane di quello spirito balcanico che, come un’aurea, avvolge cose e persone. Sono volti e storie di quei Balcani che, nelle pagine di “Requiem per la Bosnia”, offrono immagini esplosive come lampi, dove si avverte la corposa densità dei sentimenti. Uno spessore emozionale che, però, non oscura il bisogno di guardare e riflettere a mente fredda, ben oltre vent’anni dopo, sulla guerra che insanguinò quell’angolo d’Europa e sulla lunga e terribile scia che si è lasciata dietro. Una guerra che ha rappresentato l’evento più cruento del lungo processo disgregativo che ha messo fine alla Jugoslavia. Sono passati più di quattro lustri dagli anni più bui della “decade malefica” delle guerre che hanno insanguinato quella parte d’Europa. E dieci anni dal tempo del racconto di Barbara Castellaro, anche se le istantanee che hanno scattato i suoi occhi non appaiono molto diverse da quelle di oggi. La situazione si è solo complicata e i fili spezzati dalla guerra alla metà degli anni ’90 si sono solo riannodati malamente, senza risolvere i problemi di fondo. Anzi, ora la crisi è più dura, i rancori crescono e quel fuoco che non si è mai spento continua a covare sotto la cenere. Nella repubblica Srpska mettono al bando i libri di testo editi dalla Federazione Bosniaca perché nessuno possa leggere o studiare cos’è avvenuto a Srebrenica.

Il negazionismo si presenta con il suo volto più scuro, qualificandosi come prassi e punta più avanzata di quel nazionalismo estremo che ha prodotto violenze, drammi e lutti. La crisi si mangia le vite e ipoteca il futuro, soprattutto dei giovani. Persino la grande ondata di profughi dirottati dalla tradizionale rotta balcanica ora passa per Sarajevo. Le stime dei numeri non sono certe perché la polizia non riesce a registrare tutti, ma si calcolano tra i quindici e i ventimila richiedenti asilo entrati in Bosnia nel corso dell’ultimo anno. Donne, bambini, uomini dalle “vite senza sponda”, quelle dei migranti che cercano rifugio in Europa, in fuga da bombardamenti e carestie, da cambi di regime, guerre e povertà, violenze tribali. I muri, i fili spinati, le ostilità e i rigurgiti di razzismo hanno solo reso il loro viaggio più arduo e pericoloso. Come dar torto ad Azra Nuhefendić quando scrive che “gli uomini sono come l’acqua: trovano sempre la strada”? Tante, troppe domande sollevate da quei conflitti sono rimaste aperte e senza una risposta; molti insegnamenti di quel che accadde rimangono ancora lì, in attesa di essere indagati e capiti fino in fondo. Barbara Castellaro, descrivendo ciò che ha visto e chi ha incontrato sui suoi passi in terra bosniaca ha colto il “genius loci”, lo spirito di quei luoghi, la vitalità di un popolo che ha sofferto pene indicibili, la sua necessità di non dimenticare e, al tempo stesso, di non sotterrare la cultura del rispetto delle differenze, delle diversità che diventano ricchezza in quel crogiuolo di religioni, culture, storie che era il cuore di un Paese che non c’è più. In Bosnia la memoria del dolore è del tutto contemporanea e non cancella il ricordo di uccisioni, saccheggi, violenze, torture, sequestri, detenzione illegale e sterminio. Ci sarà mai giustizia? Quasi cinque lustri dopo, rimane un profondo senso di ingiustizia e di impotenza nei sopravvissuti e un pericoloso messaggio di impunità per i carnefici di allora, in buona parte ancora a piede libero e considerati da alcuni persino degli “eroi”.

Le donne incontrate e raccontate da Barbara Castellaro chiedono ancora verità e giustizia, accertamento delle responsabilità,  condanne per i criminali. Predrag Matvejević scrisse parole amare e sagge: “I tragici fatti dei Balcani continuano, non si esauriscono nel ricordo come avviene per altri. Chi li ha vissuti, chi ne è stato vittima, non li dimentica facilmente. Chi per tanto tempo è stato immerso in essi non può cancellarli dalla memoria”. Soprattutto in un Paese che vive tempi difficili, stretto tra crisi economica, corruzione politica e incertezze istituzionali figlie del trattato di Dayton. La storia recente della Bosnia è segnata dal fallimento dell’Occidente e dell’Europa. La rimozione nasce anche dalla fatica di ammetterlo. La Bosnia è l’unico Paese europeo con una forte radice musulmana, mescolata alla cultura slava e mitteleuropea e con una millenaria storia di contatto tra le tre religioni monoteiste: l’ebraica, la musulmana e la cristiana. Non tener conto di tutto questo equivale a togliere spazio a chi cerca il dialogo e lasciare campo aperto alle reti criminali che rappresentano, quelle sì, l’unico e vero pericolo. Ecco perché il racconto di Barbara Castellaro è utile e prezioso. Non pretende di riassumere quanto è accaduto, ma aiuta ad aprire una finestra, induce a guardarvi attraverso, spinge a conoscere. E’ un buon approccio per chi desidererà poi approfondire la storia dell’imbroglio sanguinoso di un massacro costruito in laboratorio e sdoganato all’opinione pubblica come conflitto di civiltà, scontro tribale o generica barbarie.

La sberla dell’Umbria e il futuro di Torino

In Umbria Di Maio e Zingaretti si sono presi una sonora sberla. Il consenso pentastellato si è
dimezzato. Il PD tiene sulle Europee ma se non si dà una mossa la vedo molto ma molto dura
per la tenuta del partito. Ancora due votazioni e Giggino sarà leader di movimento 5stelle all’
uno percento. Obbiettivo centrato ( viceversa ) per sinistra sbrindellata: dove ci sono loro
sconfitta assicurata. Così potranno fare i loro convegni sulla crisi della sinistra mondiale. Manca
solo l’ Emilia Romagna e il cappotto salviniano sarà trionfalmente completato. I pentastellati si
abbarbicheranno al governo e saranno cavoli amari per Zingaretti come utilizzare questa paura. Per
ora non l’ ha fatto. Non è nel suo stile. Il PD tiene nonostante i renziani fuori e dentro. Se valgono il
5% i conti sono presto fatti.
Vittoria del centrodestra scontata ma non in quelle proporzioni o perlomeno sperata non in quelle
proporzioni. I pentastellati sono un buco nero sia a Perugia sia a Roma come a Torino.
La vedo dura la riproposizione di Chiaretta come candidata a Sindachessa.
Ultimamente grandi discussioni, sono 40 anni che la sinistra  perde colpi. Concretamente dopo i 35 giorni
alla Fiat ed i 24 mila in cassa integrazione la chiusura ( di fatto ) produttiva. Sia ben chiaro che la
colpa non è della Famiglia Agnelli o della Fiat stessa. Loro hanno fatto quello che potevano per salvare
sé stessi . È arrivato Msrchionne ed il miracolo è diventato realtà. È diventato realtà per Fiat ed
Agnelli. Il disastro per Torino. Responsabile è la classe politica che da 25 anni ha governato
Torino e la Regione. Responsabilità definibili in un solo modo : sono stati a guardare dicendo
che nel mentre facevano . Falso, ma molto più comodo. Fatto società per acquisire parte degli
stabilimenti Mirafiori con l’ unico scopo di dare un mucchio di soldi a Fiat affinché restituisse i
soldi alle banche. Salza presidente, Intesa San Paolo ringraziava, anzi per maggiormente tutelarsi ha
prodotto questa nuova classe politica codista verso Fiat. Con un elemento di novità rispetto agli
anni 60. Quasi tutti i nuovi protagonisti politici di questa stagione di governo arrivano dal
PCI.
Poi bisogna uscirne in qualche modo. Ecco all’orizzonte Chiara Appendino, pure figlia di quel mondo imprenditoriale che aveva
confezionato queste scelte.
Chi meglio di lei per addossare tutte le responsabilità di ciò che era accaduto.
Ligia al mandato avuto, tra le prime cose realizzate una polemica ( perdente ) con Milano. Da quel
punto in avanti sempre un tornare indietro fino al blocco operativo dell’anagrafe, suggellando la
più radicale incapacità. Non brillando per efficienza, visto che l’efficienza e’ conseguenza della
conoscenza che lei non ha avuto e che non vuole conoscere.
Il vento di Venaria che aveva travolto Torino incoronandola Sindachessa ora ha cambiato
direzione, un vento che arriva dalla lontana Umbria. Terni fieramente e saldamente comunista ora
è fieramente e saldamente leghista. In Umbria manco il ballottaggio avrebbe salvato il candidati
perdenti. E poi un 20 % di differenza sono tantissimi voti . 57 % , vittoria schiacciante e 37 sconfitta
schiacciante.
Il vento 3 anni fa promosse Chiaretta. Ora se si presenterà seguirà l’ orma del suo ex collega Sindaco di
Livorno che non è neanche andato al ballottaggio , se ballottaggio ( appunto ) ci sarà. E sempre l’
insegnamento dell’ Umbria  dice che Meloni e Salvini non hanno più bisogno di Berlusconi. Speriamo almeno
una cosa: i candidati dei vari schieramenti, a Torino abbiano due fondamentali requisiti.
Conoscere palmo a palmo la nostra città e non essere compromessi con un passato troppo
negativo per la città stessa. Cortesemente lasciateci almeno questa tenue speranza.

 

Patrizio Tosetto

Foto M. Bursuc

Un protocollo di intesa contro stalking e violenza domestica

Lunedì 28 ottobre è stato sottoscritto dall’ Autorità di Pubblica Sicurezza della Provincia di Torino, il Questore Giuseppe De Matteis, e dai Presidenti delle associazioni Onlus o di promozione sociale CePsi, Centro Psicoanalitico di trattamento dei malesseri contemporanei, Centro Studi e Trattamento dell’Agire Violento, Cerchio degli Uomini e Gruppo Abele, un protocollo d’intesa in materia di stalking e violenza domestica. Le associazioni firmatarie rappresentano consolidate realtà territoriali in grado di offrire servizi rivolti a soggetti autori di violenza o di atti persecutori, finalizzati a contrastare e prevenire il fenomeno della violenza domestica e di genere.

 

Grazie all’intesa raggiunta e formalizzata nel protocollo, la Divisione Anticrimine della locale Questura sarà in grado di indirizzare gli autori di violenza domestica e di stalking, destinatari della misura di prevenzione dell’ammonimento, ad uno dei suddetti centri. In sede di notifica del provvedimento, infatti, l’interessato potrà indicare l’associazione dove intende seguire un percorso volto al miglioramento della gestione delle emozioni, così da ridurre il rischio di recidiva.

 

Tale protocollo si pone nel solco tracciato dalla legislazione vigente e, in particolare, dal decreto legge 93/2013, convertito nella legge 119/2013, nonché dalla recente legge 69/2019 c.d. Codice Rosso, che prevede interventi finalizzati al perfezionamento degli strumenti di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Realizza, inoltre, le indicazioni di cui alla circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Anticrimine n. 225/UAG/2019- 66981-U del 6.9.2019, sulle nuove prassi operative in tema di violenza di genere. Ciò nella convinzione che la migliore forma di tutela per le vittime sia intervenire sulle cause che determinano l’insorgenza di comportamenti violenti così da ridurre la probabilità di reiterazione.

 

 

CERTIFICAZIONI DI QUALITA’, ‘UBROKER SRL’ PROMOSSA A PIENI VOTI

La Multiutilities Company italiana che azzera le bollette di luce e gas conforme alle norme UNI EN ISO 9001

Un fiore all’occhiello in più nel già più che ricco curriculum vitae di ‘uBroker SRL’. La milionaria start-up piemontese, nata nel 2015 e trasformatasi in breve tempo in una realtà consolidata in forma di multi business company nel campo delle utilities rivolte al mondo consumer e alle PMI, dopo essersi distinta per essere stata la prima in assoluto nel suo settore, grazie a una fortunata intuizione del suo fondatore Cristiano Bilucaglia, a dar vita a ‘ZERO’, il primo social utility network della storia in grado di azzerare le bollette di luce e gas, ora taglia un altro, importante traguardo: quello delle certificazioni di qualità.


Come verificato e confermato da ‘Certind Italia Srls’, stimato e riconosciuto Organismo di certificazione del mondo B2B a livello internazionale, l’azienda, infatti, è risultata conforme ai parametri UNI EN ISO 9001:2015, inerenti, come si legge testualmente nell’attestato, nell’ambito della “Compravendita di beni di pubblica utilità, nello specifico di gas naturale e di energia elettrica”.
“Esprimo viva soddisfazione per questo ambito e prezioso riconoscimento”, dichiara Cristiano Bilucaglia, Presidente di ‘uBroker SRL’ nonché stimato ingegnere, imprenditore e mecenate autore su tutto il territorio italiano di importanti opere di benemerenza nel segno dell’arte, della cultura e dell’aiuto ai più bisognosi.
“Formazione e gestione sono i pilastri portanti e imprescindibili sui quali abbiamo posto la prima pietra della mission del nostro modo di fare impresa, e con cui proseguiamo giornalmente nella costruzione e mantenimento di un serio rapporto umano e professionale con i nostri clienti e collaboratori, fidelizzato e sicuro”, spiega.
Gli fa eco Maurizio Scandurra, giornalista esperto in tematiche consumeristiche: “In un momento storico in cui massima è l’attenzione all’affidabilità degli operatori per via della liberalizzazione del mercato dell’energia, diventa fondamentale dotarsi degli opportuni strumenti previsti dal legislatore e dalle associazioni di categoria per rispondere concretamente e con tempestività alla crescente domanda di trasparenza da parte dell’utenza. Il conseguimento di un riconoscimento così prestigioso e oggettivo testimonia in modo preciso e puntuale un percorso industriale in continua evoluzione, come nel caso di specie, tutto giocato su qualità e corretto funzionamento delle procedure di dialogo e rapporto con i consumatori”, conclude, perfettamente in linea anche con il pensiero di Alessandro Meluzzi, noto e stimato accademico, psichiatra e opinionista tv, che in passato ha già più volte, pubblicamente definito l’azienda “un esempio funzionale e virtuoso di tecnologia applicata ai bisogni dell’umano”.

Premio Public Choice Award ai Musei Reali per il recupero della Cappella del Guarini

Fra le tante cose che non vanno in Italia, finalmente una buona notizia: il recupero straordinario della Cappella della Sindone, gioiello architettonico di Guarino Guarini, riceverà martedì 29 ottobre a Parigi l’assegnazione del prestigioso Premio del patrimonio europeo – Premio Europa Nostra 2019 per la categoria Conservazione.

La cerimonia di premiazione dell’European Heritage Awards si terrà al Théâtre du Châtelet alla presenza del Commissario Europeo Tibor Navracsics sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron.

A ricevere il premio, per i Musei Reali di Torino, di cui la Cappella è parte integrante, la Direttrice Enrica Pagella e la Direttrice dei lavori di restauro Marina Feroggio.

I lavori di recupero del monumento barocco di Guarini erano stati definiti, per dirla in termini di fiction – un’impresa impossibile.

Non è stato così ed è stata una “scommessa vinta” per la complessità e la difficoltà del restauro in cui nessuno credeva anche per la relativa velocità con cui è stata realizzata.

Il recupero ha visto alternarsi tre diversi cantieri nell’arco di vent’anni. Oggi la Cappella della Sindone è uno dei gioielli barocchi più visitati apprezzati dai visitatori che non mancano di soffermarsi ad ammirare il capolavoro ritrovato.

A poco più di un anno dalla sua riapertura il Premio suggella un successo meritato.

Il premio è indetto dalla Commissione Europea ed Europa Nostra, principale rete per il patrimonio culturale che ogni anno celebra e promuove l’eccellenza nel campo del patrimonio artistico.

In occasione della cerimonia di premiazione verrà rivelato il vincitore della categoria Public Choice Award, in cui la Cappella della Sindone è stata inclusa e che nei giorni della votazione ha conosciuto un imponente sostegno da parte del pubblico italiano, manifestato in particolar modo attraverso i social e il web.

Tommaso Lo Russo

(foto Bottallo)

Fontana dei mesi: l’Allegoria dei fiumi e la corrente di Novembre

La statua di novembre al parco del Valentino è stante; la donna resta in piedi in una posizione di riposo, un ginocchio leggermente flesso, le punte dei piedi divaricate, con una mano regge la veste, con l’altra -aperta all’altezza del petto scoperto- fa atto di porgere qualcosa o di indicare una chiara evidenza, chissà. Sul volto l’accenno di un sorriso e una espressione di dolce pacatezza.

Alla Fontana dei Mesi la statua di novembre è la più serena, ha la caratteristica comune alle altre di esprimere con il volto e con il corpo la stessa emozione.

 

Ogni statua delle quattro stagioni è a pieno titolo armoniosa perché dalla testa ai piedi è allegoria di un sentimento tipico di un mese dell’anno, di pacatezza in questo caso, in altri di gioia, di tripudio, di attesa, di felicità, festosità, curiosità, timidezza, scoperta, volontà di condivisione, protezione, fermezza, etc. Ognuno a Torino quando ha tempo, passeggiando alla Fontana, provi ad indovinare quale sentimento si addice meglio ad ognuna di loro indovinandolo dall’atteggiamento del corpo oltreché dall’espressione del viso. Abbiamo visto alcune delle altre statue durante le precedenti uscite e ogni volta abbiamo introdotto in modo più o meno approfondito un movimento artistico su cui riflettere; per questa uscita ho promesso di parlarvi delle quattro statue al centro della Fontana datata 1898 quindi anche in questo caso accennerò soltanto alla corrente che ho pensato per il mese di novembre pescando dalla mia conoscenza della storia dell’arte che si basa sul pensiero di altri che prima e meglio di me hanno ragionato su piccole differenze estetiche nell’arte cogliendo l’inizio e lo sviluppo di una nuova tendenza e di una nuova sensibilità fino a vedere il pieno compimento e il termine di alcune caratteristiche e poi talvolta facendo collegamenti per descrivere altre opere di altri artisti in altri tempi creando una tradizione nel racconto dei beni culturali ossia creando la storia dell’arte, dunque dicevo parleremo solo brevemente del Verismo e del Naturalismo a cui ho pensato guardando la statua di Novembre. Si tratta di due correnti di cui la differenza è grande come la cruna di un ago insomma sintetizzando molto spesso se ne fa un fascio solo e senza nemmeno troppo pensiero, e mescolando tutto insieme con il Realismo persino, infatti queste correnti sono per esprimere la realtà con la massima fedeltà, senza interpretazioni romantiche né idealizzazione alcuna; il verismo dice: bisogna guardare la verità in faccia in modo crudo, qualsiasi esso sia siano riprodotti i fatti stanti seppur nella loro miseria e crudeltà, così da poterne trarre la vera essenza, da poterne conoscere l’allegria e il riso dell’umanità e della realtà riprodotta, mentre il naturalismo di solito invece considera la natura nella sua interezza.

Ha la tendenza a riprodurla in modo veritiero, ma facendo capo a un modello a un pensiero generale intorno alla natura, seppur vago e in qualche modo inconscia espressione della visione personale del singolo artista. Insomma guardando per esempio un quadro naturalista possiamo vedere la natura proprio così come appare in realtà ad un primo sguardo. Possiamo vedere un paesaggio, un bosco ad esempio, come appena arrivati al suo limitare. Quello ci mette a nostro agio immediatamente, ma alla lunga stufa. Un quadro verista invece a tutta prima è onestamente orribile, vero al cento per cento, mostra l’intimità di un personaggio immediatamente senza dare lui tempo di nascondersi come fanno tutti per pudore di mostrare questo o quel difetto, né di presentare la sua profondità psicologica, complessa o semplice che sia, e quindi anche di farsi accettare dall’altro. Toglie il nascondimento, il fascino della conquista. Mostra quel momento di fulgida lucidità a cui si arriva solo al culmine di un lungo discorso e non mostra altro. Solo abituandoci nel guardarlo, riconoscendo particolari veritieri permette di riprendersi dalla forte impressione che un quadro naturalista o per la precisione verista talvolta provoca. Ho scritto abbastanza, tanto che per il momento delle quattro statue al centro della Fontana del Ceppi non posso dire altro se non che tradizionalmente sono espressione di una allegoria: quattro fiumi piemontesi.

Ovviamente vediamo il Po e la Dora che gli abitanti di Torino ben conoscono, uno è l’uomo barbuto assiso, mentre la Dora è la fanciulla con una corona di margherite sul capo affiancata da una capra, poi vediamo il fiume Stura di Demonte rappresentato da tre figure femminili nude avviluppate in stoffe, infine l’affluente di sinistra del Po, il Sengone, raffigurato come un genio acquatico vicino a due giovani amanti. La leggenda di Fetonte e la storia del suo carro sarà per una prossima uscita, Aurevoir!

 

Elettra-ellie-Nicodemi