“A nome dell’Assemblea legislativa – sottolinea il presidente Allasia – esprimiamo vicinanza e supporto ai commercianti ambulanti che hanno manifestato per poter tornare a lavorare in sicurezza. Come Consiglio Regionale invitiamo la Giunta ad intervenire nei confronti del governo nazionale affinché la categoria, ormai allo stremo, possa tornare in attività dopo le feste pasquali. La chiusura dei mercati agli operatori extra alimentari è un provvedimento discriminatorio che mette in difficoltà economiche migliaia di famiglie piemontesi”.
Parità retributiva, la proposta del Pd piemontese
Domenico Ravetti (Pd): “Presto in Aula una proposta concreta per il riconoscimento della parità retributiva tra uomini e donne”
Torino – 30 marzo 2020 – “La proposta di legge di cui sono il primo firmatario che ha lo scopo di promuovere la parità retributiva tra i sessi e di sostenere l’occupazione femminile stabile e di qualità è stata licenziata dalla Commissione e sarà presto votata dall’Aula. Il pieno riconoscimento del ruolo della donna nel mondo del lavoro costituisce il parametro per misurare la maturità di una democrazia. Le donne continuano ad essere meno presenti nel mondo del lavoro rispetto agli uomini anche dal punto di vista dell’impegno temporale, sono più coinvolte in lavori con part time involontario, incontrano maggiori difficoltà nella stabilizzazione e, soprattutto nel settore privato, sono soggette a disparità salariali molto evidenti. Una donna lavoratrice nel privato può percepire anche un quinto in meno del suo collega uomo, a parità di mansione e di ore lavorate” spiega il Consigliere regionale del Partito Democratico Domenico Ravetti.
“In questo contesto ho ritenuto importante – afferma Ravetti – presentare un provvedimento che, data l’importanza del tema, auspico che il Consiglio regionale discuta e approvi in tempi stretti. La proposta prevede da parte della Regione la creazione di un Registro delle imprese virtuose in materia retributiva di genere, al quale possono iscriversi le imprese pubbliche e private con sede legale e operanti sul territorio piemontese e con meno di cento dipendenti che attuano la parità retributiva tra donne e uomini. Per queste imprese la Regione prevede, nell’attribuzione di benefici economici, un sistema di premialità e la possibilità di utilizzare una “certificazione di pari opportunità di lavoro”.
“Sono introdotte, inoltre – prosegue Domenico Ravetti – misure per contrastare l’abbandono lavorativo delle donne, in particolare, il fenomeno delle dimissioni in bianco e il licenziamento delle dipendenti nel periodo compreso tra il congedo di maternità obbligatorio e il primo triennio di puerperio, ma anche in caso di adozioni e affidamenti e disposizioni per sostenere e valorizzare le imprese che assumono donne con contratti a tempo indeterminato. Nello specifico la Regione riconosce a queste imprese una riduzione del 50% dell’aliquota Irap per il triennio successivo alla data di sottoscrizione dei contratti e un punteggio aggiuntivo nella valutazione dei progetti presentati nell’ambito di avvisi e bandi regionali”.
La protesta degli ambulanti
Questa mattina a Torino si è tenuta una nuova manifestazione degli ambulanti, con decine di furgoni e auto che si sono dati appuntamento in piazza Vittorio.
La partenza del corteo dall’Allianz Stadium e poi in corso Grosseto e corso Giulio Cesare.
I mercatali chiedono di riaprire il settore extra alimentare “ormai al collasso”.
(Foto archivio)
Al via le vaccinazioni per i settantenni
La Regione Piemonte ha iniziato ieri la vaccinazione dei settantenni, con la somministrazione delle prime 2.706 dosi nella fascia 75-79 anni.
Nell’ultima giornata sono stati inoculati 15.093 vaccini (6.552 si seconda dose). Di questi 10.173 a ultraottantenni. Si tratta di “una importante fase, – sottolinea l’Assessorato alla sanità – che vede il supporto operativo dei medici di famiglia per le somministrazioni e di Federfarma Piemonte per la distribuzione presso le farmacie del territorio, in linea con la modalità già consolidata negli anni per i vaccini antinfluenzali”.
«La notizia dell’esclusione di Caselle dal piano nazionale strategico è certamente preoccupante per la scarsa attenzione che viene dedicata al nostro territorio, ma come Regione siamo comunque riusciti a trovare una copertura per assicurare in ogni modo un aeroporto accessibile come hanno le altre città metropolitane».
Così l’assessore ai Trasporti e Infrastrutture della Regione Piemonte Marco Gabusi sul piano delle opere strategiche del Governo, che non vede la presenza di Torino.
«Abbiamo infatti lavorato – prosegue l’assessore Gabusi – per migliorare la logistica dell’aeroporto di Caselle e abbiamo ottenuto 15 milioni di euro dall’Unione Europea per la realizzazione del collegamento ferroviario diretto tra la stazione di Torino Porta Susa e l’aeroporto Sandro Pertini. Si tratta di un contributo importante ottenuto grazie ad un lavoro di squadra interdirezionale, tutta regionale, che permette di proseguire speditamente e con maggior serenità nei lavori di una delle più importanti opere infrastrutturali per il nostro territorio. Da sempre sottolineo la strategicità di questo collegamento non solo per Torino e il Piemonte, ma per tutto il contesto logistico che, da un lato, punta verso l’Europa e, dall’altro, vuole intercettare e attirare qui i flussi di traffico europei».
«Il collegamento ferroviario diretto – conclude l’assessore Gabusi – permetterà di sviluppare il potenziale dell’aeroporto connettendolo dal gennaio 2023 alla città e alla ferrovia connessa con la rete e con l’Alta Velocità
“Province e Città metropolitane avranno a disposizione ulteriori 1,150 miliardi per il triennio 2021-23 per la manutenzione straordinaria di ponti e viadotti nella rete stradale di loro competenza.
Di questa cifra alla provincia di Torino saranno assegnati 23,3 milioni di euro, esattamente 7.109.000 per gli anni 2021 e 2023, 9.140.000 per il 2022″. Lo dichiara in una nota il Deputato e Responsabile Innovazione del Movimento Cinque Stelle, Luca Carabetta.
La crisi, l’incertezza e la paura di non farcela
Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera
Luigi Bubba, titolare dello storico Caffè Arsenale di Torino, ci racconta l’apprensione e il senso di precarietà di questo periodo.
Un incasso giornaliero attuale di 80 euro contro i 600 del 2019, 20 coperti (forse) in zona gialla, rispetto ai 60 di 2 anni fa, personale più che dimezzato, ora sono rimasti solo in due a gestire il bar, Luigi e Marco, prima di questa pandemia erano in 5. Cucinano, servono i clienti, preparano cappuccini (tra i più buoni e cremosi di Torino tra l’altro!), puliscono, fanno consegne a domicilio, tutto in aderenza alle attuali norme. Oltre a resistere e darsi da fare praticano la solidarietà, quella vera e concreta, regalando brioche e panini a chi ha bisogno, a chi non può permettersi più nulla, neanche un caffè.
Il Caffè Arsenale è un bar storico di Torino (nella Galleria Tirrena) aperto sin dagli anni ’70, che ha visto, grazie alla sua posizione ma anche ad una gestione amichevole e professionale, il passaggio di avventori importanti come artisti, sportivi, personaggi della cultura e della politica, l’affezione delle persone che orbitano in zona, come i lavoratori dell’INPS e gli allievi della Scuola di Applicazione dell’Esercito, l’apprezzamento di chi passa da lì per caso.
Nel 2020 le perdite di questo bar, come del resto di tutti gli appartenenti alla categoria, si sono aggirate intorno al 70%, “ i sacrifici che si sono fatti sono enormi, ora le forze si stanno indebolendo come d’altronde la fiducia” afferma Luigi, il titolare.
Proprio parlando con lui cerchiamo di capire cosa sta succedendo e cosa ci si aspetta per superare questo momento pandemico che ha aggravato seriamente la crisi di esercizi commerciali come questo.
3 domande a Luigi Bubba
Luigi cosa è accaduto nel 2020 al Caffè Arsenale, come sta andando ora?
E’ successo che la pandemia, il Covid-19, ha creato e sta continuando a produrre enormi danni economici alla categoria dei bar e della ristorazione. All’inizio abbiamo stretto i denti, dato fondo alle nostre risorse economiche, frutto di anni di sacrifici e di lavoro, ora però siamo allo stremo. Nonostante gli sforzi, la comprensione e l’aiuto delle persone, per esempio il proprietario del locale che mi è venuto incontro sull’affitto, siamo arrivati al limite. Si vive nell’incertezza a causa delle continue chiusure e aperture in funzione dei colori delle regioni, ma anche delle conseguenze dello smart working che ridimensiona i flussi delle persone in giro per la città, la paura è di non farcela, di chiudere definitivamente; se poi hai una famiglia, dei figli da mantenere e da far crescere il timore diventa panico.
Cosa dovrebbe fare lo Stato per aiutare realmente la vostra categoria?
A parte i sussidi e i ristori, che comunque sino ad ora non hanno assolutamente coperto le perdite economiche ponendoci nella difficile condizione di mettere mano ai risparmi o in alcuni casi di rinunciare drammaticamente alla attività, sarebbe molto utile sospendere il pagamento di alcune utenze o perlomeno mettere in fattura solo gli effettivi consumi eliminando tutte le altre voci come le spese fisse e le imposte; parallelamente si dovrebbero agevolare anche i proprietari dei locali, per esempio attraverso il credito di imposta, in modo tale che anche loro possano ridimensionare le perdite dei ridotti o mancati affitti.
Cosa è cambiato in termini sociali e come si sono modificate le abitudini delle persone durante la pandemia?
Oltre ad avere perso parte della clientela che non può più permettersi di fare colazione o pranzare al bar per questioni economiche, si sono innescati comportamenti “nuovi” da parte di molte persone che hanno, legittimamente, paura e quindi frequentano molto meno il bar e quando lo fanno agiscono con molta prudenza sanificando le mani molte volte, per esempio, o rinunciando, anche quando permesso, al caffè in tazza chiedendolo invece nel bicchiere usa e getta.
La gente è terrorizzata perché oramai , nello scenario attuale, i nostri locali sono identificati quasi esclusivamente come luoghi di trasmissione del virus e questo anche a causa di una comunicazione non sempre comprensibile ed a volte forse troppo allarmante.
Oltre allo Stato, anche noi cittadini possiamo aiutare i bar acquistando, per esempio, un panino o una bevanda, anche se non ne abbiamo sempre necessità o voglia, oppure pagando un caffè sospeso a coloro che sfortunatamente hanno perso proprio tutto. Attraverso il nostro piccolo ma importante contributo, infatti, possiamo sostenere una categoria, che in quest’ultimo anno è stata tra le più penalizzate, ridandole speranza e respiro con l’auspicio che presto tutto ritorni come prima e che i bar ridiventino piacevoli luoghi di relax e ritrovo sociale.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata all’Assessore all’Urbanistica e al Presidente della Circoscrizione 4
Apprezziamo l’effettuazione della bonifica amianto dei tetti dell’edificio in via Pianezza angolo via Pessinetto, di fronte al comprensorio abitativo Paracchi di Spina 3. Un intervento, annunciato in questi giorni dal Comune e sollecitato da un decennio dai cittadini e anche dal nostro Comitato.
Ci chiediamo ancora perché questo lavoro indispensabile debba essere infine eseguito a spese della collettività (il Comune di Torino risulta essere ancora proprietario dell’edificio, seppur alla ricerca di acquirenti) e non dell’ex proprietà.
Per le potenzialità che l’edificio offre, continuiamo a pensare che l’ex Paracchi di via Pessinetto non sia solamente un problema di alienazione a fini bilanciali e che restino aperte alcune questioni:
– sono arrivate offerte di acquisto?- se sì. per quali scopi?
– si è tenuto conto dei “vincoli sociali” apposti in merito all’uso civico di alcuni locali?
Riprendiamo a questo proposito quanto scritto nella nostra lettera del gennaio 2019: :
“Ricordiamo che la stessa documentazione allegata al bando di vendita precisa, tra le vincolanti prescrizioni ministeriali (decreto 102/2015) che autorizzano l’alienazione dell’edificio, che “in considerazione della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d’uso, dovrà essere garantita, particolarmente in occasioni finalizzate alla conoscenza del territorio, la pubblica fruizione del bene”. La nostra interpretazione di quanto sopra chiaramente descritto (lo si evince dall’utilizzo del termine “particolarmente” e non “esclusivamente”) continua ad essere che una parte dell’edificio, non solamente in occasione delle, supponiamo, rare visite culturali, debba essere destinata a fini sociali di quartiere. Se ciò non si verificherà, la vendita dell’ex Paracchi, che peraltro risulterebbe avvenire a prezzi di saldo di fine stagione, rappresenterebbe un perdita per la collettività”.
In attesa di una vostra cortese risposta, chiediamo che i cittadini siano informati sull’evolversi della vicenda e che siano tutelate le legittime aspettative di un utilizzo parzialmente civico di questo edificio. Questione che si pone anche per altri immobili dismessi in Spina 3, un quartiere dove è forte la necessità di luoghi di aggregazione culturale.
COMITATO DORA SPINA TRE
La Regione ha confermato anche per quest’anno il sostegno al programma «Piemonte Film Tv Fund» dedicato alle imprese di produzione audiovisiva, cinematografica e televisiva con una dotazione di 1,5 milioni di euro. La delibera, approvata questa mattina dalla Giunta, porta la firma degli assessori alle Pmi, Andrea Tronzano e alla Cultura, Vittoria Poggio: entro metà aprile sarà pubblicato sul sito della Regione l’avviso con i criteri e i requisiti per partecipare alla selezione.
L’ASSESSORE ALLA CULTURA, VITTORIA POGGIO: «SEGMENTO IN ESPANSIONE CHE HA PRODOTTO RICADUTE DI 21 MILIONI NEGLI ANNI PRECEDENTI»
«In questi anni il consumo di prodotti televisivi e cinematografici da parte delle famiglie è aumentato moltissimo – ha sottolineato l’assessore Poggio – In questo periodo sono presenti in Piemonte numerose troupe impegnate nella realizzazione di riprese per il cinema e per la tv. Si tratta, quindi, di un segmento in grande espansione da sostenere come industria a cui dare valore per aiutare le aziende e allo stesso tempo per mantenere viva la cultura audiovisiva e cinematografica nata proprio a Torino assieme con la Rai».
«Un comparto quello delle attività audiovisive – aggiunge l’Assessore Tronzano – che esprime, come ho potuto verificare di persona nel corso delle visite alle aziende, professionalità eccellenti nel nostro territorio, con un numero multiforme di micro piccole e medie imprese che operano con grande qualità. Piemonte Film Tv Fund si conferma uno strumento valido per favorire lo sviluppo economico e professionale del settore della produzione cinematografica e televisiva.
Il provvedimento rientra nel pacchetto di misure a sostegno del comparto della Cultura. Il progetto «Piemonte Film Tv Fund» già avviato negli anni precedenti ha dato origine a ricadute economiche di 21 milioni di euro a fronte dei 4 assegnati dalla Regione a titolo di contributo.
«L’esperienza di “Piemonte Film Tv Fund” – ha aggiunto l’assessore Poggio – nel triennio 2018-2020 è stata molto positiva: a fronte di 27 opere finanziate e di 4 milioni di euro di contributi a fondo perduto concessi alle imprese, vi è stata una ricaduta in termini complessivi sul Piemonte tra personale, beni e servizi e strutture ricettive superiore ai 21 milioni di euro».
Questo settore, soltanto per quanto riguarda la filiera cinematografica tra produttori, distributori, industrie tecniche, esercenti, produttori di apparecchi cinematografici genera un giro d’affari di circa 4 miliardi di euro in Italia e vede attive oltre 2.000 aziende, in prevalenza di piccole dimensioni il 97% delle quali è sotto i 10 milioni di fatturato.
Da poco è passato il “Dantedì”, ossia la giornata nazionale dedicata al “Sommo Poeta”. La data -25 marzo- è stata approvata in vista del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, avvenuta il 14 settembre 1321, e in corrispondenza dello stesso giorno del 1300 in cui, secondo tradizione, l’autore fiorentino si smarrisce “nella selva oscura”.
È stata di Paolo di Stefano, giornalista e scrittore, l’idea che il padre della lingua italiana avesse un giorno “tutto suo” sul calendario, così come James Joyce (1882-1941) ha il proprio “Bloomsday”. Per James Joyce si tratta della commemorazione annuale dello scrittore irlandese, che si tiene ogni 16 giugno ed è sentita in particolar modo a Dublino; la data scelta rimanda agli eventi dell’ “Ulisse”(1922), che si svolgono tutti nel medesimo dì, proprio il 16 giugno del 1904.
Come docente di Arte, quest’anno ho partecipato attivamente al ricordo dantesco con le mie classi, e, avvalendomi dell’indiscusso potere delle immagini, ho preparato una lezione dedicata a “Dante nell’arte”, per riflettere con i miei studenti su quanto l’autore preso in esame abbia ispirato l’immaginario collettivo.
È la “Commedia” di certo l’opera che è stata maggiormente ripresa da pittori, scultori, illustratori ma anche da registi teatrali e cinematografici, soprattutto per quanto riguarda l’ “Inferno”; la narrazione dantesca degli Inferi, con le sue terrificanti atmosfere e i suoi suggestivi personaggi, si presta forse più facilmente delle altre due cantiche (“Purgatorio” e “Paradiso”) a rielaborazioni suggestive e turbanti.
Lo ammetto, ho usato lo stesso “escamotage”.
Ogni argomento necessita di una contestualizzazione, senza entrare nei dettagli e sempre con supporto iconografico, ho ripercorso brevemente per i miei studenti la struttura dell’opera dantesca e ho richiamato alla mente alcuni concetti essenziali. Per tale introduzione ho proiettato sulla superficie della LIM le illustrazioni dal carattere didascalico che Botticelli eseguì tra il 1480 e il 1495 su richiesta della famiglia Medici.
Dopo il debito preludio esplicativo, finalmente sono entrata nel vivo della lezione. Mi sono soffermata volutamente sull’iconografia legata all’“Inferno” e ho mostrato alla classe diversi dipinti e alcune sculture dal carattere alquanto inquieto e orrorifico, sia per ottenere l’attenzione, sia per dimostrare da subito che la lezione dantesca non ha limiti temporali e ancora oggi vi sono artisti viventi che si rifanno ai suoi versi.
Come non cominciare chiamando in causa “Caron dimonio, con occhi di bragia” (III,109), nella specifica incisione di Gustave Doré (1832-1883), pubblicata nel 1861, sicuramente una delle interpretazioni che ottenne più riconoscimenti in Europa e che resta tutt’oggi una delle immagini maggiormente conosciute.
Siamo nel Canto III dell’ “Inferno” (vv. 82-111), e per illustrare il mostruoso traghettatore il Doré si attiene con precisione al testo dantesco; Dante riprende l’aspetto di Caronte dalla descrizione presente nel libro VI dell’“Eneide” virgiliana, accentuandone però i tratti demoniaci. Nell’incisione il mefistofelico nocchiero appare come un vecchio nerboruto, con lunghi capelli e barba bianchi, intento a battere violentemente con il remo le anime che indugiano (“batte col remo qualunque s’adagia”, v. 111).
Innumerevoli sono coloro i quali hanno voluto cimentarsi nella rielaborazione dell’immaginario del “Sommo Poeta”; tra le rivisitazioni più conosciute troviamo, oltre a quella del Doré come sopra indicato, l’interpretazione di William Blake- a cui accennerò più avanti – né va dimenticata la versione surrealista del 1957 di Salvador Dalì (1904-1989).
Non è questa la sede, ma è chiaro che la “Commedia” ha influito sull’attività creativa di molti artisti, già a partire da Michelangelo (1475-1564) e Signorelli, (1441-1523), per quel che concerne la raffigurazione del “Giudizio Universale”; Eugène Delacroix, (1798-1863), che dipinge “La barca di Dante”, o ancora Giuseppe Frascheri (1809-1886) che raffigura “Francesca da Rimini”. Tempo dopo, rimanendo sulla tematica del giudizio delle anime, Auguste Rodin, (1840-1917), realizza la “Porta dell’Inferno”, opera “maledetta” a cui l’artista dedica gli ultimi trent’anni della sua vita, non riuscendo comunque a completarla. I versi di Dante, ricolmi di creature mostruose, colpiscono anche la fantasia di autori fiamminghi, come dimostra il colossale “Trittico del giardino delle delizie” (1503–1515) di Hieronymus Bosch (1453-1516).
Non mi soffermo sulle celebri incisioni di Doré, tanto meravigliose quanto conosciute, né sulla particolarissima rivisitazione di Dalì, che richiederebbe un’analisi a sé stante proprio per la sua unicità, al contrario vorrei spendere qualche parola sul lavoro di uno dei massimi esponenti della pittura inglese.
L’emblematico William Blake(1757-1827), si dedica a partire dal 1824 a uno studio sistematico della “Commedia” dantesca; ha sessantacinque anni quando inizia la sua opera illustrativa, purtroppo muore pochi mesi dopo aver cominciato l’impresa, lasciando il lavoro incompiuto. Egli studia con attenzione le varie cantiche, le rielabora secondo la sua personalissima visione e concretizza settantadue tavole per l’”Inferno”, venti per il “Purgatorio” e dieci per il “Paradiso”. Sono ovviamente i versi dell’”Inferno” a colpire maggiormente la fantasia onirica dell’artista, le immagini dedicate a tale parte si succedono in una sequenza serrata, un unico canto viene illustrato anche con più disegni, mentre per il “Purgatorio” e il “Paradiso” i disegni si riferiscono a canti sparsi ma ben precisati.
La raccolta alterna illustrazioni in cui è evidente un preciso riferimento ai versi danteschi, come nella tavola raffigurante la boscaglia del settimo cerchio, dove si trovano le Arpie e le anime dei suicidi, e disegni decisamente più visionari, in cui emerge l’immaginazione teatrale dell’artista, come nella tavola dedicata al trentunesimo canto, in cui Dante e Virgilio sono calati “lievemente” dal Gigante Anteo sul ghiaccio del Cocito.
Torniamo ora ad un discorso più generico: come abbiamo appurato tutta la “Commedia” affascina e colpisce, ma vi sono alcuni personaggi che rimangono più impressi di altri.
Un esempio per tutti: il Canto V dell’”Inferno”. Dante e Virgilio si sono lasciati alle spalle il Limbo e si trovano ora nel secondo cerchio; qui incontrano il terribile Minosse, giudice infernale che secondo il numero degli avvolgimenti della sua coda, stabilisce il cerchio in cui i peccatori devono scontare la propria pena. È in questo canto che troviamo alcuni dei versi più famosi, “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”, espressione di cui si avvale più volte (“Inf.”, V, 22-24; VII, 10-12) Virgilio per rammentare a chi si oppone all’incedere di Dante che il “fatale andare” del poeta è voluto da Dio. I peccatori che si trovano nel V canto sono i “lussuriosi”, travolti e tormentati dalla “bufera infernal che mai non resta” (v.31), tra di essi si trovano tra gli altri Didone, Cleopatra, Elena e Tristano. Nella schiera di Didone si distinguono due anime che procedono unite e sembrano volare così leggere nell’infuriare del vento: si tratta di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini.
Francesca, sposata con Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, zoppo e deforme, si innamora di Paolo, detto “il bello”, fratello del marito. Entrambi scontano con la morte l’adulterio: vengono sorpresi e uccisi da Gianciotto. È appurato che la vicenda dei due cognati abbia un fondamento storico, anche se la documentazione rinvenuta riporta pochi dati effettivamente riscontrabili.
Nella narrazione dantesca la coppia si specchia nelle vicende d’amore di Lancillotto e Ginevra, narrate nel libro “galeotto”, la cui lettura conduce Paolo e Francesca al cedimento amoroso: “Quando leggemmo il disiato riso/ esser baciato da cotanto amante, /questi, che mai da me non fia diviso, / la bocca mi baciò tutto tremante” (vv. 133-136).
Mentre Paolo piange, Francesca racconta, sottraendo l’impulso primo del peccato ad una responsabilità individuale per trasferirlo sul piano della forza trascendente e irresistibile di Amore.
L’episodio letterario ha larga eco e diventa uno dei soggetti prediletti in ambito artistico, soprattutto durante l’Ottocento. I pittori romantici non possono resistere alle tematiche della passione, del binomio “eros” e “thanatos” e del dramma che caratterizzano la triste storia di Paolo e Francesca.
È opportuno sottolineare come ogni pittore decida di rappresentare uno specifico segmento narrativo della vicenda; tale scelta definisce il messaggio di cui l’opera si fa portatrice, messaggio che si adatta intelligentemente alla sensibilità del pubblico e del comune senso del pudore, entrambi in perenne mutamento a seconda dei diversi periodi storici.
Anselm Feuerbach, (1829-1880), pittore tedesco neoclassico, per esempio, sceglie di rappresentare un momento di dolce tranquillità apollinea, egli realizza una struttura composta, in cui l’intensità emotiva risulta contenuta, se non quasi assente. Nel quadro “Paolo e Francesca”, (1864), i due innamorati si presentano senza alcun ardore, essi sono immersi in un giardino fiorito, non si guardano nemmeno, al contrario ambedue sono assorti nel testo che li porterà a non leggere più oltre (“Quel giorno più non vi leggemmo avante”, v. 138).
Totalmente differente è l’interpretazione di Ary Scheffer, (1795-1858), intitolata “Dante e Virgilio incontrano le ombre di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta nell’Oltretomba” (1855). Il pittore incentra il suo quadro su un senso di erotismo dolce e disperato, egli decide di esaltare la permanenza della passione fisica e spirituale che “ancor non m’abbandona”(v.105) -dice Francesca – rifacendosi al concetto tanto caro ai romantici dell’amore che sopravvive alla morte. I corpi nudi e candidi di Paolo e Francesca emergono da uno sfondo scuro, dove si intravvedono le figure di Dante e Virgilio; elemento centrale della composizione è il lenzuolo bianco, che avvolge i giovani e che rimanda sia al giaciglio amoroso, sia al mortale sudario.
Jean-Auguste Dominique Ingres, (1780-1867), invece, nell’opera “Francesca da Rimini e Paolo Malatesta” (1819), propone una versione puramente narrativa della vicenda e non inserisce elementi interpretativi. L’atmosfera è tipica della commedia teatrale, gli innamorati sono caratterizzati da una purezza quasi infantile ed è assente ogni rimando ad una dimensione sensuale. Inoltre, come assistessimo “ad un colpo di scena”, da un lato si intravvede Gianciotto, rappresentato proprio nell’atto di sguainare la spada per colpire entrambi.
Passa il tempo e l’approccio al racconto muta, come si evince dalle due tele che Gaetano Previati realizza tra il 1887 e il 1909. La prima, “Paolo e Francesca” del 1887 presenta ancora dei rimandi romantici: i protagonisti sono raffigurati trafitti dalla medesima spada mentre giacciono ai piedi di un letto che richiama la “liaison erotica”. Vent’anni dopo è invece evidente l’influsso del Futurismo: Paolo e Francesca sono gettati nel turbinio del vento e i loro corpi sono visibilmente caratterizzati da una forte energia, quasi attraversati dal fremito della corrente elettrica.
“Il sogno di Paolo e Francesca” di Boccioni è ormai tutto futurista, non vi è traccia della narrazione dell’episodio, i due soggetti perdono la loro storica identità, e si trasformano in una “lux aeterna”, tutta la scena non è altro che un abbraccio elettrico fonte di calore e di energia.
È opportuno sottolineare che non solo l’ambito pittorico si è interessato alla rappresentazione del tragico amore, anche il mondo del teatro si dimostra un più che adatto contesto per continuare a narrare il mesto e meraviglioso episodio dantesco.
Nel 1901 D’Annunzio scrive “Francesca da Rimini” per la bella e “divina” attrice Eleonora Duse, che successivamente diventerà sua amante. Si tratta di una tragedia in versi e suddivisa in cinque atti. La prima rappresentazione avviene al tetro Costanzi di Roma, il 9 dicembre dello stesso anno; l’opera viene poi eseguita nel 1914 al Teatro Regio di Torino, in quest’occasione musicata da Riccardo Zandonai.
Il cartellone pubblicitario deve attrarre il pubblico: Paolo e Francesca sono rappresentati come innamorati appassionati, l’illustrazione deve enfatizzare l’aspetto tragico e peccaminoso della vicenda, così come il sottotitolo “Storia di sangue e di lussuria”. D’Annunzio per l’occasione mette in scena usi, costumi e scenografie che possano rimandare al XIII secolo, elementi che però risultano più leziosi che storici, secondo il tipico gusto “revival neogotico” che caratterizza il finire dell’Ottocento. La Duse riceve un’ottima critica, forse motivo per cui di lì a poco viene scritta un’opera omonima per la sua rivale Sarah Bernhardt, “étoile” dei teatri parigini.
Dalla pittura al teatro e dal teatro al cinema, nonostante il trascorrere del tempo il pubblico pare ancora interessato alla vicenda. Sappiamo che nel 1906 viene prodotto un primo film italiano sul tema, di cui però non resta alcuna traccia; nel 1908 invece compare sul grande schermo un film dal discreto successo di cui viene realizzata una riedizione l’anno successivo. La protagonista della pellicola è nuovamente la Duse, che ancora raccoglie i frutti delle sue mirabili interpretazioni teatrali. Mi piace ricordare, in tempi relativamente più recenti, “Paolo e Francesca” di Raffaello Matarazzo, distribuito nelle sale nel 1950 e l’omonimo lungometraggio del 1971, diretto da Gianni Vernuccio.
Va tuttavia precisato che un anno particolarmente sentito per la cinematografia dantesca è stato il 1911, quando in Italia vengono distribuiti “Visioni Infernali” della Helios Film e “Inferno” della Milano Film, entrambe le pellicole chiaramente ispirate alle incisioni di Dorè, per quel che riguarda composizione e struttura scenica, forme e atteggiamenti ricorrenti dei personaggi.
L’”Inferno” dantesco viene ovviamente ripreso nel corso degli anni e ciò si evidenzia soprattutto nell’emblematica figura di Lucifero, presentato con le medesime caratteristiche che ormai è difficile modificare.
Per sottolineare la trasversalità dell’insegnamento del Sommo Poeta vorrei citare ancora alcuni esempi artistici che esulano dai campi fino ad ora presi in esame: il viaggio di Dante all’ “Inferno” ispira l’Album musicale di Clever Gold e Murubutu del 2020, intitolato non a caso “Infernum”, mentre nel mondo della danza sono due scenografici e spettacolari musical a risentire dell’influsso del padre della lingua italiana: il musical “La Divina Commedia” di Manolo Casalino, Maurizio Colombi e Marco Frisina, ospitato all’Arena di Verona nel 2010 e la seconda parte della trilogia “Divina Commedia: dall’Inferno al Paradiso” della No Gravity Dance Company, portata in scena al Teatro Open Air Giuseppe di Stefano di Trapani nell’agosto del 2019 e l’anno successivo.
L’arte continua ininterrottamente a ispirarsi all’opera dantesca, ne è un chiaro esempio la mostra che si è appena conclusa “Verso il 2021. Dante nell’arte contemporanea italiana”, promossa dalla Società Dante Alighieri con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo in collaborazione con il Comune e il Comitato Dantesco di Foligno. L’esposizione propone i lavori di quindici artisti contemporanei esponenti della Transavanguardia, della Scuola di San Lorenzo, dell’Anacronismo e dell’Ipermanierismo, tra cui Mimmo Paladino, Enzo Cucci e Emilio Isgrò. L’iniziativa non si limita a proporre “semplici” illustrazioni di un Aldilà che è stato già largamente descritto, al contrario propone una doppia riflessione, sugli eterni temi presenti nella “Commedia” e sulle infinite suggestioni che ancora possono colpire gli artisti di oggi.
Arrivata a questo punto, è certo che il discorso potrebbe dilungarsi ancora di un bel po’, esattamente come la lezione che ho svolto a scuola sarebbe potuta durare ben più a lungo, ma non sto scrivendo un saggio né voglio tenere una conferenza.
Questo mio pezzo vuole solo avere lo stesso scopo delle lezioni che tengo a scuola: proporre spunti di riflessione, mostrare “cose” che magari non si conoscevano e dare a ciascuno la possibilità di aprire la propria mente e imparare a guardare da diverse prospettive e angolazioni. D’altronde credo sia questo il “sommo” scopo della cultura.
Alessia Cagnotto