ilTorinese

Produzione +1%, investimenti in aumento: l’industria piemontese riparte con prudenza

Torino e Piemonte industriali, 2025 anno di svolta lenta

Produzione in lieve ripresa, occupazione stabile. Il 2026 può segnare l’inizio di un nuovo ciclo

Il 2025 si chiude per l’industria piemontese con un bilancio fatto di prudenza, segnali di recupero e molte incognite ancora aperte. Dopo due anni di rallentamento, il sistema produttivo regionale ha cominciato a rimettersi in moto, ma senza ancora imprimere una vera accelerazione. Torino resta al centro di questa fase di riassestamento, tra la crisi dell’automotive tradizionale e la crescita dei comparti tecnologicamente più avanzati.

Nel corso dell’anno la produzione industriale ha mostrato una dinamica moderatamente positiva, con una crescita media che oscilla attorno all’1% e picchi superiori al 2% nei mesi centrali del 2025. A trainare il recupero sono stati soprattutto l’alimentare, l’aerospazio e parte della meccatronica, mentre la metalmeccanica legata alla filiera dell’auto continua a scontare un rallentamento strutturale. Il risultato è un quadro a macchia di leopardo: aziende in piena trasformazione tecnologica convivono con realtà ancora ferme in una fase di attesa.

Anche sul fronte dell’occupazione il segnale è di tenuta. Nei primi mesi dell’anno il saldo regionale ha superato le duemila nuove posizioni lavorative, con la Città metropolitana di Torino che ha concentrato la maggior parte delle assunzioni. Molte imprese hanno mantenuto organici stabili e una quota crescente ha avviato piani di inserimento di figure tecniche e digitali, segnale di una domanda di competenze che sta cambiando volto.

A sostenere questa fase sono anche gli investimenti, con circa un quarto delle imprese che ha programmato spese per rinnovare macchinari, digitalizzare processi e introdurre automazione. È una trasformazione silenziosa ma profonda, che sta ridisegnando il profilo industriale piemontese, sempre meno ancorato alla monocultura dell’auto e più orientato verso produzioni ad alto valore aggiunto.

Le prospettive per il 2026 restano improntate alla cautela, ma con un clima più fiducioso rispetto al recente passato. Le attese indicano una possibile crescita più strutturata, trainata dall’aerospazio, dalla manifattura green, dall’alimentare evoluto e dalla riconversione della filiera automotive verso l’elettrico e la mobilità intelligente. I rischi non mancano: mercati internazionali instabili, concorrenza asiatica e costi energetici ancora elevati continuano a pesare sulle strategie delle imprese.

Il 2026 potrebbe però segnare l’inizio di un nuovo ciclo industriale per Torino e il Piemonte: meno basato sui grandi volumi, più orientato all’innovazione, alla qualità e alle competenze. Una crescita lenta, ma potenzialmente più solida e duratura.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Grande Torino, Grande Angela, ma manca il Liberty – 1866 – Fascisti, destra al Nord e al Sud – Lettere

Grande Torino, Grande Angela, ma manca il Liberty

Avevo delle perplessità nel vedere tra gli ospiti della trasmissione su Rai 1 su Torino di Alberto Angela due signore fastidiosamente  onnipresenti: Littizzetto e Christillin, emblemi di una Torino che detesto. Ma debbo dire che – se escludiamo i loro interventi  autoreferenziali e banali – la trasmissione ha volato alto. Innanzi tutto una “mancanza” che fa onore ad Angela: neppure una volta è stato nominato il movimento operaio, Gramsci, Gobetti e la stessa Resistenza, la solita vulgata. Queste parole si sarebbero dovute nominare perché appartengono alla storia della città, ma Angela sa bene anche  l’abuso che ne hanno fatto i comunisti e quindi ha evitato di finire nel vicolo cieco dell’Anpi nazionale. Ha invece parlato, come era giusto, di Torino sabauda perchè ogni angolo di Torino richiama Casa Savoia, quasi esistessero solo i Savoia che purtroppo è una verità perché l’identità tra Dinastia e Nazione è totale fino al 1848 quando Carlo Alberto elargì lo Statuto.

Non c’è neppure il mito della Fiat distrutto da Elkann di cui Christillin vuole diventare il custode testamentario, avendo accumulato esperienza con le mummie egizie. Mi ha colpito che lei stessa si è definita “storica” .Da quando? Non sapevo. Angela ha anche reso quasi equanime omaggio alle due squadre di calcio torinesi, ma di questi temi non dico perché sono acalcistico ed asportivo. E’ mancato un richiamo benché minimo al Liberty, una parte di storia torinese fondamentale che è stata trascurata proprio dai torinesi e dai vari assessori disattenti alla cultura. Al contrario è stato richiamato in modo insistito la Ferrari che con Torino non ha legami perché la casa di Maranello è presente al Museo dell’ automobile ,ma non nella storia della città. Meritava invece al Museo un accenno alla Lancia, fagocitata dalla Fiat, incapace anche solo di imitare lo stile del concorrente che ebbe anche lui la disgrazia di un discendente non all’altezza. La Littizzetto ha evitato le solite volgarità e si è inventata gastronoma: bagna cauda, bicerin e altro, secondo un copione banale trito e ritrito che anche i telespettatori di Canicattì conoscono, senza bisogno delle sue mediazioni televisive. Angela ha parlato di Museo Egizio e di Museo del Risorgimento e di Basilica di Superga. I monarchici in collegamento , mentre si sentivano orgogliosi del passato , non potevano non sentirsi in imbarazzo per un presente non proprio esemplare che farebbe infuriare l’ultimo Sovrano Umberto II  ricordato anche lui da Angela . Sulle macerie della Fiat svetta la Torino dei grandi Savoia da Emanuele Filiberto a Vittorio Amedeo ll, al Conte Verde al Conte Rosso . Noi siamo alle prese con Askatasuna e  con lo snobismo delle madamine. Che tristezza!

 

1866
Il prossimo anno vivremo un anniversario storico tra i più negativi: le sconfitte nella III Guerra d’indipendenza per terra e per mare: Lissa e Custoza. Solo Garibaldi fu vincitore a Bezzecca. L’Italia non capitolò solo perché alleata della Germania contro l’Austria. Una pagina nera. Il Regio esercito e la Regia Marina si rivelarono un disastro  Dobbiamo considerare che nel Mezzogiorno era iniziato il brigantaggio, oggi giustificato da molti storici o sedicenti tali.

Il veleno messo in circolo da Gramsci è duro a morire e le pagine di Rosario Romeo  sul Risorgimento e il Sud vengono nascoste senza essere confutate. Siamo ancora fermi alla  presunta insensibilità sociale degli uomini del Risorgimento, mentre al Sud briganti, avventurieri, delinquenti comuni scuotevano dalle radici l’alberello dell’ Unità nazionale ,senza capire che il riscatto del Sud sarebbe venuto dal processo di unificazione del Paese come vide Romeo.

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Fascisti, destra al Nord e al Sud
Un elemento appare più inspiegabile di altri nella politica italiana d’oggi: il MSI e la destre in genere ebbero sempre ampi consensi al Sud dove non c’era stata la guerra civile e il fascismo non conobbe la fine ingloriosa e tragica che gli toccò al Nord. Non a caso quello della Resistenza veniva chiamato Vento del Nord. Il Nord sembrò una roccaforte antifascista in cui il MSI non toccava palla , prendeva pochi voti e a volte non gli era consentito neppure di tenere comizi. Io ricordo Tullio Abelli che fu il temerario ed anche eroico  fondatore del MSI in Piemonte. Solo nel 1963 divenne deputato, utilizzando i resti. Al Sud il MSI e le destre conquistarono città come Napoli e ebbero molti deputati e senatori  eletti anche tra gli ex fascisti repubblichini o non aderenti a Salo’. A Roma il MSI ebbe molti voti ed elesse anche un sindaco. Nella seconda repubblica la Campania, la Puglia e il Lazio ebbero giunte di centro – destra. Oggi la situazione è cambiata. Tre regioni antifasciste del Nord come Piemonte, Lombardia, Veneto sono nelle mani della destra. Nelle mani della sinistra sono la Campania, la Puglia, la Sardegna.
Cito due esempi, per indicare una tendenza. Poi restano le regioni rosse come Toscana ed Emilia e Romagna, anch’esse antifasciste , ma con un consenso clientelare talmente radicato da essere indifferenti  persino a due inondazioni. La campagna antifascista è uguale in tutta Italia, ma gli esiti sono differenti .Oggi al Nord l’antifascismo elettorale sembra meno seguito, mentre al Sud esso appare più forte. Non si possono fare deduzioni ideologiche semplicistiche  perchè il clientelismo di De Luca o di  Emiliano è assai più forte dell’antifascismo e il nullismo  politico di Caldoro in Campania e di Fitto in Puglia è  apparso destinato a far perdere. Per le città è ancora peggio perché Napoli sembra il feudo di Bassolino, anche se Bassolino non c’è più da tempo. A destra i candidati attrattivi mancano. La Sicilia appare un discorso a sé perché malgrado il malgoverno della destra che si affidò a Cuffaro e ad altri degni compari, e malgrado il malgoverno della sinistra che ebbe un presidente imbarazzante come Crocetta, la situazione è apparsa più fluida politicamente forse perché le clientele (e anche la mafia) travalicano tutto. Anche la camorra in Campania avrà scelto per chi votare. Resta però un dato reale: l’antifascismo in molte regioni del Nord non è più così esclusivo e ferreo come in passato.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Il sì finale che fa paura
Un periodo di guerre come quello che viviamo non è proprio il migliore per togliere il “Sì’” finale all’ inno Nazionale quando si afferma “siam pronti alla morte . Non siamo mai pronti alla morte, forse neppure il ministro Crosetto sempre più vicino ad  essere un ministro della Guerra.   Gino Apollonia
Non so che dirle  su Crosetto considerato uno dei migliori ministri di Meloni. L’ ho conosciuto poco o nulla. Sull’argomento Inno togliere il Sì, penso sia meglio perché cantare è una cosa, portare le stellette è un’altra. All’epoca di Mameli erano pronti a morire per la Patria, oggi morire per Kiev è cosa molto diversa. Chi ha un’età per essere reclutato, se non è un fanatico, non si sente pronto a morire. Non siamo mai pronti a morire. Gli inni italiani sono brutti: la marcia reale era ridicola, Mameli ha un testo oggi incomprensibile ai più, un testo guerresco che cozza con l’articolo 11 della Costituzione. L’unico inno era ed è la “Leggenda del Piave” scritto da un napoletano non retorico che amava la vita e la Patria. Non basta togliere un sì che fa tremare le vene ai polsi. Nessuno oggi è pronto a morire, ripeto, sempre che non abbia perso la ragione. I generali giustamente si tutelano e difficilmente muoiono in prima linea: preferiscono le retrovie, lasciando l’onore di morire ai soldati semplici o agli ufficiali di complemento. Le medaglie invece sono un riconoscimento molto desiderato soprattutto dagli ufficiali. Pensate a Badoglio, responsabile di Caporetto, ma superdecorato e promosso per meriti di guerra.
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Il governo Meloni
La legge finanziaria ha un po’ scombussolato il governo. I leghisti hanno attentato  alla vita del governo. Alcuni ministri si sono rivelati  inetti, parlamentari hanno dimostrato di non capire  nulla di economia come per la faccenda dell’oro della Banca d’Italia. Ho votato a destra, ma oggi sono perplesso.   Ciro Rizzi
Non è stato un bello spettacolo. Alcuni ministri sarebbero da cambiare, ma aprire una crisi sarebbe pericoloso. Non siamo più ai tempi della Dc. La invito a pensare un governo di sinistra alle prese con un finanziaria come questa. Avrebbe potuto far meglio? Non credo. Mancano i soldi .L’economia asfittica  di guerra sta mordendo le poche risorse . Con Fratoianni al governo io avrei paura. La verità è  che abbiamo solo politici e nessun statista . Anche nella Dc gli statisti erano pochi, nel PSI uno solo, negli altri partiti non c’era nessuno: Tanassi era vice presidente del consiglio e ministro della Difesa, ma era anche un ladro. Caro Rizzi, la politica italiana è prevalentemente in mano a persone prive di carisma. Ma anche nel passato era così. Anche all’estero non è meglio. Macron occupa il posto di De Gaulle, Pompidou, Chirac. In Francia non c’è neppure una maggioranza che governa. Lei che ha votato a destra, si tenga stretta la Meloni. Perché cambiarla? Mantiene un consenso considerevole, pur con un partito non pronto ad andare al governo. Le critiche espresse da Marcello Veneziani sono ridicole. Si è accorto in ritardo che avrebbe desiderato  andare al governo.

Fine anno a Cesana Torinese all’insegna delle Fiaccolate

Domenica 28 a Sagnalonga, lunedì 29 dicembre la Fiaccolata dei Maestri a Sansicario e martedì 30 dicembre Fiaccolata dei Ragazzi a Sansicario.

CESANA TORINESE – Un Natale così imbiancato non si vedeva da tempo. La nevicata della vigilia ha regalato un’atmosfera ancora più magica al paesaggio di Cesana e delle sue Frazioni.

E come vuole la tradizione dopo il Natale il paese si anima ancor di più.

Fioccano così gli appuntamenti per residenti, villeggianti e per i tanti turisti che sono arrivati in paese per godersi questo meraviglioso paesaggio imbiancato.

Si inizia già questa sera di sabato 27 dicembre. La Pro Loco Proyoung propone alle ore 21 presso la Sala Formont di via Pinerolo 0, la storia avvincente del “Ladro del secolo” Leonardo Notarbartolo con la “Rapina del Secolo” raccontata dall’autore. Il Lupin italiano nelle prime ore di domenica 15 febbraio 2003 riuscì nell’impresa di rubare milioni di euro in diamanti dal caveau più sicuro d’Europa al World Diamond Center di Anversa. Serata ad ingresso libero e gratuito sino ad esaurimento posti.

Sempre quest’oggi sabato 27 dicembre, alle ore 15 riapre il “Museo Casa delle Lapidi” di Bousson con l’apertura invernale della mostra “A capo coperto – Le cuffie degli Escartons: identità e storia” a cura di Contempora e Raquel Barriuso Diez che ha già catturato il grande pubblico nell’apertura estiva. Mostra che rimarrà aperta sino al 6 gennaio sempre con orario 15-18.

Sempre nel borgo di Bousson è visitabile il Presepe “Presepe e antichi mestieri di montagna “ sino al 31 gennaio 2026.

Domenica 28 dicembre inizia il tour delle Fiaccolate. Appuntamento alle ore 18 sulle piste di Sagnalonga per la “Fiaccolata dei Maestri della Scuola Sci Monti della Luna” con all’arrivo distribuzione di vin brûlé.

Domenica 28 dicembre, la Pro Loco Proyoung sempre alle ore 21 presso la Sala Formont di Via Pinerolo 0 a Cesana Torinese, propone una serata all’insegna dell’informazione con la squadra del Soccorso Alpino Speleologico Piemontese stazione di Cesana Torinese. Una serata con tante informazioni utili, proiezione di una filmato didattico inerente la montagna e apre le porte per un proficuo dibattito. Un momento di incontro e riflessione particolarmente utile in questo momento con anche tutte le indicazioni fondamentali relative al rischio valanghe. Serata ad ingresso libero e gratuito sino ad esaurimento posti.

Lunedì 29 dicembre ecco il grande appuntamento con la “Fiaccolata dei Maestri a Sansicario”. Un evento sempre molto atteso che quest’anno si arricchisce della presenza delle telecamere di Mediaset che manderà in onda il servizio mercoledì 31 dicembre alle ore 19 su Italia 1 nel programma “Studio Aperto Mag”.

Un evento che vede la collaborazione della Pro Loco Proyoung insieme alle tre Scuole Sci di Cesana: Action Sansicario, Cesana-Sansicario e Monti della Luna.

L’appuntamento per la grande fiaccolata sulle piste di Sansicario è per le ore 18. All’arrivo saranno presenti oltre a musica, spettacolo, cioccolata e vin brûlé ed il grande braciere per il falò finale.

Nuovo appuntamento con la Fiaccolata martedì 30 dicembre con alle ore 18 sulle piste di Sansicario “Fiaccolata dei Ragazzi” delle Scuole Sci Action Sansicario e Cesana Sansicario.

Una nuova fiaccolata è poi già in programma per festeggiare il nuovo anno sabato 3 gennaio con la “Fiaccolata a piedi per le vie di Cesana”. Sabato 3 gennaio è il programma la “Stra Stra Fiaccolata” organizzata dalla Pro Loco ProYoung: dalle ore 21 una camminata con fiaccole lungo le vie del paese; con un ticket di partecipazione di € 5 acquistabile presso l’Ufficio del Turismo si potrà partecipare all’estrazione in presenza di un soggiorno di 7 notti in Puglia. Gran finale poi con musica, vin brulé in piazza Vittorio Amedeo.

Elisabetta di Baviera e l’ombrellaio di Sovazza

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Argante Dorini aveva dimostrato la sua abilità fin da giovane, dotato com’era di una manualità fine e di un ragguardevole ingegno. Da Sovazza, dov’era nato e dove viveva con la moglie e i due figli quando non era in cammino sulle strade di mezz’Europa, aveva interpretato con passione l’arte del lusciàt, dell’ombrellaio ambulante. Mestiere duro ma senza alternative che Argante condivideva con l’amico Filippo Filippi, un tipo segaligno di Carpugnino. Insieme, macinando chilometri su strade polverose o in mezzo al fango, lontano da casa, s’arrangiarono a raccogliere il loro magro guadagno riparando ombrelli e parasole. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie, ricorrendo il più delle volte per cibo e alloggio a soluzioni di fortuna. Spesso non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena e dormivano dove capitava.

 

Quante volte si erano appisolati, stanchi morti, sotto il cielo stellato nella buona stagione o in qualche fienile quando tirava vento o scrosciava la pioggia. Eppure, mai una lamentela perché la loro vita era così: prendere o lasciare. Il figlio Fulgenzio apprese a sua volta il mestiere, girovagando per le pianure piemontesi e lombarde per sfuggire alla miseria. Il lavoro l’aveva “rubato” a tal punto da diventare uno dei migliori nell’arte di vendere e riparare ombrelli. Accompagnato da Nino, il fratello più piccolo, giravano come dei nomadi gridando a gran voce “donne, donne, à ghè l’ombrelè!”, portando a tracolla la barsèla, la cassetta nella quale erano riposti  tutti i ferri del mestiere del lusciàt: dai ragozz, le stecche degli ombrelli, a lusùra, flignànza, tacugnànza e tacòn, ramé, cioè forbici,  rocchetti di refe, pezze varie, bastoni di legno. Con quell’armamentario erano in grado di cucire, limare, intagliare il legno, incollare e sagomare stoffe. Se c’era da riparare un ombrello lo accomodavano, racimolando qualche soldo; se invece si trattava di confezionarne uno nuovo, era festa grande. Girovagavano per le vie guardando porte e finestre, in attesa del cenno di chi era disposto ad affidar loro un parapioggia tartassato dai troppi acquazzoni, contorto dal vento o vittima della voracità delle tarme.

Ogni lavoro era buono e non si rifiutava mai, mettendosi subito alacremente al lavoro, e in silenzio. Stessa vita riservò all’unico figlio maschio, Mario. Per arrotondare il magro guadagno accompagnavano il mestiere con la costruzione e la vendita di altri manufatti in legno e in fil di ferro come gabbie, trappole per topi, insalatiere, setacci. Anche Mario, diventato uomo, si avvalse di un apprendista, Giacomino Dentici, un ragazzino di dieci anni, sveglio come un passero e rapido come una saetta. Come da tradizione il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, si incontravano a parlare d’affari e preparare la nuova annata degli ombrellai. In quell’occasione le famiglie più povere affidavano i loro figli piccoli agli artigiani ambulanti, nella speranza che avrebbero imparato un mestiere, sconfiggendo povertà e indigenza. “Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l’ Casér senza an bergnin”, che tradotto equivaleva a “il primo dell’anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino”, come recita un’epigrafe che fa mostra di sé ancor oggi  nella piazza del piccolo paese del Vergante. Reclutata così la manodopera, gli ombrellai si mettevano in cammino alla ricerca dei guadagni necessari a garantire un futuro migliore. Bisogna dire che l’apprendista entrava quasi a pieno titolo nella famiglia dell’ombrellaio che provvedeva a lui in tutto e per tutto. Per fortuna i tempi erano cambiati e non s’andava più a piedi, consumando scarpe e sudore, ma in bicicletta. E che biciclette! Due Maino purosangue, modello anni venti con il doppio carter e senza una macchia di ruggine nonostante fossero di seconda mano. Mario le aveva ottenute da un ciclista in cambio di una serie di lavori, tra i quali un paio d’ombrelli nuovi di zecca. In fondo non erano proprio a buon mercato ma la comodità di pedalare lesti e di non scarpinare più dall’alba al tramonto n’era valsa la pena. Così Mario e Giacomino lavorarono a lungo, lontano da casa e dai propri cari, accompagnandosi nel tragitto con i canti in quella particolare lingua che si parlava tra lusciàt: il tarùsc. Tra di loro, per tradizione e abitudine, comunicavano in quel gergo difficile, quasi del tutto incomprensibile, dalla pronuncia piuttosto secca e dura. Facilitati dalla stessa provenienza territoriale, cioè dai paesi dell’alto Vergante, gli ombrellai potevano intendersi con rapidità e segretezza, scambiandosi notizie e commenti nella certezza di non essere capiti. L’idioma era un misto di dialetto e parole di altre lingue, dallo spagnolo al francese al tedesco, rielaborate con arguzia e duttilità. Così, tanto per fare due esempi, l’avvocato era un “denciòn” e il cuoco un “brusapignat”.

“Al lusciàt caravaita a gria i lusc”, dicevano gli anziani. L’ombrellaio ambulante ripara gli ombrelli perché la ghéna, la fame, era tanta e ci si poteva considerare brisòld (ricchi) solo quando si riusciva a mettere su la prima bottega con un banchetto e l’insegna di due cupole d’ombrello a spicchi bianchi e rossi e la scritta “luscia, el lusciat piòla” che, più o meno, si poteva tradurre in piove, l’ombrellaio si prende una sbornia. Infatti, quando il cielo diventava scuro, la terra cambiava odore e l’acqua iniziava a scrosciare, fosse temporale estivo o pioggia autunnale, si brindava alla fortuna perché con la pioggia si lavorava di più. Quando tornava a casa Mario raccontava le avventure della sua vita randagia. Era orgoglioso di quel lavoro dove la fatica e i sacrifici erano ricompensati dalla passione per un mestiere che richiedeva non solo molta abilità ma anche una buona dose di creatività. Soprattutto quando l’ombrello andava costruito nuovo di zecca e venivano usate le sagome per tagliare le stoffe. Qui la differenza di censo balzava all’occhio immediatamente: i benestanti e i nobili sceglievano la seta, per gli altri tutt’al più c’era il cotone. Il racconto più straordinario risaliva all’epoca in cui suo nonno confezionò un paio d’ombrelli per la principessa Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, bavarese di nascita, diventata imperatrice d’Austria, regina apostolica d’Ungheria e regina di Boemia e Croazia, oltre che consorte di Francesco Giuseppe d’Austria. Celebre ovunque in Europa con il nome di Principessa Sissi (anche se dalle sue parti di esse ne usavano una sola). Argante Dorini non era tanto dell’idea di riverire la nobildonna, non foss’altro perché il fratello di suo padre, lo zio Luigi,aveva combattuto contro gli austriaci con il grado di tenente dell’esercito franco-piemontese durante la seconda guerra di indipendenza italiana, perdendo la vita nella battaglia di Solferino, il 24 giugno del 1859. Una pallottola aveva centrato in pieno petto Luigi Dorini proprio durante le ultime scaramucce di quella che fu una delle più grandi battaglie dell’Ottocento, con più di duecentomila soldati in campo. Il papà di Mario, antiaustriaco pure lui, teneva in tasca una vignetta dove un soldato asburgico era raffigurato come un maiale. E diceva sempre che “il Cecco Beppe al ma stà sui ball”.

 

Ma si sa, il lavoro è lavoro, e quando una delle dame di corte della Principessa prese contatto con lui mentre si trovava a Madonna di Campiglio nel 1889 chiedendogli di confezionarle un ombrello, non disse di no. Argante, nonostante la giovanissima età, era già uomo di poche parole e di buon senso,  e sosteneva che dove c’erano tanti ricchi e tanti nobili  c’era anche “tanta grana” e qualche corona in saccoccia non faceva certo male. Per questo si era sobbarcato quel viaggio lunghissimo verso est, in cerca di fortuna. A quel tempo la perla delle Dolomiti di Brenta era una delle mete predilette dall’aristocrazia europea e anche l’imperatrice Elisabetta aveva deciso di trascorrervi un periodo di villeggiatura, risiedendo all’Hotel des Alpes. Presa in carico l’ordinazione si dedicò alla fattura del parasole per la moglie di “quel crucco del Cecco Beppe”, mettendoci tutta la sua arte. Si trattò di un lavoro laborioso che consegnò alla dama nel tempo di due settimane, senza trascurare altri incarichi. La Principessa Sissi fu talmente soddisfatta che, esattamente due anni dopo, mentre soggiornava a Cap Martin, in Costa Azzurra, venuta a conoscenza dalla stessa dama del suo seguito della presenza di quell’italiano (“der italiener”) così abile a costruire ombrelli, ne commissionò un altro. Anche quella volta il nonno di Mario diede il meglio di se per soddisfare la vanitosa Elisabetta che, ossessionata dal culto della propria bellezza, teneva molto anche ad abiti e accessori. Secondo le cronache le occorrevano quasi tre ore per vestirsi, poiché gli abiti le venivano quasi sempre cuciti addosso per far risaltare al massimo la snellezza del corpo. E l’ombrello era un oggetto di complemento molto importante. L’Imperatrice d’Austria amava fare lunghe camminate e il lusciàt Argante, a tempo di record, le offrì un modello slanciato che poteva essere utilizzato anche come bastone da passeggio. Lungo 77 centimetri (Sissi era alta un metro e settantadue), manico e puntale in legno invecchiato, calotta in taffetas color ruggine con passamanerie e fodera avorio. Un vero gioiello! Un raro bijoux! La principessa Sissi, per la seconda volta, apprezzò l’arte di Argante e, oltre a una generosa ricompensa, gli fece avere un attestato in cui lo si indicava come “fornitore ufficiale della Casa d’Asburgo”. Non gli avrebbe aperto le porte di Schönbrunn ma era comunque un atto di stima importante. In fondo, pur essendo antiaustriaco, non gli dispiacque quell’onorificenza e quando il 10 settembre del 1898 l’Imperatrice, sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, celando il viso dietro l’ombrellino, perse la vita a Ginevra pugnalata al petto dall’anarchico italiano Luigi Lucheni, il nonno di Mario portò a lungo il nastro nero sul braccio in segno di lutto. E s’arrabbiò quando il suo coscritto Valerio Rabaini, detto Bakunin, vedendo quel nastro, gli diede una bella pacca sulle spalle, sentenziando: “Bravo,Argante. Sei anche tu dei nostri, a quanto vedo. Avremmo preferito un capo di Stato, ma l’Imperatrice d’Austria, in mancanza di meglio, è andata bene lo stesso”.

 

Sinceramente addolorato guardò storto il Rabaini che si guadagnò pure un calcio nel sedere e una scarica di improperi che non è il caso di riportare. Questa storia si è tramandata e ai Dorini capitò spesso di raccontarla ai ragazzi che però ascoltano svogliati, a volte per dovere, presi come sono dal loro mondo. I bambini invece, soprattutto le femmine, sono curiosi e fanno tante domande. Beata ingenuità: chiedono perché il nonno di Mario non sposò “la Sissi”, domandano se non le piacesse, se la trovava brutta o non si erano capiti per colpa della lingua. Chissà, forse è stato tutto colpa del destino che ha voluto far andare le cose così. Anche se, persino nell’ultimo istante della sua vita, l’affascinante Elisabetta, portò con sé l’opera d’arte confezionata dall’italiener Argante, ombrellaio ambulante di Sovazza.

Marco Travaglini

Nuovo Liceo Musicale di Ivrea APS-ETS, rinnovo organi

Si è svolta nei giorni scorsi l’assemblea dei soci dell’associazione Nuovo Liceo Musicale di Ivrea APS-ETS, convocata per il rinnovo degli organi statutari.

Nel corso dei lavori l’assemblea ha provveduto alla nomina del nuovo consiglio di direttivo, formato dai seguenti nove soci:

Luca Basile

Architetto, si è laureato al Politecnico di Torino nel 2010. Ha maturato un’esperienza articolata nel campo della grafica editoriale, collaborando con case editrici italiane e internazionali dell’editoria ludica. Opera come libero professionista nel brand e packaging design ed è attivo anche nell’insegnamento nella scuola secondaria e nella formazione docenti, in particolare nell’ambito dei progetti PNRR.

Giancarlo Bonzo

Giurista di formazione, ha maturato una lunga esperienza nel mondo associativo, della comunicazione e delle relazioni istituzionali, operando per realtà di primo piano del sistema imprenditoriale piemontese; è stato amministratore delegato del Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino, sviluppandone anche una significativa vocazione culturale. Specialista in divulgazione culturale e pubbliche relazioni, ricopre incarichi in enti e istituzioni culturali del territorio ed è consigliere del Liceo Musicale di Ivrea dal 2019.

Gregorio Fracchia

Chitarrista e studioso, si è formato tra Torino e L’Aquila, diplomandosi e laureandosi con il massimo dei voti in chitarra e perfezionandosi all’Accademia Chigiana di Siena. Laureato in filosofia teoretica, ha conseguito un dottorato di ricerca con esperienze accademiche internazionali. Svolge un’intensa attività artistica e culturale come interprete, compositore e autore, con all’attivo incisioni discografiche e pubblicazioni.

Solidarietà dei cittadini di Vanchiglia alla polizia che presidia Askatasuna

Nelle giornate tra Natale e Santo Stefano, alcuni cittadini del quartiere Vanchiglia, nonostante il maltempo e nel senso di riconoscenza per l’operato apportato quotidianamente dalle forze dell’ordine, hanno donato panettoni e pandori al personale della Polizia di Stato impegnato nel presidio fisso alla palazzina fino a qualche giorno fa occupata dal centro sociale Askatasuna, per poi fare insieme un brindisi natalizio.

Il giorno di Natale, a loro si è unito anche Giovanni Berardi, figlio del poliziotto Rosario Berardi ucciso dalle Brigate Rosse nel 1977 a Torino, nonché presidente dell’Asevit – Associazione europea vittime del terrorismo, il quale ha espresso sinceri ringraziamenti e portato auguri di un sentito Natale a tutti i poliziotti impegnati a tutela della collettività in questi giorni di festività.

“Vogliamo ringraziare i tanti cittadini di Torino che in questi giorni, e in particolare il 25 dicembre, hanno voluto dimostrare vicinanza e sostegno ai colleghi impegnati nel quartiere Vanchiglia, dove si trova l’edificio che era stato occupato dal centro sociale Askatasuna”. Ad affermarlo è il Segretario Generale del SAP, Stefano Paoloni.

Durante le festività sia i colleghi di Torino che decine di altri agenti provenienti da altre città sono stati impegnati h24 per garantire la sicurezza nel quartiere messo a ferro e fuoco a seguito dello sgombero di Askatasuna. Durante le festività, sono stati numerosi i messaggi di vicinanza espressi dai cittadini, molti dei quali hanno anche portato ai colleghi in servizio panettoni, spumante e dolcetti come gesto concreto di stima e vicinanza.

“Si tratta di gesti importanti, specie in un periodo così delicato dopo gli scontri avvenuti a seguito dello sgombero dei locali occupati da Askatasuna. Gesti che dimostrano il supporto alle forze dell’ordine e che il costante impegno di centinaia di uomini e donne della polizia viene riconosciuto dalla maggior parte dei residenti. A volte un gesto vale più di mille parole. GRAZIE”conclude Paoloni.

Il Torino cade ancora in casa e lo fa nella 17ª giornata di Serie A, sconfitto 2-1 dal Cagliari

Sprofondo Toro
Il Torino cade ancora in casa e lo fa nella 17ª giornata di Serie A, sconfitto 2-1 dal Cagliari all’Olimpico Grande Torino. Un ko che conferma la discontinuità della squadra di Baroni, incapace di dare continuità dopo due vittorie consecutive.
I granata partono bene e trovano il vantaggio con Vlasic, ma col passare dei minuti abbassano ritmo e attenzione. Il Cagliari ne approfitta, cresce e trova il pareggio con Prati, prima di completare la rimonta nella ripresa grazie a Koliçsoy, decisivo nel punire una difesa troppo fragile.
Per il Torino è uno stop che lascia l’amaro in bocca, l’ennesimo passo falso di una stagione altalenante. Per il Cagliari, invece, tre punti pesantissimi in chiave salvezza: vittoria di carattere e fiducia per la squadra di Pisacane.
Per i granata di Baroni è obbligatorio e doveroso guardarsi alle spalle.
La serie B è sempre dietro l’angolo.

Enzo Grassano

Imprese piemontesi ottimiste sul 2026: investimenti in crescita nonostante le incertezze

L’indagine trimestrale basata sulle previsioni di circa 1.200 aziende piemontesi fotografa un clima di fiducia complessivamente positivo. A trainare le performance migliori sono commercio, turismo, ICT, alimentare e trasporti, mentre il manifatturiero continua a mostrare segnali di difficoltà.

Le imprese piemontesi guardano al primo trimestre 2026 con un atteggiamento nel complesso ottimistico, in continuità con la precedente rilevazione. Un segnale della solidità del sistema economico regionale e della sua capacità di resistere a una fase prolungata di incertezza. Dietro al dato aggregato si conferma però una dinamica divergente tra manifatturiero e terziario, ormai evidente da oltre due anni.

Il comparto manifatturiero risente in modo particolare della crisi della metalmeccanica e del tessile-abbigliamento, registrando indicatori negativi su produzione, ordini, redditività ed export. Di segno opposto l’andamento del terziario che, dopo la fase più critica del Covid, ha saputo riorganizzarsi e ripartire, mostrando da allora segnali di crescita costante. È quanto emerge dall’indagine congiunturale condotta a dicembre dal Centro Studi dell’Unione Industriali Torino su un campione di circa 1.200 imprese manifatturiere e dei servizi del sistema confindustriale piemontese.

“Le imprese piemontesi approcciano il 2026 confermando la volontà di investire per far crescere e sviluppare le proprie imprese. Non è una scommessa, ma un vero grande gesto di fiducia che va colto e valorizzato da tutti coloro che compongono il nostro tessuto economico. Quello che ci aspetta sarà un altro anno molto sfidante proprio come il 2025 che dopo molti, forse troppi, timori ha invece registrato un andamento più sostenuto del previsto negli ultimi mesi. Un risultato ottenuto grazie alla capacità delle nostre imprese di sapersi adattate velocemente al mercato, sia come sbocchi commerciali che come offerta di prodotti, processi e tecnologia. Chi guarda al Piemonte sa di poter trovare in questo territorio risposte efficenti e avanzate, una qualità che ci riconoscono partner italiani e stranieri, in maniera trasversale ai settori e alle filiere”, commenta Andrea Amalberto, presidente di Confindustria Piemonte.

Nel dettaglio, le attese risultano complessivamente positive per occupazione (saldo ottimisti/pessimisti pari a +6,0%), produzione (+3,2%) e ordini totali. Rimangono invece negativi i consuntivi relativi a export (-5,3%) e redditività (-1,0%). Cresce di 3,1 punti percentuali la propensione a investire, che coinvolge il 77,1% delle imprese rispondenti; il 25,3% ha inoltre programmato l’acquisto di nuovi impianti, in aumento di 1,8 punti rispetto a settembre. Stabile al 77% il tasso di utilizzo di impianti e risorse, mentre varia poco il ricorso alla CIG, attivata dal 10,9% del campione. Nel manifatturiero la percentuale sale al 14,9%, in lieve calo (-0,4 punti) rispetto alla precedente rilevazione.

Il quadro settoriale piemontese resta fortemente differenziato. Il manifatturiero, che rappresenta circa due terzi del campione, continua a segnare saldi negativi su tutti i principali indicatori: produzione (-3,9%), nuovi ordini (-4,5%), redditività (-6,8%) ed export (-6,0%). Particolarmente in difficoltà il comparto metalmeccanico, dove il saldo sulla produzione è negativo da dieci trimestri consecutivi (-7,5%), soprattutto nei settori automotive e metallurgia. Segno meno anche per le manifatture varie, come gioielli e giocattoli (-24,0%), e per il cartario-grafico (4,8%). Appaiono prudenti le attese del tessile-abbigliamento (0,0%), mentre risultano più fiduciosi i comparti gomma-plastica (+2,3%), alimentare (+11,9%), edilizia (+4,5%) e impiantisti (+16,7%).

Il terziario conferma invece un clima di fiducia stabilmente espansivo, favorito da una minore esposizione alle oscillazioni dei mercati esteri. Tutti i comparti esprimono aspettative positive, seppur con intensità diverse. Spiccano in particolare commercio e turismo (+30%), servizi alle imprese (+24,2%), ICT (+10,0%) e trasporto di merci e persone (+8,7%).

In un contesto internazionale complesso, la positività delle attese risulta inversamente proporzionale al peso dell’export sul fatturato. Le aziende meno orientate ai mercati esteri mostrano le aspettative più ottimistiche sulla produzione (+8,9% per chi esporta meno del 10% del fatturato). In equilibrio le attese delle imprese con una quota di export compresa tra il 10 e il 30% (saldo pari a 0,0%), mentre diventano negative per le fasce successive: -5,6% per le aziende che esportano tra il 30 e il 60% e -3,9% per quelle oltre il 60%.