ilTorinese

“Addio Torino bella…”

PAROLE ROSSE Di Roberto Placido

Addio Lugano bella, la canzone (https://youtu.be/k84G4ODpBsE) degli anarchici italiani, mi è ritornata in mente  sabato 4 marzo alla fine del corteo degli anarchici, contro il 41 bis ed a sostegno dello sciopero della fame di Alfredo Cospito, detenuto in regime carcerario duro a seguito della condanna per un grave attentato. 

Non  entro nel merito del 41 bis e della sua applicazione, le perplessità sono diffuse, in particolare riferite al detenuto Cospito. Sul tema vi segnalo questo bell’articolo  dell’Avvenire   (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/incendiaria-disumanita) dell’ex Procuratore aggiunto di Torino Paolo Borgna. Mi ha fatto riflettere, da un lato sulle differenze e sui comportamenti dell’anarchia e degli anarchici del passato, recente e lontano, con quelli dei nostri giorni e sui gravi incidenti che si sono verificati a Torino. La riflessione l’ho fatta in particolare sugli incidenti e su chi avrebbe dovuto evitarli. Sul comportamento dei manifestanti non c’è molto da aggiungere, le immagini, le scritte e le devastazioni sono molto meglio delle parole. Sulle responsabilità  dei vertici locali e nazionali della  Polizia e delle istituzioni  invece sì- Il corteo era stra annunciato come duro e violento. C’era,  non il rischio, ma la certezza di azioni violente. Anche il percorso era, più o meno, concordato. Ci si attendeva, da parte del Comune e delle sue varie emanazioni AMIAT, Vigili Urbani, provvedimenti adeguati.

Invece abbiamo assistito, a parte la chiusura dei cestini, ad azioni di routine, e l’invito da parte di agenti di Polizia, il giorno prima, ai negozi e bar di abbassare le serrande e togliere i dehor, e null’altro.  Avrebbero dovuto prendere ed effettuare  provvedimenti atti a prevenire e ridurre al minimo i danni. Cioè,  la rimozione, lungo il percorso, di cestini, bidoni dei rifiuti, monopattini e delle auto  evitando così che venissero rovesciati i primi, incendiati  i secondi, usati come arieti contro vetrine i monopattini.  Alcuni agenti  hanno ammesso di essersi accorti durante le ore precedenti il corteo che  i monopattini erano praticamente scomparsi nell’area del percorso e se li erano ritrovati per  l’uso improprio  da parte d alcuni manifestanti. E  poi la devastazione di molte auto parcheggiate. La cosa risalta ancora maggiormente se si pensa che per la corsa podistica  “ Just The Woman I am”  del giorno dopo, il 5 marzo 2023, sempre a Torino, in alcune aree del percorso erano stato  previsto il divieto di parcheggio e la rimozione delle autovetture.  Non tutti sono coperti, la cosa vale sia per le auto che per i negozi,  dall’assicurazione per atti vandalici. Veniamo così alla parte più incredibile, l’azione della Polizia, tra l’altro lo schieramento delle forze dell’ordine era massiccio, qualcuno dice molto superiore ai manifestanti , arrivati da tutta Italia ed Europa  Ha contenuto, come ha dichiarato il  Questore di Torino, il corteo dei manifestanti evitando gli scontri,  senza difendere gli obiettivi sensibili, i  monumenti, il Santuario della Consolata, protettrice della Città di Torino, le banche ed i negozi. L’ordine, confermato da diversi agenti di Polizia e da alcuni esponenti sindacali, era di lasciare fare senza intervenire.   (https://twitter.com/stampatorino/status/1632295272998125568?s=48&t=QeAZF3RLrjFHEjfR5gHIZw)

 E’ molto più facile ordinare agli agenti , a cui va, in quanto lavoratori la solidarietà, di manganellare e caricare altri lavoratori,  studenti e pacifisti. Un po’ meno quando si tratta di Black Block e anarchici.  Era conveniente, in particolare al governo nazionale, lasciare mano libera  per potere affermare che la furia anarchica ,  le piazze “rosse” e  di conseguenza di sinistra sono il problema del paese.

Basta leggere i titoli delle prime pagine dei giornali di destra del giorno dopo, utili a coprire pecche ed incapacità dell’esecutivo nazionale. Veniamo al fatto più incredibile, le dichiarazioni, il giorno dopo, del Questore di Torino Vincenzo Ciarambino  e del Sindaco Stefano Lo Russo. Le dichiarazioni del Questore, sul fatto che non immaginava violenze e danni verso auto e negozi e con la loro azione hanno evitato danni maggiori preservando il centro cittadino e la stazione, come se Piazza Arbarello e Via della Consolata si trovassero al Villaretto, sono incredibili ed inaccettabili. Quelle del Sindaco sono state poi “lunari”, fare i complimenti ai vertici della Polizia torinese invece, oltre a rispondere di quanto non fatto dalla città, di chiedere le dimissioni del Questore e protestare decisamente con il ministro dell’Interno, l’ineffabile  Matteo Piantedosi e con il governo. Sindaco Lo Russo, se ci sei batti un colpo, Torino non merita tutto questo.

 

P.S. Non so se fa ridere o piangere, giudicate voi, quanto mi ha raccontato un amico. Il giorno dopo va a prendere un caffe in un bar di Via della Consolata, risparmiato dalla furia anarchica, e mentre lo sorseggiava, arrivano due agenti di Polizia e chiedono al barista come mai non gli avevano rotto le vetrine. Si sposta nella Libreria delle Edizioni Paoline e mentre consulta i libri arrivano i Vigili Urbani che chiedono di accelerare nella sostituzione delle vetrine danneggiate in quanto le transenne messe dal Comune a protezione venivano rubate, confidavano che ne avevano trovate in un cantiere edile, e le dovevano portare via.

 

No al tunnel In piazza Baldissera arrivano i semafori

Al posto della maxi rotonda di piazza Baldissera ci saranno  i semafori. È la decisione  della Città di Torino che ha bocciato il progetto del tunnel sotto la rotonda che sarebbe troppo costoso: 47 milioni. Piazzare gli impianti semaforici costerà alle casse comunali la più modesta cifra di tre milioni di euro.

Milano tra arte e storia, “da romantica a scapigliata”. Ultimi giorni

Una mostra da non perdere (sino al 12 marzo 2023, al Castello Sforzesco di Novara

Quel prologo affidato alla tela di Francesco Hayez, “Imelda de Lambertazzi” del 1853 – tra sguardi languidi e pensierosi di innamorati, tra scranni e tendaggi verdi che nascondono sgherri in agguato -, amore e morte nella lotta tra Guelfi e Ghibellini nella Bologna del XIII secolo, narrato da un ormai sconosciutissimo Defendente Sacchi e caro anche a Donizetti, è il punto d’avvio della mostra “Milano da romantica a scapigliata”, ambientata nelle sale del Castello Sforzesco di Novara, davvero “maravigliosa”, che di testa e di pancia consigliamo a tutti. Volendo ricordare le occasioni che l’hanno preceduta, diremmo che arriva buona quarta dopo quelle sull’Ottocento e sul Divisionismo sino all’evento dedicato a Venezia, ospite tutte di un luogo che a grandi e importanti passi sta divenendo ritrovo d’appuntamento obbligato per gli appassionati dell’arte; e ottimamente resa, attraverso la cura e la conduzione e le scelte di Elisabetta Chiodini, dall’Associazione Mets Percorsi d’arte, ottima reclutatrice di opere da collezioni pubbliche e private, dal Comune di Novara e dalla Fondazione Castello, con il patrocinio di Regione Piemonte, Commissione Europea, Provincia di Novara e Comune di Milano, necessario Main Sponsor Banco BPM.

Settanta opere, piccole e grandi tele, sculture minuscole e di estrema raffinatezza (“La pleureuse”, 1875 – 1878, di Giuseppe Grandi), otto sezioni, i maggiori protagonisti della cultura figurativa ottocentesca attivi a Milano, le vicende storiche che sono trascorse dal Regno napoleonico all’austriaco Lombardo Veneto, dalle rivolte popolari (con l’immancabile Bossoli) sino alle guerre indipendentiste, sino alla liberazione del 1859. Le visioni di una capitale meneghina ancora chiusa dentro sue certe strutture quattrocentesche e delle sue trasformazioni verso una città moderna e signorile, ma ancora portatrice di inevitabili e ampi grumi di povertà, in cui le differenze sociali si facevano sempre più visibili, una città che negli anni Sessanta vedeva la costruzione della Stazione Centrale, la rivoluzione dell’area di piazza Duomo con la demolizione del Coperto dei Figini, con la costruzione della Galleria e l’ideazione di piazza della Scala sino, dieci anni più tardi, all’abbattimento del Rebecchino, antico isolato davanti alla bela madunina, luogo d’azione dei malandrini dell’epoca. Un percorso che non è soltanto affidato alle arti, ma altresì alla Storia e alla riscoperta visiva di angoli della città ormai mutati o scomparsi del tutto.

“Pittura urbana” (la definizione la si deve ancora al Sacchi) che abbraccia vecchie prospettive, iniziata tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento dall’alessandrino Giovanni Migliara (che illustra vecchi caseggiati e antichi passeggi, eleganti toilette e venditori, nella “Veduta di piazza del Duomo in Milano”, 1828), lasciando presto il campo ai più giovani ma già sguinzagliati colleghi Luigi Premazzi (“Interno del Duomo”, 1843, un fiorire di colonne e vetrate di eccezionale bellezza, a fronte della monumentalità dell’organo descritto in ogni più significativo particolare), Carlo Canella (“Veduta della corsia del Duomo”, del 1845, l’attuale corso Vittorio Emanuele, un susseguirsi di figure colte nella loro più immediata vita quotidiana, lo stagnaro e la signora con l’ombrellino, le piccole voliere e il loro mercante) e Angelo Inganni con i suoi Navigli innevati del 1852. Un “palcoscenico” abitato altresì dagli “attori protagonisti” della storia milanese di quello scorcio di secolo, l’autore dei “Promessi Sposi” raffigurato da Giuseppe Molteni (un quadro ritrovato di recente), il “Conte Carlo Alfonso Schiaffinati in abito da cacciatore” dell’Arienti e i ritratti di Giovanni Carnovali, comunemente conosciuto come il Piccio, “autore – ci viene chiarito nelle note alla mostra – impegnato fin dalla prima metà degli anni Quaranta in una personalissima ricerca intorno alle potenzialità espressive del colore, figura fondamentale per un primo affrancamento della pittura lombarda da quello che era stato l’indiscusso primato del disegno di matrice classicista.”

La terza sezione contempla la Milano occupata dagli austriaci e poi liberata, nelle tele di Carlo Bossoli, il più sensibile quanto tenace narratore delle Cinque Giornate, e di Baldassarre Verazzi (“Combattimento presso Palazzo Litta”), mentre la successiva guarda alla Storia dalla parte degli umili, soprattutto attraverso i nomi dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno, apprezzati dalla critica come dal pubblico dell’epoca, per il loro squisito sentimento nel raccontare i drammi e le difficoltà del vivere quotidiano di gran parte delle masse. Drammaticamente resa da Domenico con “Lacrime e pane” la povera camera della donna, che raccoglie qualche soldo con i ricami fatti al tombolo, con a fianco la sua bambina, o da Gerolamo con “La scioperatella” del 1851 e soprattutto “La fidanzata del garibaldino”, conosciuta anche come “Triste presentimento”, di vent’anni dopo, anche qui una povera stanza e un letto sfatto, forse una lettera tra le mani che non promette nulla di buono o un’immagine dell’innamorato e un mozzicone di candela, l’unico abitino poggiato sulla seggiola e un catino, il piccolo busto dell’Eroe posto nella nicchia e una riproduzione, alle spalle della protagonista, del “Bacio” di Hayez. Ogni personaggio colto nel suo habitat abituale, interni domestici disadorni, tra le proprie povere cose, quasi sempre immerso in pensieri di ricordi e di indigenza, ogni particolare reso con precisa autenticità, mai vittima di una componente calligrafica fine a se stessa ma di grande, autentico realismo.

Con il proseguire degli anni, molti artisti avanzano nel rinnovamento del linguaggio pittorico, uno fra questi Federico Faruffini (suicida a trentasei anni), grazie anche all’incontro con la pittura napoletana nelle tele e nell’amicizia di Domenico Morelli, ogni cosa vista attraverso un diverso sguardo dato alla luce e al colore. Sono esposti in mostra due suoi capolavori, “Saffo” e “Toletta antica”, davvero di tanta bellezza. Con il suo modo nuovo d’affrontare la pittura, Faruffini fu di stimolo maggiore e definitivo alla ricerca per artisti, lui espressione di ribellione ai codici, come Filippo Carcano e Tranquillo Cremona, Mosé Bianchi e Daniele Ranzoni, che lo abbracciarono e lo accrebbero, in una dimensione minore del disegno e in un affermarsi spavaldo del colore, capace da solo di costruire immagini, nella ricerca dell’essenza che scivola giù verso la “macchia scapigliata”, verso la rarefazione della materia e una vitalità sino a pochi anni prima certo impensabile. Certamente, in quel decennio tra il Settanta e l’Ottanta che vide l’affermarsi della Scapigliatura, non tutti guardarono con simpatia né sicuramente con convinzione a una nuova forma d’arte, “una pittura filacciosa, senza contorni di sorta, quasi senza piani e senza prospettiva”, si disse a proposito di Carcano. Sarebbero arrivate al contrario opere nuove, in netta area capolavori, quali “Giardino con effetto di sole” (di Carcano, 1867), “Ritratto di Nicola Massa Gazzino” (di Tranquillo Cremona, ancora 1867, un dandy di due secoli fa mollemente adagiato in poltrona, un tendaggio di velluto giallo intensamente colorato che affonda le proprie radici in un Rinascimento veneziano, una sola mano guantata, un fondo quasi impercettibile di fiori: eccezionale), “Un giorno di parata” (di Bianchi, 1870, sarebbe sufficiente la macchia degli abiti delle due donne rappresentate tra il sole e l’ombra, sullo sfondo la chiesa e le piccole e “imprecisate” figurine; come il visitatore si dovrà gustare “Il maestro di scuola” e l’impertinente “Dietro le scene”, ripensando a quanto un critico scrisse dell’artista: “Fu saldo disegnatore, compositore disordinato, schiettissimo pittore, succoso, fresco, vario in quel suo cromatismo in cui il colore dei veneziani riecheggia senza affievolirsi, esperto di ogni segreto dell’arte nel rendere la finezza dell’atmosfera e nel modellare con l’efficacia della pennellata nervosa.”).

Nell’ultima sezione, l’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato, di Daniele Ranzoni “Giovinetta inglese” e “Ritratto della signora Pisani Dossi” (1880, la leggerezza dell’abito bianco e quegli occhi che paiono dire a chi guarda oggi come allora tutto il rincrescimento nei confronti di un qualcosa non fatto proprio e il dolore assopito del personaggio, uno dei più begli esempi della mostra), di Tranquillo Cremona in primissimo piano a catturare l’attenzione e l’ammirazione, con “La visita al collegio” e soprattutto con un unicum suddiviso tra “Melodia” e “In ascolto”, entrambe datate 1878 ed eseguite su commissione dell’industriale Andrea Ponti, un inno all’azzardo della preparazione, alle zone lasciate alla saggia improvvisazione e al non finito, al sommario, all’evanescente, nel tripudio del “disordine” delle pennellate: “Il pennello tanto squisito del Cremona non si è fermato a determinare che certe parti più importanti della composizione, ma in queste ha messo tutta la squisitezza d’intonazione, della quale ha per così dire una privativa assoluta, e tutta quella gentilezza di figure muliebri che egli solo sa trovare”, fu uno dei giudizi a lui rivolto all’apparire delle opere. La mostra è visitabile sino al 12 marzo 2023: assolutamente da non perdere.

Elio Rabbione

Alcune immagini della mostra: Giuseppe Canella, “Veduta della corsia de’ Servi a Milano”, olio su tela, 1833, coll. Gastaldi Rotelli, Milano; Angelo Inganni, “Veduta del Naviglio di via Vittoria con il ponte di via Olocati”, olio su tela, 1852, coll. privata; Domenico Induno, “Pane e lacrime”, olio su tela, 1854, coll. privata; Tranquillo Cremona, “Melodia”, olio su tela, 1874-1878, coll. privata; Daniele Ranzoni, “Ritratto della signora Pisani Dossi”, olio su tela, 1880, coll. privata.

“Hic sunt dracones”… là dove l’arte è tutta da scoprire. Ultimo giorno

Alla GAM di Torino le opere di Chiara Camoni e dell’“Atelier dell’Errore”

Dal 3 novembre al 12 marzo 2023

Arte moderna. Contemporanea. Forse. O forse no. Forse, arte antica. Antica ancor di più di quella “consacrata” come antica. Graffiti. Accumuli di graffiti. Accumuli di segni e colori che esplodono in casuali informalità. Volontà di evasione. Di distruzione. E ricostruzione. Lavori su cui perdersi in intrecci labirintici dal  bandolo difficile da sbrogliare. Ma lavori che ti tengono lì, in sospeso, per lasciarti senza parole. Né esatte spiegazioni. Solo dubbi. Pur se benefici. Dubbi benefici aperti a interpretazioni mai certe ma capaci di vincolarti emotivamente, e a doppio filo, all’opera che hai davanti. Che è arte senza tempo. Senza un perché. In continuo divenire. Significativo, in tal senso, lo stesso titolo dato alla rassegna presentata alla “GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di Torino da giovedì 3 novembre a domenica 12 marzo 2023“Hic sunt dracones” (dal latino, “Qui ci sono i draghi”) o “leones” “leoni”), espressione tecnicamente associata alle carte geografiche antiche per indicare le zone ancora inesplorate dell’Africa. Spazi sconosciuti. Immaginari e misteriosi. Realtà altre.

In cui ben si ritrovano, per narrazione e linguaggio, i lavori di Chiara Camoni (origini piacentine, oggi operante e residente sulle colline della Versilia) e del collettivo “Atelier dell’Errore” (nato tredici anni fa a Reggio Emilia come laboratorio di arti visive a sostegno della Neuropsichiatria infantile), messi a confronto nelle sale della “GAM” con la curatela di Elena Volpato“L’esposizione – scrive Elena Volpato –   riconosce la presenza di un pensiero metamorfico nell’arte contemporanea o, quanto meno, nei suoi territori più fertili, quelli distesi a cavallo del suo confine estremo, dove i cartografi un tempo avrebbero lasciato scritto il loro avvertimento e disegnato draghi d’ogni specie e forma”. Pensiero metamorfico come “pensiero che giunge da fuori, come un soffio d’ispirazione, che modifica la natura di colui che lo accoglie e gli dona la capacità di leggere simbolicamente, in filigrana, ogni aspetto del reale; di guardare ogni forma nella sua continua possibilità di trasformazione e analogia con altre forme.

Significa saper guardare una cosa, riconoscerla, e allo stesso tempo vedere in essa anche ciò che solo apparentemente non è. È un pensiero che genera draghi e, allo stesso modo ispira opere che rifuggono da ogni classificazione, che esorbitano da ogni griglia, che tengono insieme più immagini, più tempi, più momenti”. E i più svariati materiali: terrecotte, lana di pecora (“Le leonesse”), ferro, legno, erbe e fiori secchi, ma anche ceramica, porcellana terzo fuoco, ottone, rame, argento, vetro e molt’altro ancora. Le opere della Camoni rifuggono da ogni griglia o classicazione e sono create a partire da oggetti trovati o da materiali naturali in un “processo di sorellanza” in cui vengono artigianalmente coinvolte numerose persone, in una sorta di “comunità temporanee di condivisione spaziale, emotiva e spirituale”. Lavorare al di fuori delle regole, del pensiero comune, dell’artistically correct: Camoni e l’“Atelier dell’Errore”, lavorano in tal senso in modo parallelo, sotto la guida della stessa visionarietà creativa. L’alterità, la loro stella polare. “L’‘Atelier dell’Errore’ – spiega ancora Elena Volpato – lo fa per costituzione, raccogliendo sotto la direzione di Luca Santiago Mora la maestria di giovani artisti, con tratti neurologici atipici, con una naturale predisposizione al soffio errante di quella che gli antichi chiamavano follia: forma principe del pensiero metamorfico.

Chiara Camoni è invece in naturale connessione con principi altri rispetto a ogni nostra ortodossia culturale, è legata alle matrici del prima. Depone la tradizione degli antichi maestri per ricordare gesti creativi ancor più antichi, iscritti nelle nostre origini, così come nella natura”. In occasione della mostra, venerdì prossimo 4 novembre (ore 10,30), si terrà alla “GAM”, la performance “La Distruzione Bella” realizzata da Chiara Camoni e dal suo “Centro di Sperimentazione”. Il lavoro vedrà la fusione di gioielli e piccoli oggetti in metallo per creare un passaggio dalla forma all’informe e dare vita a nuove sculture gioiello. Il pubblico è invitato a intervenire con bijoux, piccoli oggetti in metallo, qualche pezzo di argenteria per vedere il proprio oggetto cambiare sotto l’azione del fuoco in un processo di metamorfosi e ricomposizione. Seguirà colazione.

Gianni Milani

“Hic sunt dracones””GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea”, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 12 marzo 2023

Orari: mart.-dom. 10/18, chiuso il lunedì

Nelle foto:

–       Atelier dell’Errore: “Black Atlas”, video, 2021, Ph. Roberto Marossi

–       Chiara Camoni: “Le leonesse”, part., terracotta, lana di pecora, Ph. Luca Vianello e Silvia Mangosio

–       Atelier dell’Errore: “Volpe Ganesha colorata”, tecnica mista, 2021, Ph. Roberto Marossi

–       Chiara Camoni: “La Distruzione Bella”, video still, 2022

Albero cade per il vento e centra un’auto di passaggio

Il forte vento delle scorse ore ha fatto cadere un albero su strada Traforo del Pino. Urtando i fili dell’elettricità ha causato  un  incendio che ha richiesto l’intervento  dei vigili del fuoco di Chieri. Un altro  albero ha colpito una vettura  in marcia. È stata danneggiata ma non ci sono feriti.

Davanti alla Corona ferrea tra fede e leggenda

“Dio me l’ha data, guai a chi la tocca!”. Troppo bella, troppo preziosa. Non sbagliava di certo Napoleone quando pronunciò quella famosa frase mentre, da solo, si metteva in testa la Corona ferrea auto-incoronandosi re d’Italia nel Duomo di Milano.

La Corona ferrea, risalente al IV-V secolo, è il pezzo più pregiato conservato nel Duomo di Monza, al centro della cappella di Teodolinda, in una teca nell’altare. Vederla da vicino, a così tanti secoli di distanza, è un’autentica emozione, un grande spettacolo. Siamo dinanzi ad un oggetto incredibile, a tu per tu con la Storia. Una delle tante meraviglie della nostra penisola che possiamo ammirare solo per pochi minuti. Millecinquecento anni di storia ti passano di fronte in un istante, quel diadema immortale brilla di luce e colori, irradia un’energia straordinaria e ti ricorda che in quel momento sei davanti alla storia d’Italia e dell’Europa cristiana. Un oggetto antico utilizzato per l’incoronazione dei re d’Italia, per dare un riconoscimento quasi divino al loro regno, dai re longobardi a Carlo Magno, dal Barbarossa a Carlo V fino a Napoleone. La Corona ferrea è un vero gioiello formato da sei piastre in oro e argento decorate di gemme, zaffiri, smalti, rosette e petali dorati uniti tra loro da cerniere e legate da un anello di ferro. Secondo la tradizione cristiana il ferro fu ricavato da un chiodo con cui fu crocifisso Gesù e per la Chiesa cattolica si tratta di una reliquia che Sant’Elena avrebbe trovato nel 326 d.C. durante un viaggio in Palestina e inserito nella corona del figlio, l’imperatore Costantino. Ancora oggi, una domenica di settembre, la Corona ferrea viene portata in processione per il centro storico di Monza. Il suo valore è simbolico, la sua fama sta nell’incoronazione di grandi personaggi della storia. Tutto ciò è custodito nel Duomo di Monza ma non è questo l’unico tesoro pieno di fascino in cattedrale. La Corona di ferro risplende al centro di uno stupefacente tempietto, a sinistra dell’abside centrale del Duomo: è la celebre cappella di Teodolinda e, quando si accendono le luci, la cappella lascia di stucco chi la guarda. Sulle pareti, affrescate alla metà del ‘400 dai pittori milanesi Zavattari, c’è tutta la storia di Teodolinda in 45 scene di vita, le storie descritte risalgono al VI secolo, all’epoca di Teodolinda, ma i costumi indossati da uomini e donne sono del Quattrocento. Teodolinda era una regina longobarda, bavarese, cattolica, saggia e colta, che decise di fare di Monza la sede estiva del regno longobardo. Si sposò due volte, con Autari che morì un anno dopo le nozze, e poi con Agilulfo, duca di Torino, che convertì al cattolicesimo insieme al popolo longobardo. Esercitò molta influenza sulle scelte politiche del nuovo sovrano a tal punto che gli storici sostengono che le decisioni principali del regno furono prese da entrambi. Il loro figlio, Adaloaldo, fu il primo re longobardo ad essere battezzato cattolico. La regina e suo figlio sono sepolti in un grande sarcofago posto dietro l’altare della cappella. Anche Agilulfo ha il suo gioiello, è la Croce di Agilulfo, custodita nel Tesoro del Duomo.                Filippo Re
nelle immagini
la Corona ferrea
la cappella di Teodolinda
Duomo di Monza

“Harmony Lab” Laboratori espressivi e pratico-manuali

Martedì (14 marzo 2023, ore 17.00) l’evento conclusivo alla Fondazione Amendola (Torino)

 

Evento a ingresso libero con esposizione delle opere realizzate dalle ragazze e dai ragazzi.

Si avvia alla conclusione l’esperienza del progetto Harmony Lab: l’evento conclusivo si terrà martedì prossimo (14 marzo 2023) alle ore 17.00 presso la Fondazione Giorgio Amendola (via Tollegno 52 a Torino).

Il 2022, per le ragazze e i ragazzi ospiti delle strutture del Progetto Du Parc,  è stato un anno ricco di iniziative e attività laboratoriali. Il progetto “Harmony Lab”  è stato reso possibile dal finanziamento da parte della Fondazione Crt attraverso il Bando Vivo Meglio.

Il progetto nasce con l’idea di far riconoscere il valore della persona oltre e a prescindere dalle patologie delle quali può essere affetta, che non la definiscono, attraverso attività di tipo creativo. “Harmony Lab” ha garantito ai partecipanti la possibilità di vivere l’esperienza di laboratori espressivi e pratico-manuali per il loro percorso riabilitativo, mai separato dall’obiettivo di un miglioramento delle loro competenze professionali e personali e al contempo di una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie capacità. I laboratori sono diventati  così momenti di scambio e di aggregazione, e percorsi legati al potenziamento delle autonomie personali, sociali, dell’autostima e della fiducia in sé.

La giornata di martedì – organizzata al Progetto Duparc, dalla Cooperativa Terra di Mezzo, dall’Associazione Opereaperte in collaborazione con la Fondazione Giorgio Amendola – ha come obiettivo principale l’incontro con il territorio, il superamento dei pregiudizi e la diffusione di un messaggio di inclusione.

A partire dalle 17.00 sarà possibile ammirare, esposte negli spazi della Fondazione, alcune delle opere realizzate dalle ragazze e dei ragazzi nel corso di un anno di Harmony Lab. Seguirà rinfresco e un momento di confronto sulle tematiche affrontate durante il progetto.

BOILERPLATE
Harmony Lab, ideato da Associazione Opereaperte, Progetto Duparc e dalla Cooperativa Terra di Mezzo, è un progetto che favorisce l’inserimento degli utenti all’interno della società per dar loro la possibilità di vivere al meglio la propria vita. È possibile seguire i lavori dei ragazzi su Facebook cercando l’Associazione Opereaperte e/o Progetto Duparc.

Associazione Opereaperte

Scherma, Juravle: delusione under 20

Non riesce a Luca JURAVLE la qualificazione per il Campionato Nazionale “Giovani”, dopo avere centrato quella per il campionato italiano della sua categoria “Cadetti”. Dopo la buona prestazione della prima prova a Carrara, a Lucca non riesce a ripetersi, rimanendo fuori dal tabellone di eliminazione diretta. Nella stessa giornata di sabato 11 marzo, il Circolo è stato anche impegnato con una serie di esibizioni all’inaugurazione del Centro Commerciale di Via Farinelli 13 a Mirafiori Sud, con l’occasione tanti ragazzi del quartiere hanno potuto cimentarsi in assalti di scherma grazie all’attrezzatura messa a disposizione dalla società, sotto la guida dei tecnici della Ramon Fonst. Prossimo appuntamento agonistico sarà per il fine settimana del 25/26 marzo a Novarello, dove sarà impegnata la squadra Under20 composta da Luca JURAVLE, Matteo BORGOGNO, Marco DEALESSI e Tommaso GIRAUDO, che sarà la favorita per il titolo piemontese, negli stessi giorni sarà in pedana anche tutto il settore agonistico Under14, per l’ultima prova regionale di qualificazione per i Campionati Italiani U14 in programma a maggio a Riccione.

Eataly Lingotto, un mese dedicato ai salumi e formaggi

La grande selezione di salumi e formaggi di Eataly Lingotto, fiore all’occhiello del Made in Italy.

Fino al 2 aprile Eataly Torino Lingotto dedica ai salumi e ai formaggi un mese di iniziative per raccontare profondità di assortimento, unicità e competenze degli specialisti e selezionatori che da oltre 16 anni lavorano dietro ai banchi. Salumi e formaggi, d’altronde, rappresentano come pochi altri prodotti la straordinaria varietà della cultura enogastronomica italiana che ha origini da storia e tradizioni antiche e che ci è riconosciuta in tutto il mondo. In una classifica stilata a febbraio dal portale enogastronomico internazionale TasteAtlas, tra i primi 10 formaggi “da assaggiare almeno una volta nella vita”, 8 sono italiani, e sono anche italiani alcuni celebri salumi posizionati entro la top 5 dei “40 alimenti da provare entro il 2023”.

“Salumi e formaggi sono tra i prodotti italiani più apprezzati nei nostri negozi in Italia e nel mondo, e fulcro del Made in Italy – spiega Andrea Cipolloni, Group CEO Eataly. – Ogni giorno i nostri specialisti offrono ai clienti l’opportunità di vivere esperienze emozionanti che non possono essere date per scontate: il taglio dei crudi al coltello, la produzione quotidiana della mozzarella o la scelta di selezioni speciali provenienti da bravi artigiani. Siamo alla seconda tappa di un percorso che abbiamo iniziato raccontando la magia del nostro pane, e che porteremo avanti nel corso dell’anno per descrivere gli aspetti che rendono l’offerta di Eataly unica.”

Profondità e unicità di assortimento: oltre 700 eccellenze a bancone

L’assortimento di Eataly vanta oltre 700 prodotti tra salumi e formaggi: dalle grandi denominazioni ai localismi creati da produttori artigianali e disponibili solo stagionalmente o per un ristretto arco di tempo. Non mancano naturalmente i Presìdi Slow Food, più di 30, con le grandi eccellenze norcine e casare italiane e quelle immancabili straniere. E poi, fiore all’occhiello a Eataly Lingotto è il caseificio interno, a cura di Montoso, che ogni giorno produce a partire da latte solo italiano mozzarella freschissima, da assaggiare ancora calda.

Le novità: 30 nuovi prodotti, il taglio al coltello e una speciale selezione di salami.

Circa 30 sono i nuovi prodotti che entrano a far parte dell’assortimento. Tra questi il Parmigiano Reggiano Vacche Rosse biologico, il Provolone del Monaco e la Fontina DOP Estrema d’Alpeggio, prodotta oltre i 2.000 metri slm. Inoltre, per tutto il mese a Eataly Lingotto si potrà assistere allo spettacolo del taglio al coltello del prosciutto crudo, con possibilità di scegliere sempre tra tre differenti tipologie di crudi di pregio. Altra novità il progetto “I salami la gran selezione”23 salami, tra interi e tranci, selezionati per dare visibilità al salame, facendone conoscere tipologie, stagionature e tradizioni.

Le proposte nei ristoranti e nel calendario didattico

Anche nei Ristoranti alcune novità a menu: 4 diversi taglieri di formaggi dedicati a prodotti del Nord, del Centro, del Sud e un Giro d’Italia, il tagliere di crudo al coltello accompagnato con focaccia grani antichi e la treccia di mozzarella fatta a mano.

E ogni sera una proposta diversa. Il martedì a cena a Pizza e Cucina piatto speciale sarà la Padellata di risotto ai formaggi: riso Acquerello con gorgonzola, Parmigiano Reggiano 24 mesi, taleggio, pepe e scorza di limone, perfetto per 2 persone. Si prosegue il mercoledì sera alle Cucine del Mercato con l’aperitivo: un ricco tagliere con una selezione di formaggi, crudo tagliato al coltello, la focaccia della Panetteria di Eataly, la farinata farcita con gorgonzola e un calice di vino. Il giovedì a cena è invece Speciale fonduta, con fontina d’alpeggio accompagnata da patate di Avezzano, salsiccia di bovino La Granda, cavolfiore al forno, cipolla al sale e pane integrale. Venerdì 24 e 31 marzo alle 18.30 si brinda all’inizio del weekend con l’Aperitivo in Enoteca, a cura di chef Patrik Lisa. Location d’eccezione saranno le Cantine di stagionatura di Eataly, dove i salumi e i formaggi in vendita e in degustazione sono conservati, per mantenerne intatto il gusto. Tutte le domeniche a cena a Pizza e Cucina ospite d’onore la Gran Torino ai formaggi, la pizza di Eataly da condividere, nella versione speciale a tema. Infine, tutti i giorni al Bar si può assaggiare per aperitivo la Merenda sinoira: Spritz e un goloso tagliere in condivisione. Per prenotare il proprio tavolo: www.torino.eataly.it

Non può mancare anche una cena a cura dell’Executive chef Patrik Lisa: martedì 28 marzo alle ore 20. Un menu dedicato, con proposte originali e golose, per valorizzare ancor di più la bontà delle materie prime, direttamente dal banco fresco. Si incomincia con l’airbag di pane, ricotta, arancia e speck d’anatra, per poi proseguire con 100% Parmigiano: cialda, mousse e Parmigiano Reggiano 36 mesi. A seguire raviolo cacio, pepe e limone, canederli con consommé di prosciutto crudo e per concludere in dolcezza il flan parisien. (€ 40 a persona, acqua e caffè inclusi)

Anche la didattica è ricca di appuntamenti a tema: degustazioni guidate per l’abbinamento perfetto tra salumi, formaggi e vini, esperienze pratiche in cucina, per imparare a fare il casatiello insieme ai Maestri Panettieri di Eataly, l’Eataly Tour con un focus particolare sulla selezione norcina e casare. E poi un’esperienza eccezionale: “Un’ora da casaro” per entrare nel laboratorio di produzione a vista, imparare i segreti del mestiere e fare la propria mozzarella. Senza dimenticare le attività per i più piccoli, come il laboratorio per preparare con le proprie mani la ricotta fresca.

Mercoledì 15 marzo | L’abbinamento perfetto: vini e salumi | 40 €

Venerdì 17 e 31 marzo | Eataly Tour | 25 €

Domenica 19 marzo | Mani in pasta: il casatiello | 35 €

Giovedì 23 e 30 marzo | Un’ora da casaro | 20 €

Mercoledì 29 marzo | L’abbinamento perfetto: vini e formaggi | 40 €

Sabato 1 aprile | Il club dei piccoli chef: facciamo la ricotta! | 25 €

Per prenotare e avere maggiori informazioni: www.torino.eataly.it

Investimenti Pnrr, Uncem: per i Comuni impossibile anticipare le somme

DIFFICILE SPENDERE, PAGARE LE IMPRESE, RENDICONTARE E ASPETTARE GLI ACCREDITI DEL MEF. IL MECCANISMO DI SPESA È GIA’ BLOCCATO

“È impossibile per i Comuni montani e per quelli più piccoli, con meno di 5mila ma anche di 15mila abitanti, anticipare le somme per gli investimenti e le opere del PNRR. Sono stati previsti fondi statali per la progettazione delle opere, e un altro fondo per contrastare l’aumento dei costi di energia e delle materie prime, ma finora non è previsto un fondo rotativo, montato ad esempio da Cassa Depositi e Prestiti, per consentire ai Comuni di spendere, pagare le ditte che lavorano, rendicontare e poi serenamente aspettare gli accrediti da parte del Ministero. Oggi i Comuni, a ogni stato di avanzamento di opere PNRR, devono tirare fuori soldi della loro cassa, che molto spesso non hanno. E così tutto si blocca, per problemi contabili e finanziari. Un fondo rotativo da 500milioni di euro consentirebbe di ovviare al problema, che di fatto inceppa il PNRR”.

Lo afferma Marco Bussone, Presidente nazionale Uncem, a margine dell’audizione in Senato sul PNRR.