ilTorinese

Screening prenatali non invasivi gratuiti: la proposta

Il provvedimento, che prevede lo stanziamento di 320 mila euro per il 2023 e di 300 mila euro per il 2024, è stato illustrato dalla prima firmataria Sara Zambaia (Lega), che ha spiegato come “la Pdl abbia il duplice scopo di normare con legge i percorsi di accesso allo screening e alla diagnosi prenatale messi a disposizione dalla Regione e di inserire il Non invasive prenatal test (Nipt) all’interno dell’Agenda di gravidanza fornita dai consultori a tutte le gestanti, che contiene l’elenco degli esami cui è possibile sottoporsi”.

“Il Nipt, – ha continuato Zambaia – non è tra gli esami contenuti nell’Agenda di gravidanza e non fa parte delle prestazioni assicurate dai Livelli essenziali di assistenza (Lea) ma è fondamentale per individuare le principali trisomie presenti all’interno del feto e non è invasivo, dal momento che consiste in un prelievo ematico da effettuarsi alla madre dopo la decima settimana di gravidanza”.

“Nello specifico – ha spiegato – qualora per le gestanti che si sottopongono al test combinato, già previsto dalla Regione, emergesse la presenza di un rischio “intermedio” (1:101 – 1:1.000), sarà data la possibilità di effettuare il Nipt e di evitare, in caso di esito negativo, il ricorso alla diagnosi invasiva. In tal modo diminuiranno non solo gli accessi alla diagnosi prenatale invasiva ma anche i casi di mancate diagnosi prenatali date dai test falsi negativi tradizionali”

Il provvedimento prevede poi la facoltà per le Aziende ospedaliere di inserire all’interno dei Punti nascita spazi informativi dedicati all’attività divulgativa delle associazioni che offrono sostegno psicologico alle gestanti e alle loro famiglie prima e dopo il parto, l’istituzione di un Tavolo permanente sullo screening e la diagnosi prenatale presso l’Assessorato competente e la clausola valutativa per assicurare al Consiglio regionale un’informazione periodica sull’attuazione della legge.

La Commissione ha stabilito che saranno relatori del provvedimento Zambaia (Lega) per la maggioranza e Francesca Frediani (M4o) e Sarah Disabato (M5s) per la minoranza.

A Chieri la “panchina del sindaco”

Incontro con il Sindaco Alessandro SICCHIERO. Venerdì 25 novembre 2022 – ore 17.00 Panchina in via della Gualderia

Terzo appuntamento con la “panchina del Sindaco”: dopo San Silvestro e Parco Levi, il Sindaco Alessandro Sicchiero, venerdì 25 novembre alle ore 17,00, incontrerà i cittadini in via della Gualderia (tra i civici 3 e 5).

La “panchina del Sindaco” è un modo diretto per dialogare con il Sindaco e condividere proposte ed azioni per il miglioramento della città.

«Ho ritenuto opportuno organizzare dei momenti informali di confronto con i cittadini nelle varie zone di Chieri, momenti che riproporrò periodicamente-spiega Alessandro SICCHIERO-Non ho la pretesa di ‘avvicinare le istituzioni ai cittadini’, anche perché a Chieri, per quanto si possa sempre fare più e meglio, la vicinanza è quotidiana: non solo perché chiunque mi può fermare per strada, venirmi a parlare in Municipio, dialogare con me sui social o telefonarmi, ma perché la nostra amministrazione in questi tre anni ha promosso molti incontri con i residenti per confrontarsi sui progetti che li riguardano direttamente, abbiamo avviato diverse iniziative partecipative e siglato oltre venti patti di condivisione. Dunque, nessuna ‘distanza’ da superare, ma il mio desiderio di incontrare le persone nei loro luoghi di vita e di ritrovo. Sedendomi con loro su una panchina, per ascoltare, spiegare, raccogliere le lamentele (so che non mancheranno), informarli del lavoro fatto e delle opportunità che si possono sfruttare e, soprattutto, per condividere proposte e azioni per rendere la nostra Chieri una città dove sia sempre più piacevole vivere e veder crescere i propri figli».

Giardini storici raccontati a Palazzo Madama

LE PIANTE NELLA STORIA DEL GIARDINO

 

 

Conferenze con il curatore botanico Edoardo Santoro

 

21 novembre 2022 – 20 marzo 2023

 

Palazzo Madama – Sala Feste

Piazza Castello, Torino

 

Dal 21 novembre 2022 al 20 marzo 2023, nella Sala Feste di Palazzo Madama, prende avvio il nuovo ciclo di appuntamenti Le piante nella storia del giardino, a cura di Edoardo Santoro, volto ad approfondire la storia e le caratteristiche di molte delle piante presenti nei giardini: cinque conferenze per scoprire aspetti storici e botanici, officinali e alimentari di piante che nei secoli hanno avuto un ruolo fondamentale nel giardino ornamentale e nell’orto, nei parchi e giardini pubblici.

Iris e lillà, agrumipomacee (meli e peri) e rose sono piante o gruppi di piante molto famose e conosciute, interessanti da studiare e approfondire per la grande varietà di impieghi, per i modi in cui si presentano (fiori e colori, fogliami e portamenti) e per l’attuale ruolo che possono avere nei nostri spazi verdi, oltre che per quello avuto in ogni epoca storica.

Il ciclo di incontri autunno-invernale si chiuderà con una visita primaverile al giardinoriservata a chi si iscriverà al ciclo completo, passando, dunque, da suggestive e inedite immagini proiettate durante gli incontri alle fioriture reali presenti in giardino.

Le conferenze sono tenute da Edoardo Santoro, agronomo e curatore del Giardino Botanico Medievale di Palazzo Madama.

Il programma

Lo scorso lunedì 21 novembre 2022 ore 17 si è tenuto il primo incontroIris

In Europa, in Asia e in America l’Iris è presente allo stato spontaneo e ha avuto un ruolo fondamentale dapprima come pianta utile e successivamente come pianta ornamentale. Coltivata in orti e giardini è oggi una delle specie botaniche più apprezzate per la gran varietà di colori, frutto di ibridazioni svolte negli ultimi decenni; è dal giglio di Firenze e dal giglio di Francia, in realtà Iris, che parte la storia di questo fiore rappresentato in molti dipinti degli Impressionisti e amato in ogni epoca.

 

I PROSSIMI APPUNTAMENTI

Lunedì 5 dicembre 2022 ore 17: Lillà

“Tutti i lillà sono facili, non si lamentano, non richiedono quasi potature, amano il sole, sono perfettamente resistenti e di lunga vita”, così scrive Vita Sackville West, poetessa e giardiniera di inizio Novecento, che ben conosce l’importanza di questo arbusto in giardino e nel verde pubblico. Introdotto in Europa dalla Turchia, il boom del lillà avviene nel 900 a Parigi come fiore reciso e oggi conta oltre 300 tra specie e varietà di ogni gradazione di profumo.

Lunedì 23 gennaio 2023 ore 17: Agrumi

Limoni e aranci, pompelmi e mandarini sono solo alcuni dei frutti appartenenti alla famiglia degli agrumi che conta centinaia di specie in tutto il mondo. Sono coltivati da secoli in Italia, pur essendo originari di zone geograficamente molto lontane dalla nostra. Oltre agli impieghi alimentari ed erboristici (ad esempio di bergamotto, chinotto, lime e cedro), ne scopriremo l’uso ornamentale, iniziato in epoca romana e ancora oggi in voga in molti ambienti mediterranei.

Lunedì 20 febbraio 2023 ore 17: Pomacee – Pero e Melo

I pomi sono i frutti di una famiglia botanica, le pomacee, in cui si includono meli e peri ma anche cotogne e nespole. Dai frutti citati nel Capitulare de Villis di Carlo Magno agli attuali cataloghi, che comprendono varietà di ogni tipo, ci sono dieci secoli di storia della frutticoltura, che portano a scoprire come siano cambiate le abitudini alimentari oltre che di coltivazione, senza dimenticare il valore ornamentale e paesaggistico dei frutteti e in particolare dei meli ornamentali che oggi abbelliscono giardini, viali e cortili

Lunedì 20 marzo 2023 ore 17: Rose

Rose botaniche, antiche e moderne sono i tre principali gruppi in cui oggi sono riunite tutte le rose conosciute e coltivate nel mondo, ma la classificazione delle rose può essere anche legata al colore del fiore e all’altezza della pianta, alla presenza di spine o all’uso alimentare: ogni giardiniere ha migliaia di scelte per utilizzare una rosa in giardino. Dalla rosa di Pompei alle rose dei fiamminghi, dal giardino di rose dell’Imperatrice Giuseppina Bonaparte alla vellutata rosa da taglio Baccara, un sorprendente viaggio nel fiore più amato e coltivato in tutto il mondo.

Lunedì 17 aprile 2023 ore 16.30: visita in giardino (riservata a chi si iscrive al ciclo completo)

Costo: singola conferenza €15; ciclo completo di 5 conferenze: intero € 60; ridotto € 50 (riservato Abbonati Musei; insegnanti, Amici Fondazione Torino Musei, guide turistiche Provincia di Torino).

Prenotazione obbligatoria.

Info e prenotazioni: per le modalità di pagamento e per le prenotazioni rivolgersi al t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure scrivere a  madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Silvio Viale e la breccia di porta Pia

La Sala Rossa ha approvato, ieri pomeriggio, una mozione proposta dal consigliere Silvio Viale (Lista Civica per Torino) a proclamare il 20 settembre festa cittadina con iniziative comunali a ricordo della Breccia di Porta Pia e della liberazione di Roma.
Il 20 settembre 1870, ricorda il documento,  i bersaglieri dell’esercito italiano al comando del generale Raffaele Cadorna entravano in Roma attraverso la Breccia di Porta Pia. Veniva cosi portata a compimento l’unificazione nazionale con la proclamazione di Roma capitale. Scompariva l’ultimo Stato europeo in cui l’autorità religiosa deteneva anche il potere politico in forma autocratica e al tempo stesso veniva definitivamente sancita la separazione fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Nel 1885 il Parlamento Italiano proclamò il 20 settembre “giorno festivo per gli effetti civili”. Il 20 settembre rimase festa nazionale fino all’11 febbraio 1929 quando, con i Patti Lateranensi, stipulati fra Mussolini e papa Pio XI, fu ripristinato, sia pure nei limiti ristretti della Città del Vaticano, uno Stato della Chiesa, attribuendo a quest’ultima privilegi giuridici ed economici.
Sullo stesso documento, il Consiglio comunale ha espresso parere contrario alla proposta di sollecitare i parlamentari torinesi e il governo affinché la data del 20 settembre sia riconosciuta come Festa dell’Unità Nazionale.

Polvere di stelle e buchi neri

IL PUNTASPILLI     di Luca Martina 

 

Nei giorni scorsi è stata emessa da un tribunale della California la sentenza di condanna nei confronti di Elizabeth Holmes. 

La geniale “imprenditrice” statunitense era stata definita un’autentica “Steve Jobs” e, come il fondatore di Apple, era considerata una stella di prima grandezza e compariva sulla copertina di fine 2014 di Forbes in dolcevita nero (in un’intervista a Glamour ha dichiarato di possederne ben 150 uguali) e posa ieratica. 

Elizabeth raccontava in un’intervista come i prelievi di sangue avessero sempre spaventato, causandole anche degli svenimenti, lei e i suoi genitori. 

Questo l’aveva spinta a lasciare gli studi, brillantemente avviati a Stanford, per fondare a soli 19 anni, nel 2004, Theranos, la start up che prometteva rapidi e precisissimi esami con solo poche gocce di sangue prese dalla punta di un dito (senza l’utilizzo di fastidiose siringhe).

L’accesso ad analisi a bassissimo costo (una decina di dollari) avrebbe salvato, “democratizzando l’assistenza sanitaria”, molte vite umane e consentito, “ça va sans dire”, alla bionda di Washington di guadagnare miliardi di dollari. 

La stampa la osannava e importanti personaggi pubblici, del tenore di Henry Kissinger e Bill Clinton, arrivarono a sostenerla e ad essere suoi soci nella Theranos. 

La cosa incredibile è che non venne mai fornita una prova concreta dell’efficacia delle analisi millantate dalla Holmes. 

Abilissima comunicatrice, “Eagle one” (nome in codice con la quale era identificata dalla sua scorta) è stata capace di raccogliere dagli investitori centinaia di milioni di dollari senza fornire loro alcuna certificazione dell’apparecchio, il “Theranos Edison”, che avrebbe dovuto analizzare il plasma. 

Alle domande in proposito rispondeva trincerandosi dietro ad un segreto che non poteva rivelare per non difendersi dal rischio che le grandi imprese del settore potessero approfittarne. 

Nella realtà si rivelò impossibile estrarre tutte le informazioni necessarie da una così piccola quantità di sangue e alla fine lo strumento utilizzato per le analisi, “preso in prestito” dalla Siemens, non fu in grado di fornire analisi attendibili. 

Le bugie hanno normalmente le gambe corte ma quelle di Elizabeth le hanno consentito di correre per 10 anni prima che, nell’ottobre del 2015, un articolo del Wall Street Journal chiamasse il clamoroso bluff. 

All’incriminazione è seguito un lungo processo che ha portato nei giorni scorsi alla sentenza di condanna ad 11 anni di carcere. 

Della stella ormai esplosa rimane ora solo la polvere e un buco nero che ha inghiottito moltissimo denaro, danneggiato i pazienti (con diagnosi errate) e causato il suicidio di Ian Gibbons, il capo scienziato della Theranos. 

La storia è paradigmatica di come la mancanza di seri controlli possa condurre a gigantesche truffe  

Ma la vicenda della bella Elizabeth, con l’evaporazione di un valore che, prima che colasse a picco, era stimato in 9 miliardi di dollari, impallidisce di fronte al recentissimo fallimento della FTX, la società da più di 30 miliardi di dollari che costituiva una delle principali piattaforme di scambio di criptovalute (dove queste vengono acquistate, vendute e depositate). 

Improvvisamente, lo scorso 8 novembre, la società con sede alle Bahamas aveva sospeso i prelievi dei suoi clienti senza fornire spiegazioni. 

Il suo fondatore, Sam Bankman-Fried, che un anno fa si era piazzato al venticinquesimo posto della classifica degli uomini più ricchi d’America (in precedenza solo Zuckerberg ci era riuscito alla stessa età di 29 anni), aveva provato a tranquillizzare (con dei messaggi su Twitter) il mercato dichiarando che il denaro dei clienti era al sicuro e che presto la situazione si sarebbe normalizzata. 

Ma, indovinate un po’? Anche la stella FTX è esplosa, dichiarando nei giorni scorsi il fallimento, tramutandosi così nell’ennesimo buco nero. 

 

Si tratta di un altro finale da incubo per gli investitori e anche in questo caso il disastro è stato consentito dalla mancanza di una seria vigilanza che, peraltro, nel settore delle criptovalute è la regola più che l’eccezione. 

Per il bene dei risparmiatori e degli investitori, ormai non più solo spettatori ma parti attive nel mondo decentralizzato (privo di un ente regolatore di controllo) reso popolare da Satoshi Nakamoto con la creazione, nel 2008, del Bitcoin, ci si augura che la lezione sia d’insegnamento. 

Imparare dai propri errori sarebbe davvero una bellissima novità… e non solo un pio desiderio da esprimere di fronte alla prossima stella cadente. 

 

Primo appuntamento con Polis Policy Accademia di Alta Formazione

E’ giunta alla sua sesta edizione. Il tema è stato quello delle sfide e opportunità per un’Italia in transizione

 

Venerdì 18 novembre scorso, all’Nh Santo Stefano, a Torino, si è tenuta la prima lezione della sesta edizione dell’Accademia di Alta Formazione Polis Policy, promossa dall’Associazione “Difendiamo il futuro”.
Tema della prima sessione è stato “L’Italia un ponte tra Europa e Mediterraneo”, affrontato in due conferenze, di cui la prima tenuta da Michele Brignone, Docente di Lingua araba presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la seconda da Enzo Moavero Milanesi, Direttore della LUISS School of Law, già Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Ministro per gli Affari Europei, e Mario Mauro, già Ministro della Difesa nel Governo Letta.
Sempre di più il Mediterraneo si delinea per il nostro Paese quale una realtà estranea e vicina al tempo stesso, campo di una contesa geopolitica mondiale dalla quale sembriamo rimanere ai margini. Sebbene posti geograficamente al centro di questo grande bacino, un vero e proprio sistema al pari del continente europeo in cui la penisola è incastonata, non siamo consapevoli della posizione che in questo contesto potremmo occupare. L’elaborazione dell’Italia moderna, a tratti sospinta, a tratti rinnegata, ha portato il nostro Paese a una attuale incapacità nel giocare una presenza significativa nel Mediterraneo, lasciando che altri Stati, primi fra tutti gli Stati Uniti, andassero a riempire questo vuoto strategico, anteponendo i propri interessi economici.
Il politologo americano Samuel Huntington (1927 – 2008) affermava che l’”universalismo” americano, vale a dire il desiderio da parte degli Stati Uniti di esportare il proprio modello, costituiva una minaccia per l’Occidente e per il mondo, avendo fatto e proseguendo a fare, gli USA, un uso massiccio di armi, tali da provocare tragedie in tutto il mondo e compromettendo la visione dei valori occidentali agli occhi del pianeta.
Secondo il Professor Brignone si potrebbe delineare un’altra strada seguendo il disegno politico di Giorgio La Pira, politico e accademico italiano, giurista anche definito “Il Sindaco Santo”, avendolo, Papa Francesco, dichiarato Venerabile il 5 luglio 2018. La Pira, durante i molteplici mandati come ‘primo cittadino’ tra gli anni Cinquanta e Sessanta, seppe trasformare la città in un crocevia di incontro e dialogo tra le culture. Michele Brignone suggerisce che anche il nostro Paese, consapevole del ruolo di mediatore tra l’Europa continentale e quella mediterranea, potrebbe guidare in modo molto più proficuo l’Unione Europea nel promuovere un atteggiamento globale di dialogo e di conoscenza tra le molteplici tradizioni culturali e religiose che hanno segnato passato e presente nel Mediterraneo. Secondo il Professore tre aspetti del pensiero di La Pira dovrebbero essere recuperati per dar vita a una buona politica internazionale: smettere di fare “tecnocrazia”, di fare politica sulla base di competenze di carattere e guardare piuttosto alla realtà in cui viviamo in una prospettiva di sintesi, unendo aspetti solo separatamente distanti gli uni dagli altri, quali la Teologia, l’Economia e la Politica. Fondamentale anche il recupero di un sano idealismo in un’epoca in cui la politica risultava animata da interessi materiali e di potere. Il Professor Brignone ritiene che ciò non significhi vivere nel mondo dei sogni, nell’utopia irrealizzabile ma, al contrario, essere pragmatici. Il vero realismo consiste nel preferire la giustizia che generi un benessere duraturo ai benefici del calcolo machiavellico. Risulta anche fondamentale recuperare, a livello dei singoli, una forma di speranza, non necessariamente di carattere religioso, in grado di muovere la partecipazione sociale e politica, rompendo l’atteggiamento di disillusione in cui siamo tutti precipitati. È necessario superare una visione retorica del rapporto dell’Italia col Mediterraneo, in quanto risulta fondamentale gestire i processi migratori. Attualmente, secondo le parole di Fernand Braudel, il Mar Nero risulta il “cortile” del Mediterraneo, e l’attuale guerra in Ucraina ha spostato l’attenzione sui confini dell’Euro, generando degli effetti profondi quali la questione energetica.
Dopo la prima “vision”, tenuta dal Professor Michele Brignone e moderata dal giornalista Alessandro Banfi, autore e conduttore televisivo, si è tenuta la sessione “Another vision”, nel corso della cena, con l’intervento dell’Associazione “Balon Mundial”, seguita da un secondo momento di riflessione, tenuto da Enzo Moavero Milanesi e da Mario Mauro.
Il Professor Enzo Moavero Milanesi attribuisce la stagnazione in cui si trova l’UE come un esito di diverse sfide mancate, prima tra tutte quella giocata intorno allo “status” giuridico della stessa Unione: l’Europa non è più una semplice “unione commerciale” ma, per diversi e evidenti motivi, non si può neanche definire quale un’ “unione politica”, in quanto il progetto federalista non ha mai visto la luce e quello degli “Stati Uniti d’Europa” non è stato neppure preso in adeguata considerazione. Secondo il Professor Milanesi è l’identità della UE a dover essere cambiata e definita, in quanto l’Europa non è mai stata produttrice di materie energetiche, ma spesso è stata meta di migrazioni, anche interne. Per uscire da questi “impasse”, Enzo Moavero Milanesi auspica l’avvento di una nuova fase di iniziative politiche, sulla scia dell’azione di Robert Shuman, iniziatore del processo di integrazione europea. Allo stesso modo in cui il Ministro degli Esteri francese firmò con i tedeschi, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il patto della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, così oggi dobbiamo essere in grado di trovare alternative all’approvvigionamento energetico, un nodo ancora irrisolto che spesso vanifica il senso delle sanzioni contro la Russia. La Comunità Europea deve porsi come mediatore credibile nella crisi russo-ucraina, trovando un piano funzionale ed efficiente per far fronte alla crisi migratoria. A questo scopo è fondamentale sviluppare un’identità unica, a livello legale e a livello sociale, considerando l’Unione Europea quale un attore internazionale forte, capace di dimostrare di aver acquisito maturità e strumenti per difendere coloro che condividono i medesimi principi etici.
Secondo Mario Mauro il problema dell’Europa è sia istituzionale, sia di definizione delle politiche comunitarie. I cinque punti su cui si gioca il futuro dell’Europa sono rappresentati dalla crisi demografica, dai flussi migratori (in particolare l’immigrazione), dall’allargamento della propria area e dalla strategia di crescita economica e dalla politica estera e di difesa. Tutti questi nodi sono collegati tra loro da un minimo comune denominatore, l’identità dell’Europa. Mario Mauro ritiene che l’Europa debba ripartire proprio dai valori su cui è stata fondata, dai risultati finora raggiunti e da una buona dose di realismo, superando il fondamentalismo, la pretesa di assolutizzare un’idea come pretesto per un progetto di potere, e il relativismo, vale a dire il ritenere che tutte le opinioni siano vere allo stesso modo. Per risolvere la questione dell’immigrazione risulta evidente che una risposta efficace possa provenire solo da un percorso di ricerca di queste identità, gestendo e integrando i flussi migratori e proponendo un nuovo modello culturale di civiltà.

Mara Martellotta

Riccardo Muti, al Regio il “Don Giovanni” fino al 26 novembre

STAGIONE D’OPERA E DI BALLETTO 2022

DON GIOVANNI
Riccardo Muti dirige il nuovo allestimento
del capolavoro di Mozart

La regia è firmata da Chiara Muti

Teatro Regio, dal 18 al 26 novembre 2022

Nei giorni scorsi al Teatro Regio, è stata presentata la nuova produzione del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart.

All’incontro hanno partecipato il Maestro Riccardo Muti, la regista Chiara Muti, il Sovrintendente del Teatro Regio Mathieu Jouvin, il Direttore artistico Sebastian F. Schwarz, il Condirettore Generale di Reale Mutua Massimo Luviè e gli interpreti dell’opera.

Nella foto: il Maestro Riccardo Muti nella platea del Teatro Regio (Foto Silvia Lelli – © Teatro Regio Torino)
Il “mito della musica” Riccardo Muti torna al Regio per dirigere Don Giovanni, leggendario capolavoro di Wolfgang Amadeus Mozart. Il Maestro Muti sale sul podio dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio e mantiene fede alla promessa del febbraio 2021 quando, nel salutare il Teatro, espresse un commosso apprezzamento: «avete dimostrato di essere molto al di sopra dell’ottimo, di essere un’eccellenza importante non solo di Torino, ma anche dell’Italia».

Chiara Muti firma la regia di questo nuovo allestimento realizzato in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo. Protagonista delle cinque recite dal 18 al 26 novembre è un cast di altissimo livello: Luca MichelettiJacquelyn WagnerMariangela SiciliaGiovanni SalaAlessandro LuongoFrancesca Di SauroLeon Košavić e Riccardo Zanellato. La nuova produzione di Don Giovanni è sicuramente lo spettacolo di punta della Stagione 2022 del Teatro Regio ed è un appuntamento molto atteso a livello internazionale.

Reale Mutua, che da anni è accanto al Teatro e ne sostiene l’attività con impegno e passione, è sponsor della produzione di Don Giovanni. «Da sempre siamo impegnati nel supportare e diffondere la cultura come fattore di crescita e sviluppo per l’individuo e la collettività, sostenendola nelle sue molteplici forme – dichiara Massimo Luviè Condirettore Generale di Reale Mutua – siamo pertanto orgogliosi che la nostra Società sia a fianco anche quest’anno di uno dei teatri più prestigiosi del panorama artistico e musicale internazionale, partecipando alla stagione operistica 2022 con il Don Giovanni, diretto dal grande Maestro Riccardo Muti,  presente per il secondo anno consecutivo nella nostra Città e punto di riferimento per tutti coloro che hanno nel cuore la musica classica».

Il Coro del Teatro Regio è istruito da Andrea Secchi. Le scene sono di Alessandro Camera, i raffinatissimi costumi di Tommaso Lagattolla e le luci di Vincent Longuemare. Maestro al fortepiano è Alessandro Benigni.

«Mozart diceva che la musica più profonda è quella che si nasconde tra le note. È un’idea incredibile: tra una nota e l’altra, anche se strettamente legate, c’è l’infinito. Il Mistero è lì, in quello spazio che racchiude l’universo». Così Riccardo Muti – nel suo libro L’infinito tra le note. Il mio viaggio nella musica (Solferino, 2019) – fa proprie le parole del compositore del Don Giovanni per illustrare la dimensione più profonda dell’arte musicale. Il Maestro Muti è senza dubbio uno dei più prestigiosi direttori al mondo, “l’apostolo del mito italiano” (come lo definì il giornalista Lorenzo Arruga), la sua brillante carriera e la personalità magnetica ne fanno costantemente fonte di ispirazione e fascino. Come inossidabile resiste ancora oggi, il fascino di Don Giovanni, ben oltre ormai il suo archetipo letterario.

Mito immortale del seduttore per antonomasia, Don Giovanni è molto più di un personaggio: è l’incarnazione del desiderio infinito. Attorno a lui ruotano come in un vortice tutti i personaggi, e risuonano alcune delle musiche più belle e potenti che siano mai state scritte. Ma lui, il protagonista, ha solo due arie, velocissime, cortissime, perché è troppo indaffarato a corteggiare e sedurre tutte “pel piacer di porle in lista”; corre, nella sua ultima giornata di vita, verso l’Inferno.

Nella foto: la regista Chiara Muti (Foto Andrea Macchia – © Teatro Regio Torino)
«Don Giovanni non esisterebbe senza donne! Deve alle sue prede il nome che porta – racconta la regista Chiara Muti – Le dodici entità che deambulano in scena sono le ombre del rimorso di Don Giovanni, o meglio quello che vanno cercando invano torturandosi senza pace e che vorrebbero veder balenare nel profondo dei suoi occhi sfuggenti, per liberarsi dall’umiliazione d’essere, un giorno, state sue vittime. Il mito che incarna l’ha reso immune, l’archetipo che rappresenta l’ha liberato dai fili a cui sono ancorati tutti gli altri, e nessun timore di Dio riuscirà mai ad ammaestrarlo!». Prosegue Chiara Muti: «Mozart ha lasciato Don Giovanni senza una vera aria, perché egli vive negli altri… Non ha tempo da perdere e corre dritto incontro al suo destino. Gli altri, invece, sono comprimari inconcludenti, aspiranti protagonisti. Anna, per esempio, che si dispera per la morte del padre, lo fa in maniera affettata, priva d’ogni spontaneità – e mi fa venire in mente la Desdemona agonizzante e compiaciuta di Laura Betti in Che cosa sono le nuvole? di Pasolini, geniale affresco sulla condizione umana».
Nella foto: la regista Chiara Muti e Luca Micheletti, interprete di Don Giovanni, durante le prove (Foto Andrea Macchia – © Teatro Regio Torino)
Omaggio dunque a Pasolini, a cento anni dalla nascita, e poi anche a Molière, a quattrocento anni dalla nascita, spiega Chiara Muti: «in una scena desolata il nostro eroe, solo come un condannato, attende seduto su quella sedia che accompagnò Molière nei suoi ultimi istanti di teatro. Omaggio al suo genio, che sublimò Don Giovanni rendendolo immortale. Un’ombra smisurata irrompe sulla scena, la coscienza di pietra chiede d’essere ascoltata! Esige un pentimento. Può Don Giovanni rinnegare se stesso? Come già fece il vile Faust davanti alle porte dell’Inferno? Mai! La salvazione sarebbe per lui una sconfitta. In quei “no” irati, ripetuti ad oltranza, vige il mito di Don Giovanni. L’ombra sembra rinunciare alla sua impresa di redenzione! Saranno le donne la sua condanna… Costretto a guardarsi dentro… e veder riflessa la sua immagine così come la vedono le sue vittime e doverne sostenere lo sguardo… I loro occhi bruciati dal pianto ficcati come dardi nei suoi. Il mistero di ciò che si è realmente è insostenibile… L’incantesimo dell’invulnerabilità al rimorso si spezza… Don Giovanni sprofonda all’Inferno. Ma per poco, e lo sa…
Il male riconosce il male e l’elegge suo ambasciatore sulla terra».Il Don Giovanni sarà diffuso in diretta giovedì 24 novembre alle ore 20 su Rai Radio3; la trasmissione sarà condotta da Susanna Franchi.

Per desiderio del Maestro Riccardo Muti e del Sovrintendente Mathieu Jouvin, il Teatro Regio devolve l’incasso della prova generale di mercoledì 16 novembre alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus di Candiolo.

DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus MozartPersonaggi e interpreti
Don Giovanni baritonoLuca Micheletti
Donna Anna sopranoJacquelyn Wagner
Donna Elvira sopranoMariangela Sicilia
Don Ottavio tenoreGiovanni Sala
Leporello bassoAlessandro Luongo
Zerlina mezzosopranoFrancesca Di Sauro
Masetto baritonoLeon Košavić
Il Commendatore bassoRiccardo Zanellato

Maestro al fortepiano: Alessandro Benigni

Magliano: “Pronto soccorso del Mauriziano al collasso”

Sovraffollamento, attese di ore e medici in fuga dalla struttura di corso Turati a Torino: cosa farà la Giunta in merito? Lo chiederò  in Consiglio Regionale con un Question Time.

Il Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino – uno dei principali Pronto Soccorso di Torino e del Piemonte – è al collasso: una situazione alla quale si è giunti a causa di diversi fattori: porterò il tema in Aula, con un Question Time che ho presentato. Chiederò quali misure intenda attuare la Giunta Cirio per risolvere le principali criticità: sovraffollamento, lunghe attese e abbandono da parte di un gran numero di medici. Anche in largo Turati si sta verificando una dinamica comune ad altre strutture: il Pronto Soccorso, cioè, tende a funzionare sempre più come un reparto ospedaliero, con pazienti che restano giorni in attesa di essere ricoverati. I pazienti sono aumentati e i posti letto non bastano (nel decennio 2010-2020 sono stati tagliati a livello regionale oltre 2mila posti letto per acuti, 173 in riabilitazione e 440 in lungodegenza). Il numero di sanitari è calato, negli stessi anni, da quasi 60mila a poco più di 55mila unità. I carichi di lavoro delle Centrali Operative stanno seguendo la tendenza opposta, con una media giunta ormai alle mille chiamate giornaliere e picchi di oltre 1.200 (25 luglio 2022). Dati inequivocabili, che fotografano una situazione a danno dei piemontesi: i tempi di ricovero raggiungono spesso, e talvolta superano, i 4 giorni. Il personale, scarso per numero, è sempre più provato e demotivato. Le condizioni di sovraffollamento rendono ulteriormente difficile rispettare i tempi di rivalutazione del paziente in attesa di visita. Sono urgenti interventi strutturali per migliorare le condizioni di lavoro nei Pronto Soccorso: è necessario l’aumento dei posti letto per pazienti ed è cruciale l’assunzione di adeguato personale. Riteniamo che la distribuzione di barelle nei reparti e la riconversione di degenze specialistiche in aree di attesa per i pazienti possano essere solo scelte emergenziali, in caso di improvviso e massiccio iperafflusso, ma non possano certamente rappresentare proposte concrete di gestione quotidiana dell’attesa di ricovero dei pazienti in DEA. In aula interrogherò la Giunta per sapere in che modo si intenda agire per permettere ai Pronto Soccorso del territorio piemontese e in particolare quello del Mauriziano di Torino di garantire ai cittadini un servizio pienamente funzionale ed efficiente.

Silvio Magliano – Presidente Gruppo Consiliare Moderati, Consiglio Regionale del Piemonte.

Con i “Più” in arrivo 113 milioni di euro per la qualità urbana di Torino

Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo è intervenuto nella seduta del 21 novembre 2022 della Prima Commissione, presieduta da Anna Borasi (PD) per illustrare i progetti dei Piani Integrati Urbani (Più) finanziati dal Pnrr alla Città Metropolitana di Torino, per favorire l’inclusione di tutte e tutti.

Si tratta di 223 milioni di euro di finanziamenti, di cui 113 a Torino, che fanno parte della Missione 5 – Componente 2 del Pnrr. I 113 milioni finanzieranno complessivamente 36 progetti tematici a Torino, che partono dalle biblioteche di quartiere e riguardano tutta la città, da nord a sud – ha spiegato il sindaco.

I lavori dovranno essere aggiudicati entro il 30 luglio 2023, il 30% di avanzamento lavori (sal) è previsto entro il 30 settembre 2024, mentre la conclusione entro il 30 giugno 2026.

Sono stati chiesti anche altri 18 milioni di euro per gli aumenti dei costi.

Si tratta di interventi di manutenzione, ma anche per favorire inclusione e protagonismo di cittadine e cittadini, per incrementare la qualità urbana di Torino.

Quattro sono gli obiettivi dei Piani: culture, accessibilità, inclusione e partecipazione.

Si tratta di integrare la città fisica con le persone – ha precisato Stefano Lo Russo.

Verrà favorita la digitalizzazione delle biblioteche – hanno spiegato gli Uffici comunali – e verrà potenziato il servizio Bibliobus, con l’acquisto di nuovi mezzi di trasporto per avere ulteriori presidi culturali in città.

È prevista la manutenzione di centri di protagonismo giovanili e di spazi sociali.

Particolare attenzione verrà data all’abbattimento di barriere architettoniche e anche alle zone verdi esterne alle biblioteche, alle aree mercatali e agli impianti sportivi (tra cui lo stadio Primo Nebiolo).

In via Foligno 10 verrà creata una nuova casa di accoglienza sociale.

Saranno riqualificati anche alcuni edifici scolastici.

Nel dibattito in Commissione, la consigliera Alice Ravinale (Sinistra Ecologista) ha chiesto di approfondire il tema dell’accompagnamento alla progettazione degli interventi, per favorire il coinvolgimento della cittadinanza e delle Circoscrizioni.

Ludovica Cioria (PD) vorrebbe avere notizie sulla possibile riapertura della sede anagrafica in passato ospitata all’interno della biblioteca Carluccio.

Caterina Greco (PD) vorrebbe ragionare su nuovi modelli di gestione delle biblioteche, Lorenza Patriarca (PD) sul rapporto con il sistema scolastico cittadino e metropolitano e Tiziana Ciampolini (Torino Domani) sugli effetti durevoli degli interventi.

Pierlucio Firrao (Torino Bellissima) ha sollecitato interventi sulla Biblioteca Geisser.

Giusto progettare per tempo, ma serve valorizzare il futuro coinvolgimento della cittadinanza nella fruizione delle biblioteche, secondo Alberto Saluzzo (PD).

Nadia Conticelli (PD) ha chiesto maggiori informazioni sugli interventi infrastrutturali nelle biblioteche, che devono essere un’occasione per lavorare di più con i giovani e le reti di associazioni e per incrementare l’orario di apertura degli spazi.

Ragioniamo sulle aree su cui occorre intervenire maggiormente per favorire l’inclusione – ha suggerito Luca Pidello (PD).

“Qualche volta un uomo deve svegliarsi per scoprire che veramente non ha nessuno“

Music Tales, la rubrica musicale 

qualche volta un uomo deve svegliarsi per scoprire

che veramente non ha nessuno

cosi ti aspetterò… e brucerò

vedrò mai il tuo dolce ritorno?

imparerò mai?”

Questa è la storia di un artista che è entrato nelle acque del Mississippi per un rito di
purificazione e così facendo è uscito dalla storia ed è entrato nella leggenda.

JeffBuckley è bello come un sole, ma ha ereditato da suo padre il lato oscuro della luna.

Suo padre era TimBuckley, un genio assoluto, uno che fu per la voce quello che JimiHendrix fu per la chitarra, CecilTaylor per il piano e Coltrane per il sax.

Portò la voce a vette di sperimentazione mai raggiunte prima per poi scomparire a 28 anni, per overdose di eroina e alcol.

Al suo funerale c’erano tutti, ma non Jeff, che viveva con la madre e aveva visto il padre una sola volta, ma che aveva nel suo Dna le medesime
dannazioni.

Jeff Buckley adesso ha trent’anni, ha incantato il mondo con Grace, un disco commovente e bellissimo.

Sta lavorando al seguito, in uno studio di Memphis. è il 27 maggio 1997.

Tira vento, minaccia pioggia.

Jeff si ferma con un amico, Keith Foti, sulle rive del Wolf River, un affluente del Mississippi.

Lo stereo portatile trasmette “Whole Lotta Love” dei LedZeppelin.

Jeff canta a squarciagola il ritornello, poi entra in acqua.

Vestito, senza nemmeno togliersi gli stivali pesanti.

Non è la prima volta.

È come un rito di purificazione.

Gli piace sentire gli abiti che si attaccano alla pelle, camminare e poi cominciare a nuotare.
Foti rimane a riva. Passa un battello. Urla a Jeff di stare attento, poi si volta per mettere lo stereo al riparo.

Quando si gira di nuovo verso l’acqua, Jeff è scomparso.

Lo ritroveranno una settimana più tardi, impigliato nei rami di un albero, sotto uno dei ponti di Beale Street, la strada principale di Memphis, quella che aveva benedetto
mille artisti ma non lui, che aveva cercato attraverso un rito di purificazione di trovare qualcosa e invece aveva perso tutto. Per fortuna non si è persa la sua musica, rimane nell’universo, insieme a quella di chi ha lasciato un segno,

anche se per troppo poco tempo.

Povero Buckley, con la sua voce così perfettamente inarcata tra le parole, così tesa all’unità. L’unità cui alludo è quella armonica, la capacità di ricogliere il molteplice, Così, se anche l’esistenza dell’artista sfiorì in fretta tra le acque, una voce nell’armonia continua a risonare.

Lover, You Should’ve Come Over” esemplifica quanto scrivo; il brano disegna un affresco della mancanza – della tensione di Buckley verso ciò che si sottrae.

La parola colma i vuoti svelati dall’attesa, riassumendoli nell’immagine della lover evocata, ma, maledizione, mai presente.

L’unità dell’amore che lascia il passo ad una solitudine assordante.

Siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma, esistenzialmente,

sempre più soli.”

Ascoltate, non associate un cosi grande artista ad una sola , trita e ritrita, canzone…sapete di che parlo.

CHIARA DE CARLO

https://www.youtube.com/watch?v=HxfE6PJmGS8&ab_channel=jeffbuckleyVEVO

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