ilTorinese

Il progetto di Leonardo Elicotteri “Cresciamo Insieme”

Sviluppare una solida rete di fornitori italiani per il rafforzamento della filiera dell’aerospazio della divisione Elicotteri di Leonardo consolidando, rafforzando e integrando le capacità e le competenze distribuite sul territorio e nelle Pmi per affrontare, attraverso partnership strategiche, la crescita del mercato globale e le nuove competizioni che in esso si stanno generando. È l’obiettivo del progetto di Leonardo Elicotteri denominato “Cresciamo Insieme” e che mira a coinvolgere oltre 600 aziende di 8 regioni italiane. Il progetto è stato presentato oggi presso la Sala Trasparenza della Regione Piemonte dove si è svolto il primo incontro del percorso di selezione delle candidature per il conseguimento dei requisiti necessari all’inserimento nel nuovo elenco fornitori. Il processo di definizione delle imprese che entreranno a far parte della catena di fornitura di Leonardo Elicotteri è previsto che sia concluso entro la fine dell’autunno.

“La Regione Piemonte crede molto nel settore dell’aerospazio ed è impegnata fortemente nella valorizzazione della filiera – ha affermato l’Assessore alle Attività Produttive, Andrea Tronzano – iniziative come quella odierna possono dare alla nostra economia gli stimoli necessari per aumentarne la competitività.”

Durante l’incontro, il management della divisione Leonardo Elicotteri ha voluto dare evidenza delle sfide produttive legate alla significativa crescita degli ordini nel mercato elicotteristico mondiale e delle esigenze ad essa legate in termini di sviluppo di fonti complementari e quindi di capacità di fornitura da parte delle imprese. Piero Rancilio, Financial Director di Leonardo Elicotteri: “Le opportunità per la catena di fornitura italiana sono l’accesso a potenziali forniture per 1,3 miliardi di euro, con una crescita prevista fino a 1,7 miliardi di euro entro il 2028 che al momento vengono in buona parte procurate all’estero.

L’obiettivo è creare un’ulteriore risorsa di fornitura totalmente italiana che possa garantire una supply chain fluida a supporto dell’evoluzione tecnologica e della complessità logistica richiesta dalla Divisione Elicotteri di Leonardo”. Giuseppe Corcione, SVP Procurement & Supply Chain di Leonardo Elicotteri: “Le Pmi che coglieranno questa sfida comune potranno contare sul nostro sostegno: metteremo a disposizione tempo e risorse per accompagnare le singole imprese lungo il percorso di qualificazione e certificazione, notoriamente oneroso e complesso. Questo travaso di competenze tecnologiche, che dalla grande azienda verranno trasferite alle piccole e medie imprese, sarà cruciale per favorire un’espansione futura delle aziende italiane anche nei mercati aerospaziali internazionali”

IA, Canalis (Pd): “A Torino un Cern europeo”

L’urgenza di investire sull’innovazione confermata anche nel rapporto Draghi. Torino ha l’ecosistema ideale.

 “Un massiccio investimento pubblico, un miglioramento della formazione e la creazione di un CERN europeo dell’intelligenza artificiale, open e improntato alla cooperazione scientifica sovranazionale. È la proposta richiamata ieri a Torino, nel corso del dibattito sull’Intelligenza Artificiale alla Festa dell’Unità, ispirandosi al CERN di Ginevra.

La proposta di un CERN europeo sull’IA, formulata dal Forum “Democrazia Etica Digitale” e consegnata al Partito Democratico, indica che le grandi opportunità dell’IA non sono assicurate dalla sola ricerca orientata dagli interessi privati e che i rischi non possono essere contenuti solamente dai pur importanti interventi normativi.

Servono politiche attive pubbliche, in grado di favorire lo sviluppo di tecniche e strumenti concreti ideati e realizzati per massimizzare il bene pubblico.

Per la piena attuazione delle opportunità delle tecnologie dell’IA e l’effettivo contenimento dei rischi serve un investimento pubblico nelle attività di ricerca e sviluppo comparabile a quello degli Stati Uniti e della Cina; investimento che nessun paese può mettere in campo con esclusive risorse proprie.

La proposta del Forum è stata preparata da un gruppo di studiosi tra cui, presente al dibattito di ieri, Pietro Terna, già professore ordinario di economia dell’Università di Torino.

Proprio Torino, città nel cuore dell’Europa, dove sta muovendo i primi passi l’Istituto Italiano sull’Intelligenza Artificiale per l’Industria ai4i, può essere la sede ideale per il nuovo CERN, cui Draghi ha dedicato un richiamo preciso nel suo documento per la competitività europea, proponendo un: “Coordinamento dello sviluppo dell’AI a livello dell’UE, attraverso un “incubatore di AI simile al CERN”, in quanto lo sviluppo di verticali di IA richiede un forte coordinamento tra più attori, compresi gli sviluppatori di IA, le organizzazioni di ricerca e tecnologia e gli operatori industriali”.

Chiediamo al Presidente Cirio di fare sua questa proposta, rilanciandola con il Governo Meloni e inserendola nella relazione su IA, PA e impresa che dovrà consegnare entro novembre a Bruxelles al Comitato delle Regioni.

Il tema è di tale urgenza da imporre un cambio di passo.

Monica CANALIS – vice presidente della commissione lavoro e economia del Consiglio Regionale del Piemonte

Molinette, prima volta in Europa: robot chirurgo opera da sveglia una donna con tumore al rene

Per la prima volta in Europa è stato asportato un rene colpito da un grosso tumore in una paziente operata da sveglia. L’intervento è stato effettuato grazie al sistema robotico di ultima generazione da Vinci Single Port ad unico accesso, presso la Clinica Urologica dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. Alla signora, di 76 anni, era stato recentemente diagnosticato un tumore del rene destro di 8 cm.. L’unica possibilità di cura era rappresentata dall’asportazione del rene in modo radicale.
La signora era però affetta anche da un altro importante problema di salute: una insufficienza respiratoria grave, che la costringeva a vivere attaccata ad una bombola di ossigeno con necessità di frequenti ricoveri ospedalieri. A complicare il quadro già complesso inoltre vi era una severa obesità.
Gli anestesisti che hanno valutato la paziente l’avevano dichiarata da subito inoperabile, perché il suo fisico non avrebbe retto un’anestesia generale, necessaria per questo tipo di intervento. Unica alternativa era tentare l’intervento con un’anestesia locoregionale, in grado di anestetizzare la zona da operare, mantenendo la paziente in stato di coscienza (sveglia). Per aumentare le probabilità di riuscire nell’intento occorreva però utilizzare la tecnica chirurgica “meno invasiva possibile”, cioè in grado di minimizzare il trauma chirurgico, ma nello stesso tempo garantire l’efficacia oncologica (asportazione completa del tumore).
La Clinica Urologica dell’ospedale Molinette di Torino (diretta dal professor Paolo Gontero), nonostante un’ampia esperienza con all’attivo numerosi casi di pazienti molto al limite dell’impossibile, si trovava in difficoltà per questo caso così complesso anche per le dimensioni del tumore, che, unitamente all’obesità, rendeva l’intera massa da asportare di dimensioni straordinarie.
Il problema è stato risolto grazie all’utilizzo del sistema robotico da Vinci Single Port, una tecnologia di ultima generazione ad unico accesso, recentemente acquisita grazie al supporto della Fondazione CRT. Questa soluzione ha permesso di operare con una sola porta di lavoro di 2,5 cm, contenente 4 strumenti miniaturizzati che vengono inseriti nell’addome mediante un singolo taglio. Rispetto ai sistemi Multi Port, ampiamente utilizzati e che rimangono il gold standard in numerosi interventi, il Single Port è particolarmente indicato in casi in cui ridurre ulteriormente l’invasività tramite un accesso alternativo sia cruciale per il paziente.
“La scelta del sistema robotico da Vinci Single Port si è rivelata la strategia vincente, poiché la finezza dei suoi 4 strumenti che vengono azionati dall’operatore come i tentacoli di un polipo, ha consentito di minimizzare il trauma chirurgico, riducendo così gli stimoli dolorosi traumatici alla paziente, e garantendo al contempo grande precisione nei movimenti e rapidità d’azione” afferma il professor Paolo Gontero, che ha effettuato l’intervento, coadiuvato dal dottor Daniele D’Agate. “L’intervento è stato reso possibile solo dal connubio tra la nuova tecnologia mini invasiva, che ha reso possibile asportare una grossa massa utilizzando una porta di accesso di pochi centimetri, ed una eccellente équipe anestesiologica specializzata in questa tipologia di anestesia” prosegue il professor Gontero. L’intervento ha visto la fondamentale collaborazione del dottor Giulio Rosboch e del dottor Edoardo Ceraolo dell’équipe anestesiologica universitaria diretta dal professor Luca Brazzi e dell’équipe infermieristica di sala operatoria, coordinata dalla dottoressa Filippa Converso. La paziente è stata dimessa in buone condizioni dopo soli 3 giorni di ricovero.
Un progetto di ricerca che vede anche la partecipazione del professor Mario Morino (Direttore della Clinica Chirurgica universitaria dell’ospedale Molinette) per un utilizzo multidisciplinare in chirurgia oncologica.
“Una nuova frontiera della chirurgia che concilia l’aspetto tecnologico e le professionalità mediche per un nuovo traguardo raggiunto, che conferma per l’ennesima volta le eccellenze della nostra Città della Salute” dichiara il dottor Giovanni La Valle (Direttore generale della Città della Salute di Torino).

Lucia Musti nuovo procuratore generale di Torino

Cerimonia di insediamento presso l’Aula Magna Fulvio Croce del Tribunale di Torino per Lucia Musti, da ieri alla guida della Procura Generale di Torino, dopo Francesco Saluzzo, in pensione da diversi mesi.  Il nuovo procuratore generale ha 66 anni, è stata  reggente alla Procura generale di Bologna e alla Procura della Repubblica di Gela. Tra le sue priorità la lotta alla criminalità organizzata. Ad accoglierla in tribunale i suoi predecessori Caselli, Saluzzo e Maddalena. 

Senior housing? Presenti!

Da anni siamo abituati a sentire parlare di RSA, di strutture per anziani non autosufficienti o, se sufficienti, comunque soli e bisognosi di cure.

In realtà la distinzione è netta, in funzione del grado di autonomia del paziente, ma proprio per questo la realtà va adattata al soggetto.

Già da alcuni anni, almeno per i più giovani, sono nate le cosiddette cohousing cioè abitazioni condivise sia per ridurre l’impatto economico (ma è l’aspetto minore) che per condividere spazio e tempo, cioè vivere insieme, pur senza alcun vincolo affettivo.

Se applichiamo lo stesso concetto agli anziani rimasti soli ecco che assistiamo al senior housing, cioè ad una forma di cohousing studiata per la terza età.

La Regione Piemonte è stata probabilmente la prima a formulare questa iniziativa, forte della consapevolezza che gli anziani sono in aumento ma che non tutti arrivano al traguardo con il coniuge o altre persone (familiari/amici) che possano tenere loro compagnia.

Ecco, pertanto, che le già conosciute RA, o Residenze per anziani, strutturate in camere singole dotate di toilette aventi in comune solo il refettorio, il cortile, la sala TV si trasformano in strutture dotate di due/tre camere più cucina e bagno per ogni nucleo; in molti casi gli ospiti sono liberi di uscire durante il giorno e, dunque, ridurre la percezione di abbandono o di inutilità che spesso accompagna il cambio di stile di vita.

Di fronte a società in cui la componente over 65 aumenta ogni anno, con nuclei familiari senza figli (e spesso senza altri familiari) il problema della solitudine, anche in assenza di patologie invalidanti, diventa prioritario se vogliamo definirci una società civile, in cui il welfare sia tenuto nella giusta considerazione, il capitolo della spesa pubblica contempli correttamente queste residenze, viste anche come supporto a situazioni di disagio e di solitudine che potrebbero essere prodromiche a patologie di natura psicologica.

Nei Paesi del nord Europa, da decenni la terza età è considerata con un occhio di riguardo sia per il ruolo svolto nella società durante l’età lavorativa sia come dovere sociale per chi ha contribuito alla spesa pubblica con il pagamento delle tasse.

Noi, che siamo probabilmente fanalino di coda almeno in Europa, solo ora ci accorgiamo di quanti siano gli anziani bisognosi (ma anche quelli desiderosi) di una sistemazione che non li penalizzi dal punto di vista emotivo, abitativo e relazionale.

Considerando che il costo medio di un posto in RSA si aggira sui 3000 euro a persona al mese, appare evidente come il fenomeno assuma rilevanza sociale, stante l’importo medio di una pensione, il numero di percipienti una c.d. pensione sociale, il numero sempre maggiore di invalidi e, dunque, come lo Stato attraverso le Regioni debba considerare forme alternative di ospitalità per quanti non possano restare in una famiglia tradizionale.

Nel Comune nel quale sono Sindaco stiamo valutando il fenomeno terza età nella sua interezza proprio per valutare con ampio anticipo l’evolversi del problema, di concerto con urbanisti, architetti, psicologi e medici al fine di farci trovare preparati quando il fenomeno, se non vi sarà un’inversione di tendenza, assumerà dimensioni socialmente importanti.

L’invito che mi sento di rivolgere a imprenditori, enti locali, associazioni è di orientarsi verso questa forma di socializzazione dove gli ospiti abili potranno contribuire manualmente al mantenimento della struttura sentendosi attivi, importanti e partecipando attivamente alla vita della loro microcomunità.

Come effetto secondario, non meno importante, avremmo una riduzione dei costi di gestione (e, quindi, di partecipazione) con ricaduta positiva sul costo effettivamente sostenuto dagli ospiti o, se la struttura è convenzionata, dalla Sanità regionale, a vantaggio della spesa pubblica.

Sergio Motta

Una collaborazione tra Torino e Savona per migliorare i collegamenti tra le due città

Il sindaco Stefano Lo Russo ha incontrato a Palazzo Civico il primo cittadino di Savona Marco Russo. L’incontro, fissato prima dell’estate, è stato dedicato ad affrontare il complesso tema delle criticità infrastrutturali, sia su gomma che su rotaia, ostacolo dei collegamenti tra la nostra città e il Savonese. Era stato proprio il sindaco di Torino, nei mesi scorsi, a sollevare il problema e la necessità di affrontarlo al più presto riscontrando subito la disponibilità del collega ligure.

“Il collegamento tra i nostri due territori – ha ribadito Stefano Lo Russo nel corso dell’incontro – è cruciale per il loro sviluppo. Uno sviluppo che passa necessariamente attraverso connessioni funzionali e una rete infrastrutturale e di trasporti efficiente e moderna, in grado di supportare i progetti di crescita legati sia al comparto industriale che a quello turistico e culturale”.

“Da tempo – ha spiegato Marco Russo – sostengo l’importanza, non solo per Savona ma per l’intero Ponente Ligure e l’intero sistema regionale, di un collegamento tra le nostre due città. Basta pensare al porto e alla logistica, al comparto industriale savonese e allo sviluppo turistico per rendersi conto di ciò e non è un caso che il nostro progetto di Capitale della Cultura sia orientato a una nuova visione di Nord Ovest. E’ molto importante che questa impostazione sia condivisa anche dal sindaco del capoluogo piemontese e che quindi si avvii una stretta collaborazione che, a partire dalle città, sappia coinvolgere l’intero sistema territoriale. Felice la coincidenza con il compimento dei 150 anni della ferrovia Torino-Savona”.

Un’unione di intenti che, nelle intenzioni espresse oggi dai due Sindaci, si tradurrà, nelle prossime settimane, nell’avvio di un confronto con la Città Metropolitana torinese, la Provincia savonese, le associazioni datoriali e le parti sociali per raccogliere le istanze da rivolgere al Governo e ai gestori delle rete infrastrutturali che collegano le due città.

TORINO CLICK

Guercino, ultimi giorni: “più di qualsiasi altro fosse nato Pittore, e fatto dalla Natura”

Nelle sale di Palazzo Chiablese, sino al 15 settembre 

Più di cento opere, tra disegni e oli, provenienti da oltre trenta importanti musei e collezioni – ad iniziare da quell’”Autoritratto” introduttivo, un uomo di quarant’anni fiero di (rap)presentarsi elegante nel proprio abbigliamento che sottolinea il prestigioso status sociale, esempio raro lontano dal seguire la produzione senza posa, un po’ troppo spavalda, di un Rembrandt ad esempio, ricavato dalla Schoeppler Collection londinese: e poi dai Musei di Cento, la città natale, Genova con i Musei di Strada Nuova e Firenze con Uffizi e Pitti, dai Musei Reali di Torino, che per l’artista hanno un vero e proprio culto, e Modena e Bologna, dalla Galleria Borghese di Roma al Monastero di San Lorenzo all’Escorial di Madrid alla Fondazione Cavallini Sgarbi di Ferrara – per ospitare nelle sale torinesi di palazzo Chiablese sino al prossimo 28 luglio la vita e il percorso artistico e il successo di uno degli artisti tra i più acclamati dell’arte seicentesca, Giovanni Francesco Barbieri (1591 – 1666) detto il Guercino, per via di quell’imprudenza che qualcuno fece vicino alla sua culla: “ci fu chi vicino a lui proruppe d’improvviso in grido così smoderato e strano che il fanciullo, svegliatosi pieno di spavento, diedesi a stralunar gli occhi per siffatta guisa che la pupilla dell’occhio destro gli rimase travolta e ferma per sempre nella parte angolare”, come tramanda il biografo.

Curata da Annamaria Bava dei Musei Reali di Torino e da Gelsomina Spione dell’Università degli Studi di Torino – Dipartimento Studi Storici, la mostra “Guercino. Il mestiere del pittore” è suddivisa in dieci Sezioni – i fondali di un rosso e di un blu intensi lasciano emergere con grande importanza ogni opera: magari con qualche mancanza di luce in alcune parti più laterali o inferiori, magari con qualche testo esplicativo posizionato troppo in basso rispetto alla tela dentro cui cade comodamente l’occhio del visitatore -, la mostra guarda non soltanto ad una produzione che non può fare a meno della presenza dei maestri e dei colleghi coevi (Annibale e Ludovico Carracci, Scarsellino, Agostino Tassi, Domenichino, Guido Reni, Cesare Gennari) ma pone al centro dell’esposizione, in un cammino ben concatenato, il mestiere del pittore nel Seicento: i sistemi di produzione, l’organizzazione della bottega, le dinamiche del mercato e delle committenze, i soggetti più richiesti. Come non può fare a meno della figura di Paolo Antonio Barbieri, fratello dell’artista e pittore egli stesso, specializzato nelle nature morte, collaboratore nell’arte (“L’ortolana”, da una collezione privata, esempio di collaborazione, il personaggio del Guercino a contare l’incasso dell’uno, pronto l’altro a predisporre la bilancia e gli asparagi, i grappoli d’uva e i fichi, i funghi e le prugne) e nell’andamento della vita di ogni giorno, grazie al Libro dei conti arrivato sino a noi (è custodito a Bologna presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio), avviato nel 1629, in cui sono scrupolosamente registrati il titolo onorifico e il nome dei committenti, la provenienza, i soggetti dei dipinti e la spesa totale convertita da ducatoni in scudi, riassumendo ad ogni fine anno il conteggio del denaro riscosso per i quadri, le spese per la casa e il mantenimento della famiglia.

Il libro ci catapulta felicemente – e la mostra ne offre piena e godibilissima testimonianza – in un’epoca lontana, nelle stanze del lavoro, nelle necessità, nelle tariffe di questo e di quell’artista, legate alla celebrità e al successo, in quelle committenze che più o meno annualmente numerose arrivavano dai privati e dal mondo religioso, dai borghesi e dai nobili, dai pontefici: “Dal Libro emerge l’ampiezza della produzione dell’atelier e il suo sistema per definire il prezzo delle opere con il ricorso a un tariffario fisso: una figura intera costava 100 ducatoni, una mezza figura 50 e una testa 25, utilizzando una programmatica impostazione economica che poteva però subire degli adattamenti in base ai committenti e agli intermediari e che varia notevolmente nel corso della carriera artistica del Guercino. Incideva sul prezzo delle opere anche il materiale e la scelta dei colori utilizzati, alcuni dei quali particolarmente costosi e prestigiosi come le lacche e il blu di lapislazzuli”, illustrano le curatrici.

Importante, nel 1616, mutando le raffinatezze legate alla rappresentazione del paesaggio (un esempio per tutti, il “Concerto campestre”, un olio su rame dalla pregevole composizione, la brigata di giovani musicanti e le presenze femminili da un lato e la natura a essere protagonista dall’altro, tra il fiabesco e il realistico), fu l’apertura dell’”Accademia del nudo” da parte del Guercino, divenuta presto punto di riferimento per molti giovani artisti: capolavoro di quegli anni (1619) è il “San Sebastiano curato da Irene”, proveniente dalla Pinacoteca di Bologna, commissionato da Jacopo Serra, cardinale legato di Ferrara e raffinato mecenate del pittore, promotore di varie opere (capace di “relegare” il pittore nella propria casa, per cui questi si sentì obbligato a rivolgersi in alto nella speranza di poter proseguire verso la corte di Mantova), opera eccelsa di “straordinaria potenza anatomica e scenica”, dove tra luci e ombre dal gruppo di personaggi fuoriesce potente il corpo ferito del santo.

Come importantissimo – in una Cento che in quegli anni è un vivace centro, economicamente e culturalmente, altresì forte della sua posizione strategica tra Bologna e Ferrara – fu l’incontro con padre Antonio Mirandola, arrivato nella piccola città nel 1612 e ponte indiscutibile tra il pittore e i notabili che avevano iniziato a conoscerlo e ad apprezzarlo affidandogli numerosi incarichi. Fu grazie alla mediazione del Mirandola se Guercino entrò in stretto contatto con la prestigiosa famiglia dei Ludovisi: tra il 1617 e il 1618 il pittore eseguirà per il cardinale Alessandro, già nunzio apostolico presso la corte di Torino ed eletto pontefice tre anni dopo con il nome di Gregorio XV, quattro grandi tele, riunite insieme oggi per la prima volta in una delle sale del Chiablese dopo quattrocento anni: “Lot e le figlie” proveniente da San Lorenzo a El Escorial, “Susanna e i vecchioni” prestata dal Prado, la “Resurrezione di Tabita” dalle Gallerie degli Uffizi-Palazzo Pitti e “Il ritorno del figliol prodigo”, di casa nei nostri Musei Reali. Opere da cui appieno emerge il talento dell’artista, la sua padronanza delle forme e del colore, la sua grande teatralità, opere alle quali Ludovico Carracci, chiamato a giudicarle e a valutarle, “attribuirà una valutazione molto alta, degna di un pittore esperto”. Opere, e non soltanto quelle, che porteranno Guercino a Roma, sempre più sotto l’ala protettrice del nuovo pontefice, per occasioni di incarichi importanti presso la corte papale e l’intera nobiltà della capitale.

Da Torino, dalla chiesa di San Domenico, proviene uno dei capolavori della mostra, la “Madonna del Rosario” realizzata nel 1637, omaggio del Ludovisi a Carlo Emanuele I di Savoia, da circa sessant’anni non più spostata dalla sua sede abituale e con emozione posta in extremis nel percorso della mostra. In un perfetto gioco di diagonali, con la Vergine al centro, e un gioco di santi e di angeli e di popolo, la “Madonna” torinese è uno degli esempi più significativi della potenza scenografica e di quell’incanto barocco che hanno contraddistinto gran parte dell’attività artistica del pittore. Come non si dovrà che ammirare, sul finire dell’esposizione, meravigliosamente posta nel medesimo discorso della costruzione scenografica, della pomposa incisività, della maestria nel predisporre e nel “descrivere” i vari personaggi chiamati a popolare l’ambiente, la tela “Damone e Pizia” (1632), proveniente dalla collezione Rospigliosi di Roma, un racconto di congiure e di clemenza sotto la tirannia di Dionisio siracusano che pare esserci trasmesso dall’occhio colloquiante con noi del soldato posto nella parte inferiore della scena, in una suggestivamente cromatica bellezza di abiti e di copricapi e di armature che riportano lo spettatore di oggi all’epoca del Guercino. Quasi un esercito di figure, un esercito d’arte che lascia il visitatore “maravigliato”, autentici colpi d’occhio che fanno parte del secolo della “maraviglia”: allineandoci a quanto scrisse Carlo Malvasia, nel suo “Felsina Pittrice” del 1678: “Sono anche mostruose, e formidabili le falangi de disegni che schierandosi più de gli altri ne più adorni gabinetti, sfidano coraggiosamente qual siasi mai stat’altra leggiadra penna (…), essendo anch’essi que’ del Sig. Gio. Francesco così spiritosi guizzanti, bizzarri, e galanti, che ben danno a conoscere quanto più di qualsiasi altro fosse nato Pittore, e fatto dalla Natura.”

Elio Rabbione

Nelle immagini: Guercino, “Autoritratto”, 1630-32, olio su tela, Londra, Schoppler Collection; “San Sebastiano curato da Irene”, 1619, olio su tela, Bologna, Pinacoteca Nazionale; “Il ritorno del Figliol prodigo”, 1617, olio su tela, Torino, Musei Reali – Galleria Sabauda; “Damone e Pizia”, 1632, Roma, coll. Rospigliosi; “Madonna del Rosario con i santi Domenico e Caterina da Siena”, 1637, olio su tela, Torino, San Domenico (proprietà del Fondo Edifici di Culto gestito dal Ministero dell’Interno).

Casa Ugi, eccellenza torinese per i bambini malati di cancro

/

SCOPRI – To Alla scoperta di Torino

Nel 1980 nasce a Torino l’UGI, una associazione di genitori che sostiene le famiglie con bambini malati oncologici e li supporta, collaborando con l’ospedale infantile Regina Margherita; da circa 20’anni è operativa “Casa UGI” che completa l’assistenza di queste famiglie offrendo loro cure e ospitalità. Oggi abbiamo il piacere di intervistare il Presidente, Prof. Enrico Pira.

D: Buongiorno Prof. Pira, ormai non solo per Torino ma in tutta Italia “Casa Ugi” è un’eccellenza nella cura e nel sostegno dei bambini malati oncologici, qual è la vostra storia e come nasce l’associazione?

R: L’Associazione UGI nasce quale unione fra genitori che hanno avuto esperienza di un tumore infantile in famiglia che si mettono a disposizione di altri genitori con gli stessi problemi; amiamo definirci “genitori per i genitori” perché ovviamente è il genitore che guida le varie fasi della malattia del bambino. Le nostre attenzioni sono sui bambini, col tempo abbiamo fondato “CASA UGI” che è una casa di accoglienza, un dislocamento dell’ospedale.

D: Quindi i ragazzi possono essere direttamente ospitati da voi per fare le cure?

R: Nella fase acuta i ragazzi e le ragazze sono in ospedale, ma nella fase intermedia qualla delle terapie e dei controlli sono qui da noi, abbiamo 21 alloggi disponibili, da poco ne abbiamo creati alti 6 nel centro della città per ospitare famiglie più numerose.

D: Avete uno spazio per la riabilitazione?

R: Sì da circa 4 anni abbiamo messo in funzione Ugi2 dove abbiamo spostato le competenze amministrative per liberare gli spazi di Ugi1 dove abbiamo aperto una web radio che si chiama Radio Ugi, gestita sia da ragazzi guariti, sia da artisti, abbiamo anche una palestra fatta apposta per la riabilitazione dei ragazzi dopo la malattia e che stiamo ora replicando per l’ospedale Regina Margherita utilizzando le donazioni che ci stanno arrivando.

D: Ha fatto notizia la donazione di Francesco Bagnaia, pilota di moto Gp che ha donato i suoi regali di nozze a casa Ugi per devolverli all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Avete sempre bisogno di sostengo e senza risorse economiche non si può fare tutto quello che state facendo.

R: Sì sono fondamentali, spesso derivano da donazioni, lasciti testamentali e negli ultimi anni abbiamo fatto anche dei concorsi ministeriali per vincere i bandi e avere un sostengo economico.

D: Le percentuali di guarigione sono molto alte vero?

R: Le percentuali di guarigione sono del 90% sul totale, se invece andiamo a vedere per singola malattia come quelle del sistema linfopoietico sono anche superiori, questo impone di continuare a lavorare per l’inserimento sociale e poi anche in parte contribuiamo per la ricerca.

D: Voi seguite i bambini anche dopo la malattia?

R: Certo il dopo è fondamentale per bambini e ragazzi, bisogna riuscire a recuperare soprattutto il benessere psicologico, che è una complicanza che spesso incide al 50% quindi organizziamo attività sportive per dimostrare ai ragazzi che sono guariti e che sono uguali a tutti gli altri.

D: Lei ha avuto esperienza con suo figlio se la sente di raccontarla?

R: Sì, ho passato un brutto momento, ma anche lui è stato curato e ora sta bene, subito è scioccante ma poi la voglia di reagire diventa massima sia per il genitore che per il bambino, noi questo vogliamo trasmettere, vogliamo dare la grinta a chi non riesce ad averla perché si può guarire. Grazie Prof. Pira, a lei ed ai suoi collaboratori, siete un’orgoglio per la nostra città e mi permetta di chiudere il nostro incontro con il vostro motto: “Vietato smettere di sognare” perché le prospettive di guarigione devono essere alla portata di tutti.

NOEMI GARIANO

Avviate le celebrazioni dell’ottantesimo della Repubblica partigiana dell’Ossola

Dal dieci settembre sono stati esposti sul balcone del municipio di Domodossola i drappi con i colori delle formazioni partigiane della val d’Ossola: verde per le divisioni Valdossola, Beltrami e Piave, rosso per la divisione Garibaldi e Redi e blu per la Valtoce. Sono stati srotolati nel corso di una cerimonia dal sindaco Lucio Pizzi che aveva al suo fianco i familiari dello storico Pierantonio Ragozza, recentemente scomparso. Un gesto simbolico di grande impatto che ha segnato l’avvio delle ricorrenze per gli ottant’anni della Repubblica partigiana dell’Ossola, la più nota e importante dei territori liberi durante la lotta di Liberazione in Italia. Il primo cittadino di Domodossola ha pronunciato parole molto chiare: “Vogliamo ricordare l’esperienza di autogoverno dei 40 giorni di libertà che valse una medaglia d’oro al valore militare, ribadendo che quei valori fondanti sono vivi più che mai. Per questo voglio riaffermare chiaramente lo spirito che ci ha guidati: noi siamo antifascisti, Domodossola e il territorio sono antifascisti, ci riconosciamo nel valore della Resistenza e non siamo disponibili ad accettare alcun tentativo di revisionismo”. Le iniziative sono proseguite mercoledì 11 alla Casa della Resistenza di Fondotoce con il convegno “Storia di un comandante che andò oltre i propri doveri, Attilio Moneta, colonnello tra i partigiani”. Tra i vari appuntamenti vi saranno giornate di studio, convegni, proiezioni video, libri, docufilm e concerti accanto all’inaugurazione del riallestimento della sala storica di Domodossola con l’intitolazione a Mario Bonfantini e alla consegna, il 4 ottobre alla scuola media Floreanini, del premio Repubblica partigiana dell’Ossola alla scrittrice Benedetta Tobagi. Il 6 ottobre è prevista la cerimonia ufficiale con relatore la storica Antonella Braga. Il 17 ottobre alle 20.45, alla Casa della Resistenza di Fondotoce si terrà la presentazione del documentario “La grande estate partigiana. Estate 1944: dalla formazione delle prime bande alle repubbliche partigiane, la storia di un’Italia che sceglie di resistere”. Il film è prodotto da Lutea e dall’associazione DomoMetraggi; saranno presenti il regista Marzio Bartolucci e l’autrice Arianna Giannini. Il 18 e 19 ottobre, sempre alla Casa della Resistenza, si svolge il convegno “Progetto e utopia. Repubbliche partigiane e zone libere nella resistenza italiana”. Venerdì 25 ottobre alle 17.30 la biblioteca Contini di Domodossola verrà presentata una nuova edizione de “Il paese del pane bianco” di Paolo Bologna con testimonianze sull’ospitalità svizzera ai bambini della repubblica dell’Ossola, a cura di Paolo Crosa Lenz. Nella stessa serata la presentazione del libro “Quarante jours de liberté. Histoire de la république d’Ossola” di Jean-Noël Wetterwald e del cortometraggio “I bambini del pane bianco” di Davide Casarotti. Sempre il 25 alle 21 in Collegiata si terrà un concerto con il civico corpo musicale di Domodossola.

La repubblica partigiana dell’Ossola

Nel periodo più buio della storia italiana, durante l’occupazione nazifascista dell’Italia del nord, la Repubblica partigiana dell’Ossola rappresentò il primo tentativo organizzato di rinascita democratica del paese. Per più di quaranta giorni, dal 10 settembre al 23 ottobre del 1944, oltre ottantamila cittadini furono i protagonisti del governo di quel vasto territorio all’estremo nord del Piemonte, al confine con la Svizzera, dandosi un ordinamento repubblicano e una legislazione che sarà in parte riproposta e rivalutata nella Costituzione italiana entrata in vigore il primo gennaio del 1948. La vicinanza con la Confederazione Elvetica consentì di seguire con interesse e attenzione le vicende di questo territorio libero anche da parte della stampa internazionale. Una storia, quella dei “quaranta giorni di libertà”, breve ma ricca di esperienze politico-sociali che trovarono poi un seguito ideale nei primi passi e nelle scelte della nuova Italia repubblicana. Nel territorio liberato dalle formazioni partigiane si trovavano 35 comuni con 85.000 abitanti. Nel giorno stesso dell’occupazione di Domodossola, il 10 settembre 1944, Dionigi Superti, comandante della divisione Val d’Ossola, insediò la giunta di governo. In breve tempo il nuovo governo diede prova dell’ampiezza dei settori sui quali intendeva intervenire. Non si limitò alla normale amministrazione, ma si mosse lungo linee profondamente innovatrici, riflettendo “una visione non municipale dei problemi”. Anche nella riorganizzazione del sistema giudiziario ogni provvedimento venne inserito in un progetto di ampio respiro che non solo rimosse la legislazione fascista ma affermò con chiarezza i principi democratici su cui intendeva fondarsi. In campo scolastico e pedagogico, grazie alla collaborazione di intellettuali antifascisti come Gianfranco Contini e Carlo Calcaterra, vennero sviluppati programmi molto avanzati, fondati su un ciclo iniziale di formazione comune a tutti e sulla successiva distinzione tra studi liceali e studi tecnico-professionali. In pratica vennero gettate le basi per molte riforme e anche la vita democratica fu molto intensa e partecipata. Molti progetti restarono sulla carta, data la brevità dell’esperienza maturata nella zona liberata. Sul finire dell’ottobre del 1944 la controffensiva di tedeschi e fascisti provocò la caduta della piccola repubblica dopo giorni di duri combattimenti. Alle 17.40 del 14 ottobre i fascisti entrarono in Domodossola e si trovarono di fronte una città semideserta, abbandonata da più della metà della popolazione. Molti per evitare rappresaglie fuggirono in Svizzera, varcando il confine. Proprio in quei giorni fu organizzata dal governo Provvisorio, e in modo particolare da Gisella Floreanini (nome di battaglia, Amelia Valli), commissario all’assistenza e ai rapporti con le organizzazioni di massa, un’importante operazione di salvataggio di 2500 bambini che, con alcuni treni, vennero inviati in Svizzera dove vennero accolti da centinaia di famiglie elvetiche che li nutrirono e accudirono come i propri figli. Le formazioni partigiane, invece, si divisero in tre spezzoni in val Divedro, in Val Formazza e in Valsesia. Molti ripararono oltre confine, altri continuarono la lotta armata. Quattro giorni dopo, lunedì 23 ottobre 1944, i “quaranta giorni di libertà” finivano anche se sarebbe per sempre restato, indelebile, il segno lasciato dalla “repubblica” dell’Ossola, certamente la più nota e prestigiosa delle 18 zone libere partigiane che ebbero vita tra estate e autunno 1944 in piena occupazione tedesca rappresentando, come disse il filologo e critico letterario Gianfranco Contini, nato a Domodossola, “un fatto civile di rara e non abbastanza sottolineata rilevanza”.

 Marco Travaglini

La Giunta regionale rinnova il Piano dell’aria

Ex sindaci e amministratori regionali delle precedenti giunte erano finiti a processo sul tema dell’inquinamento dell’aria, anche se poi i giudici hanno stoppato il procedimento: che cosa avrebbero dovuto fare  Città di Torino e Regione per debellare lo smog? Forse bloccare del tutto il traffico? Fatto sta che il tema è sempre serio e attuale. Tanto è vero che la Regione Piemonte comunica di avere concluso la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) sul nuovo Piano della qualità dell’aria.

Nel rispetto delle prescrizioni del decreto del governo – si legge nella nota regionale – l’atto è già operativo, nelle more dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio regionale che è organo sovrano per dare al piano la sua forma definitiva.

«Abbiamo aggiornato il Piano, nei tempi previsti, come richiesto dal governo e l’abbiamo fatto con metodo scientifico, partendo dalle analisi di Arpa sulle diverse fonti emissive che contribuiscono alla composizione degli inquinanti, per predisporre una serie di misure – valutandone effetti al 2025 e al 2030 – in grado di ridurre emissioni. Il risultato è stato sottoposto all’analisi dei soggetti interessati per la raccolta di osservazioni e contributi, che sono stati analizzati dagli uffici per verificarne la compatibilità con gli obiettivi del Piano», dichiarano il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio e l’assessore all’Ambiente, Matteo Marnati

La procedura di Valutazione ambientale strategica è stata avviata lo scorso luglio con l’adozione da parte della Giunta degli elaborati del Piano e ha permesso a tutti i soggetti interessati di esaminare la documentazione e presentare osservazioni e contributi in un arco temporale di 45 giorni.

Le osservazioni pervenute sono state presentate da oltre 50 soggetti esterni quali comuni, province, organi ministeriali periferici, enti a struttura associativa, associazioni ambientaliste, associazioni di categoria ed anche privati cittadini che hanno presentato oltre 200 specifiche proposte di modifica/integrazione.

Le revisioni alla proposta di Piano sono state quindi frutto di un processo partecipativo molto esteso, oltre che di un supporto tecnico-scientifico da parte di ARPA Piemonte.

Le osservazioni hanno riguardato i quattro ambiti di intervento previsti, quali mobilità e aree urbane, energia e biomasse, attività produttive, agricoltura e zootecnia. Per contro, molti contributi hanno avuto un carattere trasversale riguardando aspetti comunicativi, culturali o la formazione e l’istruzione e sono stati accolti con un approccio comprensivo.

Le osservazioni che hanno trovato piena integrazione nella proposta di Piano riguardano in particolare le norme di attuazione, con l’inserimento di maggiori precisazioni in merito al campo di applicazione di prescrizioni, ai ruoli degli enti territoriali.

Numerose osservazioni relative alle misure e alle azioni previste attengono alla futura fase di attuazione del Piano e risulteranno particolarmente utili nella prossima definizione di bandi regionali o nella programmazione di specifiche misure attuative.

Inoltre, sono state accolte con attenzione le osservazioni inerenti alle richieste di rafforzamento delle sinergie, di scambio di informazioni e di collaborazione tra enti locali e loro aggregazioni, Province e Città Metropolitana di Torino, in particolare sui temi della regolamentazione della circolazione veicolare e della combustione non industriale delle biomasse legnose.

Sono risultate altresì pertinenti le osservazioni presentate dalle associazioni di categoria in merito alle azioni per la riduzione delle emissioni dei processi produttivi, con particolare riferimento al tema delle BAT (best available technologies).

Numerosi e ampi sono stati anche i contributi pervenuti da parte delle associazioni ambientaliste a cui è dato ampio riscontro nella proposta di Piano, in particolare sugli aspetti del confronto con i portatori di interesse e le attività di monitoraggio, oltre a fornire spunti utili alla prossima definizione di provvedimenti attuativi e di bandi di finanziamento.