ilTorinese

Arrestato un uomo per l’omicidio e occultamento di cadavere di un imprenditore nel 2016

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Nella mattinata del 22 luglio, a Torino, i Carabinieri del Reparto Operativo – Nucleo Investigativo del Comando Provinciale hanno fermato ed arrestato un sessantaduenne di origine serba, già noto alle forze dell’ordine, residente stabilmente nel capoluogo piemontese, gravemente indiziato del reato di “omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e occultamento di cadavere” di Momcilo BAKAL, piccolo imprenditore di origine bosniaca residente a Leinì (TO), scomparso nel luglio del 2016 in circostanze misteriose, con la sua autovettura, senza lasciare tracce in Italia o nei paesi dell’ex Jugoslavia da cui proveniva.
Le ricerche, effettuate a largo raggio nelle zone limitrofe – a suo tempo vennero impiegati vigili del fuoco, cani da ricerca e sommozzatori per le aree lacustri e fluviali – non sortirono esiti tangibili. La svolta si ebbe dopo il 2023, grazie all’utilizzo di nuovi apparati tecnologici e a dei riscontri della banca dati DNA per altri reati che, in qualche modo portarono gli investigatori a focalizzare ulteriormente l’attenzione sull’indagato.
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Ivrea, alla luce dei nuovi elementi hanno permesso ai militari dell’Arma di ricostruire i movimenti della vittima – e del suo presunto assassino – su di un ipotetico percorso che portava in un terreno in Località Villaretto, non lontano dal luogo di lavoro e dall’abitazione dello scomparso, confutando alcune testimonianze contrastanti rilasciate dall’indagato: qui, dopo una lunga e articolata attività di scavi e ricerche, nell’estate del 2024, è stato trovato il corpo di BAKAL.


Dagli accertamenti tecnico-scientifici incrociati con i pregressi riscontri investigativi, è stato possibile ricostruire gli eventi, riconducibili ad un avvelenamento messo in atto dall’indagato, che avrebbe poi occultato il corpo della vittima, simulando l’allontanamento volontario e facendone sparire anche l’autovettura. Il movente sarebbe da ricondurre a questioni economiche e disaccordi fra i due tali da indurre l’uomo a commettere l’omicidio.
L’uomo è stato arrestato previa notifica di Ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere, emessa dal Tribunale di Ivrea (TO) su richiesta della stessa Procura della Repubblica e condotto presso la casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino.

“Ritratti…”. 90 e tutti “da incorniciare”

In mostra al “Museo Nazionale del Risorgimento Italiano”, un secolo di grande Fotografia internazionale in arrivo dalla “Collezione Bachelot”

Fino al 5 ottobre

Correva l’anno 1960. Una bellissima, poco più che ventenne e dal sorriso irresistibile Romy Schneider (icona cinematografica della “Principessa Sissi”), accanto a un cinquantenne, un po’ distratto, Luchino Visconti, ammicca divertita al “paparazzo” che la “punta”, benevolmente “minacciandolo” di diventare lei la fotografa e lui, a breve tiro, il bersaglio del suo scatto. Il “povero” malcapitato fotografo è il celebre americano Sanford H. Roth (grande amico e fotografo quasi “personale” di James Dean che considerava Roth e la moglie come una sorta di “genitori adottivi”) e la foto è una delle circa 90, originali, esposte, fino a domenica 5 ottobre, negli spazi del “Corridoio della Camera Italiana” – Museo Nazionale del Risorgimento” di piazza Carlo Alberto (Palazzo Carignano) a Torino. Tutte in arrivo  da Parigi, dalla “Collezione Florence e Damien Bachelot”, fra le più importanti raccolte fotografiche private a livello europeo, rappresentano una suggestiva, protratta nel tempo, “città di ritratti” – secondo la calzante definizione assegnata alla mostra dalla curatrice Tiziana Bonomo (“ArtPhotò”) cui si deve anche, quale immagine guida, la scelta di “Lanesville”, 1958, di Saul Leiter – promossa dall’Associazione Culturale “Imago Mundi” di Torino e titolata, in linea con i soggetti esposti, “Ritratti. Collezione Florence e Damien Bachelot”.

 Una “città di ritratti”, per l’appunto: antologia di volti e figure che sono narrazioni di vite, le più varie e intense, immagini glamour e di umane miserie, di infinite gioie e struggenti dolori, di amori e odi senza fine, uno “sguardo rivolto – ancora Bonomo – alla nostra umanità fatta di miti, di emozioni e di concrete attuali realtà sociali”. Articolato, infatti, in quattro emblematiche sezioni – “Attualità”“Miti”“Società” ed “Emozioni” – l’iter espositivo ci porta dallo scatto iconico (che fece il giro del mondo) del neozelandese Brian Blake, immortalante Pablo Picasso mentre assiste a una corrida con la moglie Jacqueline Roque e Jean Cocteau alla potente capacità documentaria di Lewis Hine, che nella prima metà del Novecento fece dell’arte fotografica uno prezioso strumento di denuncia sociale, ritraendo i volti dei bambini migranti italiani negli States per raccontare la brutalità del lavoro minorile, fino ad arrivare ai toccanti ritratti dei soldati ritratti dal fotoreporter francese  Gilles Caron in Israele, durante la “Guerra dei sei giorni” (giugno, 1967) e in Irlanda del Nord, in occasione  del “The Troubles”, il conflitto fra comunità cattolica e i protestanti dell’Ulster, che durò circa trent’anni. Ma anche scatti meno “impegnativi” come quelli di un’inedita Nan Goldin, fotografa e attivista statunitense, oggi 71enne, con due immagini dedicate a una seducente (classe ’62) Jennifer Jason Leigh, attrice considerata, secondo la Rivista “Harper’s”, una delle dieci donne più belle d’America.

E’ davvero una lunga, suggestiva galoppata attraverso il Novecento della Fotografia fino alla contemporaneità, quella cui ci invita (e l’invito, in ogni istante, è sempre particolarmente ben accetto) dalla rassegna, “attraverso – si specifica in nota – un genere, quello del ritratto, che ben prima dell’era del ‘selfie’ e dei “social”, ha seguito un proprio percorso, riflettendo i mutamenti di costumi, identità e visioni del mondo”. Così, accanto a ritratti di “quotidiana umanità”, regalatici da grandi maestri come Dorothea LangeSaul LeiterWilliam KleinElliot Erwitt e la panamense Sandra Eleta (oggi, a 82 anni, la fotografa forse più famosa a livello internazionale) presente in mostra con “Siembra” (1976) eccezionale “reportage” sulla vita quotidiana degli abitanti e delle “campesinas” di Portobelo, troviamo anche un raro “lightbox” contenente immagini di Brigitte Bardot, firmato dal romano Elio Sorci, fotografo “maximus” della “Dolce Vita” e “cacciatore” super agguerrito delle più note celebrità del “jet set” americano.

Nota interessante: la mostra in naturale armonia con il “Museo”, propone anche in un video un saggio del patrimonio dei 17mila documenti fotografici custoditi. Tra i protagonisti del Risorgimento spiccano i ritratti della Contessa di Castiglione, pioniera nell’Ottocento nell’utilizzo della fotografia come strumento per costruire e diffondere la propria immagine e il proprio fascino. Sottolinea, in proposito, Luisa Papotti, presidente del “Museo”: “La fotografia, inizialmente percepita come surrogato del ritratto pittorico, diventa rapidamente linguaggio autonomo e strumento di propaganda e costruzione dell’identità nazionale. I ritratti di sovrani, patrioti, combattenti non solo eternano i volti del Risorgimento, ma diffondono l’ideale unitario. Esporre questi materiali accanto ai ritratti contemporanei della ‘Collezione Bachelot’ significa restituire continuità al racconto dell’identità attraverso l’immagine”.

Gianni Milani

“Ritratti. Collezione Florence e Damien Bachelot”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 o www.museorisorgimento.it

Fino al 5 ottobre –  Orari: mart./dom. 10/18

Nelle foto: Roth H. Sanford “Romy & Luchino Visconti”, ca. 1960; Brian Brake “Picasso’s Bullfight, Valauris, 1955; Gilles Caron “Israel …” 1967; Sandra Eleta “Siembra”, 1976  

Ricordando Gina Lagorio

A vent’anni dalla morte, il “Quadila Festival” ricorda e rende omaggio alla celebre scrittrice cuneese in una giornata tra letture e “scambio di sapere”

Sabato 26 luglio, tra Vezzolano ed Albugnano

Albugnano (Asti)

Al secolo Luigina Bernocco, Gina Lagorio(Bra, 1922 – Milano, 2005) fu scrittrice – fortemente legata alla sua terra e alla memoria dei suoi più “alti” scrittori, Pavese e Fenoglio in primis, così come del poeta amico Camillo Sbarbaro conosciuto e “studiato” nei lunghi anni trascorsi in Liguria, a Savona – ma anche critica letteraria e politica eletta, dal 1987 al 1992, al Parlamento Italiano fra gli scranni del Gruppo di “Sinistra Indipendente”. “Premio Viareggio” nel 1984 per il romanzo “Tosca dei gatti”, firmò sempre i suoi scritti con il cognome del primo marito (di cui rimase precocemente vedova), anche dopo le seconde nozze con l’editore Livio Garzanti. Il 17 luglio scorso ha segnato i vent’anni esatti dalla sua scomparsa. Di qui la “nobile” iniziativa di celebrarne il ricordo, all’interno del programma di “Quadila Festival”, ideato e realizzato dalla Compagnia Teatrale “Lo Stagno di Goethe”, che alla scrittrice (dalla “prosa antica”) di Bra, dedicherà, il prossimo sabato 26 luglio, due iniziative “distinte, ma complementari” da tenersi tra Vezzolano e Albugnano, “balcone del Monferrato Astigiano”. Obiettivo, omaggiare “l’eredità letteraria e civile – spiegano gli organizzatori – di questa autrice versatile, capace di spaziare dalla narrativa alla saggistica al teatro, affrontando temi come la Resistenza, la malattia, il rapporto tra libertà individuale e Storia, e tra diversità e potere”.

Due, si diceva, gli appuntamenti programmati. “Un silenzio spesso come una forma di pane”, il primo, con titolo mutuato da un’espressione della stessa Lagorio nel suo “Inventario”(Rizzoli, 1997), in programma sabato 26 luglio, alle 15,30, nel suggestivo Chiostro dell’“Abbazia di Vezzolano”. Un pomeriggio dedicato all’opera di Gina Lagorio: dopo l’intervento della scrittrice e giornalista Benedetta Sofia Barone, intitolato “Le parole di ieri: l’esempio pratico e politico di Gina”, attrici e attori de “Lo Stagno di Goethe”, tra cui Chiara Galliano, Diego Coscia e Marco Gobetti, si alterneranno in specifiche “letture teatrali”. I brani selezionati da Valentina Cabiale, scrittrice-archeologa, spazieranno da opere come “Approssimato per difetto” e “Il silenzio” ad articoli scelti da “Penelope senza tela” e “Parlavamo del futuro…”. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con “DRMNP-Direzione Regionale Musei Nazionali Piemonte” e l’Associazione culturale “La Cabalesta” di Castelnuovo don Bosco, promette un’immersione profonda nella poetica lagoriana.

Le celebrazioni proseguiranno, alle 21, nel cortile dell’“Antica Canonica” di Albugnano (o nella “Sala Camilla Serafino”, in caso di pioggia) con lo “scambio di sapere” dal titolo “La coraggiosa allegria di Gina Lagorio”, format innovativo che prevede incontri in cui depositari di una “conoscenza specifica” la espongono pubblicamente.

In questa occasione, saranno le figlie della scrittrice Silvia e Simonetta Lagorio, coordinate da Valentina Cabiale, a condividere il loro sapere sulla figura della madre, Gina Lagorio. L’incontro sarà arricchito da “letture teatrali” e da una “lettura scenica finale”, a cura degli attori de “Lo Stagno di Goethe”, con testi scelti da “Inventario” e “Capita”.

Questo momento serale nasce con l’intenzione di offrire un’immagine più intima e personale della scrittrice, mettendo in luce la sua capacità di mantenere, anche nelle tragedie, un pensiero libero e una ricerca costante di felicità condivisa, o persino del semplice “farsi un’allegria”. “Un’occasione unica per il pubblico – concludono gli organizzatori – di partecipare attivamente a un ‘baratto culturale’ e a vivere una scintilla di scambio di idee e suggestioni”. Cosa che Gina Lagorio avrebbe sicuramente apprezzato e piacevolmente condiviso. Lei che allo scrivere affidava tutta quanta la sua esistenza e il suo “essere”. Il suo essere donna e scrittrice. In modo totale. Senza infingimenti e sotterfugi. “La letteratura – diceva – è qualcosa di così intimo, profondo, così necessario, se è necessario – secondo me è una ‘conditio sine qua non’ – che deve implicare tutta intera la persona, che deve scegliere fra il dovere e il piacere, che deve sapere navigare nel mondo in cui si trova a navigare e in cui è bene, se è possibile, non cedere a troppi compromessi, perché i compromessi corrodono l’integrità di una persona”.

L’ingresso è libero per entrambi gli appuntamenti, con possibilità di offerte libere a sostegno del “Festival”.

g.m.

Nelle foto: Gina Lagorio; Gina Lagorio con Carlin Petrini

Due in manette per spaccio di cocaina e hashish

Nelle scorse ore, la Polizia di Stato ha tratto in arresto due persone a Torino per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.

L’attività scaturiva dal controllo di un uomo di 33 anni, effettuato dagli agenti del Commissariato di P.S. Barriera Milano nei pressi della Pellerina. L’uomo, di nazionalità guineana, non era in possesso di documenti di identificazione e dichiarava di essere domiciliato in via Ciriè.

Gli operatori eseguivano nell’immediatezza degli accertamenti, risalendo a una denuncia di smarrimento dei documenti presentata dallo stesso, in cui era, però, riportato un indirizzo di domiciliazione differente. I poliziotti si recavano sul posto, verificando che le chiavi in possesso del cittadino guineano aprivano il portone dello stabile.

Nel cortile, una donna incrociava l’indagato con gli operatori, dopodichè  correva precipitosamente su per le scale, accedendo a una mansarda all’ultimo piano. Gli agenti, mentre raggiungevano i sottotetti,  vedevano la donna sporgersi da una  finestra del pianerottolo e nascondere uno zaino sulle tegole: immediatamente la raggiungevano mentre tentava di fuggire.

I poliziotti, a seguito della perquisizione della mansarda, ove è stato appurato che i due indagati convivevano, oltre a delle dosi di cocaina già pronte allo smercio e a un bilancino di precisione, recuperavano lo zaino posato sul tetto, rinvenendo al suo interno 3 panetti da 100 grammi, ciascuno, di hashish.

 

Spaccate nella notte: arrestato 18enne

Un cittadino marocchino di 18 anni è stato arrestato dalla Polizia di Stato per tentato furto aggravato.

Personale del Commissariato di P.S. Barriera di Milano interveniva nella notte in via Milano per la segnalazione di una persona che stava infrangendo la vetrina di un esercizio commerciale con un tombino.

Alla vista degli agenti, l’uomo lasciava cadere il tombino e cercava di allontanarsi. Fermato, il diciottenne appariva in stato di alterazione psicofisica per l’abuso di alcol.

Prima di infrangere la vetrata, che presentava un vistoso danneggiamento, l’uomo aveva forzato anche la saracinesca, danneggiandone il nottolino.

Consiglio di Indirizzo Fondazione CRT, tre nuovi componenti

 Il Consiglio di Indirizzo della Fondazione CRT, riunitosi oggi sotto la presidenza di Anna Maria Poggi, ha nominato tre nuovi componenti: Roberto Barbato, designato dal Comitato regionale universitario del Piemonte; Francesco Salinas, espressione della Città metropolitana di Torino e Patrik Vesan, indicato dalla Regione Valle d’Aosta.
Per quanto riguarda la designazione del rappresentante da individuarsi nell’ambito della terna proposta dalla Provincia di Cuneo, non avendo raggiunto nessuno dei candidati il quorum elettivo, il Consiglio di Indirizzo ha disposto il rinvio della nomina alla prossima riunione per la terza votazione.

Il ragioniere di Baveno

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“Ragioniere, buongiorno. Anche oggi, il solito?”. Così lo salutava ogni mattina, dal lunedì al sabato, il signor Alfredo. All’anagrafe Alfredo Tichetti, di professione bigliettaio addetto allo scalo della Navigazione Lago Maggiore, in servizio all’imbarcadero di Baveno.

E il “solito” non era una consumazione al bar ma semplicemente il biglietto del battello che da Baveno lo portava in giro per il lago. A volte verso Intra dove, dopo gli scali all’Isola Madre, a Pallanza e a  Villa Taranto ( ma solo d’estate), aveva a disposizione un quarto d’ora scarso per imbarcarsi sul traghetto che faceva la spola con Laveno, sulla sponda lombarda del Verbano. A volte verso le isole Pescatori e Bella, Stresa, Santa Caterina del Sasso e la parte bassa del Maggiore, verso Angera e Arona. Il ragioniere era Teobaldo Lucciconi di anni sessantasei, celibe. Per quelli che lo conoscevano era semplicemente “il ragioniere”, tant’è che il suo nome non lo usava più nessuno e, se non fosse scritto sui registri del municipio, avrebbe potuto anche pensare di cancellarlo. Lucciconi era stato ragioniere contabile, impiegato alla filiale bavenese della Banca d’Intra al n. 5 di corso Giuseppe Garibaldi, a pochi passi dal piazzale dell’imbarcadero e dei moli d’attracco dei battelli e dei motoscafi. Aveva passato più di trent’anni dietro a quello sportello, intento a contare i soldi degli altri, a darne e riceverne. In tutto quel tempo gli sono passati davanti agli occhi i fatti privati e pubblici, le gioie e le tristezze di diverse generazioni. Altro che il confessionale del prete, su alla parrocchiale! Era in banca che ci si scambiava un saluto e si ricevevano confidenze, dovendo anche dare – se richiesto – qualche utile consiglio. Ma giunto al tempo della pensione, non ci pensò un minuto di troppo. Si levò le mezze maniche e, sempre con garbo (il che non guasta mai), salutò tutti e se ne andò senza rimorsi. Non che stesse male, anzi: aveva degli amici sinceri lì, e in fondo era stata la sua famiglia per tanto tempo. Vivendo da solo si era affezionato a quell’ambiente ma, come in tutte le cose, cercava di non vivere di ricordi e malinconie. Così aveva pensato che, dopo tanti anni passati tra casa e ufficio, ufficio e casa, era venuto il momento di prendere un poco d’aria fresca, guardandosi intorno. E sul lago di cose da vedere ce n’erano davvero tante. Così, a volte a piedi e altre utilizzando i mezzi pubblici (dal treno alla corriera passando, ovviamente, dal battello), iniziò a girare i paesi del lago su entrambe le sponde, la piemontese e la lombarda senza tralasciare la parte più a nord, in territorio elvetico, dedicandosi a frequentare le amicizie e a ripercorrere, con la memoria, le tante storie dei tipi originali con cui ha avuto a che fare. E vi possiamo assicurare che sono tanti che nemmeno vi immaginate. Ma soprattutto ebbe occasione e tempo per riscorire Baveno e le sue frazioni. ” Ma guarda tu”, pensava “E chi l’avrebbe mai detto che vivevo in un posto così bello e non ci avevo quasi mai fatto caso”. Era una delle sue riflessioni ricorrenti da quando era andato in pensione. Per tanti, troppi anni era stato “preso” dal lavoro e non alzava quasi mai lo sguardo sopra lo sportello. Arrivava in banca al mattino presto, portandosi da casa la “schisceta”. Eh, sì. Voi come la chiamate? Baracchino, pietanziera, gamelin, gavetta, gamella? Da noi quella pentolina di metallo a strati, con un coperchio ben chiuso per evitare perdite, indispensabile per scaldare su un termosifone un poco di pasta avanzata del giorno prima, una minestra di verdura o una fetta di carne, era la schisceta. Del resto da single, come si usa dire al giorno d’oggi, cosa andava a casa a fare? Non aveva nessuno ad aspettarlo o che cucinasse per lui e allora gli avanzi della sera prima erano più che sufficienti per mettere insieme un pasto economico da consumare sul posto di lavoro. Usciva di casa che era buio e ritornava a sera inoltrata perché spesso si fermava a dare una mano al direttore nel disbrigo dei conti e delle chiusure di cassa. Eh, un tempo non si guardava mica l’orologio. Prima il lavoro, poi il lavoro e poi ancora la famiglia. E lui che era praticamente tutta la sua famiglia quando andava a casa si fermava qualche minuto ad accarezzare il gatto della signora Maria, la vecchia lavandaia che abitava in cima a quel rione che chiamavano “il baeton”. Si faceva accarezzare perché gli dava sempre qualche pelle di salame, crosta di formaggio e cotiche avanzate. Il Tigre (si chiamava così per il pelo rosso striato di grigio e non certo per il carattere intraprendente visto che stava sempre sdraiato al sole, sullo zerbino di casa, a ronfare) manifestava la sua riconoscenza sfregandosi alle gambe con un sonoro ron-ron. Le giornate del ragioniere scorrevano così, senza troppe emozioni e senza andar di fretta. Poteva permetterselo, facendo una vita tanto regolare da far invidia a un orologiaio svizzero. Ogni giorno gli capitava di veder gente correre qua e là, sempre indaffarata, quasi avessero addosso tutti l’argento vivo. E lui? Niente. Si era guadagnato il diritto alla flemma. Gli capitava, come accade a tutti, qualche episodio dove la frenesia prendeva il sopravvento e bisognava darsi da fare ma erano, per fortuna, momenti piuttosto rari. Così, pur non mancando ai suoi doveri, cercava di tenere un passo che fosse, come dire, il più lento e ragionato possibile. E, bene o male, ci riusciva. Al Circolo Operaio bavenese ci andava soprattutto il lunedì mattina, giorno di mercato, dopo aver bighellonato tra le bancarelle. Gli piaceva quel brulicare di persone che chiacchieravano e contrattavano le merci esposte con un vociare che metteva allegria. Quando c’erano i turisti, dalla tarda primavera alla fine dell’estate, era una vera e propria babele di lingue. Sarà stato perché pativa la solitudine o perché gli piaceva iniziare una nuova settimana con un poco di movimento dopo l’ozio domenicale, ma far due passi al mercato era proprio divertente. Non che ci andasse per comprare qualcosa. Gli capitava raramente e solo per alcuni capi di vestiario. Per i generi alimentari andava in uno dei due piccoli supermercati.

Anzi, per non far torto a nessuno, stava ben attento a fare la spesa sia in uno che nell’altro. Così, pensava, nessuno ne avrà a male. Tanto più che al giorno d’oggi i prezzi sono più o meno uguali e anche la qualità non si discosta di molto. Ma, compere a parte, il mercato lo metteva di buon umore. Confessava che rimpiangeva quando era in centro, occupando la piazzetta tra le scuole elementari, il retro del municipio e pure la via principale che costeggiava la scalinata della chiesa. In seguito, per non intralciare il traffico e agevolare la viabilità, venne spostato sul viale del ponte che attraversava il torrente Selvaspessa tra Baveno e Oltrefiume, piò meno all’altezza del punto dove in passato c’era la vecchia passerella. Era sì più funzionale al traffico ma anche più decentrato e, quindi, un po’ più scomodo. Comunque, ora che era in pensione, quella passeggiata era piacevole e, terminato il giro verso le dieci e mezza, si avviava pigramente alla volta del Circolo. Passava sotto il ponte della ferrovia, svoltando a destra sul viale alberato e scendeva a fianco della stazione ferroviaria proprio davanti all’entrata dell’imponente Casa del Popolo. Fuori, nella bella stagione, c’era sempre qualcuno che si sfidava sui campi da bocce, mentre gli altri avventori si dividevano tra coloro che sbirciavano la partita, leggevano il giornale commentando i fatti del paese o si lasciavano prendere la mano dal turbinio delle carte da ramino o da scopa. E lui, il ragioniere, dopo aver chiesto un bicchiere di spuma o, più raramente, una cedrata, rispondeva di buon grado ai quesiti di natura finanziaria che gli venivano posti. Del resto, come gli aveva detto il cavalier Borloni dandogli una pacca sulla schiena, anche se a riposo “si è sempre ragionieri, no?”.

Marco Travaglini

La Disney non ne azzecca più una. Perché?

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THE PASSWORD Torino oltre gli asterischi

Per la rubrica “The Password: Torino oltre gli asterischi”, in collaborazione con Il Torinese, Alice Musto analizza le ragioni del declino creativo della Disney, che da tempo si rifugia nella produzione di live action sempre meno convincenti per la critica e per il pubblico della nostra città.

Con la recente uscita di Biancaneve, la Disney si aggiudica l’ennesimo flop al botteghino, con una perdita stimata di circa 115 milioni di dollari e una serie di polemiche che lo hanno accompagnato dagli inizi della sua produzione. Risultati tanto negativi da influire anche sulla nascita del live action di Rapunzel, che per ora è stata bloccata.
Sono ormai anni che le produzioni Disney sembrano non soddisfare, per un motivo o per un altro, le aspettative del pubblico internazionale. Da
Peter Pan e Wendy a Mulan, da La sirenetta a Mufasa: ciascuno di questi titoli è stato o al centro di polemiche o è risultato in qualche modo “mediocre”.

La Disney rivoluzionaria

Che il fondo sia stato toccato proprio con Biancaneve è quasi ironico. L’originale del 1937, infatti, oltre a essere stato il primo “classico” Disney, fu rivoluzionario in quanto primo lungometraggio della storia del cinema realizzato interamente con la tecnica del disegno animato. In quegli anni fu un enorme successo a livello di critica e popolarità e, ancora oggi, tenendo conto dell’inflazione, resta primo in classifica come film d’animazione con più guadagni del Nord America.

Una delusione molto simile era già arrivata con La Sirenetta nel 2023: in questo caso l’utilizzo massiccio della CGI, piuttosto che aggiungere particolarità ai personaggi e alle ambientazioni, ha avuto l’effetto opposto, rendendo il tutto “irrealistico” e “poco fluido”, incidendo, così, negativamente sull’animazione. Al contrario, il suo omonimo del 1989, aveva rappresentato il grande ritorno della Disney dopo un periodo di produzioni no, proprio grazie all’investimento in nuove tecniche digitali, che avevano dato una spinta verso la modernizzazione dell’intera struttura produttiva dello studio d’animazione.


Da
Mickey Mouse e Cenerentola, passando per Frozen e Inside Out, Walt Disney ha creato, ormai più di 100 anni fa, quello che oggi è un mondo fatto di personaggi, storie, parchi tematici, gadget da collezione, piattaforme streaming e un net worth di circa 163.21 miliardi di dollari. Alle ultime uscite della Disney, però, sembra mancare quel “qualcosa”, quel pizzico di magia che anni fa la rese il colosso internazionale che è oggi.

Perché i live action non funzionano?

Se alcune delle prime live action sono state un vero e proprio successo al botteghino e per la critica — possiamo citare a tal proposito Alice in Wonderland, Maleficent e Cenerentola — i remake più recenti sono invece stati poco apprezzati da entrambi. Polemiche sul politically correct a parte, sembra che le ultime produzioni vengano realizzate con sempre meno cura per i dettagli, e costumi e ambientazioni passano troppo spesso in secondo piano, privandoci di quella tanto amata “estetica disneyiana” che li rende magici.


Un altro tasto dolente è la frequente
tendenza al voler modernizzare storie classiche, alle quali milioni di persone, provenienti da tutto il mondo, sono molto affezionate. Le principesse “woke”, le girlboss dal carattere forte, sono tanto fondamentali per alcune storyline, ad esempio in Mulan, quanto deleterie per altre, come nel caso di Biancaneve, in cui finiscono per oscurarne i punti forti.
Infine, non possiamo che sottolineare come
spesso si lasci che siano le polemiche a fare parlare del film, non investendo su un press tour ampio e ben pensato per fare buona pubblicità. Il risultato? Le attrici protagoniste finiscono alla gogna, mentre il colosso dell’animazione ritira incassi facili.

E le storie originali?

La situazione dei film d’animazione originali non è delle migliori: di fatto, possiamo dire che le ultime uscite di spicco siano state Frozen nel 2013 e Inside Out nel 2015. In un mondo in cui sono ormai le piattaforme streaming il centro del mondo cinematografico, che ci inonda ogni giorno di contenuti nuovi, le più recenti storie originali firmate The Walt Disney Company sono risultate deboli e di scarso impatto.
Negli ultimi anni, non è un caso che il colosso americano abbia puntato prevalentemente sulla produzione di remake live action dei grandi classici, che garantiscono una fetta di pubblico già fidelizzata.

L’ultima uscita in casa Disney è Lilo & Stitch, arrivato nei cinema italiani questo 21 maggio e che pare stia riscuotendo, al contrario degli altri titoli di cui abbiamo precedentemente parlato, un discreto successo: ha già superato gli incassi di Cenerentola, La Bella e la Bestia, Biancaneve, Mufasa – Il Re Leone, Aladdin e Biancaneve. Anche quest’ultima pellicola non è stata esente da critiche e polemiche, certo, ma queste ultime non hanno inciso più di tanto sul parere del pubblico, che in media ha apprezzato il film. A livello cinematografico non parliamo comunque di una rimonta di spicco, a livello tecnico o contenutistico.

Che si tratti di mancanza di creatività o sia soltanto sintomo di un problema molto più ampio, legato a un mondo dell’intrattenimento sempre più saturo e veloce, oggi alla Disney manca quell’unicità che ha conquistato i cuori di tutto il mondo.

Alice Musto

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Gronda sulla collina, Ravinale AVS: “un controsenso”

Abbiamo chiesto all’assessore Gabusi già mesi fa, con un’interrogazione, cosa stesse facendo la Regione per quanto riguarda la Gronda: ci è stato risposto a marzo che, a parte i 750.000 Euro per la fase di studio, si attenderà il 30 giugno 2026, termine entro il quale Città Metropolitana potrà presentare un documento sulle alternative progettuali che tenga in considerazione anche la viabilità necessaria al nuovo ospedale di Cambiano. Siamo ancora insomma, nonostante si parli da decenni di quest’opera, in una fase ampiamente preliminare. Preoccupa però che l’assessore riporti in auge un coinvolgimento di Autostrade, anche in vista del rinnovo delle concessioni: la valutazione deve partire dalle esigenze del territorio, non certo dagli interessi del concessionario.

Per noi, il punto resta chiaro: anche se in troppo pochi lo sanno, la collina torinese è patrimonio dell’UNESCO e un intervento del genere è completamente anacronistico, un controsenso in termini ambientali e anche di sviluppo del territorio, che danneggerebbe in maniera irreversibile un paesaggio di pregio.
Non solo: continuano a non esserci dati sui passaggi di veicoli che giustifichino una simile infrastruttura, che avrebbe l’effetto di aumentare il traffico e non certo di renderlo più fluido.

La nuova stima dei costi, anche prendendo le cifre più al ribasso, pare comunque una pietra tombale sull’opera: ricordo che solo a Torino e cintura manca circa 1 miliardo di Euro per completare le opere di trasporto pubblico già previste (662 milioni per la tratta della metro 2 già programmata, 145 milioni per l’acquisto dei treni necessari per il funzionamento della linea 1 della metro dopo l’allungamento a Cascine Vica, 330 milioni per l’estensione della metro 1 fino a Rivoli, 53 milioni per la realizzazione della linea del tram 12 a Torino). Sono queste le opere che vanno urgentemente finanziate a livello nazionale e che migliorerebbero sensibilmente la vita alla cittadinanza, riducendo il traffico e migliorando la qualità dell’aria.

Le vostre foto, Torino stile Liberty

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La lettrice Alessandra Macario ci invia una foto dell’interno di Via Susa 33 a Torino.

‘Il cortile del Palazzo Ansaldi, situato in via Susa, è stato progettato dal Carrera all’inizio del ‘900 in un suggestivo ed elegante stile liberty. Sullo sfondo, la splendida Torre Westminster.’