redazione il torinese

Lanfranco Bellarini e il mondo parallelo di “Carosello”

carosello5Era il 3 febbraio del 1957 quando la televisione mandò in onda la prima puntata di Carosello, portando nelle case degli italiani che avevano quella “scatola magica”, la “réclame”. Lanfranco Bellarini, ragazzone con una trentina d’anni sulle spalle, era al Bar dell’Imbarcadero, quella sera. I lampioni del lungolago di Pallanza, dall’altra parte del lago, parevano lucciole tremanti nel buio freddo di quelle sere. Era il primo esercizio pubblico ad avere la televisione e le trasmissioni erano un evento che richiamava un sacco di avventori. C’era persino chi si portava la sedia da casa, per potersi godere in santa pace lo spettacolo. La prima puntata di Carosello incuriosì tutti ma Lanfranco restò a bocca aperta, imbambolato. Per quasi vent’anni, fino al 31 dicembre del 1976 – quando toccò a Raffaella Carrà, con un certo “aplomb”, fare l’annuncio di commiato – non si perse una sola delle puntate che andavano quotidianamente in onda, dalle 20,50 alle 21,00. Per i ragazzini era quasi un segnale: immediatamente dopo Carosello, “tutti a nanna”. Solo due volte – venerdì santo a parte – l’appuntamento giornaliero con la pubblicità fu sospeso: quando a Dallas, il 22 novembre del 1963, fu assassinato il presidente Kennedy ed il 12 dicembre del 1969 quando una bomba provocò la strage di Piazza Fontana a Milano. La sera dell’annuncio della chiusura di Carosello, Lanfranco era a casa di suo fratello Vittorio, per passare in famiglia l’ultimo dell’anno. Le parole della Carrà, nonostante fossero state pronunciate con grazia, gli fecero l’effetto di una fucilata in pieno volto. Il Carosello non c’era più? Roba da matti. E perché mai? Non riusciva a farsene una carosello 4ragione. Non voleva credere alle sue orecchie. Il Carosello era l’unico momento della giornata in cui tirava il fiato. Meccanico nell’officina del Giusto, non aveva quasi mai orari e feste comandate. E prima di andare a letto, quei dieci minuti, erano come un sorso d’acqua per l’assetato nel deserto. Delle ragioni vere non gli importava nulla. Il mercato della pubblicità si stava trasformando? Diventava più moderno e dinamico? I produttori stavano diventando insofferenti verso i limiti di tempo imposti da questo modo di reclamizzare i propri prodotti? A lui importava un fico secco. A lui, Carosello piaceva: e bon! Se fosse stata una “boiata” perché i filmati di Carosello erano stati girati da registi come Sergio Leone, i fratelli Taviani ed Ermanno Olmi ? Perché prestavano la loro faccia attori come Totò, Govi, Gassman, Tognazzi, Manfredi, Fabrizi o il grande Eduardo De Filippo? Eh, perché? Il povero Vittorio non aveva parole e non riusciva a dar pace al fratello che sembrava davvero disperato per un lutto tanto doloroso quanto inatteso. I personaggi gli ballavano nel cervello, tutti insieme, come una sarabanda indemoniata. Calimero, piccolo e nero con l’olandesina della Mira Lanza stava insieme a Cimabue (“fai una cosa né sbagli due”), mentre la linea di Cavandoli – senza dire una parola – cercava la titina dentro una pentola a pressione della Lagostina. Unca Dunca, uscito dalla penna di Bruno Bozzetto, sognava la Riello mentre l’Omino coi baffi preparava un caffè con la “moka” Bialetti a Lancillotto ed ai cavalieri carosello 3della tavola rotonda. Il caffè, ovviamente, proveniva dalla Lavazza e l’avevano portato Carmencita e il suo “caballero misterioso”.Dall’angolo della strada balzava fuori, con i confetti Falqui, Tino Scotti che – muovendo i suoi baffi – diceva “basta la parola!”.Nel tourbillon c’erano tutti: “E che, ci ho scritto Jo Condor?”, “E la pancia non c’è più” grazie all’Olio Sasso, “Gigante buono, pensaci tu”, “Miguel-son-sempre-mi” ed il suo merendero, la famiglia degli Incontentabili alla ricerca di un elettrodomestico che li accontentasse. Vedeva Ubaldo Lay con il suo impermeabile da tenente Sheridan sorseggiare un’aperitivo Biancosarti mentre discuteva con l’ispettore Rock della Brillantina Linetti sul sorriso smagliante di Carlo Dapporto (vorrei vedere: si lavava i denti con la Pasta del Capitano).  L’attore Franco Cerri era l’uomo in ammollo che vedeva lo sporco andar via dalla sua camicia a righe e la biondissima svedese Solvi Stubing invaghiva tutti sussurrandoci “sarò la tua birra”.  C’era Virna Lisi che “con quella bocca può dire ciò che vuole”, mentre il grande Ernesto Calindri stava seduto al tavolino in mezzo al traffico caotico a bersi un estratto di carciofo (il Cynar) “contro il logorio della vita carosello 2moderna”. Come poteva stare senza quel motivetto (“Tatataratararatarara..”) che accompagnava l’apertura del sipario del teatrino in una festa di trombe e mandolini ? Lanfranco era disperato. Nel paese si era avviata una disputa tra chi denunciava gli effetti dell’educazione di massa al consumo e chi, invece, metteva in risalto l’arte della pubblicità e la «pubblicità come arte». Lui, solo con il suo malessere, stava sempre più  male e si chiuse in se, rifiutandosi di andar a lavorare. Non mangiò più e si lasciò andare fino al punto che le cure del dottor Verdi non servirono a nulla. Erano le quattro del mattino del 26 maggio 1977 quando passò dal sonno alla morte L’estate prima, sul “Corriere della Sera”, nel luglio del 1976, Enzo Biagi anticipò un “coccodrillo” per Carosello. Scrisse : “ Mostrava un mondo che non esiste, un italiano fantastico, straordinario: alcolizzato e sempre alla ricerca di aperitivi o di qualcosa che lo digestimolasse; puzzone, perennemente bisognoso di deodoranti e detersivi, sempre più bianchi; incapace di distinguere fra la lana vergine e quell’altra, carica di esperienze; divoratore di formaggini e scatolette, e chi sa quali dolori se non ci fossero stati certi confetti, che, proprio all’ora di cena, venivano a ricordare come, su questa terra, tutto passa in fretta”. Anche il Lanfranco Bellarini è passato in fretta. E’ passato dall’infanzia alla morte attraverso una lunga adolescenza. Si era rifiutato di crescere, come Peter Pan. Preferiva il mondo di “Carosello” alla realtà. Ciò che vedeva attorno a sé gli metteva paura ed angoscia, Aveva il terrore del male, dell’invidia e del dolore. Allora scelse la via più breve e più facile: evitò di guardarsi attorno e, come un bambino mai cresciuto, si chiuse nel suo mondo con Calimero, Capitan Trinchetto, Tato e Tata, Olivella e Mariarosa, Buc il bucaniere e Gino Bramieri che gli diceva “e mò? Moplen”. Scelse di vivere, libero, nel fantastico mondo del pianeta “Papalla”. Ed è rimasto lì.

 

Marco Travaglini

 

“Arma il prossimo tuo”. 100 foto al Museo del Risorgimento

STORIE DI UOMINI, CONFLITTI, RELIGIONI. FINO AL PRIMO MAGGIO

Ci esorta. Ci “implora” quasi Domenico Quirico, giornalista scrittore e grande inviato di guerra. Le sue parole, scritte ad accompagnamento narrativo della mostra ci strattonano con misericordiosa “violenza” per aiutarci e, in certo senso, “proteggerci” nella lettura più vera e profonda di quei centodieci scatti coraggiosi (per la maggior parte in bianco e nero) assemblati sotto il titolo ad effetto “Arma il prossimo tuo”, negli spazi espositivi del Museo Nazionale del Risorgimento, in Palazzo Carignano a Torino. “Abbiamo pietà, vi prego – scrive Quirico degli uomini che vedete in queste foto. Sono alle soglie della morte, o forse un po’ al di là ma lo ignorano”. E come non averne di pietà di fronte allo sguardo muto e perfino imbarazzato di Sergey, il soldato ucraino ritratto fra i resti di Promzona, un tempo la zona industriale di Avdiivka, nel cuore dell’annosa guerra del Donbass, dove i due eserciti governativo e filorusso si fronteggiano a poche centinaia di metri l’un dall’altro? Sergey guarda fisso l’obiettivo. Non è il terribile mirino di un nemico kalashnikov, ma l’occhio amico di una macchina fotografica. Armato fino ai denti, nel cinturone il soldato si porta addosso (e in fondo al cuore) un ben visibile crocifisso di metallo. Il tempo infinitesimale di uno scatto e

un’improvvisa vicina esplosione fa fuggire in opposte direzioni il soldato e il fotografo, che non si incontreranno più. Sergey morirà un mese dopo, il 25 aprile del 2017, ucciso da un colpo di un mortaio. A raccontarlo è Roberto Travan, fotoreporter di lungo corso (caposervizio de “La Stampa”, per cui lavora dal 1989), che insieme al collega – anche lui blasonato, entrambi torinesi – Paolo Siccardi (free-lance e collaboratore dal 2000 del Settore Esteri di “Famiglia Cristiana”) firma la rassegna organizzata in Palazzo Carignano fino al prossimo primo maggio, con il supporto di Fujifilm Italia. E’ la prima volta di una mostra fotografica al Museo di piazza Carlo Alberto e l’obiettivo vuole essere quello di raccontare, come forse mai finora é stato fatto, quanto la fede e il supposto dovere di combattere in nome di un Dio, oggi come ieri, siano spesso l’elemento comune, la sottile “linea rossa, non sempre visibile, capace però di alimentare conflitti che per

questo paiono non poter finire”. Conflitti dannatamente eterni. Dove esaltazione e fanatismo si fanno armi spietate contro tutti e tutto. Fuori d’ogni atto umano che possa dirsi vero atto di fede religiosa. Dalla Repubblica Centrafricana al Sud Sudan al Kosovo alla Siria fino all’Afghanistan Israele e Ucraina, gli scatti fotografici esposti ci portano in quattro macro aree ad alta intensità bellica: Balcani, Europa e Caucaso, Medio Oriente e Africa. “Queste foto – scrive ancora Quirico sono lampi di crudo dolore. La guerra e i segni di Dio: piccoli e grandi, pendagli e lapidi, chiese e moschee, segni tracciati sui muri e scritte che gridano Dio… La fede ottiene dall’essere umano ciò che nessun’altra dottrina ha mai ottenuto. Nel bene e nel male”. Nell’effimera gioia dei vincitori e nel pianto straziante dei vinti. E di chi resta. Nel grido di “Allah Akbar” urlato dai giovani combattenti dell’esercito siriano di liberazione, ritratti da Siccardi, che ad Aleppo si lanciano, votati al sacrificio, in battaglia o nella dolorante preghiera (la foto è sempre di Siccardi) alzata al cielo nella chiesa cattolica di Saint Andrews (Bor – Sud Sudan) per i cristiani Dinca massacrati dalle

truppe di etnia Nuer, per lo più composte da musulmani e animisti. Luoghi noti. Altri meno. Altri ancora sconosciuti. Lontani dai riflettori dell’informazione. “Luoghi in cui si continua a pregare. E a uccidere – e morire – in nome di Dio”. In atmosfere di laceranti macerie paesistiche e umane. Nel silenzio assordante che, in una foto di Travan, impietosamente avvolge la figura del sacerdote che a Talish (Nagorno- Karabakh) abbandona il villaggio, portando in salvo i simboli preziosi della sua fede, dopo la violenta offensiva dell’Azerbaijan. Il volto è chinato a terra, in una smorfia appena accennata di pietrificato trattenuto infinito dolore. E allora per davvero: “Abbiamo pietà, vi prego, degli uomini che vedete in queste foto… Camminano nudi nonostante i segni dell’Invincibile che portano addosso, nudi sotto lo sguardo di Dio”.

Gianni Milani

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“Arma il prossimo tuo. Storie di uomini, conflitti, religioni”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 www.museorisorgimentotorino.it

Fino al primo maggio . Orari: mart. – dom. 10/18

Vaccini: proroga al 30 marzo per la documentazione

Alle Regioni italiane, come il Piemonte, maggiormente virtuose in quanto già dotate di un’anagrafe vaccinale, i Ministeri della Salute e dell’Istruzione hanno concesso una proroga dal 10 al 30 marzo della scadenza per presentare alle scuole la documentazione che attesta l’avvenuta vaccinazione per i bambini e i ragazzi fino a 16 anni o, in alternativa, la richiesta presso l’Asl di riferimento.

Saranno invece le Asl a fornire alle scuole gli elenchi delle avvenute vaccinazioni, degli eventuali esoneri o dei mancati adempimenti. Le scuole invieranno entro martedì 20 marzo una comunicazione alle famiglie inadempienti, invitandole a mettersi in regola entro altri 10 giorni dalla ricezione. Entro il 30 aprile, infine, le scuole trasmetteranno tutta la documentazione alle Asl. 

Intanto, l’assessore Antonio Saitta ha annunciato che la copertura vaccinale in Piemonte per i bambini e i ragazzi fino a 16 anni è in aumento grazie all’applicazione della nuova legge. In Regione si stanno esaminando i primi dati provvisori che riguardano l’attività nelle Asl. Nei prossimi giorni saranno forniti cifre precise e attendibili. “Per il momento possiamo dire che la legge ha comunque raggiunto il suo obiettivo di incrementare la copertura delle vaccinazioni pediatriche e di conseguenza la sicurezza per i bambini e per le famiglie – ha puntualizzato – Gli allarmismi rischiano di fornire un quadro non corretto della situazione, a maggior ragione in una realtà come il Piemonte, in cui il tasso di copertura è sempre stato decisamente superiore alla media nazionale”.

www.regione.piemonte.it

Resti dispersi del padre di Rita Pavone, condannato il Comune

I resti di Giovanni Pavone, il padre della cantante Rita Pavone, nel 2004 furono perduti nel corso dei  lavori di scavo per le esumazioni al cimitero monumentale  di Torino. Dopo 14 anni il Tar del Piemonte condanna il Comune a risarcire tre componenti della famiglia con le somme di 1.400 euro a tutti per il danno patrimoniale, oltre 2.500 euro a ciascuno di loro per il danno esistenziale. L’inchiesta della procura che riguardo’ parecchi casi simili concluse per la salma di Giovanni Pavone, che nella fase di escavazione preliminare la benna impiegata dagli operai aveva prelevato per errore anche la parte superiore della bara. La ricerca fra i resti ammassati nei depositi di terra rivelo’ che  non era possibile  individuare quelli appartenenti alla salma.

Campionato italiano Elite Giovanile di Fanano: Raffaele Zich è oro, Francesca Prato argento

 

Dopo i successi di Giada Russo nel Campionato italiano senior e di Lucrezia Beccari, Sara Carli, Marco Pauletti e Paolo Balestri nel Campionato italiano junior, i pattinatori dell’Ice Club Torino hanno conquistato altre medaglie nel Campionato italiano Elite Giovanile che si è tenuto al Palaghiaccio di Fanano dal 16 al 18 marzo 2018.
Francesca Prato, allenata da Edoardo De Bernardis e da Renata Lazzaroni, e coreografata da Fabiana Di Natale ha vinto la medaglia d’argento, laureandosi vice campionessa italiana nella categoria Basic Novice A Elite. Raffaele Zich, allenato da Edoardo De Bernardis e da Renata Lazzaroni, si è imposto nella categoria Advanced Novice Elite, conquistando la medaglia d’oro e il titolo italiano.


Il giovanissimo pattinatore, 11 anni, ha vinto entrambi i segmenti di una gara nella quale ha affrontato atleti più grandi di lui (la categoria consente, infatti, la partecipazione di pattinatori fino ai 15 anni di età) e ha presentato un programma corto pattinato su uno swing e un programma lungo su musiche di Bollywood, entrambi coreografati da Alessandro Piccoli. “Sono soddisfatto dei risultati raggiunti da Francesca Prato e Raffaele Zich – ha affermato Edoardo De Bernardis – che hanno vinto due medaglie importanti. Questi ragazzi hanno ben figurato nel campionato di Fanano e hanno eseguito entrambi il doppio axel in gara, dimostrando di saper affrontare con maturità la competizione”.Hanno rappresentato egregiamente l’Ice Club Torino ai Campionati Italiani Giovanili Elite anche: Maria Grott Gribinic, Viola Fois , Greta Accossato, Carola Ferrati, Desiree Podda, Anna Zito e Luca Giaccone.

 

 

Barbara Castellaro

www.iceclubtorino.it

Bilancio, il collegio dei revisori dice si’. Polemica tra sindaca e quartieri

Il nuovo collegio dei revisori comunali da’  l’ok al bilancio di previsione 2018-2020 e al Documento Unico di Programmazione 2018-2021, dopo le polemiche sui conti comunali che avevano portato alle dimissioni del precedente collegio dei contabili. La Corte dei Conti aveva di recente espresso un apprezzamento nei confronti della linea adottata dall’amministrazione pentastellata per far quadrare il bilancio municipale. Intanto la sindaca Appendino bolla come strumentali le critiche giunte da parte delle circoscrizioni cittadine che lamentano eccessivi tagli alle risorse a loro disposizione.

I vetri di Marina Monzeglio, una ricerca tra forma e luce

Con il titolo Frammenti (a cura di Luigi Castagna e Giuliana Cusino, nota critica di Angelo Mistrangelo) espone sino a domenica 8 aprile presso la Galleria “Arte per Voi” (piazza Conte Rosso 3, Avigliana, visite sabato e domenica dalla 15 alle 19) Marina Monzeglio, diplomata in scenografia presso l’Accademia Albertina, fuori dal coro abituale dell’arte nella scelta, e nel cammino percorso fino ad ora, della materia su cui lavorare, quel vetro – vetri dipinti, cottura a gran fuoco, legatura a stagno – a cui dare una forma, circolare principalmente (Alnilam, 2006) o sinuosa (Sinuosità, 2006) o talvolta irregolare (Evoluzione 5, 2007), che con grazia s’insinua prepotente nello spazio, nutrirla di spezzettature e di gradazioni di colori, dove la creazione coltiva cromatismi appropriati e nitidi, di costruzioni pressoché musive che continuano a dare vita a delle vere opere d’arte facilmente definibili come sculture. E’ il suo uno studio personalissimo, alla ricerca di simbologie, di tratti nuovi, di sperimentazioni, di alternanze tra zone opache e trasparenti e biancastre, di equilibri che a poco a poco si posano all’interno dell’opera, di un concreto sviluppo emotivamente valido. Di linee che di volta in volta, in una maniera sempre diversa, sono preparate e addomesticate, raccolte in un unico sguardo, racchiuse e armonizzate. Una ricerca che ha radici lontane, sperdute nei secoli, facilmente confluibili in un mondo mitteleuropeo come nel nostro Liberty, una ricerca che coinvolge prima di ogni altra cosa la materia, trattata con estrema e accorta manualità, con reinvenzioni di svelto dinamismo, condotta ad effetti e risultati a tratti inaspettati, una superficie liscia fatta di eleganza e di delicatezza che la padronanza artistica forgia a forme articolate, sempre leggere, immaginifiche, misteriose il più delle volte (Spirito del 2006), interessata e piegata ai rapporti che corrono con la luce, vista questa attraverso i molteplici giochi di frammentazione che vi trovano posto. C’è questo, e certo molto altro, nel mondo delicato di Marina Monzeglio, come quell’angolo di magia che inevitabilmente finisce col farla da padrone in ogni sua opera, quella sottile spazialità che leggerissima si pone al centro di una mostra o come pezzo prezioso d’arredamento. Sculture concrete ma affidate allo stesso tempo al sogno e all’irrealtà, forti della loro fragilità, che appartengono ad un mondo fatto di tranquillità e meditazione, ad un appartarsi di studio e di invenzioni che lascia intravedere una profonda quanto sincera maestria.

Elio Rabbione

 

Nelle immagini alcune opere di Marina Monzeglio

Scontri CasaPound, fermi e perquisizioni

Perquisizioni e fermi in corso da parte della polizia a seguito degli incidenti avvenuti lo scorso febbraio per contestare la presenza a Torino del leader di Casa Putin Simone Di Stefano. L’operazione di polizia coinvolge persone e luoghi legati ai centri sociali.

ANCHE LE STATUE MUOIONO. QUANTO E’ VULNERABILE IL PATRIMONIO

Dalla collaborazione tra il Museo Egizio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, i Musei Reali e il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino (CRAST) nasce un progetto espositivo che invita alla riflessione sull’importanza del patrimonio culturale

 Quattro istituzioni danno vita a un coro di voci che ripercorre il tema attualissimo della vulnerabilità, della distruzione sistematica e consapevole del patrimonio culturale, sottolineando contestualmente l’importanza della sua conservazione e protezioneLa mostra, articolata su tre sedi – Museo EgizioFondazione Sandretto Re Rebaudengo,Musei Reali – mutua il proprio titolo da un documentario del 1953 realizzato dal regista francese Alain Resnais e si serve, come immagine guida, del dettaglio di una fotografia in bianco e nero di Mimmo Jodice (tratta dall’opera “Anamnesi”) che mostra il volto di pietra di una statua vittima del tempo e della storia.

 

Il progetto scientifico – elaborato dai curatori Irene Calderoni, Stefano de Martino, Paolo Del Vesco, Christian Greco, Enrica Pagella, Elisa Panero – ruota attorno a tre temi principali: quello della distruzione e del saccheggio analizza in modo diacronico le motivazioni che hanno spinto gli uomini alla distruzione del patrimonio artistico e archeologico nel tentativo di mistificazione dell’identità altrui, di dispersione e annichilimento della memoria dei popoli. Il secondo tema è il potere delle immagini, mai soltanto semplici segni grafici, ma portatrici di innumerevoli significati e spesso strumento del potere. Terzo e ultimo tema è il ruolo dei musei: considerati istituzioni in bilico tra il principio di conservazione/protezione e l’attività di appropriazione,“predatori” di patrimoni e custodi di reperti altrimenti esposti al rischio della distruzione e dell’oblio. Simboli dell’Europa coloniale, oggi i musei sono chiamati a rivalutare e ricostruire il loro ruolo di narratori della cultura, facendo luce sul racconto biografico dell’oggetto mostrato al pubblico.

 

La mostra sollecita l’urgenza di alcune domande: qual è il ruolo di un patrimonio storico-artistico nei processi di costruzione dell’identità culturale di un popolo? Quali sono gli effetti di una devastazione così estrema sul senso di appartenenza, sull’idea di tradizione e condivisione, sulla possibilità di concepirsi come un insieme? Su quali basi si può costruire un futuro, se le tracce del proprio passato sono state sistematicamente obliterate? Come si può concepire un’idea di riparazione, di riconciliazione? L’esposizione tenta di rispondere a queste domande attraverso il dialogo tra reperti antichi e opere di artisti contemporanei, molti dei quali originari di Paesi in cui i conflitti hanno messo a rischio e talvolta distrutto il patrimonio, come, a titolo esemplificativo Iraq, Iran e Libano.

 

Il Museo Egizio con “Anche le statue muoiono” si apre per la prima volta all’arte contemporanea ospitando l’esposizione nella sala mostre dedicata a Khaled al-Asaad, barbaramente ucciso dall’Isis, nel tentativo di difendere il sito archeologico di Palmira di cui era direttore da oltre 30 anni. Nove artisti contemporanei dialogano, attraverso le loro opere – installazioni, video, fotografie – con reperti millenari. Il percorso inizia con un suggestivo incontro tra sguardi: quelli dei nove volti fotografati da Mimmo Jodice e quelli spezzati dei governatori di Qau el-Kebir (1900 – 1850 a.C). Un importante momento di riflessione sul ruolo dei Musei è affidato a opere quali quelle di Ali Cherri, Liz Glynn e Kader Attia. Una sala dell’esposizione è dedicata alle fotografie prodotte dal CRAST a Ninive: il Centro di Ricerche torinese ha documentato per l’ultima volta – prima che fosse completamente raso al suolo – la bellezza del ‘Palazzo senza Eguali’ di Sennacherib.

 

La Presidente, Evelina Christillin: La mostra “Anche le statue muoiono” è la concreta dimostrazione di come la sinergia tra enti culturali sia in grado di produrre un importante risultato: una mostra diffusa sul territorio cittadino, presente in tre diverse sedi espositive e riconosciuta tra le iniziative legate all’Anno Europeo del Patrimonio. Per il Museo Egizio l’inaugurazione di questa mostra rappresenta, inoltre, un segnale di apertura verso altri linguaggi artistici, in questo caso quelli dell’arte contemporanea, a testimonianza di un approccio che vuole questo Museo disponibile a ogni tipo di dialogo. Siamo molto grati a Intesa Sanpaolo per il sostegno dato alla mostra e al convegno internazionale di maggio. Ringrazio anche Consulta Torino che ha scelto di esserci a fianco in questo progetto e in altri che seguiranno.

 

Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo si indaga sul presente, riflettendo sui temi del museo, dell’archeologia, del colonialismo, dell’identità nazionale e delle relazioni tra culture. Al centro della mostra, le sedici teche museali di Kader Attia, vuote e con i vetri infranti, invitano lo spettatore a riflettere sui diversi modi in cui i reperti museali sono stati oltraggiati. Le medesime tematiche, variamente declinate, sono riprese dagli artisti Mark Manders, Simon Wachsmuth e Lamia Joreige.  Due reperti provenienti dalle collezioni del Museo Egizio mostrano i segni della violenza di cui sono state vittime nel lontano passato.

 

La Presidente, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo: La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo favorisce da sempre la collaborazione tra istituzioni, partecipando attivamente al sistema dell’arte e della cultura torinese. “Anche le statue muoiono” è il risultato di un progetto scientifico condiviso dai curatori di quattro diverse istituzioni della nostra città. Insieme, attraverso il dialogo, hanno avvicinato i loro linguaggi, consegnandoci una mostra profonda e riflessiva. Sono particolarmente fiera del ruolo che le opere d’arte contemporanea svolgono nell’itinerario espositivo, portando all’attenzione del pubblico temi di stringente attualità, secondo una prospettiva inedita, aperta agli interrogativi della storia, ai rapporti complessi fra le culture, alla questione cruciale della trasmissione della memoria e della conservazione e protezione del patrimonio.

 

Musei Reali propongono una riflessione con l’esposizione di reperti archeologici e opere d’arte: dai rilievi assiri, all’arte cipriota e romana fino alla pittura di Rogier van der Weyden. Il percorso si intreccia con l’arte contemporanea attraverso la spettacolare installazione di Mariana Castillo Deball, nel centralissimo Salone delle Guardie Svizzere di Palazzo Reale, e le riprese filmiche della recente attività di ricerca e di recupero attuata dal Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino in Iraq.

Storie di reimpieghi, distruzioni o saccheggi, ma anche nuovi contesti di forma e di significato, identità perdute, smembramenti e lunghi viaggi: uno scenario attuale sulle logiche di mercato che, ieri come oggi, hanno regolato l’ingresso dei beni culturali nelle grandi raccolte dinastiche prima e nelle collezioni dei più noti musei occidentali poi.

 

La Direttrice, Enrica Pagella: I Musei Reali riflettono sul ruolo controverso del museo nel tempo, quale luogo di tutela e conservazione al servizio della società, ma anche teatro di decontestualizzazione e appropriazione. Un ruolo che, dalla Convenzione di Faro, va necessariamente rimesso in discussione. La sezione della mostra ospitata dai Musei Reali crea un dialogo trasversale con le tematiche trattate nelle altre sedi, aprendosi anche al linguaggio dell’arte contemporanea in un gioco di rimando tra passato e presente, con uno sguardo rivolto al futuro.

 

“Anche le statue muoiono” si fonda sulla convinzione della capacità dell’arte di generare nuovi discorsi, ponendosi un duplice obiettivo: informare e mostrare al pubblico il risultato delle recenti e violente distruzioni che hanno travolto il patrimonio artistico e culturale di molti Paesi; ma anche sensibilizzare perché è solo attraverso la conoscenza dei beni culturali che si può giungere a un’attenta tutela del patrimonio, eredità e memoria da tramandare e proteggere.

 

L’esposizione si inscrive nel programma dell’Anno Europeo del Patrimonio 2018 i cui temi saranno approfonditi all’interno di un convegno internazionale che coinvolgerà studiosi ed esperti delle diverse discipline che, proprio a partire dall’esposizione, svilupperanno le molteplici suggestioni che gravitano intorno alla vulnerabilità e alla distruzione dei tesori dell’arte, alla necessità e all’importanza di un’attenta opera di protezione e conservazione del patrimonio culturale.

 

Il Direttore, Stefano de Martino: Il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia (CRAST) e l’Università di Torino sono presenti in Medio Oriente da molti anni con scavi archeologici e attività di ricerca e formazione, impegnandosi, in particolare, nei lavori di riallestimento delle sale monumentali dell’Iraq Museum di Baghdad. Per questi motivi abbiamo aderito con entusiasmo al progetto espositivo “Anche le statue muoiono” che riguarda temi non solo coerenti con le nostre attività, ma anche di grande interesse. La collaborazione con il Museo Egizio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e i Musei Reali è un segnale forte della capacità di tutte queste strutture a operare in sinergia su temi comuni, per quanto relativo ad epoche diverse.

 

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ANCHE LE STATUE MUOIONO

Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo

9 marzo – 9 settembre 2018
Sedi espositive:

Museo Egizio

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (chiude il 29 maggio 2018)

Musei Reali (nel Salone delle Guardie Svizzere chiude il 3 giugno 2018)

 

Maurizio Cheli in vetta con Cosmobserver

Si chiama “EVEREST EXPEDITION 2018”, la nuova sfida che vedrà impegnato l’astronauta italiano Maurizio Cheli nei prossimi mesi


Era il 1996, quando Maurizio Cheli, a bordo dello Space Shuttle Columbia in orbita attorno alla Terra per la Missione STS-75, ha fotografato la catena dell’Himalaya e il Monte Everest. Già allora aveva espresso il desiderio di scalare quella vetta per vedere il pianeta dal “Tetto del mondo”. Quel desiderio trova posto nella realtà nel 2018. Dopo mesi di preparazione e di allenamento, Maurizio Cheli partirà il prossimo mese di aprile per tentare questa sfida sotto la guida dell’alpinista Marco Camandona. Per raccontare la EVEREST EXPEDITION 2018, l’astronauta italiano ha scelto il sito di divulgazione scientifica COSMOBSERVER. Fondato alla fine del 2014 dal divulgatore scientifico ed esperto di marketing e comunicazione Emmanuele Macaluso, in pochi anni, il sito – dedicato ai temi dell’astronomiaastrofisica e astronautica – è diventato un riferimento credibile nel panorama della divulgazione scientifica italiana. La redazione di COSMOBSERVER, seguirà “da vicino” la scalata di Cheli e sarà aggiornata in tempo reale sui suoi spostamenti grazie a tecnologie satellitari. L’accordo prevede anche l’aggiornamento dei profili social dell’astronauta e l’attività di coordinamento tra tutti i partner dell’impresa da parte di Emmanuele Macaluso. “È per noi un grande piacere seguire Maurizio in questa impresa – dichiara Emmanuele Macaluso, che continua – Siamo al lavoro per gestire le attività media e di Relazioni Pubbliche, mettendo il protagonista di questa sfida nelle migliori condizioni per prepararsi a questa esperienza. Un’esperienza che condivideremo attraverso i molti canali a disposizione in tempo reale. Questo incarico, oltre ad essere molto stimolante, è l’ennesima prova della bontà delle nostre scelte strategiche, operative e redazionali. Siamo orgogliosi di questa opportunità e faremo il nostro lavoro al meglio. Maurizio non sarà mai solo”.

 Di seguito i canali per seguire la EVEREST EXPEDITION 2018:

COSMOBSERVER

Web: www.cosmobserver.com

Facebook: www.facebook.com/cosmobserver

Twitter: https://twitter.com/thecosmobserver

Blog: http://thecosmobserver.blogspot.it/

EVEREST EXPEDITION 2018

Web: www.mauriziocheli.com

Facebook: www.facebook.com/MaurizioCheliEverest2018

Instagram: www.instagram.com/mauriziocheli