redazione il torinese

Doppio appuntamento per il weekend all’Egizio

Va in scena al museo  “Egitto Essenziale”: una giornata dedicata ai costumi olfattivi della popolazione nilotica. Loto, menta  selvatica, spezie, incenso e mirra sono queste le fragranze con cui si celebravano dèi e faraoni

 

Sabato 21 aprile il Museo Egizio si profuma offrendo ai suoi visitatori un percorso sensoriale fatto di fragranze e reperti: “Egitto Essenziale”.

 

Sulla base di quanto trovato su stele e papiri, sono state selezionate alcune delle essenze che questo antico popolo utilizzava: il loto, simbolo di fertilità e fecondità, che veniva spremuto principalmente per uso cosmetico; la menta selvatica, usata durante i riti funerari; alcune spezie come dragoncello, cumino e coriandolo, la cui esistenza è testimoniata dai reperti alimentari provenienti dalla Tomba di Kha; in ultimi, l’incenso e la mirrafragranze particolarmente pregiate utilizzate soprattutto nei templi. Nella cultura faraonica la cura del corpo e l’esaltazione della bellezza avevano molta importanza. Le pratiche di cosmesi avevano finalità terapeutiche, ma anche simboliche; si fondavano, infatti, sul desiderio di preservare il corpo dalla dissoluzione del tempo, mirando all’ immortalità. In questa prospettiva gli antichi abitanti della Valle del Nilo impararono sin da subito a sfruttare le preziose proprietà degli elementi presenti in natura, elaborando rimedi talvolta straordinariamente efficaci, talvolta fantasiosi e creativi. Unguenti e olii profumati erano considerati preziosi nella cura del corpo, mentre, le resine profumate, bruciate durante le cerimonie religiose e funerarie, favorivano il passaggio nell’Aldilà.  Durante la visita, il pubblico, avrà quindi, l’opportunità di vivere un’esperienza unica grazie ad una significativa selezione di oggetti e particolari scenografie olfattive messe a disposizione da Ariaprofumata e IFF International Flavour & Fragrances Inc

 

ULTERIORI INFORMAZIONI

Egitto Essenziale

Pubblico: famiglie

Date e orari della visita guidata: 21 aprile 10:10

Durata: 90 minuti

Prezzo della visita guidata: € 5 (più il biglietto d’ingresso del Museo)

Prenotazione obbligatoria per la visita guidata: dal lunedì al venerdì, 8:30 – 19:00; sabato, 9:00 – 13:00. telefono: 011 4406903 – mail: info@museitorino.it

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CHI VUOL ESSERE FARAONE? L’ANTICO EGITTO IN PILLOLE

Quiz, indovinelli ed enigmi indecifrabili per un’avventura alla scoperta dell’antico Egitto

 


Domenica 22 aprile, alle ore 10:10, presso il Museo Egizio – via Accademia delle Scienze 6 – genitori e bambini saranno coinvolti in una speciale visita guidata, condotta in forma di quiz. Il Museo Egizio di Torino è il più importante al mondo dopo quello del Cairo? È vero che in certi periodi storici dell’Egitto faraonico i litigi in famiglia erano considerati motivo giustificato di assenza dal posto di lavoro? Queste e altre domande verranno presentate ai piccoli visitatori che, accompagnati dalle loro famiglie, risolveranno quiz ed enigmi misteriosi e sveleranno le risposte corrette, incappando, talvolta, in soluzioni davvero inaspettate.

 

 

INFORMAZIONI UTILI

Chi vuol essere faraone? L’antico Egitto in pillole

Pubblico: bambini (6-11 anni) accompagnati dai genitori

Data e orari: domenica 22 aprile, ore 10:10

Durata: 90 minuti

Prezzo al pubblico: €5,00 (biglietto di ingresso escluso)

Prenotazione obbligatoria: dal lunedì al venerdì, 8:30 – 19:00; sabato, 9:00 – 13:00.

 

«TORINO CAMBIAMENU’»

LA CAMPAGNA CHE PROMUOVE LA DIFFUSIONE DELL’ALIMENTAZIONE VEGANA PRESSO GLI OLTRE DUEMILA RISTORATORI DEL CAPOLUOGO PIEMONTESE

Sabato 21 e domenica 22 aprile la LAV sarà presente al Veggie Planet, il salone del gusto vegetale, che si terrà presso lo Spazio MRF, in Corso Settembrini, 164 a Torino. L’evento, che approda per la prima volta nel capoluogo piemontese, sarà aperto gratuitamente al pubblico, entrambi i giorni tra le ore 10 e le 22. Presso lo spazio centrale del salone, sabato 21 alle ore 11 la LAV e l’assessore all’ambiente con delega alla tutela degli animali, Alberto Unia presenteranno ai giornalisti la campagna «Torino Cambiamenu’» iniziativa della LAV patrocinata dalla Città di Torino, già da oltre un decennio tra le più avanzate al mondo nella proposta di uno stile di vita vegano, rispettoso di esseri umani, animali e ambiente.  «La nostra iniziativa risponde all’esigenza di tutelare, oltre agli animali, anche l’ambiente in cui viviamo, sempre più minacciato dall’impatto di stili di vita insostenibili – dichiara Marco Francone, responsabile della LAV a Torino – ma è anche finalizzata a promuovere un turismo consapevole in una città moderna e in continua evoluzione come la nostra». La campagna «Torino Cambiamenù» è rivolta in particolare agli oltre duemila ristoratori della città, che a partire dalle prossime settimane verranno invitati a prendere parte al cambiamento ampliando la propria proposta di piatti privi di ingredienti di origine animale, ma ricchi di gusto e di bontà… in tutti i sensi. Tutti i dettagli dell’iniziativa «Torino Cambiamenu’» verranno resi noti sabato 21 alle ore 11 presso lo spazio centrale del Veggie Planet, in occasione della conferenza stampa, alla quale sono invitati giornalisti, operatori della ristorazione e tutti gli interessati.

Operaio muore schiacciato da carico di polietilene

Un altro incidente mortale sul lavoro questa mattina. Una vittima alla RG di Salassa, in via Ex internati. Un operaio è morto sul colpo schiacciato da un carico di polietilene in lavorazione nella ditta. L’allarme è stato dato dai colleghi di lavoro. ma i soccorsi non hanno potuto che constatare il decesso. Gli accertamenti sono in corso  da parte dello Spresal dell’Asl To4.

 

(foto archivio)

Il lago d’Orta di Mario Soldati

L’essere stato tra i pionieri della televisione, esaltandone le capacità d’indagine sul costume sociale, consentì a Soldati di mettere in luce, con evidenza ancora maggiore, la predisposizione ad indagare sul viaggio, sull’avventura, sul movimento, dimostrando anche un’attenzione analitica per gli aspetti gastronomici ed enologici legati al territorio, aspetto di chiara ispirazione manzoniana, ma sicuramente anche caro ad uno scrittore che Soldati amò molto e portò sullo schermo: Antonio Fogazzaro

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 Di Marco Travaglini

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Nelle sue opere Mario Soldati offre al lettore una molteplicità di suggestioni e, tra queste, accanto ai profili dei personaggi e all’idea del viaggio, assume una notevole importanza quella del paesaggio. I luoghi non sono solo lo sfondo e la cornice alle vicende narrate, ma diventano anch’essi veri e propri protagonisti, mirabilmente descritti dalla penna incisiva dello scrittore piemontese. L’essere stato tra i pionieri della televisione, esaltandone le capacità d’indagine sul costume sociale, consentì a Soldati di mettere in luce, con evidenza ancora maggiore, questa predisposizione ad indagare sul viaggio, sull’avventura, sul movimento, dimostrando anche un’attenzione analitica per gli aspetti gastronomici ed enologici legati al territorio, aspetto di chiara ispirazione manzoniana, ma sicuramente anche caro ad uno scrittore che Soldati amò molto e portò sullo schermo: Antonio Fogazzaro che apre il suo romanzo “Piccolo Mondo Antico”, con un viaggio attraverso il lago, durante il quale la conversazione fra Pasotti e il curato verte sui cibi che troveranno imbanditi sulla tavola della marchesa Orsola.

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Programmi  come “Viaggio lungo la Valle del Po, alla ricerca dei cibi genuini”, del  1957, e “Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno”, inchiesta televisiva in sette puntate sulle letture degli italiani, firmata con Cesare Zavattini e andata in onda nel 1960, offrono ancor oggi l’immagine ricca e innovativa – per l’epoca – di quella che potremmo definire una “indagine sul campo”. Va ricordato che Mario Soldati ha inciso profondamente nella storia dei mezzi radiotelevisivi in Italia, proprio nella fase pionieristica della RAI, quando la televisione stava muovendo i suoi primi passi. Resta il fatto che per Soldati i ‘luoghi’ con i loro nomi e le loro caratteristiche  non rappresentano lo sfondo indistinto dove vengono ambientate le storie di tanta narrazione del secolo breve.  In Soldati c’è un’attenzione diversa, quasi un’attrazione che si trasforma in desiderio di comunicare, di far vedere quei luoghi, elevandoli al ruolo di protagonisti del racconto, mettendo in luce il rapporto stretto e inscindibile che unisce la sua scrittura al suo essere uomo di cinema. Così, in un rilevante esempio d’innovazione comunicativa, ecco che uno degli scrittori più cosmopoliti del panorama letterario  italiano si afferma come uno dei più attenti e profondi conoscitori della provincia. In questo suo bisogno di far assurgere il paesaggio allo stesso livello del personaggio torna con prepotenza il legame alla terra di Manzoni e non si può non cogliere, nelle pagine di Soldati, una sorta di personale ispirazione a brani mirabili dei “Promessi sposi” quali l’incipit “Quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno” o “l’addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo”, per non parlare delle descrizioni di Milano, o dei luoghi attraversati dalla fuga di Renzo. Ma ciò che in Manzoni si trasforma in lirismo, in Soldati diventa realismo, un realismo che solo lo spietato occhio della telecamera può cogliere pienamente. I temi del viaggio e della fuga, che hanno influenzato tra la fine degli Anni Ottanta e i primi Anni Novanta l’opera di cineasti come Gabriele Salvatores, con la cosiddetta “trilogia della fuga” composta dai film Marrakech Express , Turnè e Mediterraneo, nella ricca bibliografia di Soldati tornano spesso, come suggeriscono i titoli stessi di molte delle sue opere, come  Fuga in Francia, Viaggio a Lourdes, Fuga in Italia, L’avventura in Valtellina.

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Negli stessi “Racconti del Maresciallo”, sia nella forma scritta che nelle due riduzioni televisive, con le serie andate in onda nel 1968 ( la prima in sei puntate, con Turi Ferro a prestare il volto al maresciallo Gigi Arnaudi) e nel 1984 (“I nuovi racconti del Maresciallo”, in cinque puntate con la regia del figlio  Giovanni Soldati e Arnoldo Foà come interprete) i luoghi assumono una notevole rilevanza, mettendo in luce questo che può essere definito come uno dei tratti distintivi di Mario Soldati. La sua passione per “le Italie”, lo portò a compiere un’esperienza del tutto unica nella sua  carriera: l’organizzazione della  mostra sulle regioni per ‘Italia 61’ che celebrò i cent’anni dell’Unità d’Italia al Palazzo delle Esposizioni di Torino (costruito per quell’occasione). Volendosi cimentare nella costruzione di un “itinerario soldatiano”, sarebbero tanti i luoghi del Bel Paese (e del mondo) da ripercorrere: da Torino e dall’abitazione nel centro storico del sabaudo capoluogo fino a Roma, dove visse e lavorò fino al 1960, da Corconio, sul lago d’Orta, alle colline dell’entroterra del lago Maggiore e alle amate Alpi; dalla Liguria, con il mare di Alassio e Chiavari, fino a Tellaro, la frazione più orientale del comune di Lerici, nello spezzino, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.  C’è però un luogo che forse, più di altri, ha lasciato un segno, una traccia indelebile nell’animo di Soldati. E questo luogo è il lago d’Orta. E’ qui che la grande amicizia e il sodalizio tra Soldati e Mario Bonfantini trova l’occasione e l’habitat ideale per saldarsi in modo inscindibile. Sulla rivista “Lo Strona” ( n. 1/1979), ricordando l’amico Bonfantini ,da poco scomparso, Soldati rievoca il momento più importante della nostra amicizia e forse anche della sua e della mia vita: un lungo momento magico, tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936, quando il destino ci appaiò, ci assecondò nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta: quell’autoconfino rigeneratore, quel delizioso paradiso perduto e ritrovato che accogliendo lui e me, Mario il vecchio e Mario il giovane, ci salvò in extremis da strazianti, estenuanti, storte vicende sentimentali e restituì all’uno e l’altro al suo vero se stesso”. Soldati, ne’ “Gli anni di Corconio”, offre una bellissima descrizione del viaggio da Novara al Cusio, raccontando luoghi, persone e vicende con una delicatezza che tradisce i suoi sentimento e l’affetto che nutre per questo suo luogo dell’anima. Un viaggio che intrapresero in bicicletta , con lo stretto necessario di  biancheria e  libri legato sui portapacchi (“..tutto il resto, quando avremmo potuto dare il nostro definitivo indirizzo, ci sarebbe arrivato per ferrovia o portato su da qualche amico di Novara che possedeva un automobile”). Fu un’esperienza importante che Soldati fissa nella sua memoria, al punto da descriverla “ come uno dei momenti più felici della mia esistenza”, raccontando  la partenza in un pomeriggio dei primi di ottobre del 1934 : “…filavamo appaiati sull’asfalto deserto di un lunghissimo rettilineo, nell’aria fresca, nella chiara ombra delle alte cortine dei pioppi. La strada in continua, regolare, lieve salita sembrava fatta apposta per sfidare i nostri garretti: provavamo il piacere di mantenere, con uno sforzo sensibile, ma assolutamente indolore, una velocità quasi da professionisti”. I paesi scorrevano sotto i loro occhi, con Bonfantini che , entusiasta, ne gridava i nomi, mentre i due pedalavano su strade di terra, seguendo un percorso che li portò, in un primo momento sulle colline del lago Maggiore, a Nebbiuno, dove si fermarono sedotti e affascinati da quel nome.

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Qui però non trovarono l’agognata pace, ma il terribile frastuono della fabbrica di chiodi. Scrive Soldati: “Aihmé, quel nome affascinante ci aveva fatto immaginare, ci aveva promesso un autunno e un inverno da veri scrittori, lunghe giornate al tavolino, ore interminabili, proficue, difese e ovattate dal silenzio delle lente nebbie che dovevano salire dal lago fino alle finestre della nostra stanza. Nebbiuno ci aveva tradito. Da Nebbiuno eravamo fuggiti per sempre con orrore..”. Intrapresa la via dell’alta Valle dell’Agogna , verso Sovazza e Armeno,con l’immagine svettante del Monte Rosa all’orizzonte, apparve davanti ai due letterati-ciclisti  il “miraggio, famigliare, idillico, complementare di quello del Rosa: il lago d’Orta, che Mario amava già appassionatamente, e che anch’io amavo, ma conoscevo appena.. Da quel momento, fu come se se fossimo guidati da una concorde ispirazione, da un’intelligenza misteriosa che ci spingeva, ci spronava a continuare, a scendere verso il lago. Attraversammo Armeno, percorremmo velocemente la strada tra Armeno e Miasino, tra Miasino e Vaciago, e, dopo Vaciago, giù, senza più ricordare la carta geografica, senza pensare a nessun nome di nessun luogo. Forse era solo, molto semplicemente, la gioia della discesa: o forse quell’azzurro che, tra i verde di ogni tornante, ci invitava a scendere verso il lago”.  Così giunsero a Corconio, dove dimorarono nell’alberghetto gestito dalle due sorelle Rigotti, l’Angioletta e la Nitti. Lì, entrambi, quasi adottati da quella famiglia, misero radici e vissero intere stagioni alloggiando in “una stanza d’angolo, la più bella e più soleggiata dell’albergo, con una finestra a nord e una a ovest. Pagavamo ciascuno, per l’alloggio e il vitto vino compreso, centoventi lire al mese”. Le lunghe chiacchierate davanti al fuoco del camino con il Pédar e il Nando, mangiando castagne arrosto o bollite, bevendo il vino nuovo nelle ciotole, si accompagnarono alle pagine che vennero scritte, ai libri che presero forma, agli articoli e ai saggi critici che consentirono loro di racimolare il necessario per poter vivere “da scrittori”. A Corconio , il giovane Soldati rimase due anni. Vi scrisse il suo bellissimo “America primo amore” ( che Mario Bonfantini fece pubblicare da  Bemporad a Firenze) e iniziò il romanzo “Confessione”, oltre a confezionare innumerevoli articoli per “Il Lavoro” e altre testate giornalistiche. L’ambiente circostante si offriva a loro in tutta la sua bellezza. “Quante cose Corconio ci ha insegnato. Come ci ha cambiato, Mario e me, per tutta la vita, in quella specie di autoconfino che ci eravamo scelti involontariamente e inconsciamente. Gli spazi, intorno, ci sembravano immensi. Eravamo restii a violarli, provavamo una strana timidezza a muoverci dalle immediate vicinanze dell’albergo di Corconio. E quando ci muovevamo per andare in qualche posto un po’ più lontano, Alzo, Orta, Pettenasco, Gozzano, era soltanto per la sicurezza che avevamo di trovarci qualcuno che ci aspettava, un amico che ci conosceva”.Sul lago d’Orta, come lui stesso scrisse, indagò – insieme all’inseparabile amico – sul senso da dare al termine civiltà.

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E lo trovò nelle cose semplici, ma ricche di valori di quell’esperienza. La riconobbe in quella che, in tutta semplicità, veniva chiamata educazione. Così, scriveva in proposito: “La parola civiltà, che deriva da civis, cittadino, include necessariamente il concetto di comunicazione con gli altri, di amore per il prossimo: la parola cultura che è la forma astratta del latino colere, coltivare. non è necessariamente né esclusivamente dedicata agli altri: può essere interpretata anche in senso egotistico. Ed è sintomatico che i tedeschi, invece della parola corrispondente a civiltà, usino di solito in sua vece la parola kultur. Sì, la nostra civiltà contadina e lacustre era allora altrettanto sconosciuta di quella oltre Eboli, altrettanto lontana sebbene vicinissima: solo, era più umana. A Corconio, non l’avrebbero nemmeno chiamata civiltà. Sapete, se fossero stati interrogati come l’avrebbero chiamata? Educazione. Noi siamo così, avrebbero detto, siamo così perché così siamo stati educati dai nostri nonni, dai nostri genitori, dai nostri compaesani appena un po’ più in là di noi negli anni. Era un’educazione più umana e più profonda di quella di tanti altri paesi perché serrava più da presso la realtà, tutto il bene e tutto il male della vita”. A suggellare il legame tra Mario Soldati e la “terra tra i due laghi”, quel territorio che si distende attorno al Mottarone, svettante, solitario,  tra il Maggiore e l’Orta, ci sono molti altri episodi oltre all’ambientazione delle scene finali del film “Piccolo mondo antico”, parecchi episodi de “I racconti del Maresciallo” e quel piccolo atto d’amore rappresentato dal breve documentario “Orta Mia” del 1960. Altre due iniziative di Mario Soldati, entrambe legate alla nascita di importanti premi letterari, confermano il suo amore per queste terre.

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Nel 1959 , da un incontro tra l’allora sindaco di Omegna Pasquale Maulini con Mario Soldati, insieme a Mario Bonfantini, Cino Moscatelli e Gianni Rodari, nasce l’idea d’istituire il Premio letterario della Resistenza “Città di Omegna” che, in tredici successive edizioni, sino al 1974 ( venne poi ripreso nel 1995) ha rappresentato un appuntamento alto della cultura italiana e internazionale. Basta scorrere l’Albo d’oro dei vincitori ( da  Jean Paul Sartre a Franz Fanon, da Camilla Cederna a Aléxandros Panagulis) ed i prestigiosi nomi che, in quegli anni, fecero parte della Giuria ( oltre ai due “Mario”, Soldati e Bonfantini, Guido Piovene, Gianni Rodari, Cesare Zavattini, Italo Calvino, Franco Fortini, Carlo Bo e tanti altri) per avere un’idea dell’importanza del Premio. Nel 1976, viceversa, Mario Soldati, insieme ad alcuni scrittori che vivevano, o soggiornavano, sul Lago Maggiore e si raggruppavano “idealmente” – allora – attorno alla rivista “La Provincia Azzurra”, contribuì alla fondazione del Premio Stresa di Narrativa. Un appuntamento letterario, quest’ultimo,  che si distinse nel panorama culturale nazionale per un suo particolare dinamismo, ma anche per quell’attenzione al “regionalismo” cui si ispirava una parte importante della letteratura lombardo-piemontese del ’900, e soprattutto in campo narrativo. Accanto a Soldati c’erano l’immancabile Mario Bonfantini, il luinese Piero Chiara, il giornalista Gianfranco Lazzaro e Franco Esposito, fondatore e direttore della rivista culturale “Microprovincia”. Anche qui, sin dall’inizio, della Giuria fecero parte scrittori e intellettuali come Carlo Bo, Giovanni Spadolini, Giorgio Bàrberi Squarotti e Primo Levi. Dunque, non solo le opere del grande scrittore piemontese – letterarie, cinematografiche e televisive – hanno subito l’influenza di questi luoghi ma, in chiusura, è possibile immaginare che anche Mario Soldati abbia avvertito, come noi che per scelta o per sorte qui viviamo, scorrere nel suo sangue la trama dell’acqua del lago. Una trama fatta di bonacce, tempeste, onde, schiume, increspature del vento, sciabordio lungo i moli. Non è cosa che si possa capire fino in fondo se non s’avverte dentro, nell’anima.  Guardare i ghirigori che disegnano le correnti in superficie equivale ad ammirare quelle rughe cesellate nell’istante stesso che precede la loro cancellazione da un’altra onda. Immagino che Soldati, quando si recava ad Omegna, fissasse con curiosità e forse con un certo fascino lo scorrere lento della corrente della Nigoglia e quei pesci che vi si mettono di traverso, puntando il muso in senso opposto, tenaci come salmoni pronti a spiccare il salto. Immagino che abbia pensato che, come ogni cosa viva di queste parti,anche i pesci  mettessero a nudo il loro spirito ribelle stando lì, quasi immobili nella corrente, in direzione ostinata e contraria. Anche i colori del Cusio che vedeva da Corconio, il più delle volte, non s’accontentano delle mezze misure, prediligendo tonalità forti: grigio metallo e antracite sotto la pioggia battente d’inverno; verdeazzurro carico, pieno di vita e di promesse in tarda primavera; dolente e malinconico, pur senza rassegnazione negli autunni dove il colore delle foglie dei boschi tinge di giallo e arancio il riverbero dell’acqua. Quante volte sarà capitato anche a lui, e a Mario Bonfantini, di vedere nell’ombra riflessa sull’acqua di una nuvola che accarezza il Mottarone e fugge via, rapida, verso l’alta Valsesia irrompere la scia di una barca a motore che ne taglia a metà l’immagine riflessa per poi lasciare all’acqua il compito di ricomporla, con le forme morbide e mosse di un’opera di Gaudì. L’acqua, torcendo le immagini,  confonde. In fondo, questo è il lago d’Orta. E si può capire perché Mario Soldati se ne fosse innamorato.

 

Marco Travaglini

 

 

Il “Bruno Carli” a Riccardo Gatti

Da parte della ong Proactiva Open Arms alla ribalta delle cronache internazionali per il sequestro di una nave utilizzata per il salvataggio in mare di migranti


Palazzo delle Feste Piazza Valle Stretta 1 BARDONECCHIA  Ingresso gratuito

Sarà presente Cecilia Strada che presenterà il suo libro “La guerra tra noi” e ci sarà una incursione teatrale dei Black Fabula, gruppo della compagnia Fabula Rasa composto da giovani africani richiedenti asilo

Tra il 12 ed il 26 aprile 2018 si svolge la XXII edizione del Valsusa Filmfest, festival poliartistico con una struttura consolidata che prevede, oltre alla proiezione delle opere cinematografiche in concorso, anche numerosi eventi a cavallo tra letteratura, cinema, musica, teatro, arte ed incontri su temi di libertà e diritti per “Fare Memoria”, tema di questa edizione e legato alla necessità di mantenere memoria, oltre che di eventi del passato, anche di eventi di un recente presente che, sempre più veloce e divoratore di informazioni, priva le nuove generazioni di un tempo e di un sapere comune e condiviso. Domenica 22 aprile alle ore 15 al Palazzo delle Feste di Bardonecchia verrà consegnato il PREMIO BRUNO CARLI a RICCARDO GATTI. In un incontro in cui si parlerà di solidarietà nei confronti di chi fugge dal proprio Paese a causa di guerre, persecuzioni o impoverimento, sarà presente CECILIA STRADA che presenterà il suo libro “La guerra tra noi” e ci sarà un’incursione teatrale dei Black Fabula, gruppo teatrale della compagnia Fabula Rasa composto da giovani africani richiedenti asilo. Il Filmfest in ogni edizione ricorda la figura di Bruno Carli, partigiano e presidente dell’associazione Valsusa Filmfest fino al 2002, con l’omonimo premio che viene destinato ad esponenti di realtà impegnate in difesa dei diritti e dell’ambiente. Riccardo Gatti è portavoce e capomissione di Proactiva Open Arms, ong spagnola impegnata nei salvataggi nel mar Mediterraneo che pochi giorni fa ho ottenuto il dissequestro di una nave che la Procura di Catania le aveva bloccato il 17 marzo scorso a Ragusa, dove erano arrivati portando 218 migranti salvati a largo delle coste libiche.
Riccardo Gatti e la ONG che rappresenta, attivi dal luglio 2016 per rispondere a un bisogno che le istituzioni europee non sanno gestire, fino ad oggi ad oggi, dopo 37 missioni coordinate dalla Guardia Costiera italiana, hanno contribuito a trarre in salvo più di 18.000 persone. Cecilia Strada, figlia di Gino e di Teresa Sarti, è nata nel 1979 a Milano, da sempre si occupa di promuovere una cultura di pace e rispetto dei diritti umani e per otto anni è stata presidente di Emergency.
Nella quarta di copertina del libro “La guerra tra noi” si legge “Sono andata lontano per capire quello che succede qui”. L’autrice racconta il dietro le quinte del drammatico fenomeno delle migrazioni umane e quello che succede a casa di chi, nel pieno della disperazione, decide di salire su un barcone alla volta di un Paese straniero, scagliandosi contro coloro che danno la colpa del nostro impoverimento a chi fugge da guerre e carestie. I Black Fabula sono una formazione di teatro danza nata nell’aprile 2015, diretta da Beppe Gromi, composta da giovani richiedenti asilo provenienti da Costa d’Avorio, Gambia, Guinea Conakry, Burkina Faso, Mali e sostenuta dalle Associazioni Fabula Rasa Onlus-Progetto Teatro Senza Confini, da M.O.V. Moderne Officine Valsusa e dal Comune di Almese che nel gennaio 2015 ha accolto 51 richiedenti asilo. Il laboratorio teatrale comincia a marzo 2015 e a ottobre inizia il percorso di formazione con la danzatrice e coreografa di danza contemporanea Debora Giordi e, finalmente, lo spettacolo “Dove Cielo Tocca Mare” debutta il 9 gennaio 2016 nella rassegna Camaleontika,  organizzata in collaborazione con la Fondazione Piemonte Live e il Comune di Almese.

I PROSSIMI APPUNTAMENTI DEL FESTIVAL
Il XXII Valsusa Filmfest proseguirà sino al 26 aprile con la proiezione delle opere selezionate per la fase finale del concorso cinematografico anche in tre carceri (Fossano, Scampia e Poggioreale) ed altri eventi. Particolarmente ricca la giornata del 25 aprile con un incontro al quale parteciperà Letizia Battaglia ad Avigliana in ricordo di Peppino Impastato a partire dalle ore 16 ed il concerto serale di Saba Anglana, al Teatro Magnetto di Almese alle ore 21, insieme a Fabio Barovero e ad altri musicisti.
Maggiori informazioni in www.valsusafilmfest.it

Great Escapes in Piedmont. Ospitalità di charme

Castelli, case di campagna, cascine rimodernate e resort dedicati all’ospitalità di charme in Piemonte: sono trenta le destinazioni segnalate nel libro “Great Escapes in Piedmont. Ospitalità di charme in Piemonte” del fotografo Adriano Bacchella (al suo attivo circa una quarantina di libri fotografici e numerosi reportage di life style su prestigiose riviste italiane e straniere), con testi del giornalista Franco Faggiani, prefazione di Arturo Brachetti (Adarte editore). Se volete trascorrere week end all’insegna del benessere ad alto livello, con contorno di paesaggi mozzafiato, attività artistico culturali e scoperte enogastronomiche a km 0, questo è il libro da collezione che in più vi fornisce le dritte giuste. Basta lasciarsi guidare dalle immagini e poi via alla scoperta di luoghi da sogno.

 

In provincia di Alessandria

Se amate dormire in un castello, le mete sono 2. Il Castello di Gabiano (a Gabiano Monferrato), in una posizione unica per visitare il Piemonte artistico, culturale e paesaggistico, con vista dalla torre che svetta tra pianura, risaie, Po, colline e Alpi. Una costruzione monumentale che affonda le sue origini nell’VIII secolo, strategica per scopi militari e difensivi: contesa, conquistata e difesa da più famiglie nobili. Da 4 generazioni i marchesi Cattaneo Adorno Giustinani sovrintendono la produzione della storica cantina con vini da primato; gli attuali discendenti ricevono gli ospiti nelle stanze in cui un sapiente restauro conservativo sottolinea l’eleganza di un tempo. Corollario ai filari di Barbera sono un parco a labirinto, una piscina e molteplici punti panoramici. E per gustare i piatti della migliore cucina piemontese, tra le antiche mura c’è il ristorante “3 orologi”.

Invece a Tagliolo Monferrato c’è l’omonimo castello, con torre di avvistamento e una tenuta circostante che comprende boschi e vigneti. Di proprietà dei marchesi Pinelli Gentile da più di 5 secoli, è uno dei castelli meglio conservati del Piemonte. Gli ospiti possono soggiornare in una delle case del borgo e visitare le storiche cantine. Se siete fanatici del bio la destinazione giusta è Cremolino, a Casa Wallace (dal nome della proprietaria newyorkese). Splendida dimora ristrutturata e pronta ad accogliere gli ospiti in 1 camera doppia e 3 suite, o nel recente e poco distante bed & breakfast Casa Margherita. Stessi proprietari e identica filosofia all’insegna del più naturale possibile. L’energia arriva da pannelli solari e fotovoltaici, arredi e stoffe sono di materiali naturali, le coltivazioni rigorosamente biologiche e biodinamiche, le uve non contaminate dalla chimica e sono previste colazioni anche per chi ha intolleranze alimentari o segue diete particolari. Poi il tempo può essere trascorso nel grande salone-biblioteca, nella piscina all’aperto riscaldata, nella palestra attrezzata o nella saletta per meditazione e yoga. Nel minuscolo paese di Solonghello, sormontato da un’antica rocca, la pace alberga alla Locanda dell’Arte. 15 camere sontuosamente affrescate e arredate, affacciate sulla corte interna; filari d’uva e 4000 piante di rose; angoli di relax nel giardino e soprattutto nella spa -con piscina sotterranea, sauna, bagno turco, docce “emozionali” con getti d’acqua regolabili fino alla nebulizzazione ed effetti di cromoterapia e aromaterapia-. Se invece preferite le colline del Gavi con il mare a meno di 60 Km, la meta è Villa Sparina. L’area del complesso architettonico riservato all’ospitalità si chiama “l’Ostelliere”: 33 tra suite e camere standard, cantine sotterranee, un’azienda vitivinicola di bianchi e rossi e piatti tradizionali nel ristorante La Gallina ricavato nell’antico fienile.

 

In provincia di Asti

Tra le mete suggerite, a Castagnole Monferrato, tra colline costellate di borghi e castelli c’è la Locanda dei Musici.: casa del 700 con 5 camere per gli ospiti, affacciate sul giardino e arredate con un mix di mobili della tradizione piemontese e pezzi moderni, ognuna di colore diverso che dà   il nome alla stanza. Nelle suggestive cantine potrete godervi ricche colazioni, assaggi di prodotti locali e degustazioni di Ruchè, il rosso della zona prodotto solo qui e nelle colline circostanti.

Vicino a Canelli c’è Villa del Borgo, storica dimora del 700 sapientemente restaurata e trasformata in un raffinato Relais con 6 camere arredate con mobili dalle linee sobrie e complementi di design. La struttura originaria è rimasta intatta: soffitti a cassettoni, pavimenti in legno, volte a botte e mura in pietra sono quelli dell’Antica Canonica della Confraternita dei disciplinati, oggi sede di mostre ed eventi. Al confine tra Langhe e Monferrato potete scegliere tra 2 strutture. Il country hotel I tre poggi, ricavato da una grande cascina piemontese del 1600. Ha una torre squadrata da cui godere il panorama a perdita d’occhio di giardini e vigneti, 14 camere arredate con mobili moderni, una piscina e piatti della migliore tradizione piemontese. Invece, ad Olmo Gentile (comune più piccolo dell’Astigiano), su un colle panoramico c’è Borgo Vallone, insieme di edifici in pietra ricostruiti e armoniosamente immersi nella natura circostante. Si respira il tocco da interior designer dei padroni di casa che arrivati dall’Olanda si sono innamorati del luogo e l’hanno trasformato con un mix di progettazione tra il loro paese di origine e materie prime italiane. Camere e salotti sono ricavati nelle antiche stalle di cui conservano la struttura; pietra e legno la fanno da padroni. Il tempo trascorre piacevolmente tra la piscina, tour collinari in bici o in Vespa, cene nei ristoranti vicini e visite alle cantine storiche della zona.

 

In provincia di Cuneo

A ridosso di Vicoforte di Mondovì la “remise en forme” è assicurata all’Antica Meridiana Relais-Art. Antica cascina con torretta panoramica, ristrutturata dall’attuale proprietaria che ha creato ambienti interni accoglienti, dai colori accesi, in cui il moderno design si sposa con il classico. Tutto intorno impera il verde delle vigne, da cui il Dolcetto e le degustazioni in programma nel Relais. A La Morra, il must è Arborina Relais: suite e camere d’autore con arredi di design del Nord Europa, tessuti naturali e materiali della tradizione locale, piscina e spa, terrazzi e giardini. Modernità delle linee, ma anche pietra, cotto e ferro delle antiche cascine ammantano di fascino gli ambienti; mentre per gli amanti dei grandi vini piemontesi sono al top le degustazioni nella ricca enoteca. Sempre a La Morra, nel Boutique hotel di 14 stanze Corte Gondina il tempo scorre tra proposte enogastronomiche, piscina, Sweet Personal Spa; ma anche voli in mongolfiera, tour in auto d’epoca, spider o motocicletta, walking tour e passeggiate in e-bike. Soggiorni attivi in programma pure alla Corte di Lequio Relais (a Lequio Berra, pochi Km a sud ovest di Alba), antica cascina trasformata in country hotel di classe, stanze con mix di pezzi vintage e moderno design. Se sauna, bagno turco e idromassaggio nella spa o bagni in piscina non vi   bastano, allora ecco la possibilità di tour in mountain bike, gite in fuoristrada, escursioni del gusto nelle cantine blasonate dei dintorni e…. volendo… anche corsi di cucina locale. A metà strada tra Neive e Castagnole Lanze il Resort elegante è Langhe Country House con 5 stanze curate nei minimi particolari: antiche

tappezzerie, tanto bianco e colori tenui, mobili scovati nei mercatini di antiquariato. Anche qui sono organizzati corsi di cucina da una signora del luogo che impastando racconta aneddoti e curiosità. Nel cuore medievale di Saluzzo l’esperienza -tra mistico e profano- è dormire in un monastero del XV secolo, (prima di frati domenicani e poi cistercensi che coadiuvavano l’attigua chiesa gotica) trasformato nel San Giovanni Resort. In odor di preghiera 13 camere sobrie ed eleganti, la colazione servita nel refettorio dei monaci, contemplazione e pace nel chiostro e… poiché non solo l’anima va nutrita, cena nel ristorante del Resort, Al Convento. Relax e bellezza ad oltranza poi a Villa Althea, (si pensa che i suoi sotterranei fossero collegati con il castello di Mango). Dimora dell’800 con torretta in stile liberty, echi esotici, eleganza e comfort. Ogni suite è unica per scelta dei tessuti e abbinamenti cromatici; la sontuosa piscina coperta ha vetrate liberty; giardini, biblioteca e sala da biliardo sono angoli di relax. E su richiesta nella grande cucina si tengono corsi per imparare i segreti dei classici piatti piemontesi.

 

Laura Goria

foto di Adriano Bacchella

 

Attenzione alla processionaria!

Con l’arrivo della tanto attesa primavera, arriva anche la processionaria, un insetto dell’ordine dei lepidotteri che prima di trasformarsi in falena, allo stato larvale si presenta di circa 4 cm di lunghezza, di colore scuro con una fascia sul dorso di colore giallo e ricoperto di peli. Prende il nome dalla particolarità di muoversi sul terreno in fila, formando una sorta di “processione”, ed è un pericolo molto serio e a volte letale per gli animali che annusano, leccano o brucano, ma anche per noi umani. La processionaria nidifica soprattutto su pini e querce (danneggiando anche loro), formando una specie di tela a grappolo facilmente riconoscibile. Se avvistate uno di questi nidi, girate alla larga con i vostri cani!! Se siete in un posto sconosciuto, tenete il cane al guinzaglio finchè non siete assolutamente sicuri che nei paraggi non ci siano nidi di processionaria. Soprattutto in questo periodo è bene avere la massima attenzione sugli spostamenti del cane e su dove annusa. Il pericolo di questo insetto è costituito dai peli urticanti che vengono rilasciati nell’aria quando il bruco si sente in pericolo; la loro forma uncinata permette loro di agganciarsi a chi è nelle strette vicinanze provocando reazioni cutanee, alle mucose, agli occhi e alle vie respiratorie. Se il cane viene a contatto con questi peli, a seconda della modalità di contagio (il cane ha toccato le larve con la bocca, le ha mangiate, un nido gli è caduto addosso, ecc.) avrà delle reazioni evidenti e immediate che potrebbero aggravarsi nel giro di poche ore a partire dall’improvvisa e intensa salivazione, a cui fa spesso seguito il vomito, e dal successivo rilevante ingrossamento della lingua, da cui comincia il processo di necrosi e successiva perdita della parte che è venuta a contatto con i peli. Il cane successivamente mostra evidenti segni di debolezza, febbre e rifiuto del cibo. Sarebbe utile e necessario in questo periodo portare sempre una bottiglietta con una soluzione di acqua e bicarbonato da utilizzare all’occorrenza. Prima di recarsi nel più breve tempo possibile al più vicino veterinario o pronto soccorso, sciacquategli immediatamente la bocca con la soluzione preparata; nel caso in cui il cane mostrasse dolore al contatto della parte interessata, spruzzategliela con una siringa senz’ago, indossando dei guanti di lattice per evitare di toccare i peli urticanti che anche sugli umani scatenano reazioni epidermiche, allergiche e infiammatorie. La tempestività, come sempre, nelle situazioni d’emergenza, è fondamentale, e se già normalmente andare a passeggio con il cane non significa avere lo sguardo fisso sul telefono senza nessun tipo di interazione con lui, a maggior ragione, essendoci in questa stagione pericoli potenzialmente dannosi, e a volte letali, per il vostro tanto amato amico a 4 zampe, cercate di evitare questa pratica spesso diffusa e mai così tanto deleteria.

 

Francesca Mezzapesa

Educatrice cinofila – Istruttrice Rally Obedience

c/o Centro Cinofilo White Apple Dogs

 

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La piramide dei bisogni del cane

 

La comunicazione con il cane

 

Come comunicano i cani (parte I) – La comunicazione chimica e visiva

 

Come comunicano i cani (parte II) – La comunicazione olfattiva

 

Come comunicano i cani (parte III) – La comunicazione tattile

 

Morto motociclista: si è schiantato contro banchina alberata

Incidente stradale mortale per un motociclista in sella ad uno scooter Piaggio X9 che, nella notte, tra  corso Svizzera e via Gardoncini, si è schiantato contro la banchina centrale alberata. Il centauro è morto sul colpo. La polizia municipale è al lavoro per cercare di appurare come il motociclista abbia perso il controllo del mezzo. Secondo un testimone l’uomo avanzava in modo incerto con velocità irregolare.

Villa Moglia, la dama addormentata

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Castelli diroccati, ville dimenticate, piccole valli nascoste dall’ombra delle montagne, dove lo scrosciare delle acque si trasforma in un estenuante lamento confuso, sono ambientazioni perfette per fiabe e racconti fantastici, antri misteriosi in cui dame, cavalieri, fantasmi e strane creature possono vivere indisturbati, al confine tra la tradizione popolare e la voglia di fantasia. Questi luoghi a metà tra il reale e l’immaginario si trovano attorno a noi, appena oltre la frenesia delle nostre vite abitudinarie. Questa piccola raccolta di articoli vuole essere un pretesto per raccontare delle storie, un po’ di fantasia e un po’ reali, senza che venga chiarito il confine tra le due dimensioni; luoghi esistenti, fatti di mattoni, di sassi e di cemento, che, nel tentativo di resistere all’oblio, trasformano la propria fine in una storia che non si può sgretolare. (ac)

 

6 / Villa Moglia

 

Quella di oggi è una storia triste, simile al racconto di una dama addormentata che ancora aspetta il bacio del risveglio. Stesa tra le colline del chierese, si trova Villa Moglia, una dimora di circa 6138 m2, circondata da un enorme parco, di quasi 30 000 m2, che le fa da dormeuse. Non c’è nessuna leggenda specifica che si ambienti tra le mura di questa enorme costruzione, anche se alcuni chiacchierano di ritrovi satanici, altri giurano di aver visto i fantasmi dei bambini che lavoravano nell’antico opificio, che qui vi era un tempo, ma l’unico vero mistero è come abbia fatto la portentosa Villa Moglia a trasformarsi in un enorme cumulo di sterpaglie. La villa fu la prima costruzione a sorgere su quei terreni, tanto tempo fa, nei primi anni del 1600. La storia inizia con Ercole Turinetti, originario di Poirino, che si trasferì a Chieri in cerca di fortuna. Egli divenne maestro di grammatica e riuscì ad acquistare il lotto di terra per progettare la costruzione di una filanda, con annessa coltivazione di gelsi. Ercole sposò Maria Garagno, una donna del luogo molto facoltosa; essi ebbero tre figli, Giorgio, Ercole II e Antonio Maurizio. Tutti aiutarono il padre nell’attività dell’opificio, che andò presto iniziò ad avere successo. Fu del terzogenito di Antonio Maurizio, Giuseppe Maurizio, l’idea di costruire una villa attorno alla fabbrica. Per progettare l’abitazione, Giuseppe chiamò illustri personalità torinesi, tra cui forse Filippo Nicolis di Robilant e Luigi Barberis. Giuseppe Maurizio si sposò due volte, ma non ebbe eredi. La villa cadde poi in uno stato di abbandono, fino a quando, nell’800, il Conte Federici, un patrizio genovese, la acquistò per capriccio, e subito dopo la regalò ad un suo faccendiere di umili origini. Questi, senza denaro e incapace di gestire un edificio così grande, lo svuotò completamente, vendendo tutto il possibile.

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Dopo un altro lungo periodo in cui la casa fu in disuso, verso la metà del ‘900, Villa Moglia venne in parte ristrutturata e occupata dai Salesiani, che la tramutarono in un centro per novizi missionari. Evidentemente il destino di Villa Moglia era quello di spegnersi insieme alla dinastia dei suoi antichi proprietari, poiché anche i Salesiani, senza un motivo precisato, lasciarono la struttura, che cadde nuovamente preda dei rampicanti e del tempo che avanza inesorabile. Negli anni ’70 la villa entrò a far parte del patrimonio del Comune di Torino.   Venne emesso un bando per la concessione a enti o associazioni che se ne potessero assumere il restauro e la gestione, ma nessuno apprezzò l’offerta; nel 2007 l’imponente costruzione entrò a far parte dei diciannove edifici del Fondo Città di Torino. Questa è la storia di Villa Moglia, iniziata con il sogno di un maestro di grammatica, finita con l’addormentarsi silenzioso di un colosso che sta implodendo su se stesso. Non è difficile rinvenire la struttura, si trova esattamente dove è stata edificata un’eternità fa, al termine di un lungo sentiero che accoglie i visitatori, lo stesso che sto percorrendo in macchina in compagnia di due amiche, Martina e Irene.

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È uno spettacolo portentoso: imprigionato da una natura rigogliosa, l’antico edificio si staglia netto davanti all’azzurro intenso del cielo. Già da lontano si intuisce quanto ci sia da esplorare e la curiosità spinge tutte e tre ad accelerare il passo. La giornata è calda e prima di addentrarci nella villa approfittiamo del refrigerio dell’ombra dei grandi alberi presenti nel parco circostante. La prima cosa che noto è che, per essere un luogo in abbandono, esso è piuttosto frequentato: si sente il vociare di gruppetti di giovani curiosi, li raggiungiamo ci diamo come il cambio di consegne con altri tre “esploratori” che si fermano a darci alcuni consigli su dove andare a “ficcanasare”. Entriamo nella villa oltrepassando un porticato, le colonne massicce sorreggono sulle proprie spalle tutto un altro piano, costellato di finestre e finestroni, che il forte sole di questo giorno rende iridescenti. L’edera ed i rampicanti sono riusciti ad entrare ovunque, si avvinghiano alle pareti con forza, stritolano tutta villa, tanto che il rumore dei nostri passi potrebbe essere il suono dei muri che scrocchiano. La prima stanza che incontriamo è color acqua marina, non è molto grande e serve a condurci allo scalone principale. La bella giornata ci regala spettacolari giochi di luce ed ombre, ottimi per le fotografie che stiamo scattando. Le altre sale che oltrepassiamo differiscono per grandezza e sfumature di colore, alcune sono lievemente più cupe, altre fanno male agli occhi talmente riflettono la luce esterna. Unico elemento in comune è lo stato di degrado, non c’è un vetro intatto, i pavimenti sono consunti e si alternano a pezzi di terriccio, le pareti sono state tutte spellate e private di dignità e bellezza. L’intera struttura è senza mobilia, gli unici elementi di arredo sono vecchie porte di legno secco, alcuni bagni troppo sporchi persino per essere vandalizzati e pezzi di antichi e arrugginiti macchinari, ammonticchiati uno sull’altro, come si fa con le cose vecchie.

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I raggi del sole scendono calpestando sinuosi i gradoni di marmo, passano sotto gli archi esterni, scivolano sui pavimenti e si appoggiano a quel che resta degli affreschi ormai irrecuperabili.

È la luce a farci da guida attraverso la particolare planimetria della villa, che presenta una struttura centrale a forma di U, dalla quale si diramano corridoi e passaggi che conducono alle altre zone.Trovo un locale adibito a cinema, è un’ampia sala suggestiva, dal pavimento spuntano delle vecchie sedie di legno con la seduta pieghevole, schierate fianco a fianco, immobili, sembrano un plotone di soldatini giocattolo, hanno un aspetto fragile, ho timore che basti una parola detta a voce alta per farle sgretolare. All’interno dell’edificio vi è una cappella di famiglia, un tempo doveva essere splendida, ora mi chiedo per quanto riuscirà a sopravvivere intatto l’altare, unico elemento risparmiato dalla brutalità dei precedenti visitatori. Ecco tutto attorno alle pareti i segni delle sette sataniche, scritte illogiche e sgrammaticate che non mi fanno pensare a tremendi riti occulti, ma a gruppi di ragazzini sciocchi che non sanno come passare il sabato sera. La luce sta diminuendo e data la grandezza della villa è bene metterci in marcia per tornare indietro. Non tutte le storie sono uguali e non tutte possono sempre coinvolgerci totalmente, così è stato per me l’incontro con Villa Moglia: mi porto a casa delle fotografie esteticamente belle, ma con poco significato. Forse questa volta sono arrivata tardi, il corpo della villa sarebbe stato ancora lì per un po’, ma l’anima se n’era già andata via, prima che l’edera riuscisse a stritolare anche lei.  

 

Alessia Cagnotto

 

Rinnovo presidenze di commissione a Palazzo Lascaris

Nuovi presidenti e vicepresidenti nelle Giunte e Commissioni del Consiglio regionale. Il 19 aprile si è proceduto al rinnovo dei vertici di varie Giunte e Commissioni consiliari, in seguito all’elezione in Parlamento di alcuni consiglieri regionali e ad alcune dimissioni

L’esito delle votazioni ha portato alle seguenti elezioni.

Giunta per il Regolamento: vicepresidente Giuseppe Antonio Policaro (Fdi).

Giunta per le Elezioni: vicepresidenti Celestina Olivetti (Pd) e Luca Angelo Rossi (Fi).

Terza Commissione (Economia; industria; commercio; agricoltura; artigianato; montagna; foreste; fiere e mercati; turismo; acque minerali e termali; caccia e pesca; formazione professionale; energia; cave e torbiere; movimenti migratori): vicepresidente Andrea Tronzano (Fi).

Quarta Commissione (Sanità; assistenza; servizi sociali; politiche degli anziani): Presidente Domenico Rossi (Pd), vicepresidente Paolo Allemano (Pd).

Quinta Commissione (Tutela dell’ambiente e impatto ambientale; risorse idriche; inquinamento; scarichi industriali e smaltimento rifiuti; sistemazione idrogeologica; protezione civile; parchi ed aree protette): vicepresidente Luca Angelo Bona (Fi).

Sesta Commissione (Cultura e spettacolo; beni culturali; musei e biblioteche; istruzione ed edilizia scolastica; università, ricerca; politiche dei giovani; sport e tempo libero; cooperazione e solidarietà; minoranze linguistiche): vicepresidente Luca Cassiani (Pd).