Il lago d’Orta di Mario Soldati

L’essere stato tra i pionieri della televisione, esaltandone le capacità d’indagine sul costume sociale, consentì a Soldati di mettere in luce, con evidenza ancora maggiore, la predisposizione ad indagare sul viaggio, sull’avventura, sul movimento, dimostrando anche un’attenzione analitica per gli aspetti gastronomici ed enologici legati al territorio, aspetto di chiara ispirazione manzoniana, ma sicuramente anche caro ad uno scrittore che Soldati amò molto e portò sullo schermo: Antonio Fogazzaro

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 Di Marco Travaglini

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Nelle sue opere Mario Soldati offre al lettore una molteplicità di suggestioni e, tra queste, accanto ai profili dei personaggi e all’idea del viaggio, assume una notevole importanza quella del paesaggio. I luoghi non sono solo lo sfondo e la cornice alle vicende narrate, ma diventano anch’essi veri e propri protagonisti, mirabilmente descritti dalla penna incisiva dello scrittore piemontese. L’essere stato tra i pionieri della televisione, esaltandone le capacità d’indagine sul costume sociale, consentì a Soldati di mettere in luce, con evidenza ancora maggiore, questa predisposizione ad indagare sul viaggio, sull’avventura, sul movimento, dimostrando anche un’attenzione analitica per gli aspetti gastronomici ed enologici legati al territorio, aspetto di chiara ispirazione manzoniana, ma sicuramente anche caro ad uno scrittore che Soldati amò molto e portò sullo schermo: Antonio Fogazzaro che apre il suo romanzo “Piccolo Mondo Antico”, con un viaggio attraverso il lago, durante il quale la conversazione fra Pasotti e il curato verte sui cibi che troveranno imbanditi sulla tavola della marchesa Orsola.

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Programmi  come “Viaggio lungo la Valle del Po, alla ricerca dei cibi genuini”, del  1957, e “Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno”, inchiesta televisiva in sette puntate sulle letture degli italiani, firmata con Cesare Zavattini e andata in onda nel 1960, offrono ancor oggi l’immagine ricca e innovativa – per l’epoca – di quella che potremmo definire una “indagine sul campo”. Va ricordato che Mario Soldati ha inciso profondamente nella storia dei mezzi radiotelevisivi in Italia, proprio nella fase pionieristica della RAI, quando la televisione stava muovendo i suoi primi passi. Resta il fatto che per Soldati i ‘luoghi’ con i loro nomi e le loro caratteristiche  non rappresentano lo sfondo indistinto dove vengono ambientate le storie di tanta narrazione del secolo breve.  In Soldati c’è un’attenzione diversa, quasi un’attrazione che si trasforma in desiderio di comunicare, di far vedere quei luoghi, elevandoli al ruolo di protagonisti del racconto, mettendo in luce il rapporto stretto e inscindibile che unisce la sua scrittura al suo essere uomo di cinema. Così, in un rilevante esempio d’innovazione comunicativa, ecco che uno degli scrittori più cosmopoliti del panorama letterario  italiano si afferma come uno dei più attenti e profondi conoscitori della provincia. In questo suo bisogno di far assurgere il paesaggio allo stesso livello del personaggio torna con prepotenza il legame alla terra di Manzoni e non si può non cogliere, nelle pagine di Soldati, una sorta di personale ispirazione a brani mirabili dei “Promessi sposi” quali l’incipit “Quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno” o “l’addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo”, per non parlare delle descrizioni di Milano, o dei luoghi attraversati dalla fuga di Renzo. Ma ciò che in Manzoni si trasforma in lirismo, in Soldati diventa realismo, un realismo che solo lo spietato occhio della telecamera può cogliere pienamente. I temi del viaggio e della fuga, che hanno influenzato tra la fine degli Anni Ottanta e i primi Anni Novanta l’opera di cineasti come Gabriele Salvatores, con la cosiddetta “trilogia della fuga” composta dai film Marrakech Express , Turnè e Mediterraneo, nella ricca bibliografia di Soldati tornano spesso, come suggeriscono i titoli stessi di molte delle sue opere, come  Fuga in Francia, Viaggio a Lourdes, Fuga in Italia, L’avventura in Valtellina.

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Negli stessi “Racconti del Maresciallo”, sia nella forma scritta che nelle due riduzioni televisive, con le serie andate in onda nel 1968 ( la prima in sei puntate, con Turi Ferro a prestare il volto al maresciallo Gigi Arnaudi) e nel 1984 (“I nuovi racconti del Maresciallo”, in cinque puntate con la regia del figlio  Giovanni Soldati e Arnoldo Foà come interprete) i luoghi assumono una notevole rilevanza, mettendo in luce questo che può essere definito come uno dei tratti distintivi di Mario Soldati. La sua passione per “le Italie”, lo portò a compiere un’esperienza del tutto unica nella sua  carriera: l’organizzazione della  mostra sulle regioni per ‘Italia 61’ che celebrò i cent’anni dell’Unità d’Italia al Palazzo delle Esposizioni di Torino (costruito per quell’occasione). Volendosi cimentare nella costruzione di un “itinerario soldatiano”, sarebbero tanti i luoghi del Bel Paese (e del mondo) da ripercorrere: da Torino e dall’abitazione nel centro storico del sabaudo capoluogo fino a Roma, dove visse e lavorò fino al 1960, da Corconio, sul lago d’Orta, alle colline dell’entroterra del lago Maggiore e alle amate Alpi; dalla Liguria, con il mare di Alassio e Chiavari, fino a Tellaro, la frazione più orientale del comune di Lerici, nello spezzino, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.  C’è però un luogo che forse, più di altri, ha lasciato un segno, una traccia indelebile nell’animo di Soldati. E questo luogo è il lago d’Orta. E’ qui che la grande amicizia e il sodalizio tra Soldati e Mario Bonfantini trova l’occasione e l’habitat ideale per saldarsi in modo inscindibile. Sulla rivista “Lo Strona” ( n. 1/1979), ricordando l’amico Bonfantini ,da poco scomparso, Soldati rievoca il momento più importante della nostra amicizia e forse anche della sua e della mia vita: un lungo momento magico, tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936, quando il destino ci appaiò, ci assecondò nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta: quell’autoconfino rigeneratore, quel delizioso paradiso perduto e ritrovato che accogliendo lui e me, Mario il vecchio e Mario il giovane, ci salvò in extremis da strazianti, estenuanti, storte vicende sentimentali e restituì all’uno e l’altro al suo vero se stesso”. Soldati, ne’ “Gli anni di Corconio”, offre una bellissima descrizione del viaggio da Novara al Cusio, raccontando luoghi, persone e vicende con una delicatezza che tradisce i suoi sentimento e l’affetto che nutre per questo suo luogo dell’anima. Un viaggio che intrapresero in bicicletta , con lo stretto necessario di  biancheria e  libri legato sui portapacchi (“..tutto il resto, quando avremmo potuto dare il nostro definitivo indirizzo, ci sarebbe arrivato per ferrovia o portato su da qualche amico di Novara che possedeva un automobile”). Fu un’esperienza importante che Soldati fissa nella sua memoria, al punto da descriverla “ come uno dei momenti più felici della mia esistenza”, raccontando  la partenza in un pomeriggio dei primi di ottobre del 1934 : “…filavamo appaiati sull’asfalto deserto di un lunghissimo rettilineo, nell’aria fresca, nella chiara ombra delle alte cortine dei pioppi. La strada in continua, regolare, lieve salita sembrava fatta apposta per sfidare i nostri garretti: provavamo il piacere di mantenere, con uno sforzo sensibile, ma assolutamente indolore, una velocità quasi da professionisti”. I paesi scorrevano sotto i loro occhi, con Bonfantini che , entusiasta, ne gridava i nomi, mentre i due pedalavano su strade di terra, seguendo un percorso che li portò, in un primo momento sulle colline del lago Maggiore, a Nebbiuno, dove si fermarono sedotti e affascinati da quel nome.

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Qui però non trovarono l’agognata pace, ma il terribile frastuono della fabbrica di chiodi. Scrive Soldati: “Aihmé, quel nome affascinante ci aveva fatto immaginare, ci aveva promesso un autunno e un inverno da veri scrittori, lunghe giornate al tavolino, ore interminabili, proficue, difese e ovattate dal silenzio delle lente nebbie che dovevano salire dal lago fino alle finestre della nostra stanza. Nebbiuno ci aveva tradito. Da Nebbiuno eravamo fuggiti per sempre con orrore..”. Intrapresa la via dell’alta Valle dell’Agogna , verso Sovazza e Armeno,con l’immagine svettante del Monte Rosa all’orizzonte, apparve davanti ai due letterati-ciclisti  il “miraggio, famigliare, idillico, complementare di quello del Rosa: il lago d’Orta, che Mario amava già appassionatamente, e che anch’io amavo, ma conoscevo appena.. Da quel momento, fu come se se fossimo guidati da una concorde ispirazione, da un’intelligenza misteriosa che ci spingeva, ci spronava a continuare, a scendere verso il lago. Attraversammo Armeno, percorremmo velocemente la strada tra Armeno e Miasino, tra Miasino e Vaciago, e, dopo Vaciago, giù, senza più ricordare la carta geografica, senza pensare a nessun nome di nessun luogo. Forse era solo, molto semplicemente, la gioia della discesa: o forse quell’azzurro che, tra i verde di ogni tornante, ci invitava a scendere verso il lago”.  Così giunsero a Corconio, dove dimorarono nell’alberghetto gestito dalle due sorelle Rigotti, l’Angioletta e la Nitti. Lì, entrambi, quasi adottati da quella famiglia, misero radici e vissero intere stagioni alloggiando in “una stanza d’angolo, la più bella e più soleggiata dell’albergo, con una finestra a nord e una a ovest. Pagavamo ciascuno, per l’alloggio e il vitto vino compreso, centoventi lire al mese”. Le lunghe chiacchierate davanti al fuoco del camino con il Pédar e il Nando, mangiando castagne arrosto o bollite, bevendo il vino nuovo nelle ciotole, si accompagnarono alle pagine che vennero scritte, ai libri che presero forma, agli articoli e ai saggi critici che consentirono loro di racimolare il necessario per poter vivere “da scrittori”. A Corconio , il giovane Soldati rimase due anni. Vi scrisse il suo bellissimo “America primo amore” ( che Mario Bonfantini fece pubblicare da  Bemporad a Firenze) e iniziò il romanzo “Confessione”, oltre a confezionare innumerevoli articoli per “Il Lavoro” e altre testate giornalistiche. L’ambiente circostante si offriva a loro in tutta la sua bellezza. “Quante cose Corconio ci ha insegnato. Come ci ha cambiato, Mario e me, per tutta la vita, in quella specie di autoconfino che ci eravamo scelti involontariamente e inconsciamente. Gli spazi, intorno, ci sembravano immensi. Eravamo restii a violarli, provavamo una strana timidezza a muoverci dalle immediate vicinanze dell’albergo di Corconio. E quando ci muovevamo per andare in qualche posto un po’ più lontano, Alzo, Orta, Pettenasco, Gozzano, era soltanto per la sicurezza che avevamo di trovarci qualcuno che ci aspettava, un amico che ci conosceva”.Sul lago d’Orta, come lui stesso scrisse, indagò – insieme all’inseparabile amico – sul senso da dare al termine civiltà.

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E lo trovò nelle cose semplici, ma ricche di valori di quell’esperienza. La riconobbe in quella che, in tutta semplicità, veniva chiamata educazione. Così, scriveva in proposito: “La parola civiltà, che deriva da civis, cittadino, include necessariamente il concetto di comunicazione con gli altri, di amore per il prossimo: la parola cultura che è la forma astratta del latino colere, coltivare. non è necessariamente né esclusivamente dedicata agli altri: può essere interpretata anche in senso egotistico. Ed è sintomatico che i tedeschi, invece della parola corrispondente a civiltà, usino di solito in sua vece la parola kultur. Sì, la nostra civiltà contadina e lacustre era allora altrettanto sconosciuta di quella oltre Eboli, altrettanto lontana sebbene vicinissima: solo, era più umana. A Corconio, non l’avrebbero nemmeno chiamata civiltà. Sapete, se fossero stati interrogati come l’avrebbero chiamata? Educazione. Noi siamo così, avrebbero detto, siamo così perché così siamo stati educati dai nostri nonni, dai nostri genitori, dai nostri compaesani appena un po’ più in là di noi negli anni. Era un’educazione più umana e più profonda di quella di tanti altri paesi perché serrava più da presso la realtà, tutto il bene e tutto il male della vita”. A suggellare il legame tra Mario Soldati e la “terra tra i due laghi”, quel territorio che si distende attorno al Mottarone, svettante, solitario,  tra il Maggiore e l’Orta, ci sono molti altri episodi oltre all’ambientazione delle scene finali del film “Piccolo mondo antico”, parecchi episodi de “I racconti del Maresciallo” e quel piccolo atto d’amore rappresentato dal breve documentario “Orta Mia” del 1960. Altre due iniziative di Mario Soldati, entrambe legate alla nascita di importanti premi letterari, confermano il suo amore per queste terre.

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Nel 1959 , da un incontro tra l’allora sindaco di Omegna Pasquale Maulini con Mario Soldati, insieme a Mario Bonfantini, Cino Moscatelli e Gianni Rodari, nasce l’idea d’istituire il Premio letterario della Resistenza “Città di Omegna” che, in tredici successive edizioni, sino al 1974 ( venne poi ripreso nel 1995) ha rappresentato un appuntamento alto della cultura italiana e internazionale. Basta scorrere l’Albo d’oro dei vincitori ( da  Jean Paul Sartre a Franz Fanon, da Camilla Cederna a Aléxandros Panagulis) ed i prestigiosi nomi che, in quegli anni, fecero parte della Giuria ( oltre ai due “Mario”, Soldati e Bonfantini, Guido Piovene, Gianni Rodari, Cesare Zavattini, Italo Calvino, Franco Fortini, Carlo Bo e tanti altri) per avere un’idea dell’importanza del Premio. Nel 1976, viceversa, Mario Soldati, insieme ad alcuni scrittori che vivevano, o soggiornavano, sul Lago Maggiore e si raggruppavano “idealmente” – allora – attorno alla rivista “La Provincia Azzurra”, contribuì alla fondazione del Premio Stresa di Narrativa. Un appuntamento letterario, quest’ultimo,  che si distinse nel panorama culturale nazionale per un suo particolare dinamismo, ma anche per quell’attenzione al “regionalismo” cui si ispirava una parte importante della letteratura lombardo-piemontese del ’900, e soprattutto in campo narrativo. Accanto a Soldati c’erano l’immancabile Mario Bonfantini, il luinese Piero Chiara, il giornalista Gianfranco Lazzaro e Franco Esposito, fondatore e direttore della rivista culturale “Microprovincia”. Anche qui, sin dall’inizio, della Giuria fecero parte scrittori e intellettuali come Carlo Bo, Giovanni Spadolini, Giorgio Bàrberi Squarotti e Primo Levi. Dunque, non solo le opere del grande scrittore piemontese – letterarie, cinematografiche e televisive – hanno subito l’influenza di questi luoghi ma, in chiusura, è possibile immaginare che anche Mario Soldati abbia avvertito, come noi che per scelta o per sorte qui viviamo, scorrere nel suo sangue la trama dell’acqua del lago. Una trama fatta di bonacce, tempeste, onde, schiume, increspature del vento, sciabordio lungo i moli. Non è cosa che si possa capire fino in fondo se non s’avverte dentro, nell’anima.  Guardare i ghirigori che disegnano le correnti in superficie equivale ad ammirare quelle rughe cesellate nell’istante stesso che precede la loro cancellazione da un’altra onda. Immagino che Soldati, quando si recava ad Omegna, fissasse con curiosità e forse con un certo fascino lo scorrere lento della corrente della Nigoglia e quei pesci che vi si mettono di traverso, puntando il muso in senso opposto, tenaci come salmoni pronti a spiccare il salto. Immagino che abbia pensato che, come ogni cosa viva di queste parti,anche i pesci  mettessero a nudo il loro spirito ribelle stando lì, quasi immobili nella corrente, in direzione ostinata e contraria. Anche i colori del Cusio che vedeva da Corconio, il più delle volte, non s’accontentano delle mezze misure, prediligendo tonalità forti: grigio metallo e antracite sotto la pioggia battente d’inverno; verdeazzurro carico, pieno di vita e di promesse in tarda primavera; dolente e malinconico, pur senza rassegnazione negli autunni dove il colore delle foglie dei boschi tinge di giallo e arancio il riverbero dell’acqua. Quante volte sarà capitato anche a lui, e a Mario Bonfantini, di vedere nell’ombra riflessa sull’acqua di una nuvola che accarezza il Mottarone e fugge via, rapida, verso l’alta Valsesia irrompere la scia di una barca a motore che ne taglia a metà l’immagine riflessa per poi lasciare all’acqua il compito di ricomporla, con le forme morbide e mosse di un’opera di Gaudì. L’acqua, torcendo le immagini,  confonde. In fondo, questo è il lago d’Orta. E si può capire perché Mario Soldati se ne fosse innamorato.

 

Marco Travaglini

 

 

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