redazione il torinese

Palpeggia ragazza alla fermata metro e le sfila la camicetta

DALLA LOMBARDIA

Brutta avventura per una ragazza di 25 anni, nata all’estero ma residente a Milano, che  ieri sera, verso le 23,  in una stazione della metropolitana è stata aggredita da un romeno di 32 anni. L’uomo l’ha palpeggiata e con la forza le ha poi tolto la camicetta. E’ stato bloccato dai carabinieri del nucleo radiomobile e  denunciato a piede libero per violenza sessuale. La giovane stava per salire in metropolitana quando è stata avvicinata dallo sconosciuto che ha iniziato a metterle le mani addosso, a palpeggiarla in modo sempre più pesante, fino a sfilarle la camicia che indossava. La ragazza è però riuscita a fuggire e a chiamare i soccorsi.

I trasferimenti dall’ex Moi “premiano” Barriera di Milano

STORIE DI CITTA’ di Patrizio Tosetto
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Premiati i cittadini di Barriera di Milano. Due anni fa votarono in massa al ballottaggio l’Appendino. Poi, non contenti, il deputato di zona é di Forza Italia .E dopo anni di egemonia comunista passata dal ds al Pd, una buona affermazione della Lega (s’intende quella Lega Nord fatta da “ariani” puri) Via Palestrina 23: questo è lo stabile che ospiterà i 54 somali sgomberati dalle palazzine  dell’ex villaggio olimpico. Operazione sollecitata da Salvini e prontamente realizzata da Appendino. Si sposta il problema che comunque rimane, tutto nella più segreta segretezza per paura di possibili contestazioni.Preoccupazione infondata. Oramai vince la rassegnazione. Le rabbie sono individuali, si sfogano al massimo sul web dove non c’ è contraddittorio reale. Al più qualche contestazione che trova il tempo che trova, direi quasi come bere un bicchiere d acqua. Inutile quanto sterile. In una sorta di “maturità” della democrazia che si sta avviando al tramonto della democrazia stessa. Come in un teatrino dove stancamente si ripetono parti prestabilite che non avranno soluzione di continuità. Problemi spostati e dunque parcheggiati. Manco Casa Pound ha qualcosa da ridire. E’ un ennesima occasione per gli antagonisti che urleranno ai somali di ribellarsi. A cosa ? A chi? Assicura la mediatrice culturale somala dipendente del Comune che tutto è sotto controllo. Sarà come dice lei…cosa del resto ovvia, per chi viceversa sarebbe disoccupata.
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Un aspetto che mi ha colpito sentendo le sue dichiarazioni:  i 54 somali sono a posto con i documenti.  Non voglio creare problemi. Accettano questo intervento e accettano l’assistenza che le istituzioni gli danno. Sono pacifici. Ma non chiedono lavoro?  Non chiedono di poter essere utili alla comunità?  Anche loro entrati nella perversa spirale dell’assistenzialismo. Ci fa ricordare l’antico proverbio cinese di non regalare il pesce ma di insegnare a pescare. Poi tanto qualcuno pagherà – se pagherà-  il disturbo economico finale. Più facile scaricare sull’altro o su altra forza politica le relative colpe. L’urlo del dissenso si stempera nella solitudine della rassegnazione. Tanto non c’è limite al peggio. Altra sommatoria di problemi che convivendo e scontrandosi diventano amplificati ed irrisolvibili.Povera mia cara Barriera di Milano, ti si scarica tutto addosso perché è più facile scaricare sui deboli. Nulla contano le promesse di riqualificare le barriere.Ciò che  ho detto sono parole al vento. Sono questa nuova comunità somala il problema dei problemi? No, non di per sé . Ma il solo fatto di essere una criticità inserita in contesti cosi precari e carichi di problemi sarà detonatore di altri problemi. Ingovernabile.  Tutto ingovernabile perché (forse) l’Appendino ha fatto bella figura verso il Ministro Matteo Salvini, ma ha messo la “spazzatura” sotto il tappeto. Troppa spazzatura comunque si alza ancorché si sia nascosta . Sia ben chiaro, non è la comunità somala la spazzatura. E’ la nostra incapacità di affrontare i vari problemi portati da questa immigrazione. Con una complicanza estremamente preoccupante introdotta dai pentastellati: meno si parla e meno si discute meglio è.  Se volete sfogarvi c è il Web. Una strisciante nuova forma di dittatura. 

Liverpool – Torino finisce 3-1

Anfield Road ha ospitato l’amichevole Liverpool – Torino. I granata hanno perso  3-1 contro i vicecampioni d’Europa che hanno dapprima segnato al 21’ con Firmino. Poi il  raddoppio  al 24’ con Wijnaldum, mentre i ragazzi di Mazzarri accorciano Toro alla mezz’ora con lo stacco di testa di Belotti. Infine, all’86’ rete  Sturridge. I Reds mancano un rigore con Fabinho al 17’. Il Toro ha dimostrato grinta, perdendo con onore.

Pensioni d’oro, Molinari: “Un tetto per innalzare minime” 

Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e firmatario del progetto di legge, commenta: “Mettere un tetto alle Pensioni d’oro per innalzare le minime. E’ stata presentata la proposta di legge che prevede il ricalcolo sul retributivo delle Pensioni e dei vitalizi per la parte eccedente gli 80 mila euro l’anno lordi. Le risorse liberate con questo ricalcolo verranno utilizzate per aumentare il tetto di 450 euro mensili delle Pensioni minime e delle Pensioni sociali, fino alla soglia di 780 euro. Un progetto di legge improntato sulla solidarieta’ e sulla equita’ sociale che punta a correggere le palesi diseguaglianze createsi negli ultimi decenni. Finalmente infatti si toglie qualcosa a chi ha tanto per alzare le Pensioni minime di tutti gli italiani”.  

Suoni e lampi di immagine dai Balcani

di Marco Travaglini

Un mondo che porta nel  cuore la storia straziata di uno stato che non c’è più, di cui si pronuncia il nome solo con una “ex” davanti: la Jugoslavia. La terra degli slavi del sud, paese fatto di tanti paesi, di persone e storie. Ai tempi della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia si raccontava come ci fossero  “sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito

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I Balcani sono suoni e lampi di immagine. Sono, come sottolinea Paolo Rumiz “il periplo mediterraneo di una parola araba, sevdah, che significa negra bile, la grande madre dei salti umorali, della nostalgia e dell’innamoramento”, parola che con l’armata islamica raggiunge la penisola iberica e si ibrida col latino trasformandosi in “saudade”; quella “dolce malinconia” (di una terra perduta) che secoli dopo gli ebrei, esiliati dai re cattolici, porteranno con sé nella nuova terra, ancora una volta islamica, l’impero turco, per generare quegli struggenti capolavori di musicalità popolare che sono le “sevdalinke“, le canzoni d’amore della Bosnia. I Balcani sono il luogo dove ci si accorge che tutto inizia tutto finisce e tutto si capisce.  Un mondo che porta nel  cuore la storia straziata di uno stato che non c’è più, di cui si pronuncia il nome solo con una “ex” davanti: la Jugoslavia. La terra degli slavi del sud, paese fatto di tanti paesi, di persone e storie. Ai tempi della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia si raccontava come ci fossero  “sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito”. Di tutto ciò, ad accomunare controvoglia i paesi nati dalla sua frammentazione, è rimasto in comunione solo il prefisso telefonico internazionale:  “0038”. Lo stesso per tutti e sei gli stati, che precede – si spera solo numericamente – il nostro, lo “0039” italiano.  Come per Rumiz, questi sono – anche per me –  i Balcani. Non solo guerre e secessioni, ma “note bastarde, voci e frequenze che bucano i confini, ignorano i visti, i passaporti e le lingue, per andare dritti al cuore dell’uomo”. Tristezza della guerra e dignità della vita si mescolano ai profumi e ai sapori balcanici.Le immagini di luoghi, montagne, vento,birra, vino, di rackia, ( l’acquavite)  e di slivovica, che quando è buona ( nel suo distillato di prugne, talvolta albicocche, in certi casi pere e fichi ) è la fine del mondo e può addolcirti le serate. Il segreto, lo “spirito” di città come Sarajevo è racchiuso in tre parole: condivisione, disponibilità, accoglienza. E, se si vuole, se ne può aggiungere una quarta: tolleranza.  Si racconta una storia, un aneddoto, basato sulla realtà: in casa dei cristiani c’era molto spesso un pentolone di coccio che non aveva mai toccato la carne di maiale e che veniva conservato per invitare a cena i musulmani e gli ebrei, nel pieno rispetto delle altrui fedi. Sarajevo è stata bombardata per quattro anni ( con 11451 morti e una pioggia di 470 mila granate)  non perché stava diventando islamica, ma al contrario perché era troppo tollerante e complessa per essere accettata da un mondo che venera il pensiero unico, uguale, monolitico. Così bellezza e vitalità si celano dietro alla “piega obliqua e amara dei Balcani”, come la descrive Paolo Rumiz ne “La cotogna di Istanbul”.balcani22 L’incontro col diverso e l’abitudine al confronto con l’altro da sé hanno reso questa popolazione unica, come lo è la sua  geografia. Con alcuni amici, in una delle tante serate passaste nel caravanserraglio  della Baščaršija,  abbiamo fatto una scommessa. Goran e Edina  ridevano, conoscendone anticipatamente l’esito. Guardavamo le donne, le ragazze cercandone una non bella. Chi ne intravedeva una per primo, aveva diritto ad una frasca e schiumosa birra, appena uscita dalla Sarajevska picara,l’unica birreria europea che è riuscita a produrre con continuità sia ai tempi dell’Impero ottomano che nel periodo dell’impero asburgico. Ognuno pagò la sua parte perché nessuno vinse. Trovare una ragazza non bella era quasi un’impresa impossibile. E poi la musica, il ritmo dei suoni ma anche delle lingue che sono molte e che fanno inevitabilmente bene all’elasticità della mente e dei caratteri. I Balcani sono grandi, anche se il cuore – oltre a Sarajevo – lo si trova scendendo la stretta valle della Neretva, con la strada che costeggia le acque color smeraldo del fiume che le dona il nome.  E’ ancora Rumiz a ricordarci che Balcani sono anche quel villaggio macedone  che  – stando ai racconti dei suoi abitanti – pare sia stato risparmiato dalle armi grazie alla musica: Strumica, quasi al confine con la Bulgaria. Quando scende la sera  i contadini tornano dai campi con i loro attrezzi in spalla e, giunti in paese, mollano la zappa e prendono il clarino, la tromba o il tamburo e tutto il paese si riempie di suoni.Questo è il loro antidoto al disordine. Perché lì non è mai arrivato il kalashnikov? Perché avevano il sassofono e lo preferivano,  perché da generazioni suonano e sono stati allenati alla musica “ già prima di nascere, perché la sentivano dalle pance delle loro madri”.  Una musica che, come dice Goran Bregović, “ è una miscela, nasce da una terra misteriosa dove si incrociano tre culture: ortodossa, cattolica e musulmana“. Splendida e piena di voglia di vivere.

Mangiati dalla crisi

La Nigoglia a Omegna è il simbolo del carattere di chi ci vive attorno. Se è vero, e lo è, che fa scorrere le sue acque verso nord, seguendo una rotta diametralmente opposta a quella che solitamente percorrono i torrenti alpini, gli omegnesi ( e i cusiani, in genere) si sono sempre dati da fare con caparbietà nella direzione del progresso, adattando e modellando il loro futuro

Gent con tri ball”, sentenzia Carlino, portando entrambe  le mani al cavallo dei pantaloni per dare un senso figurato alle sue parole. Se agli inizi dell’800 l’economia era prevalentemente agricola e pastorale, con qualche artigiano che s’arrangiava con il legno, il peltro e i metalli,la svolta industriale prese l’abbrivio attorno alla fine del secolo e s’affermò nei primi anni del ‘900. I piccoli coltivatori, gli allevatori di bestiame, gli artigiani diventarono in gran parte i primi operai delle grandi fabbriche. Già in valle Strona, da tempo, ci si dava da fare con il legno. Mulini ad acqua e piccole botteghe artigiane producevano cucchiai, mestoli, ciotole e piatti di legno diventando in breve tempo la “val di cazzoi”, la valle dei mestoli. Non solo li producevano ma li vendevano, guadagnandosi il pane come ambulanti nelle grandi città al pari degli ombrellai del Vergante. I peltrai , veri artisti, andarono oltre, valicando le alpi fino in Germania, Austria e in tutta la mitteleuropa. I loro prodotti erano resistenti, si potevano riparare o rifondere ed erano più a buon mercato della porcellana e dell’argento. Nelle case borghesi finirono boccali, posate, candelabri, lampade, bicchieri e signorili tabacchiere. Venne persino imposto un marchio di riconoscimento per i vari fabbricanti.

Poi s’affermarono l’industria tessile, cartaria,siderurgica e il casalingo di metallo,erede di quello in peltro e legno.Tra Omegna e Gravellona si misero in moto gli opifici della Guidotti e Pariani, Furter, Ackermann. A Crusinallo la cartiera Maffioretti ( in seguito Binda) nel 1880 dava lavoro a 725 persone. Nel 1857, la ferriera Vittorio Cobianchi cambiò l’economia di Omegna con il fragore dei magli e l’incandescenza delle colate d’acciaio. Nel Cusio nasceva l’industria del casalingo con la Calderoni, la Piazza e la Cane. Il fondatore di quest’ultima, Baldassarre Cane, originario della Valstrona, era tornato in città dopo una lunga permanenza a Parigi. Nella ville Lùmiere inventò il  sifone da selz e con i ricavati tornò in riva al lago d’Orta e investì i suoi averi nell’opificio per la lavorazione dei metalli.Con l’affacciarsi del nuovo secolo, nel 1901, vide la luce la Lagostina, seguita poi da tante altre come la Bialetti, con le sue caffettiere dell’omino coi baffi, e l’Alessi. “E adesso? Guarda che roba! Si son riempiti le tasche con il nostro sudore, hanno messo i soldi in Svizzera o in quelle isole dove non si pagano le tasse e a noi ci hanno dato un calcio nel sedere. La crisi ci ha mangiati e digeriti”. Carlino s’arrabbia, rosso in volto. Ha passato una vita davanti agli altiforni dell’acciaieria e poi a ribattere fondi di caffettiere.“So bene che più a sud e più a est ci sarà sempre qualcuno che produrrà a minor costo,cavolo. Ma la qualità?La nostra professionalità? E la dignità del lavoratore, eh? Dove le mettiamo? Nella tazza del bagno e poi tiriamo lo sciaquone? La verità è che quelli lì non sono industriali, a parte l’Alessi e pochi altri. Hanno il cuore e la testa da commercialisti senza scrupoli. Vengono, mangiano e se ne vanno senza salutare e senza pagare il conto. In più, razziano i marchi, la storia, l’immagine della nostra industria. Vuoi che ti dica cosa sono, quelli lì? Banditi. E non hanno nemmeno bisogno di nascondersi la faccia con una calza di nylon”. Hanno ridimensionato gli organici, chiuso tante fabbriche. La cassa integrazione non si conta più e chi ha avuto la fortuna di restare nei reparti si è visto aumentare i carichi di lavoro e, grazie alla crisi, alleggerire la busta paga. Non è bel momento, con questa recessione che sembra non finire mai, presentando in conto a quelli che stanno peggio mentre i più fortunati stanno meglio di prima. Lo prendo sottobraccio e ci avviamo verso via Manzoni, dove c’è il circolo “Ferraris” ma pure la sede del sindacato.Andiamo lì per dare una mano, per aiutare i nostri amici operai che sono in difficoltà. Una parola di conforto, la condivisione di un problema, qualche decina di euro fatti avere di nascosto a una famiglia che ha bisogno, senza offenderne la dignità. Al sindacato non è che riescano a fare un granché, ma almeno ci provano. Per di più , maledizione, si sono anche divisi. Uno di qua e gli altri di là, a discutere sulle strategie, se è meglio fare così o è più giusto fare cosà. Intanto, i padroni ci passano sopra come il rullo quando asfaltano le strade.Intendiamoci bene: il sindacato serve, eccome. Guai se non ci fosse e va tenuto in conto come un oracolo ma sono i sindacalisti che avrebbero bisogno di una raddrizzatina. Magari è sufficiente registrargli le valvole e, comunque, hanno un gran bisogno di togliersi la cravatta e vivere di più la realtà di chi lavora. “Te lo ricordi il Poldino? Quello sì che sapeva il fatto suo“. Come dare torto a Carlino. Era un sindacalista di fabbrica che aveva la tenacia e la saggezza degli operai che sapevano fare “i baffi alle mosche”. Diceva sempre che “ l’importante è continuare il rammendo e avere fiducia. Se non si avesse fiducia si starebbe qui a diventar matti tutti i giorni?”.Una grande lezione di vita di cui fare tesoro.

Marco Travaglini

Il treno dei desideri che saliva sul Mottarone

MOTTARONE LAGODalla sommità del Mottarone  si può spaziare a 360° dalla catena dell’Appennino Ligure e delle Alpi Marittime al massiccio del Monte Rosa , fino alle imponenti cime elvetiche, passando attraverso la Pianura Padana 

Il Mottarone (1491 m. s.l.m.) è  sempre stato una montagna speciale, dolce nella fisionomia ( come un grande panettone) e maestosa nel posizionamento. Pur essendo tra le cime meno alte della catena alpina, dalla sua vetta lo sguardo si perde su di un panorama a dir poco unico, da molte parti indicato come pari, se non superiore in fascino, a quello della ben più alta vetta del Righi, la montagna svizzera resa famosa proprio dal suo straordinario scenario panoramico. Dalla sommità del Mottarone  si può spaziare a 360° dalla catena dell’Appennino Ligure e delle Alpi Marittime al massiccio del Monte Rosa , fino alle imponenti cime elvetiche, passando attraverso la Pianura Padana e la zona dei “sette laghi” (Orta, Maggiore, Mergozzo, Biandronno, Varese, Monate, Comabbio). Un tempo, in vetta, ci si poteva salire anche in treno. Infatti, la Società Ferrovia Stresa-Mottarone, svolse la sua funzione di pubblico collegamento tra il 12 luglio del 1911 – giorno della sua inaugurazione –  e la fine del 1962. Il tracciato della linea, lunga circa 10 km, partiva da Stresa con un doppio capolinea: dal piazzale dell’imbarcadero della navigazione  e dall’area antistante la stazione ferroviaria. I due rami si riunivano, appena fuori l’abitato, per continuare la loro salita sui fianchi della montagna, con un dislivello superiore ai mille metri. La ferrovia s’inarcava con un doppio sistema (da qui la denominazione della ferrovia, “ad aderenza mista”), ad aderenza naturale ed a cremagliera del tipo Strub.

L’alimentazione era a corrente continua a 750 Volt. Lungo la linea c’erano tre stazioni (Alpino – Gignese – Levo) e due fermate: cosicché l’interoMOTTARONE 2 percorso s’effettuava in 1 ora e 15 minuti. Il materiale rotabile veniva ricoverato a Stresa ed era composto da 5 elettromotrici e 3 rimorchiate “a giardiniera”; 4 carri di servizio completavano la flotta. Nel 1920 venne costruito un carro speciale porta sci che veniva agganciato in coda. Le motrici, in livrea gialla, erano di costruzione svizzera; i loro carrelli erano prodotti dalla SLM di Winthertur, azienda specializzata nella costruzione di materiale ferroviario ad aderenza artificiale. Le elettromotrici accoglievano fino a 110 persone cadauna, tra posti a sedere e posti in piedi. Il servizio si basava su tre coppie di treni in bassa stagione e sei coppie in alta. Era altresì prevista la possibilità di organizzare corse straordinarie su richiesta. La partenza della ferrovia fu un po’ rallentata a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale ma, successivamente a questa, l’esercizio riuscì a mantenersi positiva: quindi,una gestione accorta sia relativamente al traffico locale sia dal punto di vista turistico. Incredibilmente e paradossalmente le cose andarono meglio durante la Seconda Guerra Mondiale: infatti, non avendo subito danni rilevanti dagli eventi bellici, fornì un comodo collegamento per i milanesi sfollati e rifugiati sulle pendici del monte; si pensi che l’anno 1945 fu toccato il record di 100 mila biglietti staccati!Con l’arrivo degli anni ‘50 e ‘60 iniziarono a farsi sentire lamentele, provenienti da più parti, sul fatto che la ferrovia era antiquata, improduttiva e che un servizio automobilistico o funiviario avrebbero potuto sostituirla. Con un po’ di lungimiranza, magari guardando all’esempio della vicina Svizzera,  si sarebbe potuto investire  sul rilancio e su di una moderna gestione di quella ferrovia turistica. Purtroppo la storia andò diversamente e così, nel giugno 1963, fu posta la parola “fine” alla Ferrovia “Stresa – Mottarone”.

Le vetture furono rottamate o vendute. Fino a qualche mese fa il collegamento tra Stresa e il Mottarone è stato svolto da una funivia, la cuiMOTTARONE TRENINO stazione è peraltro piuttosto distante dal centro cittadino, in località Carciano. Fino a qualche mese fa perché ora anche la funivia ha chiuso i battenti. Alle 17,40 del 30 ottobre scorso , dalla vetta del  Mottarone è partita  l’ultima corsa di ritorno della funivia, che ha poi cessato l’attività  per la scadenza del termine dei 40 anni vita, entro il quale è necessario provvedere alla revisione generale dell’impianto. Ad oggi la situazione si presenta tutt’altro che rosea, dopo l’esito negativo della gara d’appalto, andata deserta. Troppi oneri, troppe difficoltà. Dopo la chiusura del trenino ( prima ferrovia col sistema a cremagliera in Italia),  straordinaria occasione mancata di cinquant’anni fa, ora anche la funivia rischia di essere un ricordo. Il Mottarone , straordinaria vetta panoramica, è un po’ più solo e più lontano da Stresa, la  perla del lago Maggiore che lo guarda da sotto in su  intristita.

 

Marco Travaglini

Saitta condanna campagna contro 112 e 118

L’assessore regionale alla sanità, Antonio Saitta, parla di “campagna di strumentalizzazione  in atto nei confronti del 118 e del centralino unico di emergenza 112” che  rischia di “squalificare un servizio che in Piemonte svolge ottimamente il proprio compito da molti anni. Il risultato è quello  di creare sfiducia nei cittadini e di danneggiare il servizio stesso”. Il commento dell’assessore giunge dopo le polemiche apparse sui giornali (ultima quella di due donne che sostengono di non essere state soccorse dopo aver chiamato per un’aggressione). “Devo rilevare come si preferisca cavalcare la polemica invece di tutelare l’interesse del sistema sanitario e dei piemontesi”, osserva Saitta.

A “Un mare di libri” si parla di ricette di guerra

Venerdì 10 agosto alle ore 21,15 presso il Chiostro Ester Siccardi di Albenga nuovo appuntamento con gli eventi di “Un Mare di cultura “ organizzati dal Centro Pannunzio e dal DLF. Il Prof. Pier Franco Quaglieni e il Dott. Nino Boeti, Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, presenteranno il libro “Donne e cucina in tempo di guerra. Dal ’39 al ’45: il conflitto raccontato attraverso le ricette “della fame” (ed. Susalibri) di Bruna Bertolo. Il libro, corredato da un ampio apparato fotografico, è una vera e propria immersione nel quotidiano degli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale; accanto alle ricette ritrovate nei giornali o raccolte attraverso preziose testimonianze orali, è presente il racconto dei costumi di quegli anni, la narrazione di storie personali di coraggio e di sacrificio di un’Italia sofferente, devastata dai bombardamenti e obbligata a trasformare radicalmente le proprie abitudinialimentari. Nella prefazione, il Prof. Quaglieni spiega che questo libro «serve ai giovani per conoscere ed a chi ha un’età diversa per ricordare un passato che tanti italiani hanno dovuto affrontare». Sottolinea che le donne nutrivano i famigliari con le ricette del “poco e del senza”; le massaie italiane infatti, con molta fantasia e inventiva, riuscivano a rendere meno intollerabile la cucina “della fame”, fatta di pochissimi ingredienti, di scarti e avanzi. Questo libro dunque non solo propone spunti di riflessione riguardo alla sofferenza patita dai nostri avi e alla capacità tutta femminile di ricavare il meglio possibile da ogni situazione, ma invita anche a fare un confronto tra quelle condizioni di vita e le nostre, di generazione “privilegiata” che vive in pace e in una condizione di benessere. Al termine della presentazione saranno offerti degli assaggi tratti da alcune ricette del libro.

La Juve si allena alla Continassa

Cristiano Ronaldo e i bianconeri hanno ripreso la preparazione estiva alla Continassa. Il profilo Twitter della Juventus scrive: “Buongiorno…di corsa!”, pubblicando le immagini dell’allenamento mattutino, proseguito poi nel pomeriggio. Da domani la ripresa completa con i giocatori di ritorno dagli Stati Uniti con Mario Mandzukic . Al Training Center della Juventus, ad assistere all’allenamento c’era il vicepresidente Pavel Nedved.