redazione il torinese

Mondiali in vasca corta, Alessandro Miressi chiude con il record italiano nella 4×100 mista

Si sono chiusi a Hangzhou i Mondiali in vasca corta 2018, edizione caratterizzata da tanti nuovi primati italiani

L’ultimo di questi è della 4×100 mista, che nella notte italiana ha mancato l’accesso alla finale per 37 centesimi. Simone Sabbioni (51″61), Nicolò Martinenghi (57″23), Matteo Rivolta (49″89) e Alessandro Miressi (47″38) hanno chiuso in 3’26″11 e cancellato il 3’27″05 risalente ai Mondiali di Doha 2014. Un po’ di rammarico per la mancata qualificazione tra le prime otto staffette, con l’Australia distante meno di quattro decimi. A livello individuale Alessandro Miressi aveva concluso il suo mondiale ieri, terminando le semifinali dei 100 stile libero al decimo posto ed eguagliando il primato personale in 46”84.
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SALVAMENTO: Campionati Italiani Assoluti Invernali, le medaglie piemontesi – riepilogo medaglie

6 ORI
Cristina Leanza (Aquatica Torino) 50 manichino, 100 percorso misto, 50 manichino dall’acqua
Federico Gilardi (Fiamme Oro/Rari Nantes Torino) 200 super lifesaver
Davide Petruzzi (Rari Nantes Torino) 100 manichino pinne e torpedo
Jacopo Musso (Rari Nantes Torino) 50 pinne

4 ARGENTI
Francesca Cristetti (Rari Nantes Torino) 50 manichino dall’acqua
Jacopo Musso (Rari Nantes Torino) 200 super lifesaver
Andrea Vivalda (Sa-Fa 2000 Torino) 50 pinne
Paola Lanzilotti (Rari Nantes Torino) 200 super lifesaver

6 BRONZI
Federico Gilardi (Fiamme Oro/Rari Nantes Torino) 200 ostacoli
Greta Pezziardi (Rari Nantes Torino) 100 manichino pinne e torpedo, 100 manichino pinne, 200 super lifesaver
Francesca Cristetti (Rari Nantes Torino) 100 percorso misto
Jacopo Musso (Rari Nantes Torino) 100 manichino pinne

La sintesi della prima giornata su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/appro_new.asp?id_info=20181216080727&area=6&menu=agonismo&read=salvamento
La sintesi della seconda giornata su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/appro_new.asp?id_info=20181216174922&area=6&menu=agonismo&read=salvamento

TUFFI: Trofeo di Natale a Bolzano, le medaglie di Eduard Timbretti Gugiu (Blu 2006 Torino)
Tutti i dettagli su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/main_new.asp?area=3&read=tuffi&menu=agonismo

PALLANUOTO: Serie A2, la Reale Mutua Torino 81 Iren supera Lavagna 90 nella quarta giornata
Il comunicato stampa della Torino 81 su https://www.federnuoto.piemonte.it/finpiemonte/home_new/appro_new.asp?id_info=20181216084914&area=2&menu=agonismo&read=pallanuoto

In ricordo del XVIII dicembre

Questa mattina in piazza XVIII dicembre si è commemorata la strage di Torino del 1922, quando i fascisti uccisero per rappresaglia 11 persone e fecero una ventina di feriti, distrussero la Camera del lavoro, il Circolo anarchico dei ferrovieri, le sedi  del giornale “L’Ordine Nuovo” e del Circolo Carlo Marx. Oggi, nell’anniversario, in piazza i rappresentanti della Città, l’Anpi e i sindacati hanno ricordato l’eccidio.
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LA STORIA

E’ il 18 dicembre del 1922. Il fascismo ha da pochissimo tempo effettuato la Marcia su Roma (che probabilmente sarebbe potuta venire spazzata via dalle truppe regie, se il re Vittorio Emanuele III avesse firmato lo stato di assedio) e Benito Mussolini è il capo del governo ma non ancora il padrone delle sorti italiche. In una Torino non ancora fascistizzata, un tramviere, militante comunista, ha uno scontro con un gruppo di squadristi. L’uomo, Francesco Prato, è originario di Valmacca ma vive a Torino, in Barriera di Nizza apre il fuoco e uccide 2 fascisti. Poi riuscirà, nei giorni successivi, a lasciare la città e l’Italia riparando nella Russia dei Soviet. Ma quel giorno e nei successivi 19 e 20 dicembre si scatena la rappresaglia, e perdono la vita 11 persone, mentre una ventina di altri riportano ferite. E in un’intervista apparsa su “La Stampa”, il console della Milizia, Piero Brandimarte, afferma: “Abbiamo voluto dare un esempio, perché i comunisti comprendano che non impunemente si attenta alla vita dei fascisti”. La vicenda viene ripercorsa nel libro di Giancarlo Carcano “Strage a Torino – Una storia italiana dal 1922 al 1971” (che è l’anno della morte di Brandimarte considerato il maggiore responsabile di quei fatti) edito per i tipi de La Pietra di Milano nel 1973.

 

Massimo Iaretti

(foto archivio)

Giansiro e il tesoro dell’isola di San Giulio

Giansiro guardava orgoglioso la sua barca. Sulla chiglia – anche se le lettere erano un po’ sbiadite – si leggeva ancora il nome: “Lampreda IV”. Una gran bella lancia da lago: poco meno di quattro metri tra prua e poppa. Per lui era la vita

Figlio di un pescatore, aveva anche lui il lago nel sangue. Quell’acqua che durante i giorni di tempesta – rari e bellissimi – diventava di un verde ramarro, era anche la chiave dei suoi sogni. E, come gli accadeva da anni, quasi tutte le notti di bel tempo, saliva in barca per guardare le stelle e sognare. Molti anni prima, appena calavano le prime ombre sul lago, mollava gli ormeggi dal porticciolo di Oira e, lentamente, con un ritmico cadenzare, remava al largo, verso l’isola di S. Giulio. Lì, dove le due coste erano solo strisce nere con pochi puntini luminosi, lasciava cadere in acqua le sue reti per poi lasciarsi cullare dalle onde e aspettare – fumando la pipa – che la brezza del mattino lo svegliasse, soffiando via gli astri dal cielo. “Bei tempi, quelli…”, si diceva Giansiro, masticando la pipa e scuotendo lievemente il capo. Ora, con i capelli bianchi e una faccia rugosa scavata dagli anni, quando prendeva il largo non portava più con sé le reti. Di pesce non ce n’era più nemmeno l’ombra. “Colpa di quei maledetti e delle loro fabbriche – imprecava il vecchio – ; ci hanno buttato di tutto nel lago: acidi, solventi, ammoniaca e chissà quante altre schifezze…”. Ora, salendo in barca, pensava solo a sognare. E, con i sogni, correva lontano. Solcava le acque del Cusio, il buon Giansiro, con le vele spiegate del suo immaginario tre alberi, sfruttando ogni piccolo refolo del mergozzolo che soffiava, generoso, dai monti. S’immaginava così, capitano di lungo corso, al timone di un vascello, intento a percorrere il lago d’Orta in lungo e in largo, a caccia di tesori e ricchezze che a volte non sono proprio come s’immaginano, ma si nascondono più facilmente nell’animo degli uomini piuttosto che in solidissimi forzieri. Giansiro sognava, ma i suoi sogni fantastici non li teneva solo per sé. Gli piacevano i bambini. E a loro, nei pomeriggi d’autunno, quando il lago prendeva il colore malinconico delle foglie ingiallite e la scuola era chiusa, raccontava ai suoi piccoli amici le sue avventure. I ragazzini, seduti sulle vecchie sedie di paglia nell’ampia cucina della sua casa sul lago, lo ascoltavano a bocca aperta, rapiti. Tra le storie che suscitavano maggior interesse c’era quella di Norberto Lanfranchi, conte di Brolo, diventato pirata alla ricerca del tesoro dell’isola di S. Giulio. Giansiro, a richiesta, avviava la narrazione con voce calma e profonda.“Erano i tempi in cui Norberto aveva fissato la sua dimora sull’altra sponda del lago, tra lmolo e Gozzano, dentro le mura della Torre di Buccione, una fortezza che saliva alta verso il cielo.  Da lassù, nelle giornate serene, il suo sguardo si perdeva sul lago e sui monti che lo circondano. Il conte, scacciato dai signori di Nonio – il Duca Filippo De Lampis e suo fratello Gedeone – si era ripromesso terribili vendette e da signorotto abituato a cavalcare sulle sue terre e oziare, aveva cambiato vita, diventando un pirata”. Purtroppo, per triste che fosse, era quella una consuetudine assai diffusa in quel tempo, soprattutto sul Lago Maggiore dove i pirati Mazzarditi dei castelli di Cannero avevano – tanto per fare un esempio – dettato legge sulle coste lombarde, piemontesi e persino svizzere per molti anni.  “Norberto , nottetempo, con la sua ciurma arruolata nei paesi vicini, scivolava come un’ombra tra i paesi, compiendo saccheggi e rapine”, raccontava Giansiro. “ La sua fama incuteva terrore. L’eco di queste gesta  ben presto valicò il Mottarone, lambendo le sponde del Maggiore e salendo su per le valli ossolane, fin dentro i casolari di montagna. Norberto, incattivito dall’avidità, desiderava possedere sempre di più. E nei paesi, tra artigiani e pescatori, quel di più era quasi impossibile da trovare. Fu così che decise, dopo aver ascoltato il racconto di un viandante, di dare la caccia al tesoro dell’isola di S. Giulio. Si diceva, infatti, che i frati del Sacromonte che sorgeva alle spalle di Orta avessero raccolto un grande tesoro, celandolo dentro una cripta nascosta sull’isola. Non un tesoro qualsiasi, gli aveva confidato il viandante, ma un forziere colmo di gioie: brillanti, rubini, ori, zaffiri, e monili di ogni fattezza”. Norberto non dormiva la notte; quel tesoro, per lui, era come un incubo. Un desiderio che gli bruciava il corpo e la mente, togliendogli il sonno. In realtà – reputando insicura l’isola – i frati (aiutati da alcuni pescatori del posto) avevano, in una notte senza luna, trasportato il forziere sulla terra ferma. Un viaggio breve, che durò però parecchio tempo. Con lenti movimenti, facendo finta di gettare le reti, due pescatori e una coppia di frati, condussero l’imbarcazione fino alle porte di Omegna,  ormeggiarono a Borca e da lì, su un carro tirato da un grosso bue, salirono verso Agrano. In un paese di poche anime e poche case, a lato della strada che saliva inerpicandosi tra i boschi  verso Armeno e il Mottarone, il tesoro sarebbe stato al sicuro tra le solide mura del vecchio castello di Agrano. “Ma dov’è questo castello? C’è ancora?”, chiese uno dei bambini. Giansiro –  che i più piccoli, un po’ per l’età e un po’ per i capelli bianchi che quasi gli cadevano sugli occhi, chiamavano nonno – interrotto, spiegò subito. “Vedete, quel castello ora non c’è più. Ma vi posso dire dove si trovava. Avete presente il campo da gioco di Agrano?”. “Sì, sì – gridarono in coro i bambini – ; E’ quello dove si gioca al pallone e dove c’è lo scivolo” – disse uno dai capelli rossi e dalle gote cosparse di lentiggini.  “Esatto – rispose Giansiro -, è proprio quello. Ecco vedete, tutti pensavano che tra quelle mura il tesoro fosse al riparo dalle scorrerie di Norberto e dei suoi pirati. Anche perché i contadini non erano armati solo di forconi e bastoni, ma anche di una bella spingarda e di qualche archibugio. Però, e c’è sempre un però, non avevano fatto i conti con l’oste “. Infatti, l’oste della locanda del “Ferro di Cavallo”, una specie di ristoro per i viaggiatori proprio a Borca, aveva visto tutto. Quella notte, soffrendo d’insonnia, era uscito sul balcone per prendere un po’ d’aria quando, proprio lì sotto, passarono i pescatori, i frati e il carro trainato dal bue con sopra il forziere. Insospettitosi, l’oste seguì di nascosto, a una certa distanza, quella silenziosa processione. E, ascoltando da dietro un albero il parlottare sommesso dei frati, scoprì il segreto. L’oste, tornato di corsa verso casa, chiuso l’uscio dietro alle spalle, si precipitò in cucina. Dopo aver bevuto non uno e nemmeno due, ma ben tre (o forse quattro? Mah! ..) boccali di vino, per farsi coraggio, prese il mantello e, una volta sellato il cavallo, partì al galoppo verso la Torre di Buccione. Giansiro continuò il racconto. “ Non si sa se l’oste sciolse la lingua – spifferando a Norberto tutto quanto aveva visto – per paura delle scorrerie del pirata o dietro il miraggio di un lauto compenso. E non si sa nemmeno se Norberto ricompensò in moneta sonante l’oste impaurito e chiacchierone. E’ certo, in ogni caso, che quella locanda – con i suoi letti, il suo vino e il nostro oste – rimase aperta per molti anni ancora. Ma torniamo al nostro Conte di Brolo che, appena appresa la notizia, iniziò a camminare in lungo e in largo per la sua stanza, tormentandosi la barbetta nera che gli incorniciava il volto. Come arrivare ad Agrano? Passando per la strada costiera, no di certo: era fin troppo facile essere avvistati. Non restava che una via: il lago. Certo, era una buona idea. Bastava attendere una notte piovosa, di quelle in cui nessuno caccia il naso fuori di casa e, voilà, il gioco era fatto. Salire fino ad Agrano sarebbe stato il meno”. E così fece. Due giorni dopo sulla zona del lago pioveva a dirotto. Con la sua ciurma, Norberto si imbarcò sulla “Anguilla nera”, la sua nave da scorreria. In un battibaleno raggiunse Borca e, lasciata l’imbarcazione alla fonda, salì, alla testa di un manipolo di uomini decisi a tutto, la strada di montagna. Fu per caso che Giovanni Buonanima, un pastore che viveva proprio ad Agrano, vide quella torva masnada salire i tornanti. Gli era scappata una pecora dall’ovile e, mentre cercava di recuperare la sua Bianchina, si arrestò di colpo, dietro un cespuglio. Cento metri (la distanza è approssimativa, data l’ora e il tempo da lupi) più sotto, una trentina di persone avvolte in lunghi mantelli neri come la pece, saliva di buon passo. Non erano certo dei pellegrini che andavano al Santuario della Madonna di Luciago, pensò Giovanni, con il cuore in gola. E corse via, con le gambe in spalla, verso il paese. Il racconto di Giansiro lasciava i ragazzini a bocca aperta. “Giovanni conosceva due o tre scorciatoie che gli risparmiarono un bel pezzo di strada e quando arrivò alle porte di Agrano avvertì i due contadini che erano di sentinella, uno con in mano una falce e l’altro armato di un archibugio più grande di lui. Quando anche Norberto fu in vista di Agrano, non tardò a capire che era già pronto il “comitato di benvenuto”. La strada, sbarrata da un carro di fieno messo lì di traverso e quelle fiaccole che illuminavano i volti arcigni e segnati dalla fatica del lavoro nei campi. I loro sguardi valevano più di ogni discorso. Sfumata la possibilità di agire con il vantaggio della sorpresa, non restava che la soluzione di forza. Cos’avrebbero potuto, dopotutto, alcune decine di poveracci, armati degli attrezzi di lavoro, contro trenta uomini armati fino ai denti? E invece, Norberto sbagliò i suoi conti”. I contadini si batterono bene. Fin troppo. E anche quando la masnada riuscì a sgombrare la strada, incendiando il carro di fieno, i contadini non mollarono. Anzi, rinserratisi tra le mura del castello, avevano azionato la colubrina, sparando a destra e manca a mitraglia: chiodi, pezzi di piombo, persino la ghiaia. E ogni volta che i masnadieri si avvicinavano alle mura, dovevano scappare in fretta per non buscarsi una pioggia di olio bollente. La battaglia durò tre giorni e tre notti. E, alla fine, con la sua truppa ormai decimata, Norberto ridiscese la montagna, sconfitto. Ma non era finita lì. “ A Borca lo aspettava un’altra sorpresa. Due notti prima gli omegnesi – guidati da un tal Gilberto del Parogno – avevano, in quattro e quattr’otto, legato come dei salami i tre uomini di guardia e appiccato il fuoco alla “Anguilla Nera”. Quello che videro gli occhi di Norberto era uno scheletro di legno bruciacchiato, che affiorava per metà dall’acqua del lago. Colmo di rabbia, il Conte Norberto di Brolo si incamminò verso Buccione e nella torre si rinchiuse. Passò così i giorni che gli restavano, senza veder nessuno, roso dalla vergogna per lo smacco subito”. Di lui non si sentì più parlare e la vita tornò ad essere tranquilla per gli abitanti delle due sponde. Anche se qualcuno, per non rischiare, si mise ad aprire porte e finestre dalla parte del lago dove, a turno, stavano di vedetta tutti i familiari. E così per un po’ di tempo: quanto basta per smaltire ogni residuo di paura. Giansiro guardò i suoi piccoli amici, cogliendo nei loro sguardi un’ombra di perplessità. “Ah, già mi aspetto la vostra domanda, a questo punto. Anzi, sapete che faccio? Vi anticipo. Voi vi state chiedendo che fine abbia fatto il tesoro, non è vero? Ebbene, quei furboni dei frati, capito che il nascondiglio non era più un segreto e che, chissà, qualcun altro poteva avere grilli per la testa e voler seguire le orme di Norberto, magari riuscendo proprio dove lui aveva fallito, decisero che era tempo di cambiargli dimora. E stavolta fecero tutto da soli, senza intermediari o altri aiuti. Dove portarono il forziere non si seppe mai. Certo in un posto sicuro”. Da quel momento si persero le tracce del tesoro dell’isola di S. Giulio. Nessuno ne parlò più. Persino ad Agrano, dove si tramandarono per generazioni – dai padri ai figli – il ricordo di quei tre giorni e tre notti d’inferno. Solo qualche vecchio, nelle sere d’inverno all’osteria, davanti a un bicchiere di vino rosso, raccontava ancora questa storia. Ma chi gli stava attorno, pur dimostrando un discreto interesse per non irritarli, non credeva a quella leggenda. Sono tante, del resto, le storie che si raccontano sul lago e quasi nessuno si è mai curato di domandarsi dove stava il confine tra la realtà e la fantasia. Giansiro aveva in serbo una sorpresa e, con aria sorniona, disse: “Ragazzi, voglio farvi una confidenza. Una volta trasportai sulla mia “Lampreda” un vecchio frate del convento del Mesma che, a forza di ascoltare le mie domande, qualcosa disse. Pensate, nel forziere c’era davvero un tesoro, ma non di quelli che bramava Norberto o che diceva di aver visto il viandante o che credeva la gente. No, c’era un altro tipo di tesoro. Qualcosa che per noi pescatori valeva più degli ori e delle pietre preziose. Ah, vi vedo già a bocca aperta e con le orecchie ben dritte. Lo volete davvero sapere cosa c’era in quella cassa? C’erano delle ricette tra le più rare in cui si narravano i modi migliori per cucinare il pesce di lago: dalla tinca in umido coi piselli all’alborella in carpione, dalla trota al burro e salvia al coregone saltato in padella con le cipolle di stagione. Una delizia! Un tesoro per il palato e per la mente di chi ama davvero mangiar bene e vuol dimostrare l’affetto per il suo lago e per chi lo abita, anche quando è seduto a tavola. Questo mi disse il frate. Anzi, mi disse che fu proprio San Giulio a suggerire la stesura di questi antichi testi e  l’idea di conservarli per poterli un giorno tramandare a chi sarebbe venuto dopo. Non vi vedo molto convinti…ma vi assicuro che è davvero quello che hanno sentito le mie orecchie, quel giorno in barca. Magari sarà anche questa una storia, ma chissà.. mi piace pensare che davvero sia andata così. Ma ve la immaginate la faccia di Norberto, che – si dice – neppure mangiasse il pesce e arricciasse il naso solo a sentirlo nominare, qualora aperto il forziere, si fosse trovato in mano delle ricette?”. Giansiro e i ragazzini ridevano a crepapelle. Poi, dopo essersi passata due volte la mano sulla bocca e sorseggiato un bel fiato di vino, il vecchio pescatore guardò fuori dalla finestra. “ Sta diventando buio, bambini. E’ ora che torniate a casa, dai vostri genitori. Altrimenti staranno in pensiero non vedendovi arrivare”. I ragazzini lo salutarono. Qualcuno lo baciò sulla guancia irsuta. Quello con i capelli rossi gli disse: “Nonno, domani ci racconti un’altra storia?”. Il vecchio “lupo di lago” sorrise. “ Vedremo, eh. Vedremo. Intanto, mi raccomando: a scuola state attenti. E studiate anche la vostra terra, la gente di qua e l’ambiente che ci circonda. Non voglio sembrare un vecchio barboso, ma ricordatevi che questa natura non è solo nostra. Dobbiamo volerle bene, conoscerla e rispettarla. Anche per gli altri. E chissà, forse un giorno torneranno anche i peci nel lago e potremo andare insieme sulla barca a pescare. D’accordo? Adesso andate, su”. Rimasto solo, Giansiro si chiuse alle spalle l’uscio di casa e andò giù al molo. Con un tozzo di pane e un po’ di formaggio in tasca, la fiasca del vino sotto braccio, guardò il sole tramontare. Pareva una tonda palla che scendeva dietro alle montagne. Di un bel rosso. Un rosso vermiglio. “ Rosso di sera, bel tempo si spera”, mormorò tra sé e sé, spingendo in acqua la sua “Lampreda”. Si mise a remare, muovendo dolcemente l’acqua, da sempre sua amica. E quando fu lontano dalla riva, tirati i remi in barca, si sdraiò sul tavolato. Le vecchie ossa scricchiolarono un po’ ma non ci fece caso. Guardò scendere la sera, in attesa della notte. Aspettava le stelle. Per sognare un’altra storia. Per lui. E per i suoi ragazzi.

Le adolescenti “Regine Neogotiche” di Titti Garelli

Fino al 20 dicembre

Perfette e bellissime. Ma, in verità, anche un tantino inquiete e inquietanti, pur se “incarnate” in una bellezza strepitosa (risolta in chiave artistica con una stupefacente maestria di mestiere e una creatività che gioca in totale arbitrio fra voli di alta fantasia e rivoli inaspettati di magico lirismo) queste “Queens”, adolescenti “Regine Neogotiche”, portate in mostra da Titti Garelli negli spazi della Galleria “metro quadro” di Marco Sassone, in corso San Maurizio, a Torino. Dagli anni Ottanta sono ormai loro, le dark ladies, le inseparabili “Cattive Ragazze” della Garelli, pittoricamente raccontate (insieme e dopo la brillante esperienza compiuta dall’artista torinese nel campo dell’illustrazione pubblicitaria) attraverso i cicli delle “Bambine Cattive” e de “Il giro del mondo con Ottanta bambine”, fino ad arrivare alle attuali “Queens”; regine adolescenti che attraversano i secoli, all’apparenza ciniche e maliziose, altere e glaciali, emergenti da fondi neri o a foglia d’oro, elegantissime in corazze di antica e vistosa eleganza (con complicatissime acconciature, trecce e treccine, svolazzi e velluti, merletti e barocche gorgiere, collane anelli e guanti policromi, piumaggi e perle e perline), perfette trascrizioni per immagini di ben particolari suggestioni letterarie e cinematografiche. Dell’amore ad esempio per “la letteratura neogotica e pre-romantica, per i racconti popolari dell’800 – racconta la stessa Garelli – e per il cinema horror e fantasy, dal ‘Nosferatu’ di Murnau a quello di Herzog, con uno sguardo però sempre attento al contemporaneo, all’instant-book, all’avvenimento del giorno o anche solo alla quotidianità di un cibo o di una bevanda”. Certa letteratura e certo cinema, insomma. E poi, “altra grande monade ispiratrice, la Pittura del Passato, quella che si spiegava da sé e da cui rubo (cito?) colletti, gioielli, mantelli, mescolandoli ad altri assolutamente contemporanei per creare un gioco di ambigua atemporalità, dove non è importante riconoscere la fonte, ma può essere divertente identificarla come in un giochino enigmistico”. Il passato. E il presente. Insieme. Pigiati, a volte, in ironiche e intriganti sciarade di non sempre facile soluzione. Dove non mancano pur anche riferimenti all’“estetica del web”, così come al “linguaggio illustrativo gotico-dark-kitsch, mediato dai videogiochi, dalla mitologia nordico-finnica, e condito perfino da rimandi giapponesi”. Come in “Noh Mask Queen”, acrilico e foglia d’oro su tavola del 2016, con le maschere iconiche tipiche della più antica arte teatrale del Sol Levante. Molto interessante anche l’inserimento narrativo, in accoppiata con le “Regine”, di variopinti improbabili animali esotici: dall’Ara Macao (“Ara Macao Queen”) originaria dell’America tropicale al Canadian Sphinx di “Corallina” (gatto completamente glabro) anche lui, in qualità di “principe” con tanto di gorgiera, fino al verde Basilisco o al leggendario piccolo Drago di “Mother of Dragons”, così come al grande Tucano (“Regina del Caffè”) dal vistoso becco giallo-arancio. Mirabile la leggiadra, armonica compostezza della “Regina delle Magnolie”, acrilico su tavola del 2017, dove la lievità del soggetto e del colore (con il prevalere dei rosa, dei bianchi e dei più tenui turchesi) piacevolmente distrae da pagine di più misterica narrazione. Il tutto nell’assoluta perfezione di una pittura rigorosissima che, in ciò, ancora risente dei preziosi insegnamenti all’Accademia Albertina del grande Sergio Saroni. Non meno che della fatal attrazione per quella “pittura del passato che si spiegava da sé”, per la grandezza dell’arte fiamminga – delle Fiandre di Van Eyck o di van der Weiden – o del Rinascimento fiorentino e del Barocco o, ancor prima, di quel Gotico Internazionale (rispecchiante i fasti delle maggiori corti europee), di cui la pittrice si fa da anni fervente depositaria e complice devota, esaltandone l’erudita preziosa e raffinatissima scrittura pittorica. Personale da non perdere, questa di Titti Garelli, presente anche con due straordinari acquerelli alla mostra “Ad acqua” in corso all’Accademia Albertina di Torino, fino al 27 gennaio dell’anno prossimo: un omaggio alla difficile tecnica dell’acquerello attraverso i lavori di docenti e allievi dell’Albertina e di altri importanti artisti torinesi, collocabili dalla seconda metà del Novecento ad oggi. Da segnalare infine la collaborazione, per quanto riguarda la rassegna ospitata alla “metroquadro“, con la boutique “Vincent.Tulipano fatto a mano” di via della Rocca 6/F a Torino, dov’è in vendita tutta la linea coordinata di accessori (borse, borsette e foulards e monili e tanto altro ancora) creati dall’artista.

Gianni Milani

“Titti Garelli. Queens”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino

Fino al 20 dicembre – Orari: mart. – sab. 16/19

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Nelle foto

– “Tulipa”, acrilico su tela, 2017-2018
– “Noh Mask Queen”, acrilico e foglia oro su tavola, 2016
– “Ara Macao Queen”, acrilico e foglia oro su tavola, 2016
– “Corallina and the Prince Sphinx”, acrilico su tela, 2017
– “Regina del Caffé”, acrilico su tela, 2018
– “Regina delle Magnolie”, acrilico e foglia oro su tavola, 2017

SASSI DI MATERA, IL PRESEPE SOTTO LE STELLE

Come da tradizione, anche quest’anno in occasione del Santo Natale, i Sassi di Matera si trasformeranno in un grande presepe vivente

Diverse iniziative legate a molteplici percorsi presepiali vi regaleranno un’atmosfera calda ed accogliente in grado di proiettarvi in quella che fu la Galilea ai tempi della Natività. Da anni, i presepi viventi si caratterizzano per percorsi esterni, ambientati nella città rupestre o recitati, con scene teatrali realizzate all’interno di suggestivi spazi ipogei della città antica. Sasso Barisano e Sasso Caveoso, i due quartieri storici, vi accoglieranno stimolando i vostri sensi. Non solo la vista si pregerà delle suggestioni natalizie ma anche il gusto si delizierà attraverso piatti della tradizione gastronomica natalizia locale.  In questo particolare periodo del calendario liturgico, i grani duri della collina materana vengono sapientemente trasformati in prodotti da forno dolci e salati per accompagnare ed esaltare pietanze tradizionali. Il tutto comincia alla vigilia dell’Immacolata, quando il pane si modifica in forma di grande tarallo e viene arricchito di semi di finocchietto selvatico. È il cosiddetto “fcjlatìdd” da assaporare rigorosamente accompagnato da tocchetti di baccalà fritto in pastella. Il menù dell’Immacolata Concezione resta a base di baccalà anche per il primo piatto che da tradizione si tramanda e a farla da padrone sono le linguine condite con sugo di baccalà, olive nere majatiche e capperi della Murgia materana. Proprio a partire dall’otto dicembre anche i dolci si richiamano alla tradizione natalizia con friselle dolci alle mandorle “U frsedd“ o le strazzate “‘U strazzèt“ fino a giungere ai biscotti al vino bianco glassati di zucchero “ingjlppet”. Percorrere la Città dei Sassi nel periodo Natalizio, significa non solo immergersi nei più grandi percorsi presepiali viventi, ricchi di fascino e suggestioni ma vivere tradizioni che regalano il profumo di giorni di festa. Sarà attraverso gli appuntamenti delle Sacre Rappresentazioni che si compirà il percorso di avvicinamento al giorno della Natività, tra suoni di zampogne e canti tradizionali ancora oggi molto vivi e sentiti dalla popolazione lucana. Si venera l’arrivo del Bambino Gesù osservando la liturgia nelle solenni chiese della Città del Piano o del Colle della Civita mentre i Sassi pronti ad accoglierci, aspettano di essere percorsi come se fossimo in un unico grande Presepe. Nella Cattedrale duecentesca fa bella mostra di sé il presepe cinquecentesco scolpito dai Persio, lapicidi locali molto in linea con le novità della scultura napoletana del ‘500. In chiesa, in strada ed a tavola, Matera avvolge i sensi ed esalta i sentimenti natalizi. Per i più golosi è anche il momento delle Cartellate “U cartddét” condite con miele o vin cotto, una magia per il palato! E per i più piccini? Per loro il Villaggio di Babbo Natale offre occasioni di svago e spensieratezza in pieno clima natalizio. Tra Elfi, renne, suoni e luci colorate, i più piccini saranno condotti verso Santa Claus, pronto ad accoglierli per regalare loro gioia e serenità. MateraCulturale è pronta per guidarvi alla scoperta della città facendovi vivere e gustare a pieno la tradizione natalizia materana. I tour natalizi di MateraCulturale vi aspettano per condurvi alla scoperta di una città ancora oggi intrisa di sapori e tradizioni gastronomiche locali attraverso un fitto programma di eventi a tema che partono il 7 dicembre 2018 per terminare il 6 gennaio 2019, anno in cui Matera rappresenterà la Capitale Europea della Cultura. 

Smog alle stelle, torna il blocco del traffico

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Sono nuovamente sopra la soglia d’attenzione dei 50 mcg al mc le condizioni dell’aria a Torino. Il Comune conferma fino a giovedì 19 dicembre il blocco delle auto più inquinanti. Se il peggioramento dello smog proseguisse giovedì potrebbe tornare il livello arancione dei provvedimenti antismog, che blocca la  circolazione ai veicoli Euro 4 diesel dalle 8 alle 19. Al momento sino a giovedì non possono viaggiare i mezzi diesel fino ad Euro 3 e le auto di classe emissiva euro0  a benzina, gpl e metano. Il blocco resta in vigore per tutta la giornata in relazione ad automobili e ciclomotori euro0 e dalle ore 8 alle ore 19 per quelli ad alimentazione diesel euro 1, 2 e 3.

 

(foto: il Torinese)

Cassa integrazione per i lavoratori Comital

Il primo cittadino  auspica che lo stabilimento venga acquistato e rimesso in attività

All’incontro di ieri al tavolo regionale convocato sulle vertenze Comital e Lamalu è emerso che i curatori fallimentari delle due aziende hanno ottenuto dal tribunale di Ivrea l’autorizzazione a richiedere la cassa integrazione straordinaria per cessazione a decorrere dal 2 gennaio 2019 e per la durata di un anno. Commenta il sindaco di Volpiano Emanuele De Zuanne: «Sono soddisfatto di questo passaggio perché consente ai lavoratori di avere maggiore serenità e auspico che al più  presto lo stabilimento venga acquistato e rimesso in attività».

Salvini replica agli insulti: “Delinquenti sfigati, ci fate pena”

Dopo la comparsa della scritta  “Legatevi stretto il collo”,  la scorsa notte, sui muri della sezione della Lega a Collegno, e di  insulti spray rivolti al vicepremier, ministro dell’interno e leader del Carroccio,  Matteo Salvini replica sui social: “I solidi democratici idioti. Ci fate pena, gli italiani perbene non hanno paura di quattro delinquenti sfigati amici dei clandestini”.

Torino sostiene la comunità lgbt russa

Approvata  dal Consiglio Comunale di Torino all’unanimità (28 voti favorevoli su 28 consiglieri presenti) una mozione (prima firmataria: Maria Grazia Grippo – PD) che impegna la Sindaca Chiara Appendino, in contemporanea alla firma di un eventuale accordo con Città di San Pietroburgo (con cui il Comune di Torino, dal 2014, ha in essere un accordo di scambio culturale e commerciale) a prendere chiaramente e pubblicamente posizione contro la repressione della comunità lgbt in Russia e ad assumere azioni concrete di sostegno alle organizzazioni lgbt locali, al fine di dimostrare pubblicamente il favore della Città di Torino nei loro confronti. “È un segnale forte della Città di Torino – ha dichiarato la proponente Grippo – nei confronti della causa Lgbt in Russia”. Grippo ha quindi ringraziato il presidente del Consiglio comunale e i Capigruppo per l’opera di mediazione politica che ha portato alla stesura dell’atto. Nel dibattito in aula sono intervenuti i consiglieri Ferrero, Sganga, Foglietta, Rosso, Carretta.

(foto: il Torinese)

L’amore per Torino di Nietzsche

nietzsche-1Friedrich Nietzsche soggiornò a Torino in due periodi, tra la primavera del 1888 e il gennaio del 1889. Meno di sei mesi che furono sufficienti perché il filosofo tedesco s’innamorasse della città e della sua gente. La sua dimora fu un appartamento ammobiliato al quarto piano di via Carlo Alberto 6 e gli costò la cifra di 30 lire al mese. La stanza dava sulla piazza, proprio sopra l’ingresso della galleria Sulbalpina. Questo suo entusiasmo per la capitale sabauda Nietzsche lo consegnò a diverse lettere: “Trovo che qui valga la pena di vivere sotto tutti gli aspetti…La mia camera è in centro.. sole dalla mattina al pomeriggio, vista su Palazzo Carignano, sulla piazza Carlo Alberto e in lontananza sulle verdi montagne..Torino è una scoperta capitale..sono di nietzsxhe-2buon umore e lavoro dal mattino alla sera. Riesco a dormire nonostante il rumore delle carrozze che passano di notte. E l’aria è secca, energizzante, allegra”. Di Torino il filosofo amò la severità e l’eleganza dei portici, gli specchi, le tappezzerie e le decorazioni dei plafonds degli antichi caffè rococò. Come ricorda la lapide di via Carlo Alberto, preparata dallo scrittore Rubino per il centenario della sua nascita, Nietzsche “conobbe la pienezza dello spirito che nietzsche-3tenta l’ignoto, la volontà di dominio che suscita l’eroe“. Fu proprio in questa casa torinese che il filosofo scrisse il libro della sua vita, “Ecce homo”. Ma il suo soggiorno, com’è risaputo, culminò nella follia. Il 3 gennaio del 1889, nel centro di Torino, Nietzsche, uscendo di casa, vide un cocchiere frustare a prendere a calci il suo cavallo. “Tu, disumano massacratore di questo destriero!”, inveì il filosofo furibondo, abbracciando e baciando sconvolto il cavallo. Qualche giorno dopo fu portato via dalla città dall’amico Overbeck per essere curato a Basilea. Ci fù chi giurò  che, abbandonando Torino, intonò  canzoni napoletane nei pressi di Porta Nuova, convinto di essere il re d’Italia.

Marco Travaglini