redazione il torinese

Due madamine lasciano ma nasce il comitato del Sì

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Le madamin Sì Tav si riducono di numero e passano da sette a cinque ma non mollano  la battaglia per lo sviluppo di Torino e del Piemonte

Si trasforma in comitato civico l’associazione ‘Sì Torino va avanti’, dalla quale sono nate le due manifestazioni di piazza Castello  a favore della Torino-Lione. Ufficialmente Donatella Cinzano e Roberta Dri escono dal gruppo per impegni di lavoro inconciliabili. Non si sa ancora se il nuovo comitato preluda a una “avventura”  politica alle elezioni di maggio. Patrizia Ghiazza, una di loro, ha intanto depositato il marchio dell’onda arancione. “Vogliamo contrastare l’incompetenza di una certa politica e proporre un ventaglio più ampio di persone preparate”. 

 

(foto: il Torinese)

Rivoluzione mancata a borgo Aurora

STORIE DI CITTA’  di Patrizio Tosetto
Ci sono capitato per caso, in Largo Brescia e via Alessandria, Via Aosta e via Bologna. Tanta polizia, Carabinieri e vigili urbani. Curiosità vuole che parcheggi l’auto e  indaghi. Sgombero dell’ asilo occupato da anarchici ed antagonisti dal lontano 1995. Ci sono voluti 24 anni per ripristinare la legalità . Meglio tardi che mai. Ad un chilometro il centro della Barriera di Milano e a 500 metri Porta Palazzo. Non ci vuole tanto per capire che non c’ è stata integrazione tra gli occupanti ed il quartiere.  Anni fa ci fu una notturna manifestazione dei residenti contro questi fenomeni di degrado.  Gli anarcoidi occupanti parlano di rivolta e di rivoluzione. Lasciamo stare la rivoluzione.  Non sanno neppure l’etimologia della parola. Rimaniamo su rivolta. Contro chi e per chi? Gli anarcoidi non hanno dubbi: gli oppressi dal capitale. Chi sono gli oppressi? I poveri in generale. Che la povertà stia vertiginosamente aumentando é indubbio. Aumenta la popolazione. Ma non mi pare che si combatta mettendo le bombe come  strumento di riequilibrio della distribuzione della ricchezza. Gli anarcoidi arrestati sono accusati di aver messo o spedito bombe. Passano da essere anarcoidi a semplici delinquenti.  Ed il quartiere respira. Tutte quelle camionette  sono rincuoranti. Con i due estremi: sul tetto gli ultimi ed isolati contestatori. Dall’ altro lato i residenti contenti.  Ed ovviamente io sto con questi ultimi. Poi nessuno riuscirà a convincermi che spinellarsi è un atto di rivolta e che sporcare è dissacrante. Entrambi sono semplicemente stupidi atti. Cominciamo nel chiamare le cose come sono. E più che ribellione, qui si tratta di persone che vogliono fare ciò che vogliono. Non anarchici ma anarcoidi, appunto. Ultima riflessione. Quasi 25 anni, un quarto di secolo. Innanzitutto perché come si sa  il pesce puzza dalla testa, tutto deve essere buttato e nulla può essere salvato. Secondo: le innumerevoli azioni di dialogo delle passate amministrazioni hanno sortito effetti positivi. Terzo (purtroppo) l’attuale governo é più incline alla repressione. Quarto, l’ incancrenirsi della situazione ha portato a queste radicali scelte repressive.  Quinto, lo Stato democratico si deve difendere da chi delinque. Sesto (ultimo ma non per importanza) il ritardo di una vecchia classe politica di sinistra contraria di per sè alla repressione. Poche storie: contro chi delinque c’ è solo la punizione ed in certi casi la galera.  Non penso di essere diventato un reazionario.  Penso  che una democrazia si nutra anche del rispetto delle regole. Con la mia solita raccomandazione alla sinistra sbrindellata, speculare a questi anarcoidi.  Non è importante capirne la loro ideologia, per il semplice fatto che non c’ è ideologia.  C’ è solo crimine e come tale deve essere trattato. Verso le 12 mi allontanavo con il cuore più leggero ringraziando in cuor mio le forze dell’ ordine e la magistratura che ha coordinato la giusta azione da parte dello Stato.

MERCE ABUSIVA VICINO ALLA MOLE ANTONELLIANA

Pupazzi antistress, calamite decorative, braccialetti di fantasia, portachiavi variopinti, bocce di vetro con la neve e riproduzioni in miniatura della Mole sono stati sequestrati stamane, venerdì 8 febbraio, dagli Agenti della Sezione Centro della Polizia Municipale in via Montebello davanti la Mole. In totale 1296 pezzi (vedere foto) per un valore presunto di oltre 4000 euro. Il venditore, cittadino del Bangladesh, è stato sanzionato con oltre 5000 euro.

Lorenzo Petiziol: «Torino-Udinese? Il Toro è nettamente più forte, però…»

Il Torino, rallentato nella sua corsa all’Europa League dallo 0-0 di Ferrara al cospetto della SPAL, domenica (alle ore 15:00) sarà opposto ad un’altra compagine impelagata nella lotta per la salvezza: l’Udinese, sulla cui panchina siede l’ex torinista Davide Nicola (autore della terza rete granata nel 3-1 sul Mantova nella finale di ritorno del play-off di Serie B della stagione 2005-2006). Ma che Udinese si presenterà domenica allo stadio “Grande Torino”? Per avere un quadro esaustivo della situazione, abbiamo intervistato il giornalista Lorenzo Petiziol, “memoria storica” dell’Udinese (e dell’udinesità), nonché conduttore della trasmissione radiofonica “Spazio Sport” (in onda sull’emittente friulana “Radio Spazio”).

 

L’Udinese si presenta a Torino reduce da un buon pareggio strappato in casa con la Fiorentina.

«Il pareggio coi viola è un risultato positivo, però quasi “annullato” dal meritato successo del Bologna in casa dell’Inter, che ha ridotto a soli due punti il vantaggio dell’Udinese sugli emiliani».

La situazione, in effetti, non è rosea…

«Purtroppo l’Udinese attuale mi pare un’incompiuta. Onestamente, avendo visto tutte le squadre di questo campionato di Serie A, posso affermare che l’Udinese è quella che gioca peggio. È vero che ci sono stati degli infortuni, ma ciò è indiscutibile. Peraltro, c’è lo sciopero del tifo, un fatto che non si verificava da ben 25 anni. Insomma, confermo che la situazione non è affatto rosea».

C’è chi sta peggio dei bianco-neri.

«Vero, ma bisogna dire che sono cinque anni che l’Udinese sta facendo campionati in questo tono: stavolta c’è davvero il timore di finire in Serie B. Fondamentale sarà tornare a vincere».

Già da domenica a Torino?

«Col Toro la vedo dura, poiché i granata sono più forti dell’Udinese. Certamente i bianco-neri non andranno là già sconfitti, anche se è una partita davvero difficile: la logica vede il Torino favorito, ma potrebbe scapparci il colpaccio, se le “congiunture astrali” saranno favorevoli. Fondamentali, per l’Udinese, saranno le prossime partite interne con Chievo e Bologna: facendo 6 punti, la situazione cambierebbe molto».

Il Torino sarà privo di N’Koulou e Zaza, squalificati.

«Ciò potrebbe essere un fatto favorevole all’Udinese. Almeno lo spero. N’Koulou non ha bisogno di presentazioni, così come Zaza».

Come “vede” il Toro?

«Il Torino è una squadra che mi sta molto simpatica: non solo per la sua storia, ma anche perché ho grande stima per Gianluca Petrachi. Inoltre, i granata sono guidati da un tecnico come Walter Mazzarri, che ha un suo gioco ben collaudato: il Toro può lottare fino alla fine per l’Europa».

E l’Udinese?

«Gli anni splendidi delle qualificazioni alle Coppe Europee sono passati: ora speriamo si riesca a conquistare la salvezza, meglio se meritatamente. Devo, però, dire una cosa: in questi ultimi anni si è persa un po’ di “udinesità”, di giocatori magari non friulani di nascita ma di “adozione”. Comunque, non cantiamo il “de profundis” troppo presto: la salvezza è raggiungibile, magari anche grazie alle disgrazie (sportive) altrui»

Giuseppe Livraghi

Nella foto in alto: Lorenzo Petiziol con Zico

 

La follia che “cura” la pazzia

C’erano una volta i matti
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)
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5. La follia che “cura” la pazzia
I primi metodi utilizzati agli albori della nascita dei manicomi parevano una sorta di commistione tra riti magici e primordiali e sadiche torture. Ai malati venivano fatti indossare corsetti di ferro anche senza rivestimenti in cuoio, strette camicie e cinture di forza, i più gravi e violenti venivano incatenati a forza ai letti disposti sia in orizzontale che in verticale, e lasciati lì per giorni. Era utilizzato anche il metodo dell’urticazione, ottenuta percuotendo il malato con rami d’ortica, mentre per i più agitati erano prescritte trasfusioni di sangue di agnello, “per rendere più miti i furiosi”. A scusare – se mai possibile – i barbari metodi cinquecenteschi c’è la quasi assoluta mancanza di conoscenza della materia e l’inconfutabile incapacità di trovare una soluzione ad un problema che nemmeno si capiva; al contrario, trovare parole che spieghino i metodi altrettanto violenti utilizzati in tempi non così lontani da noi, pare più complicato se non arduo. In tutte le strutture destinate ad ospitare l’enorme massa di alienati che andava via via aumentando nel tempo, il sistema più utilizzato per tenere sotto controllo i degenti marchiati come incurabili era quello di immobilizzarli al letto, per contenerne la pericolosità. La contenzione prevedeva l’uso di stringhe, polsini e cavigliere, oppure la nota camicia di forza, che impediva qualsiasi movimento. Non sempre però tale metodo portava a raggiungere i risultati sperati, così si passava all’idroterapia, che consisteva nell’immergere il paziente in una vasca di acqua bollente o ghiacciata, per farlo rilassare: il trattamento durava poche ore o tutta la notte. Le immersioni potevano essere indotte “a sorpresa”, oppure sostituite con forti getti di acqua gelata mirati alla testa. Altro sistema era quello delle “fangature elettriche”, che prevedeva l’utilizzo di fango spalmato sulla pelle del malato, e, sopra, veniva posta una placca di metallo che trasmetteva corrente. Il fango permetteva una migliore distribuzione della corrente nel corpo, con ottimi effetti sedativi. La “diatermia”, invece, si basava sull’elevare la temperatura del corpo mediante il passaggio di correnti ad alta frequenza. Questa tipologia di cura era molto complessa, i medici raccomandavano agli inservienti di “essere provvisti di sacchetti di sabbia di vario peso e dimensioni da mettere sulla testa, sul collo, sull’addome, sugli arti dei malati per evitare movimenti”. Tecniche innovative erano poi la “malariaterapia”, che consisteva nell’inoculazione del parassita della malaria per procurare altissime febbri, o l’”insulinoterapia”, grazie alla quale si riusciva a far arrivare il paziente ad un passo dal coma, per poterlo poi improvvisamente risvegliare: più il momento del risveglio era brusco e violento, più il trattamento sarebbe stato ritenuto positivo. Quest’ultimo procedimento era consigliato soprattutto per gli affetti da schizofrenia; anche il figlio “segreto” di Mussolini e Ida Dalser, Albino Mussolini, fu sottoposto a tali cure, quando venne rinchiuso nel manicomio di Mombello, dove morì di consunzione. La stessa Ida subì le medesime pratiche, quando impazzì e venne internata in diverse strutture. Negli anni Trenta si introdusse una nuova terapia, lo “shock cardiazolitico”, precursore dell’elettroshock, che prevedeva l’iniezione endovenosa di una soluzione di Cardiazol per provocare forti crisi convulsive epilettiche nel paziente. Benchè risultasse la più potente tra le cure di shock, tale criterio non si diffuse e smise di essere utilizzato, poiché i costi erano troppo alti e in più risultava difficoltoso “azzeccare” la giusta dose di farmaco da somministrare. Con gli anni Cinquanta il boom degli psicofarmaci, che causavano amnesia e disorientamento nei pazienti, le cinghie di contenzione vengono allentate, le cicatrici e i lividi si spostano dall’epidermide alla mente. “Che cosa bella è l’uomo, quando è uomo”, diceva il commediografo greco Menandro, il problema è quando non lo è.  E’ stato un “uomo” ad inventare il metodo che, in modo tristemente stereotipato, colleghiamo agli ospedali psichiatrici: l’elettroshock.  La terapia elettroconvulsiva viene scoperta in pieno regime fascista, (sono anni in cui il numero dei ricoverati nei manicomi cresce in maniera esponenziale), dal neurologo e psichiatra Ugo Cerletti, che la mette a punto nel 1938, con l’aiuto di un altro collega, Lucio Bini. La terapia riscuote grande successo e viene largamente utilizzata, lo stesso Ugo Cerletti definisce il suo metodo “il più semplice, il più pulito, il più innocuo”, non stupisce che fosse anche quello più economico. L’”illuminazione” arriva a Cerletti quando visita il mattatoio di Roma e assiste all’uccisione degli animali. I maiali venivano prima storditi tramite l’utilizzo di un circuito che applicava una scarica elettrica direttamente al cranio, quando la bestia era presa da una vera e propria crisi epilettica, veniva sgozzata. La “terapia della morte” nasceva dalla concezione arcaica di stampo medievale secondo cui un demone si insinuava nella mente del malato, e l’unico modo per scacciarlo e guarire la vittima, era quello di uccidere il corpo della vittima stessa, poiché i demoni infestano solo la carne dei vivi. L’elettroshock non uccideva i pazienti, come si era potuto evincere dai primi esperimenti del 1938, eseguiti su un trentanovenne vagabondo fermato a Roma in stato confusionale, ma portava allo stato di coma il paziente, che poi veniva bruscamente rianimato. La morte apparente avrebbe ingannato il demone-malattia, e guarito il paziente malato-posseduto. L’oggetto più temuto dai detenuti costava pochissimo, 4.600 Lire, occupava poco spazio e sembrava un “nécessaire da viaggio”. Le sedute di elettroshock venivano annunciate da squilli di tromba da capotreno suonate da un infermiere. A Collegno, una delle tante vittime dell’elettroshock racconta la propria esperienza: ricorda che lo avevano fatto entrare in una cella chiusa senza spiegargli che cosa sarebbe successo. Gli dissero di mettersi sdraiato sul lettino e le infermiere gli posero una gomma in bocca e delle cuffie sulle tempie, e quando arrivò il medico diedero corrente. “Non potete immaginare quanto male possa fare”, spiega la vittima, precisando che il dottor Giorgio Coda, prima di farlo andare via, lo aveva bloccato per ripetere l’operazione nella zona genitale, “Per me fu la fine di tutto”, spiega il paziente, “ e il male che sentivo non potrò mai più dimenticarlo”.Nel 2013 L’elettroshock veniva praticato in novantuno presidi sanitari su 1400 pazienti, secondo i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario italiano. Un obbrobrio che si commenta da sé.
 
Alessia Cagnotto
 

Il buono servizi per il lavoro della Regione

“Sono oltre 18.000 le persone prese in carico, a fine 2018, dai servizi per il lavoro piemontesi nell’ambito del Buono servizi, l’intervento di politica attiva del lavoro finanziato dalla Regione Piemonte, grazie al Fondo sociale europeo, con cui i disoccupati di lungo periodo e le persone in condizione di particolare svantaggio vengono accompagnati nella ricerca di nuova occupazione”. È quanto ha detto in terza Commissione (presidente Raffaele Gallo) l’assessora al Lavoro Gianna Pentenero, nell’informativa richiesta da Francesca Frediani (M5s). La misura prevede l’erogazione da parte degli operatori accreditati di una serie di servizi gratuiti di orientamento, ad esempio, ricerca attiva e accompagnamento al lavoro, incrocio domanda-offerta volti ad aumentare l’occupabilità delle persone. “Delle oltre 18 mila persone prese in carico, 14.500 sono disoccupati da più di sei mesi, 3561, invece, sono soggetti particolarmente svantaggiati (ad esempio lavoratori a rischio discriminazione, in carico o segnalati dai servizi sociali e sanitari ed ex detenuti. Quanto agli esiti occupazionali, più del 50% dei disoccupati di lungo periodo (8500) e il 46% delle persone svantaggiate (1926) sono state avviate al lavoro a seguito dei servizi ricevuti, con contratti stabili per il 41% dei disoccupati inseriti al lavoro e per il 24% delle persone svantaggiate. La maggior parte delle persone avviate lavorano ancora alla data del monitoraggio” ha aggiunto Pentenero. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, degli oltre 18 mila destinatari del Buono servizi, oltre 9400 hanno usufruito della misura rivolgendosi a operatori dell’area metropolitana torinese, 1900 della Provincia di Cuneo, 1769 di Alessandria, 1742 del Novarese, 952 di Vercelli, 928 di Biella, 808 di Asti e 496 del Verbano-Cusio-Ossola.

“Pinerolese e valli occitane autonome? No, grazie”

IL SECCO NO DEL COMITATO PER L’AUTONOMIA PIEMONT ALLA PROPOSTA DI UNA PROVINCIA AUTONOMA DEL PINEROLESE E DELLE VALLI OCCITANE AVANZATA DA ROBERTO ROSSO (FDI)
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“E’ fuorviante ed allontana da un percorso verso l’autonomia subalpina subalpina
 
La petizione proposta da Roberto Rosso, esponente di Fratelli d’Italia , per una ‘Provincia Autonoma di Pinerolo e delle Valli Occitane’ non piace al Comitato per l’Autonomia Piemont che ha rilasciato, attraverso i componenti del comitato di coordinamento, Carlo Comoli, Massimo Iaretti ed Emiliano Racca, questa dichiarazione: “E’ un mero proclama elettorale che rischia di far perdere di vista il vero obiettivo, ovvero la vera autonomia del Piemonte. Non è, infatti, ‘cantonalizzando’ e frammentando l’identità territoriale della regione e correndo dietro a traguardi, al momento, irrealizzabili, che si porta avanti un discorso di autonomia politica, legislativa e, soprattutto, finanziaria e tributaria del Piemonte, semmai lo si affossa.Innanzitutto per arrivare questo a traguardo occorrerebbe una Legge Costituzionale e, ad oggi, non ci sono i numeri né le condizioni nella sede che conta, il Parlamento. In secondo luogo parlare di province, ancorché autonome, quando il loro futuro è incerto, è solo fare aria fritta.Come Comitato per l’Autonomia Piemont riteniamo sia preferibile portare avanti un discorso che riguardi TUTTO il territorio subalpino ed il Sistema Piemonte nel suo insieme, partendo dalla costituzione di una rete nelle amministrazioni comunali di sindaci, assessori, consiglieri che vogliano lavorare da subito e quotidianamente a sostegno dell’agricoltura, della collina, della pianura, della montagna piemontesi e delle sue radici identitarie, piuttosto che cercare di prendere sogni con il retino delle farfalle.Siamo, invece, disponibili ad incontrare in tempi brevi coloro che nel Pinerolese e nelle Vallate Alpine vogliono condividere questo nostro Progetto, che è un Progetto per il Piemonte e lavorare insieme a loro
Comitato Per l’Autonomia Piemont
 

Alle Poste le cartoline di San Valentino

Poste Italiane come ogni anno celebra la Festa degli innamorati e dedica a San Valentino quattro cartoline filateliche raccolte in un cofanetto personalizzato. Le speciali cartoline, colorate ed animate, seguono lo stile di quelle del 2018 permettendo così ai tanti che le hanno acquistate di dare seguito alla collezione. Un’occasione unica per ogni collezionista o per chi, semplicemente, desidera ricordare e festeggiare in modo originale la giornata di San Valentino. Il kit filatelico può essere acquistato nei 19 uffici postali con sportello filatelico della provincia di Torino e negli “Spazio Filatelia” di Milano, Genova, Trieste, Verona, Venezia, Firenze, Roma, Roma 1 e Napoli dove, fino a sabato 16 febbraio, saranno disponibili anche gli annulli speciali.

“Villa Morlini”

casa-chiusaIl povero Sparagnetti, che di nome faceva Gaudenzio, sacrestano pio e devoto di San Rocco, inorridì alla notizia. “Oh, mamma mia, che vergogna! Che vergogna per tutto il paese!”. Il pover uomo si teneva la testa tra le mani, scuotendola a destra e sinistra, disperato e sconvolto. L’ultima trovata del Borlazza era davvero scandalosa: trasformare Brovello Carpugnino in un set per un film di quelli scollacciati, con le attrici che interpretavano quelle signorine che un tempo praticavano il mestiere al riparo delle mura di quelle che venivano chiamate “case chiuse”. Roba da matti, da non credere alle orecchie. E già in giro c’era chi sogghignava, chi – tra amici – si dava di gomito strizzando l’occhio e chi biascicando qualche preghiera, tra un singhiozzo e l’altro, immaginava già di finire sulla bocca di tutto il Vergante. Lo Sparagnetti se li immaginava già, i discorsi ai mercati o nei bar dei paesi vicini: “Avete sentito la notizia? Quelli di Brovello metteranno su un gran casino. No, non una gazzarra..proprio un casino, di quelli dove i militari e quelli che avevano quell’abitudine andavano a dar prova della loro virilità”. E giù risate. “Una gran bella figura di emme”, sospirava il sacrestano. Intanto il Borlazza, vicesindaco factotum con l’ambizione di far le cose in grande e rimanere ( si esprimeva con queste parole..) “inciso nella memoria dei miei concittadini”, non stava più nella pelle. Nessuno aveva capito come mai la scelta del regista Amleto Ciaccorelli fosse caduta proprio su Brovello Carpugnino come set per le riprese del film ma sta di fatto che il piccolo comune aveva “bagnato il naso” alle più titolate concorrenti, da Verbania a Stersa, da Baveno ad Arona. Così, in quattro e quattr’otto Brovello, per i più ardimentosi, era diventata “Brovellowood” mentre per i critici , i bacchettoni e i benpensanti era assurta al poco edificante ruolo di “paese delle puttanate”.  Eppure, a ben vedere, i più erano attratti – per curiosità ma soprattutto per ammirazione – dalle belle donne che interpretavano le “signorine” di Villa Morlini, la casa di tolleranza che dava il titolo alla pellicola. “I bei tempi di Villa Morlini” poteva vantare un cast di prim’ordine, con le due protagoniste –  Silvietta Tocca e Melania Cantuccini – dotate di grande talento artistico ma anche di un notevole “personale”. Soprattutto la Cantuccini, ragazza dalle grandi misure del tutto naturali, non lasciava indifferente nessuno dei brovellesi di sesso maschile. Anche gli amministratori erano coinvolti nel film. Il sindaco Mariano Contatto e l’assessore Tripelli figuravano come semplici comparse mentre al Borlazza era stato proposto un ruolo un tantino più importante: quello del cliente abituale. Persino allo Sparagnetti era stata offerta una particina, da ragioniere contabile, prontamente e segnatamente rifiutata dal sacrestano che, a scanso d’equivoci, accompagnò il suo no con una decisa sgranatura del rosario e un imprecisato numero di segni della croce. In breve tempo e per qualche settimana, non si parlò d’altro sulle due sponde del Lago Maggiore.

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E anche sul lago d’Orta, nella zona di Mergozzo, in Ossola e giù, giù, a ridosso delle risaie della “bassa” novarese. Brovello, grazie al film, era sulla bocca di tutti. Nella ricostruzione scenica, accurata fin nei dettagli, nulla è lasciato al caso. Semmai si dava spazio  alla fantasia di coloro che – scrutando le ragazze che  si presentano in fantasiose combinazioni di veli , merlettature o deshabillé , in calze nere o guêpières – immaginavano di frequentare le stanze  dei bordelli di lusso, affrescate di dipinti erotici con angeli caduti in pose peccaminose e donne semivestite, mollemente sdraiate sui divani. Per i più anziani non era necessario un gran sforzo di fantasia ma semmai un rivangare lontani ricordi , rinverdendo episodi autobiografici, mentre per i giovani come il Borlazza era un tourbillon di novità ad alta tensione. Sì, perché il vicesindaco, costretto in un abito di foggia sartoriale anni cinquanta, rosso in volto come un peperone, si era talmente immedesimato al punto che il regista più volte dovette sospendere le riprese per calmarne gli ardori. E soprattutto per tagliare quel fastidioso e  ripetuto “Cavolo, cavolo” che il Borlazza non riusciva a disciplinare, intercalandolo ad ogni pur breve frase. Al vicesindaco il copione riservò anche una lunga battuta, fortemente critica nei confronti della senatrice Lina Merlin, veneta e socialista, firmataria della legge che chiuse i bordelli.  Rivolgendosi alla sua foto su di un giornale aperto sul banco dietro il quale sedeva la maîtresse Margherita, , la tenutaria della casa di tolleranza “Villa Morlini “ , nell’ultima sera d’apertura prima che chiudesse per sempre i battenti, la sera di sabato 20 settembre 1958 il Borlazza, sospirando a lungo, citava il senatore Pieraccini, uno dei più fieri avversari della Merlin, parlando delle anguille. Le anguille? Sì, le anguille. Infatti, il politico fiorentino disse “ Le anguille quando entrano in amore fanno un lunghissimo viaggio di migliaia di chilometri; vanno tutte quante a trovare il loro letto di nozze. Consideri, onorevole Merlin, quanto è potente lo stimolo sessuale!”. Solo che, detta dal Borlazza, la frase suonò ben altra, soprattutto quando aggiunse.. “Cavolo, altro che balle! Le anguille sì che ci danno dentro”. E così, tra uno stop e l’altro, prima che il regista e il cameraman dessero in escandescenze, la battuta venne cancellata, con il vicesindaco che non se ne faceva una ragione, masticando amaro ( “Che sfiga, che casa-chiusa-3sfiga..”) e il resto della troupe esasperata. Così, in breve, le riprese terminarono, con grande sollievo dello Sparagnetti, di Don Tullio e della maggior parte della comunità brovellese di sesso femminile. Un po’ d’amaro in bocca rimase, invece, al vicesindaco perché maturò il sospetto, senza capirne le ragioni vere, che l’esperienza della “Brovellowood” era quasi del tutto “andata a puttane”. Esito al quale, inconsapevolmente, aveva contribuito da protagonista, aggiungendo l’ultimo “tocco” di classe quando – rivolgendosi alle due protagoniste – le apostrofò con un sonoro “saprei io come farvi contente se vi avessi tra le mani, gallinelle”. Amleto Ciaccorelli  e la sua troupe se ne andarono da Brovello pronunciando un “grazie” piuttosto freddo e maldisposto. E al vicesindaco non restò che il pensiero, a metà tra l’incuriosito e l’invidioso, di quelle incredibili creature che, dalle acque dolci risalivano fino al Mar dei Sargassi all’unico scopo di copulare e riprodursi.

Marco Travaglini

Utile Fca da record negli Usa, meno in Cina

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Con un utile netto 2018 pari  a 7,3 miliardi di euro, in rialzo del 3% ( e +9% a parità dei cambi di conversione) con margine in calo al 6,3% Fca tocca il record negli Usa. I  risultati sono invece  in calo in Asia, a causa della debole performance in Cina. Qui anche Maserati ha subito un impatto significativo. L’amministratore delegato di Fca, Mike Manley, nel corso della conference call sui risultati ha detto che “il 2019 sarà una pietra miliare perché torneremo a distribuire un dividendo e non succedeva da un decennio”. LA vendita di Magneti Marelli garantirà  inoltre “un futuro alla società e consentirà a Fca di distribuire il dividendo straordinario agli azionisti”.