redazione il torinese

MERCE ABUSIVA VICINO ALLA MOLE ANTONELLIANA

Pupazzi antistress, calamite decorative, braccialetti di fantasia, portachiavi variopinti, bocce di vetro con la neve e riproduzioni in miniatura della Mole sono stati sequestrati stamane, venerdì 8 febbraio, dagli Agenti della Sezione Centro della Polizia Municipale in via Montebello davanti la Mole. In totale 1296 pezzi (vedere foto) per un valore presunto di oltre 4000 euro. Il venditore, cittadino del Bangladesh, è stato sanzionato con oltre 5000 euro.

Lorenzo Petiziol: «Torino-Udinese? Il Toro è nettamente più forte, però…»

Il Torino, rallentato nella sua corsa all’Europa League dallo 0-0 di Ferrara al cospetto della SPAL, domenica (alle ore 15:00) sarà opposto ad un’altra compagine impelagata nella lotta per la salvezza: l’Udinese, sulla cui panchina siede l’ex torinista Davide Nicola (autore della terza rete granata nel 3-1 sul Mantova nella finale di ritorno del play-off di Serie B della stagione 2005-2006). Ma che Udinese si presenterà domenica allo stadio “Grande Torino”? Per avere un quadro esaustivo della situazione, abbiamo intervistato il giornalista Lorenzo Petiziol, “memoria storica” dell’Udinese (e dell’udinesità), nonché conduttore della trasmissione radiofonica “Spazio Sport” (in onda sull’emittente friulana “Radio Spazio”).

 

L’Udinese si presenta a Torino reduce da un buon pareggio strappato in casa con la Fiorentina.

«Il pareggio coi viola è un risultato positivo, però quasi “annullato” dal meritato successo del Bologna in casa dell’Inter, che ha ridotto a soli due punti il vantaggio dell’Udinese sugli emiliani».

La situazione, in effetti, non è rosea…

«Purtroppo l’Udinese attuale mi pare un’incompiuta. Onestamente, avendo visto tutte le squadre di questo campionato di Serie A, posso affermare che l’Udinese è quella che gioca peggio. È vero che ci sono stati degli infortuni, ma ciò è indiscutibile. Peraltro, c’è lo sciopero del tifo, un fatto che non si verificava da ben 25 anni. Insomma, confermo che la situazione non è affatto rosea».

C’è chi sta peggio dei bianco-neri.

«Vero, ma bisogna dire che sono cinque anni che l’Udinese sta facendo campionati in questo tono: stavolta c’è davvero il timore di finire in Serie B. Fondamentale sarà tornare a vincere».

Già da domenica a Torino?

«Col Toro la vedo dura, poiché i granata sono più forti dell’Udinese. Certamente i bianco-neri non andranno là già sconfitti, anche se è una partita davvero difficile: la logica vede il Torino favorito, ma potrebbe scapparci il colpaccio, se le “congiunture astrali” saranno favorevoli. Fondamentali, per l’Udinese, saranno le prossime partite interne con Chievo e Bologna: facendo 6 punti, la situazione cambierebbe molto».

Il Torino sarà privo di N’Koulou e Zaza, squalificati.

«Ciò potrebbe essere un fatto favorevole all’Udinese. Almeno lo spero. N’Koulou non ha bisogno di presentazioni, così come Zaza».

Come “vede” il Toro?

«Il Torino è una squadra che mi sta molto simpatica: non solo per la sua storia, ma anche perché ho grande stima per Gianluca Petrachi. Inoltre, i granata sono guidati da un tecnico come Walter Mazzarri, che ha un suo gioco ben collaudato: il Toro può lottare fino alla fine per l’Europa».

E l’Udinese?

«Gli anni splendidi delle qualificazioni alle Coppe Europee sono passati: ora speriamo si riesca a conquistare la salvezza, meglio se meritatamente. Devo, però, dire una cosa: in questi ultimi anni si è persa un po’ di “udinesità”, di giocatori magari non friulani di nascita ma di “adozione”. Comunque, non cantiamo il “de profundis” troppo presto: la salvezza è raggiungibile, magari anche grazie alle disgrazie (sportive) altrui»

Giuseppe Livraghi

Nella foto in alto: Lorenzo Petiziol con Zico

 

La follia che “cura” la pazzia

C’erano una volta i matti
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)
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5. La follia che “cura” la pazzia
I primi metodi utilizzati agli albori della nascita dei manicomi parevano una sorta di commistione tra riti magici e primordiali e sadiche torture. Ai malati venivano fatti indossare corsetti di ferro anche senza rivestimenti in cuoio, strette camicie e cinture di forza, i più gravi e violenti venivano incatenati a forza ai letti disposti sia in orizzontale che in verticale, e lasciati lì per giorni. Era utilizzato anche il metodo dell’urticazione, ottenuta percuotendo il malato con rami d’ortica, mentre per i più agitati erano prescritte trasfusioni di sangue di agnello, “per rendere più miti i furiosi”. A scusare – se mai possibile – i barbari metodi cinquecenteschi c’è la quasi assoluta mancanza di conoscenza della materia e l’inconfutabile incapacità di trovare una soluzione ad un problema che nemmeno si capiva; al contrario, trovare parole che spieghino i metodi altrettanto violenti utilizzati in tempi non così lontani da noi, pare più complicato se non arduo. In tutte le strutture destinate ad ospitare l’enorme massa di alienati che andava via via aumentando nel tempo, il sistema più utilizzato per tenere sotto controllo i degenti marchiati come incurabili era quello di immobilizzarli al letto, per contenerne la pericolosità. La contenzione prevedeva l’uso di stringhe, polsini e cavigliere, oppure la nota camicia di forza, che impediva qualsiasi movimento. Non sempre però tale metodo portava a raggiungere i risultati sperati, così si passava all’idroterapia, che consisteva nell’immergere il paziente in una vasca di acqua bollente o ghiacciata, per farlo rilassare: il trattamento durava poche ore o tutta la notte. Le immersioni potevano essere indotte “a sorpresa”, oppure sostituite con forti getti di acqua gelata mirati alla testa. Altro sistema era quello delle “fangature elettriche”, che prevedeva l’utilizzo di fango spalmato sulla pelle del malato, e, sopra, veniva posta una placca di metallo che trasmetteva corrente. Il fango permetteva una migliore distribuzione della corrente nel corpo, con ottimi effetti sedativi. La “diatermia”, invece, si basava sull’elevare la temperatura del corpo mediante il passaggio di correnti ad alta frequenza. Questa tipologia di cura era molto complessa, i medici raccomandavano agli inservienti di “essere provvisti di sacchetti di sabbia di vario peso e dimensioni da mettere sulla testa, sul collo, sull’addome, sugli arti dei malati per evitare movimenti”. Tecniche innovative erano poi la “malariaterapia”, che consisteva nell’inoculazione del parassita della malaria per procurare altissime febbri, o l’”insulinoterapia”, grazie alla quale si riusciva a far arrivare il paziente ad un passo dal coma, per poterlo poi improvvisamente risvegliare: più il momento del risveglio era brusco e violento, più il trattamento sarebbe stato ritenuto positivo. Quest’ultimo procedimento era consigliato soprattutto per gli affetti da schizofrenia; anche il figlio “segreto” di Mussolini e Ida Dalser, Albino Mussolini, fu sottoposto a tali cure, quando venne rinchiuso nel manicomio di Mombello, dove morì di consunzione. La stessa Ida subì le medesime pratiche, quando impazzì e venne internata in diverse strutture. Negli anni Trenta si introdusse una nuova terapia, lo “shock cardiazolitico”, precursore dell’elettroshock, che prevedeva l’iniezione endovenosa di una soluzione di Cardiazol per provocare forti crisi convulsive epilettiche nel paziente. Benchè risultasse la più potente tra le cure di shock, tale criterio non si diffuse e smise di essere utilizzato, poiché i costi erano troppo alti e in più risultava difficoltoso “azzeccare” la giusta dose di farmaco da somministrare. Con gli anni Cinquanta il boom degli psicofarmaci, che causavano amnesia e disorientamento nei pazienti, le cinghie di contenzione vengono allentate, le cicatrici e i lividi si spostano dall’epidermide alla mente. “Che cosa bella è l’uomo, quando è uomo”, diceva il commediografo greco Menandro, il problema è quando non lo è.  E’ stato un “uomo” ad inventare il metodo che, in modo tristemente stereotipato, colleghiamo agli ospedali psichiatrici: l’elettroshock.  La terapia elettroconvulsiva viene scoperta in pieno regime fascista, (sono anni in cui il numero dei ricoverati nei manicomi cresce in maniera esponenziale), dal neurologo e psichiatra Ugo Cerletti, che la mette a punto nel 1938, con l’aiuto di un altro collega, Lucio Bini. La terapia riscuote grande successo e viene largamente utilizzata, lo stesso Ugo Cerletti definisce il suo metodo “il più semplice, il più pulito, il più innocuo”, non stupisce che fosse anche quello più economico. L’”illuminazione” arriva a Cerletti quando visita il mattatoio di Roma e assiste all’uccisione degli animali. I maiali venivano prima storditi tramite l’utilizzo di un circuito che applicava una scarica elettrica direttamente al cranio, quando la bestia era presa da una vera e propria crisi epilettica, veniva sgozzata. La “terapia della morte” nasceva dalla concezione arcaica di stampo medievale secondo cui un demone si insinuava nella mente del malato, e l’unico modo per scacciarlo e guarire la vittima, era quello di uccidere il corpo della vittima stessa, poiché i demoni infestano solo la carne dei vivi. L’elettroshock non uccideva i pazienti, come si era potuto evincere dai primi esperimenti del 1938, eseguiti su un trentanovenne vagabondo fermato a Roma in stato confusionale, ma portava allo stato di coma il paziente, che poi veniva bruscamente rianimato. La morte apparente avrebbe ingannato il demone-malattia, e guarito il paziente malato-posseduto. L’oggetto più temuto dai detenuti costava pochissimo, 4.600 Lire, occupava poco spazio e sembrava un “nécessaire da viaggio”. Le sedute di elettroshock venivano annunciate da squilli di tromba da capotreno suonate da un infermiere. A Collegno, una delle tante vittime dell’elettroshock racconta la propria esperienza: ricorda che lo avevano fatto entrare in una cella chiusa senza spiegargli che cosa sarebbe successo. Gli dissero di mettersi sdraiato sul lettino e le infermiere gli posero una gomma in bocca e delle cuffie sulle tempie, e quando arrivò il medico diedero corrente. “Non potete immaginare quanto male possa fare”, spiega la vittima, precisando che il dottor Giorgio Coda, prima di farlo andare via, lo aveva bloccato per ripetere l’operazione nella zona genitale, “Per me fu la fine di tutto”, spiega il paziente, “ e il male che sentivo non potrò mai più dimenticarlo”.Nel 2013 L’elettroshock veniva praticato in novantuno presidi sanitari su 1400 pazienti, secondo i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario italiano. Un obbrobrio che si commenta da sé.
 
Alessia Cagnotto
 

Il buono servizi per il lavoro della Regione

“Sono oltre 18.000 le persone prese in carico, a fine 2018, dai servizi per il lavoro piemontesi nell’ambito del Buono servizi, l’intervento di politica attiva del lavoro finanziato dalla Regione Piemonte, grazie al Fondo sociale europeo, con cui i disoccupati di lungo periodo e le persone in condizione di particolare svantaggio vengono accompagnati nella ricerca di nuova occupazione”. È quanto ha detto in terza Commissione (presidente Raffaele Gallo) l’assessora al Lavoro Gianna Pentenero, nell’informativa richiesta da Francesca Frediani (M5s). La misura prevede l’erogazione da parte degli operatori accreditati di una serie di servizi gratuiti di orientamento, ad esempio, ricerca attiva e accompagnamento al lavoro, incrocio domanda-offerta volti ad aumentare l’occupabilità delle persone. “Delle oltre 18 mila persone prese in carico, 14.500 sono disoccupati da più di sei mesi, 3561, invece, sono soggetti particolarmente svantaggiati (ad esempio lavoratori a rischio discriminazione, in carico o segnalati dai servizi sociali e sanitari ed ex detenuti. Quanto agli esiti occupazionali, più del 50% dei disoccupati di lungo periodo (8500) e il 46% delle persone svantaggiate (1926) sono state avviate al lavoro a seguito dei servizi ricevuti, con contratti stabili per il 41% dei disoccupati inseriti al lavoro e per il 24% delle persone svantaggiate. La maggior parte delle persone avviate lavorano ancora alla data del monitoraggio” ha aggiunto Pentenero. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, degli oltre 18 mila destinatari del Buono servizi, oltre 9400 hanno usufruito della misura rivolgendosi a operatori dell’area metropolitana torinese, 1900 della Provincia di Cuneo, 1769 di Alessandria, 1742 del Novarese, 952 di Vercelli, 928 di Biella, 808 di Asti e 496 del Verbano-Cusio-Ossola.

“Pinerolese e valli occitane autonome? No, grazie”

IL SECCO NO DEL COMITATO PER L’AUTONOMIA PIEMONT ALLA PROPOSTA DI UNA PROVINCIA AUTONOMA DEL PINEROLESE E DELLE VALLI OCCITANE AVANZATA DA ROBERTO ROSSO (FDI)
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“E’ fuorviante ed allontana da un percorso verso l’autonomia subalpina subalpina
 
La petizione proposta da Roberto Rosso, esponente di Fratelli d’Italia , per una ‘Provincia Autonoma di Pinerolo e delle Valli Occitane’ non piace al Comitato per l’Autonomia Piemont che ha rilasciato, attraverso i componenti del comitato di coordinamento, Carlo Comoli, Massimo Iaretti ed Emiliano Racca, questa dichiarazione: “E’ un mero proclama elettorale che rischia di far perdere di vista il vero obiettivo, ovvero la vera autonomia del Piemonte. Non è, infatti, ‘cantonalizzando’ e frammentando l’identità territoriale della regione e correndo dietro a traguardi, al momento, irrealizzabili, che si porta avanti un discorso di autonomia politica, legislativa e, soprattutto, finanziaria e tributaria del Piemonte, semmai lo si affossa.Innanzitutto per arrivare questo a traguardo occorrerebbe una Legge Costituzionale e, ad oggi, non ci sono i numeri né le condizioni nella sede che conta, il Parlamento. In secondo luogo parlare di province, ancorché autonome, quando il loro futuro è incerto, è solo fare aria fritta.Come Comitato per l’Autonomia Piemont riteniamo sia preferibile portare avanti un discorso che riguardi TUTTO il territorio subalpino ed il Sistema Piemonte nel suo insieme, partendo dalla costituzione di una rete nelle amministrazioni comunali di sindaci, assessori, consiglieri che vogliano lavorare da subito e quotidianamente a sostegno dell’agricoltura, della collina, della pianura, della montagna piemontesi e delle sue radici identitarie, piuttosto che cercare di prendere sogni con il retino delle farfalle.Siamo, invece, disponibili ad incontrare in tempi brevi coloro che nel Pinerolese e nelle Vallate Alpine vogliono condividere questo nostro Progetto, che è un Progetto per il Piemonte e lavorare insieme a loro
Comitato Per l’Autonomia Piemont
 

Alle Poste le cartoline di San Valentino

Poste Italiane come ogni anno celebra la Festa degli innamorati e dedica a San Valentino quattro cartoline filateliche raccolte in un cofanetto personalizzato. Le speciali cartoline, colorate ed animate, seguono lo stile di quelle del 2018 permettendo così ai tanti che le hanno acquistate di dare seguito alla collezione. Un’occasione unica per ogni collezionista o per chi, semplicemente, desidera ricordare e festeggiare in modo originale la giornata di San Valentino. Il kit filatelico può essere acquistato nei 19 uffici postali con sportello filatelico della provincia di Torino e negli “Spazio Filatelia” di Milano, Genova, Trieste, Verona, Venezia, Firenze, Roma, Roma 1 e Napoli dove, fino a sabato 16 febbraio, saranno disponibili anche gli annulli speciali.

“Villa Morlini”

casa-chiusaIl povero Sparagnetti, che di nome faceva Gaudenzio, sacrestano pio e devoto di San Rocco, inorridì alla notizia. “Oh, mamma mia, che vergogna! Che vergogna per tutto il paese!”. Il pover uomo si teneva la testa tra le mani, scuotendola a destra e sinistra, disperato e sconvolto. L’ultima trovata del Borlazza era davvero scandalosa: trasformare Brovello Carpugnino in un set per un film di quelli scollacciati, con le attrici che interpretavano quelle signorine che un tempo praticavano il mestiere al riparo delle mura di quelle che venivano chiamate “case chiuse”. Roba da matti, da non credere alle orecchie. E già in giro c’era chi sogghignava, chi – tra amici – si dava di gomito strizzando l’occhio e chi biascicando qualche preghiera, tra un singhiozzo e l’altro, immaginava già di finire sulla bocca di tutto il Vergante. Lo Sparagnetti se li immaginava già, i discorsi ai mercati o nei bar dei paesi vicini: “Avete sentito la notizia? Quelli di Brovello metteranno su un gran casino. No, non una gazzarra..proprio un casino, di quelli dove i militari e quelli che avevano quell’abitudine andavano a dar prova della loro virilità”. E giù risate. “Una gran bella figura di emme”, sospirava il sacrestano. Intanto il Borlazza, vicesindaco factotum con l’ambizione di far le cose in grande e rimanere ( si esprimeva con queste parole..) “inciso nella memoria dei miei concittadini”, non stava più nella pelle. Nessuno aveva capito come mai la scelta del regista Amleto Ciaccorelli fosse caduta proprio su Brovello Carpugnino come set per le riprese del film ma sta di fatto che il piccolo comune aveva “bagnato il naso” alle più titolate concorrenti, da Verbania a Stersa, da Baveno ad Arona. Così, in quattro e quattr’otto Brovello, per i più ardimentosi, era diventata “Brovellowood” mentre per i critici , i bacchettoni e i benpensanti era assurta al poco edificante ruolo di “paese delle puttanate”.  Eppure, a ben vedere, i più erano attratti – per curiosità ma soprattutto per ammirazione – dalle belle donne che interpretavano le “signorine” di Villa Morlini, la casa di tolleranza che dava il titolo alla pellicola. “I bei tempi di Villa Morlini” poteva vantare un cast di prim’ordine, con le due protagoniste –  Silvietta Tocca e Melania Cantuccini – dotate di grande talento artistico ma anche di un notevole “personale”. Soprattutto la Cantuccini, ragazza dalle grandi misure del tutto naturali, non lasciava indifferente nessuno dei brovellesi di sesso maschile. Anche gli amministratori erano coinvolti nel film. Il sindaco Mariano Contatto e l’assessore Tripelli figuravano come semplici comparse mentre al Borlazza era stato proposto un ruolo un tantino più importante: quello del cliente abituale. Persino allo Sparagnetti era stata offerta una particina, da ragioniere contabile, prontamente e segnatamente rifiutata dal sacrestano che, a scanso d’equivoci, accompagnò il suo no con una decisa sgranatura del rosario e un imprecisato numero di segni della croce. In breve tempo e per qualche settimana, non si parlò d’altro sulle due sponde del Lago Maggiore.

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E anche sul lago d’Orta, nella zona di Mergozzo, in Ossola e giù, giù, a ridosso delle risaie della “bassa” novarese. Brovello, grazie al film, era sulla bocca di tutti. Nella ricostruzione scenica, accurata fin nei dettagli, nulla è lasciato al caso. Semmai si dava spazio  alla fantasia di coloro che – scrutando le ragazze che  si presentano in fantasiose combinazioni di veli , merlettature o deshabillé , in calze nere o guêpières – immaginavano di frequentare le stanze  dei bordelli di lusso, affrescate di dipinti erotici con angeli caduti in pose peccaminose e donne semivestite, mollemente sdraiate sui divani. Per i più anziani non era necessario un gran sforzo di fantasia ma semmai un rivangare lontani ricordi , rinverdendo episodi autobiografici, mentre per i giovani come il Borlazza era un tourbillon di novità ad alta tensione. Sì, perché il vicesindaco, costretto in un abito di foggia sartoriale anni cinquanta, rosso in volto come un peperone, si era talmente immedesimato al punto che il regista più volte dovette sospendere le riprese per calmarne gli ardori. E soprattutto per tagliare quel fastidioso e  ripetuto “Cavolo, cavolo” che il Borlazza non riusciva a disciplinare, intercalandolo ad ogni pur breve frase. Al vicesindaco il copione riservò anche una lunga battuta, fortemente critica nei confronti della senatrice Lina Merlin, veneta e socialista, firmataria della legge che chiuse i bordelli.  Rivolgendosi alla sua foto su di un giornale aperto sul banco dietro il quale sedeva la maîtresse Margherita, , la tenutaria della casa di tolleranza “Villa Morlini “ , nell’ultima sera d’apertura prima che chiudesse per sempre i battenti, la sera di sabato 20 settembre 1958 il Borlazza, sospirando a lungo, citava il senatore Pieraccini, uno dei più fieri avversari della Merlin, parlando delle anguille. Le anguille? Sì, le anguille. Infatti, il politico fiorentino disse “ Le anguille quando entrano in amore fanno un lunghissimo viaggio di migliaia di chilometri; vanno tutte quante a trovare il loro letto di nozze. Consideri, onorevole Merlin, quanto è potente lo stimolo sessuale!”. Solo che, detta dal Borlazza, la frase suonò ben altra, soprattutto quando aggiunse.. “Cavolo, altro che balle! Le anguille sì che ci danno dentro”. E così, tra uno stop e l’altro, prima che il regista e il cameraman dessero in escandescenze, la battuta venne cancellata, con il vicesindaco che non se ne faceva una ragione, masticando amaro ( “Che sfiga, che casa-chiusa-3sfiga..”) e il resto della troupe esasperata. Così, in breve, le riprese terminarono, con grande sollievo dello Sparagnetti, di Don Tullio e della maggior parte della comunità brovellese di sesso femminile. Un po’ d’amaro in bocca rimase, invece, al vicesindaco perché maturò il sospetto, senza capirne le ragioni vere, che l’esperienza della “Brovellowood” era quasi del tutto “andata a puttane”. Esito al quale, inconsapevolmente, aveva contribuito da protagonista, aggiungendo l’ultimo “tocco” di classe quando – rivolgendosi alle due protagoniste – le apostrofò con un sonoro “saprei io come farvi contente se vi avessi tra le mani, gallinelle”. Amleto Ciaccorelli  e la sua troupe se ne andarono da Brovello pronunciando un “grazie” piuttosto freddo e maldisposto. E al vicesindaco non restò che il pensiero, a metà tra l’incuriosito e l’invidioso, di quelle incredibili creature che, dalle acque dolci risalivano fino al Mar dei Sargassi all’unico scopo di copulare e riprodursi.

Marco Travaglini

Utile Fca da record negli Usa, meno in Cina

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Con un utile netto 2018 pari  a 7,3 miliardi di euro, in rialzo del 3% ( e +9% a parità dei cambi di conversione) con margine in calo al 6,3% Fca tocca il record negli Usa. I  risultati sono invece  in calo in Asia, a causa della debole performance in Cina. Qui anche Maserati ha subito un impatto significativo. L’amministratore delegato di Fca, Mike Manley, nel corso della conference call sui risultati ha detto che “il 2019 sarà una pietra miliare perché torneremo a distribuire un dividendo e non succedeva da un decennio”. LA vendita di Magneti Marelli garantirà  inoltre “un futuro alla società e consentirà a Fca di distribuire il dividendo straordinario agli azionisti”.

INDIFFERENTI, CONSAPEVOLI, EQUILIBRATI E FANATICI: I 4 IDENTIKIT DEGLI ITALIANI ALLE PRESE CON GLI INFESTANTI

C’è chi non teme (quasi) nessun infestante e chi ha una vera e propria fobia, tanto da diventare maniacale in fatto di igiene e pulizia: un’indagine Doxa per Rentokil Initial svela i profili degli italiani nel loro rapporto tra infestanti e igiene

 

Oltre 16 milioni di italiani – in maggioranza donne – sono fanatici dell’igiene e terrorizzati all’idea di contrarre malattie anche a causa del contatto con infestanti di varia natura

 

 

 L’unica certezza presente in tutte le case degli italiani è che prima o poi arriveranno a far visita insetti volanti o striscianti, cimici e purtroppo anche scarafaggi o piccoli roditori. Una convivenza forzata che si protrae nel tempo da sempre, ma diverso è il modo in cui ciascuno affronta il fatto che zanzare, vespe, calabroni, blatte, topi e infestanti di ogni tipo possano essere in agguato in ogni momento.Secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di Rentokil Initial, leader mondiale in servizi di disinfestazione e derattizzazione e in servizi per l’igiene, sono 4 i profili emergenti quando si parla degli italiani e del loro rapporto con gli infestanti e l’igiene. Indifferenti, Consapevoli, Equilibrati e Fanatici: il quadro delineato dalla ricerca mette in mostra un universo variegato di comportamenti e un crescendo di ansie e preoccupazioni per la presenza di infestanti e la paura di contrarre infezioni a causa della scarsa igiene di cui sono sinonimo. Si va quindi da chi non ha paura quasi di nulla a chi sviluppa vere e proprie fobie che generano atteggiamenti maniacali in fatto di igiene personale e pulizia degli ambienti.

 

Ecco i 4 identikit degli italiani alle prese con infestanti e igiene:

 

  1. GLI INDIFFERENTI – Sono circa il 14% degli italiani intervistati, pari a circa 6,2 milioni di persone, prevalentemente uomini che vivono nelle regioni del Nord Ovest, tra i 35 e i 44 anni, senza figli.

Non temono insetti volanti o striscianti, ma si dimostrano più ‘sensibili’ alla vista di ratti e topi. Si dichiarano più tolleranti della media in caso di incontri ravvicinati con insetti al ristorante o in palestra e non usano accorgimenti per prevenire l’arrivo di infestanti in casa.

Non sono particolarmente attenti all’igiene – sia in casa che fuori casa – e, in generale, non temono il rischio di malattie causato da scarsa igiene o da presenza di infestanti: al contrario, una parte di loro (21%) ritiene che una situazione di scarsa igiene possa addirittura rafforzare le difese immunitarie.

 

  1. I CONSAPEVOLI – è il gruppo a cui appartengono circa 9 milioni di italiani, il 22% della popolazione intervistata. Anche in questo caso si tratta in maggioranza di uomini nella fascia d’età 25-34 anni, con bambini sotto i 10 anni, residenti al Sud e nelle Isole.

Per questo gruppo, zanzare e blatte sono gli infestanti più sgraditi anche se il vero incubo sono ratti e topi: i roditori infatti fanno ribrezzo, ma generano anche paura per il rischio di essere attaccati e di contrarre malattie, dato che la loro presenza è considerata sinonimo di scarsa igiene.

Per questa ragione sono attenti all’igiene personale e della casa, pur non essendo dei maniaci del pulito: hanno cura di stessi e dell’igiene delle mani, curano i sanitari del bagno di casa, le superfici della cucina, e svuotano i cassonetti della spazzatura con regolarità e frequenza.

 

  1. GLI EQUILIBRATI Quasi 10 milioni e mezzo di italiani (il 24% della popolazione tra i 18 e i 70 anni) appartengono a questo gruppo: sono sia uomini (49%) che donne (51%), residenti nelle regioni del Nord Ovest e senza figli.

Rispetto ai Consapevoli, questo gruppo intende il concetto di igiene in modo più ampio: non si tratta solo di avere cura di sé e degli ambienti in cui si vive, ma anche di assicurare l’assenza di parassiti, insetti e infestanti in generale e la sicurezza degli alimenti. Pur non temendo in modo fobico la presenza di infestanti, sono molto sgraditi scarafaggi e topi, sinonimo di scarsa igiene e rischiosi per la trasmissione di malattie ed infezioni e per danni ai cibi.

Hanno anche paura e provano ribrezzo per insetti striscianti e temono le punture degli insetti volanti. Sono inoltre accorti nella pulizia periodica della casa: dalla lavatrice, ai tendaggi e al divano che vengono puliti con regolarità, così come pattumiere e cassonetti della spazzatura.

 

  1. I FANATICI – è il gruppo più numeroso, costituito da 16 milioni e mezzo di persone, ovvero il 40% degli italiani intervistati. Si tratta in maggioranza di donne tra i 55 e i 70 anni che vivono al Sud e nelle Isole, con figli che hanno superato i 10 anni di età.

Sono affetti da vere e proprie fobie, sono attenti a tutte le situazioni e temono la trasmissione di malattie e infezioni dappertutto. La loro lista degli infestanti più sgraditi è molto lunga: blatte, mosche, cimici, vespe, piccioni, topi, formiche, con picchi di vero e proprio terrore per ratti e topi. Temono la trasmissione di malattie e virus e danni ai cibi causati dagli infestanti e non sono affatto tolleranti quando capita di incontrarli, tanto che richiederebbero subito un servizio di disinfestazione urgente. Ritengono che la scarsa igiene sia la prima causa di una serie di problemi quali malattie, trasmissione di virus, problematiche dermatologiche e molto altro.

Adottano molteplici accorgimenti per tenere lontani gli infestanti e mantenere puliti tutti gli ambienti in cui vivono: monitorano il contenitore dei rifiuti, utilizzano zanzariere, controllano i letti, svuotano i cassonetti della spazzatura; evitano di lasciare all’esterno il cibo degli animali e utilizzano maggiormente un pulitore a vapore.

Italiani e infestanti, Indagine demoscopica realizzata da Doxa per Rentokil attraverso 1.005 interviste online su un campione nazionale rappresentativo della popolazione italiana adulta di 18-70 anni. Le interviste sono state condotte dall’ 11 al 14 maggio 2018.

Il tenente Colombo sotto la Mole

Grandi sorprese in questo inizio di 2019 per il pubblico torinese del grande teatro: a febbraio arriva nel capoluogo sabaudo, l’esclusiva italiana del “Tenente Colombo”, l’ispettore più acuto e geniale quanto bizzarro e divertente che sia mai stato trasmesso dal piccolo schermo

Questa volta il Tenente Colombo appassionerà gli spettatori non a casa davanti alla tv ma seduti alle comode poltrone del Teatro Cardinal Massaia di via Sospello 32/C dove,sabato 9 e domenica 10 febbraio, l’amato inquirente trasporterà i presenti nell’atmosfera originaria di oltre cinquant’anni fa per portare in scena un thriller che in Inghilterra ha già fatto registrare a teatro ben cinque anni di sold out. Il tutto riservando agli spettatori alcune gradite sorprese come l’uso, sul palcoscenico, dell’autentico modello dell’impermeabile del Tenente Colombo, o la rivelazione del dettaglio mai svelato del nome della moglie del noto personaggio. A portare in scena l’emozionante giallo, scritto dagli autori originali della serie TV Richard Levison & William Link, saranno Ivan Fabio Perna, uno dei più acclamati interpreti di teatro americano in Italia, il quale firma anche la regia dello spettacolo ricco di colpi di scena e che lo vede protagonista accanto a Marco Manzini nei panni del freddo e cinico dott. Flemming. Gli interpreti si affronteranno in una tenace sfida, fatta di astuzie e contromosse, nella quale soltanto alla fine uno prevarrà sull’altro, dando vita ad un finale sorprendente! Completano il cast: Barbara Cinquatti, Maria Elvira Rao, Claudio Orlotti, Grazia Audero e Sebastiano Drago.

Quale sarà il caso affrontato dal Tenente Colombo nella sala del Cardinal Massaia di Torino?

L’omicidio è quello messo in atto dal Dottor Roy Flemming, brillante psichiatra di Los Angeles stanco del logoro rapporto con la possessiva e nevrotica moglie. Con l’aiuto della sua amante, organizza un ingegnoso assassinio basato su una sostituzione di persona, che gli creerà un alibi all’apparenza perfetto. Il piano creato da Flemming sembra andare per il verso giusto, ma il caso viene affidato ad un bizzarro ufficiale di polizia: il Tenente Colombo. Un tipo molto sospettoso che si rivela un formidabile avversario. Il Tenente appare maldestro, smemorato, inetto e burocrate, ma in realtà si dimostra un sagace professionista e un profondo conoscitore della natura umana. Il guanto di sfida è stato lanciato… Anche a teatro si segue dunque l’impostazione della stessa serie televisiva secondo la quale, sin dalle prime sequenze, lo spettatore conosce l’assassino, perché vede compiere il delitto in diretta… ma è poi fortemente coinvolto dal marchingegno di trappole psicologiche che Colombo metterà in atto per arrivare ad avere le prove tali da incastrare l’autore del crimine.  Fra i momenti salienti affrontati dalla regia dello spettacolo figura anche la messa in scena dell’omicidio. Due settimane intense di prove che hanno visto la Cinquatti e Manzini in una drammatica scena di strangolamento iperrealista e mozzafiato che ha fatto letteralmente saltare il pubblico sulle poltrone.  Colombo non è solo uno thriller… è anche un giallo, un dramma psicologico e una commedia: insomma due ore emozionanti, divertenti e irripetibili con l’opportunità davvero singolare di vedere dal vivo l’‘impermeabile acquistato nel 1967 da Peter Falk per girare la puntata pilota. La ditta spagnola di produzione esiste ancora adesso ma il modello è andato perduto: con grande emozione Ivan Fabio Perna è riuscito ad avere copie dei modelli originali e in una corsa contro il tempo l’ha fatto confezionare dalla costumista Dina Lo Tartaro. Questa produzione è l’unica al mondo ad avere il modello del trench originale del Tenente Colombo.  La produzione del Tenente Colombo è di LEWIS & CLARK, compagnia nata nel 1999 con l’obiettivo di produrre e mettere in scena un repertorio di opere teatrali americane e anglosassoni. Particolare attenzione viene dedicata alla restituzione della mise-en-scène in grado di rispecchiare la cultura, il tempo e la struttura drammaturgica sviluppata dall’autore. Anima è Ivan Fabio Perna, esperto conoscitore della commedia americana, nonché autore, regista e attore.  A New York ha lavorato a fianco degli attori americani Randy Danson e Daniel Von Bargen, in Italia con Franca Nuti, Giancarlo Dettori, Franco Branciaroli, ha inoltre collaborato con il Teatro Stabile di Ancona e con il Piccolo Teatro di Milano. È traduttore del commediografo americano Neil Simon ed è stato il regista del musical in tournée nazionale Moulin Rouge tratto dal film B. Luhrmann. Come autore firma le commedie Questioni di Donne, L’Uomo con la Barba, Terapie di Gruppo, Ti Amo da Morire, Questioni di Famiglia e la saga dell’ispettore Mantovani con Sei Personaggi in Cerca di un Cadavere e Il Mistero delle Lacrime di Giada. Dal 2017 è direttore artistico del “Dreams Festival”, la prestigiosa stagione estiva loanese che ha ospitato nomi come Ranieri, Sgarbi, Masini, Turci, Branduardi e tanti altri. Sarà proprio Perna a calarsi nei panni del Tenente Colombo e far rivivere uno dei miti della storia dei gialli, portandolo a teatro, a Torino.

DOPO 5 ANNI DI SOLD-OUT IN INGHILTERRA, IL 9 E 10 FEBBRAIO LO SPETTACOLO, IN ESCLUSIVA ITALIANA, SBARCA IN CITTA’ CON L’IMPERMEABILE ORIGINALE DELL’INFALLIBILE ISPETTORE PIU’ CONOSCIUTO IN TV

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Informazioni e prevendite:

– Presso le biglietterie del Teatro Cardinal Massaia
– Al numero tel. 011.2216128

– E-mail: prenotazioni@teatrocardinalmassaia.it
– Presso la biglietteria on-line Biglietto Veloce –
cliccare su: http://bit.ly/colombo_biglietti

Trailer dello Spettacolo visibile al link: http://bit.ly/trailer_colombo_02

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AL TEATRO CARDINAL MASSAIA

in Via Sospello, 32/c a Torino

Sabato 9 (ore 21) e Domenica 10 Febbraio (ore 16)

LEWIS&CLARK presenta:

Ivan Fabio Perna – Marco Manzini
in

TENENTE COLOMBO

– Prescrizione Omicidio –

di Richard Levison & William Link