redazione il torinese

UNO SCOOTER ELETTRICO MIMOTO ALLA POLIZIA MUNICIPALE

È stato consegnato ieri in piazza Palazzo di Città un ciclomotore elettrico da MiMoto con i colori d’Istituto agli Agenti del Comando della Sezione Centro della Polizia Municipale di Torino, in prestito d’uso. Alla cerimonia di consegna erano presenti la Sindaca di Torino, Chiara Appendino e il Dirigente Comandi Territoriali della Polizia Municipale, Marco Sgarbi.L’evento è frutto di una significativa collaborazione tra il primo servizio made in Italy di scooter sharing elettrico a flusso libero e il Comando della Polizia Municipale che ha contribuito, in più occasioni, a sviluppare l’idea di una mobilità consapevole ed ecologica.“Il servizio degli scooter elettrici Mimoto, e più in generale la mobilità elettrica, raccoglie le sfide che vedono i Comuni protagonisti nell’ottica della sostenibilità. Ha dichiarato la Sindaca Chiara Appendino. Torino è protagonista di questa sfida, che ha anche un valore culturale. Da questo punto di vista, il servizio Mimoto contribuisce pure a sensibilizzare i cittadini sull’importanza dello sviluppo della mobilità elettrica, al fine di poter perseguire con sempre maggiore efficacia l’obiettivo di assicurare sostenibilità al sistema dei trasporti in ambito urbano. Proprio in questo senso, si sta rivelando fondamentale la collaborazione tra pubblico e privato finalizzata a incentivare la diffusione e l’uso dei veicoli elettrici. Ringrazio quindi Mimoto per aver affidato un ciclomotore elettrico alla Polizia Municipale”. Le iniziative speciali già realizzate con la Polizia Municipale di Torino sono state un successo, il feedback dei cittadini è stato molto positivo e siamo felici di continuare questa collaborazione volta soprattutto alla promozione della guida sicura in città. MiMoto ha come obiettivo quello di rendere la città ancora più vivibile ed essere parte integrante della comunità torinese ed è per questo che lavoriamo a stretto contatto con l’amministrazione Comunale.” – afferma Vittorio Muratore, founder e CMO di MiMoto – “Il prestito di uno dei nostri scooter con i colori della Polizia Municipale è un gesto simbolico che però rappresenta un impegno comune che vogliamo duri nel tempo”. Nella piazza del Municipio, durante la mattinata gli Agenti della Prossimità del Comando Reparto Radiomobile e personale MiMoto hanno dato la possibilità ai torinesi di provare gli scooter elettrici, naturalmente a titolo gratuito.  Già nelle domeniche dello scorso ottobre, in piazza Vittorio Veneto gli Agenti si erano affiancati al personale MiMoto per invogliare alla prova, gratuitamente, i torinesi.

Torino-Atalanta, i precedenti tra i due tecnici

La partita di sabato (ore 15) sarà il decimo confronto tra Walter Mazzarri e Gian Piero Gasperini: il bilancio vede in vantaggio l’attuale tecnico atalantino, per 4 vittorie a 2 (3, invece, i pareggi). Le strade dei due allenatori si incrociano per la prima volta alla quarta giornata della Serie A 2007-2008 (23 settembre 2007), nel sentito derby di Genova, con Mazzarri sulla panchina blucerchiata e Gasperini su quella rosso-blu: finisce 0-0, mentre la gara di ritorno (alla ventitreesima, il 17 febbraio 2008, in casa del Genoa) vede il successo per 1-0 dei sampdoriani, grazie ad un acuto di Christian Maggio all’87’. Gasperini fa bottino pieno con il suo Genoa la stagione seguente: 1-0 all’andata in trasferta alla quindicesima giornata (7 dicembre 2008) e 3-1 al ritorno in casa alla trentaquattresima (3 maggio 2009) sulla Samp “mazzarriana”. I due tecnici si ritrovano anche l’annata successiva (2009-2010), con Mazzarri che, subentrato a Roberto Donadoni sulla panchina del Napoli, impatta per 0-0 alla ventiduesima giornata (30 gennaio 2010) in Campania con il “grifone” sempre guidato da “Gasp”. Altre sfide nelle stagioni 2012-2013 e 2013-2014. Nella prima annata, Mazzarri (alla guida del Napoli) ha nettamente la meglio sul collega, subentrato a Giuseppe Sannino alla guida del Palermo: 3-0 alla ventesima giornata (13 gennaio 2013). Successo di Gasperini, invece, nel 2013-2014: tornato al “suo” Genoa (subentrando a Fabio Liverani), l’attuale tecnico dell’Atalanta ha la meglio sull’Inter di Mazzarri per 1-0, grazie ad una prodezza di Luca Antonelli all’83’ (ventesima giornata, 19 gennaio 2014). Dopo una “pausa” di ben quattro anni, i due allenatori tornano a confrontarsi nella stagione 2017-’18, per la precisione alla trentaquattresima giornata (22 aprile 2018): fra le mura amiche dello stadio “Atleti Azzurri d’Italia”, l’Atalanta “gasperiniana” ha la meglio per 2-1, vittoria decisiva per l’accesso all’Europa League dei bergamaschi e, quindi, per la mancata qualificazione europea del Toro. Termina, invece, in parità il confronto della sesta giornata (26 settembre 2018) della successiva (attuale) stagione: a Bergamo, un Torino reduce dalla sconfitta interna col Napoli riesce a conquistare un discreto 0-0.

Giuseppe Livraghi

Studenti in piazza, momenti di tensione

Si sono verificati momenti di tensione questa mattina durante il corteo studentesco snodatosi nel centro di Torino. Un gruppo di  giovani ha lanciato uova e sassi contro la sede dell’ufficio scolastico regionale, in corso Vittorio Emanuele, e della Città Metropolitana, poi la polizia li ha allontanati. Molti gli slogan contro il ministro dell’Intero, Matteo Salvini. Sullo striscione che apriva la manifestazione la scritta: “Contro nuova maturità e tagli, bocciamo il governo”.

 

(foto archivio – il Torinese)

“World Press Photo 2019”, ecco i finalisti

Sono stati annunciati lo scorso mercoledì 20 febbraio i finalisti della 62ª edizione del “World Press Photo” (WPP), il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, organizzato dall’omonima Fondazione olandese (con sede ad Amsterdam) dal 1955

Con essi, arriva un’altra importante notizia per Torino: l’esposizione internazionale tornerà infatti sotto la Mole anche quest’anno. Sarà la terza volta, la seconda all’interno dell’ex Borsa Valori di via San Francesco da Paola, in virtù del rinnovo della collaborazione fra l’ Associazione C.I.ME. Culture e Identità Mediterranea (fra i principali partner della Fondazione World Press Photo) con la Camera di Commercio subalpina, proprietaria dell’immobile. Il taglio del nastro avverrà il prossimo 28 settembre e l’esposizione, visto il crescente successo riscosso nelle passate edizioni, si protrarrà fino al 17 novembre. Come per l’anno scorso, le foto saranno accompagnate da un fitto calendario di conferenze e incontri, in collaborazione con istituzioni e realtà locali, per un vero ”festival sull’attualità”. Per quanto riguarda il Premio, resi noti, come s’è detto, tutti i finalisti, i vincitori saranno invece annunciati il prossimo 11 aprile nel corso della cerimonia ufficiale ad Amsterdam.  Per selezionarli, la Giuria generale presieduta quest’anno da Whitney C. Johnson (vicepresidente del “National Geographic”) ha esaminato la bellezza di 78801 fotografie realizzate da 4738 fotografi provenienti da 129 Paesi diversi. Otto le categorie in concorso, la novità di quest’anno è l’introduzione di un nuovo premio: il World Press Photo Story of the Year, riconoscimento al fotografo “la cui creatività visiva e abilità hanno prodotto una storia con eccellenti editing e sequenza fotografici, su un grande evento o una questione di rilevanza giornalistica del 2018”. Tra i tre finalisti per questo riconoscimento, ci sono due italiani dell’Agenzia “Contrasto”: il parmigiano Marco Gualazzini, con un reportage sul bacino del Ciad e Lorenzo Tugnoli, di stanza a Beirut con un lavoro per il “Washington Post” sulla crisi umanitaria in Yemen. Con loro, l’olandese Pieter Ten Hoopen che ha seguito una carovana di migranti diretta negli Stati Uniti. I finalisti per il “World Press Photo 2018” (il premio, tra tutti, più importante) sono invece lo stesso Marco Gualazzini, Mohammed Badra (con le vittime di un sospetto attacco gas in Siria), Chris McGrath (con l’uomo che tiene lontano i giornalisti fuori dal Consolato dell’Arabia Saudita, dopo la morte del giornalista Jamal Khashoggi), John Moore (con la foto della bambina che piange mentre la mamma viene perquisita alla frontiera fra Messico e Stati Uniti), Brent Stirton (che ha fotografato l’unità femminile antibracconaggio delle Akashinga, in Zimbabwe) e Catalina Martin Chico (sua la fotografia di un’ex guerrigliera delle Farc, in Colombia, cui durante il conflitto era vietato avere figli).  L’anno scorso il premio era stato vinto dal fotografo venezuelano Ronaldo Schemidt: aveva immortalato un ragazzo in fiamme durante le proteste contro il governo di Maduro.

g. m.

Le foto finaliste per il “World Press Photo 2018” realizzate da:

– Marco Gualazzini
– Catalina Martin – Chico
– Mohammed Badra
– Chris McGrath
– John Moore
– Brent Stirton

 

 

"World Press Photo 2019", ecco i finalisti

Sono stati annunciati lo scorso mercoledì 20 febbraio i finalisti della 62ª edizione del “World Press Photo” (WPP), il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, organizzato dall’omonima Fondazione olandese (con sede ad Amsterdam) dal 1955

Con essi, arriva un’altra importante notizia per Torino: l’esposizione internazionale tornerà infatti sotto la Mole anche quest’anno. Sarà la terza volta, la seconda all’interno dell’ex Borsa Valori di via San Francesco da Paola, in virtù del rinnovo della collaborazione fra l’ Associazione C.I.ME. Culture e Identità Mediterranea (fra i principali partner della Fondazione World Press Photo) con la Camera di Commercio subalpina, proprietaria dell’immobile. Il taglio del nastro avverrà il prossimo 28 settembre e l’esposizione, visto il crescente successo riscosso nelle passate edizioni, si protrarrà fino al 17 novembre. Come per l’anno scorso, le foto saranno accompagnate da un fitto calendario di conferenze e incontri, in collaborazione con istituzioni e realtà locali, per un vero ”festival sull’attualità”. Per quanto riguarda il Premio, resi noti, come s’è detto, tutti i finalisti, i vincitori saranno invece annunciati il prossimo 11 aprile nel corso della cerimonia ufficiale ad Amsterdam.  Per selezionarli, la Giuria generale presieduta quest’anno da Whitney C. Johnson (vicepresidente del “National Geographic”) ha esaminato la bellezza di 78801 fotografie realizzate da 4738 fotografi provenienti da 129 Paesi diversi. Otto le categorie in concorso, la novità di quest’anno è l’introduzione di un nuovo premio: il World Press Photo Story of the Year, riconoscimento al fotografo “la cui creatività visiva e abilità hanno prodotto una storia con eccellenti editing e sequenza fotografici, su un grande evento o una questione di rilevanza giornalistica del 2018”. Tra i tre finalisti per questo riconoscimento, ci sono due italiani dell’Agenzia “Contrasto”: il parmigiano Marco Gualazzini, con un reportage sul bacino del Ciad e Lorenzo Tugnoli, di stanza a Beirut con un lavoro per il “Washington Post” sulla crisi umanitaria in Yemen. Con loro, l’olandese Pieter Ten Hoopen che ha seguito una carovana di migranti diretta negli Stati Uniti. I finalisti per il “World Press Photo 2018” (il premio, tra tutti, più importante) sono invece lo stesso Marco Gualazzini, Mohammed Badra (con le vittime di un sospetto attacco gas in Siria), Chris McGrath (con l’uomo che tiene lontano i giornalisti fuori dal Consolato dell’Arabia Saudita, dopo la morte del giornalista Jamal Khashoggi), John Moore (con la foto della bambina che piange mentre la mamma viene perquisita alla frontiera fra Messico e Stati Uniti), Brent Stirton (che ha fotografato l’unità femminile antibracconaggio delle Akashinga, in Zimbabwe) e Catalina Martin Chico (sua la fotografia di un’ex guerrigliera delle Farc, in Colombia, cui durante il conflitto era vietato avere figli).  L’anno scorso il premio era stato vinto dal fotografo venezuelano Ronaldo Schemidt: aveva immortalato un ragazzo in fiamme durante le proteste contro il governo di Maduro.

g. m.

Le foto finaliste per il “World Press Photo 2018” realizzate da:

– Marco Gualazzini
– Catalina Martin – Chico
– Mohammed Badra
– Chris McGrath
– John Moore
– Brent Stirton

 

 

Tajarin al ragù langarolo

I “tajarin” sono una varietà di pasta fresca all’uovo tradizionale del Piemonte, in particolare delle Langhe. Si consumano con condimenti tipici del territorio, come il ragù langarolo a base di fegatini di pollo, che oggi vi propongo. 

***

Ingredienti 

200gr. di fegatini di pollo 
200gr. di salsiccia 
300gr. di passata di pomodoro 
30gr. di funghi porcini secchi 
1 piccola cipolla bianca 
1/2 gambo di sedano 
1 piccola carota 
1/2 bicchiere di vino rosso 
2 foglie di alloro 
Burro, sale q.b. 

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Ammollare i funghi secchi. In una padella rosolare i fegatini con una noce di burro poi tritarli grossolanamente nel mixer. Sempre nella stessa padella, soffriggere con una noce di burro, un trito di cipolla, carota, sedano poi, aggiungere i funghi strizzati e la salsiccia sbriciolata. Lasciar insaporire a fuoco vivace e sfumare con il vino. Quando il vino sarà evaporato, aggiungere la passata di pomodoro, salare e lasciar cuocere a fuoco lento per almeno un’ora. Cuocere i tajarin, scolarli, condirli con il ragù e abbondante Parmigiano grattugiato. Servire subito. 

 

Paperita Patty 

Il manicomio dei bambini

C’erano una volta i matti

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)

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7. Il manicomio dei bambini
Fino ai primi anni del Novecento le malattie dei bambini non sono separate da quelle degli adulti, solo dopo gli anni Venti la neuropsichiatria infantile viene considerata una disciplina distinta e autonoma. Nascono i primi Istituiti Medico-Psico-Pedagogici, ma i bambini in manicomio ci finiscono lo stesso. All’interno di queste orride strutture trovano segregazione, cattiva alimentazione, promiscuità, e vita malsana, tutte condizioni che fanno sorgere epidemie di tubercolosi, pleuriti e infezioni di ogni genere. Le storie dei bambini nei manicomi sono fragili e brevi, riassunte in poche parole che possiamo estrapolare dalle cartelle cliniche: “indocile”, “disobbediente”, “tendente al furto”, “insofferente alla disciplina”, “cattivo”. Spesso si tratta di creature provenienti da famiglie povere e disastrate, ultimi di dieci figli, o con padri che non sanno rispondere alle semplici domande delle infermiere.  Virginia, dieci anni, è “vivacissima, irrequieta, batte le mani, gesticola, pronuncia parole senza senso o cerca di ripetere pappagallescamente parole che ode da altri. Canticchia notte e giorno, corre per le stanze. Masturbatrice e epilettica”. La piccola muore poco tempo dopo il ricovero per tubercolosi polmonare. Adrianina, invece, è “docile”, ma “rifiuta lo studio”. Viene marchiata come “oligofrenica”. Carlo, ha cinque anni e non ha un padre, è “molto discolo, indisciplinato, con grossolane anormalità del carattere e della condotta”, per lui la diagnosi è di “ritardo mentale con difficoltà psico-motoria e disadattamento mentale”; il piccolo è da internare per mancanza di disciplina. Antonio ha otto anni, pesa 26 Kg ed è alto 126 cm. La madre sembra sana, il padre e il nonno sono alcolisti, a condannare il bambino è il fatto di essere enuretico. Il piccolo viene internato per “infantilismo emotivo e interessi prevalentemente ludici”. Onofria è più grande, ha tredici anni quando viene catturata da Villa Azzurra. È rachitica, malnutrita, presenta scoliosi dorsale, una pessima dentatura e ipotrofismo muscolare, la bambina presenta le stesse caratteristiche dei sei fratelli, ma viene internata da sola all’interno della struttura. Villa Azzurra, chiamata così per il colore delle piastrelle dei bagni, è il luogo dove i bambini anormali venivano rinchiusi. L’imponente struttura si trova al confine tra Grugliasco e Collegno, in fondo a via Lombroso; all’ingresso la scritta “Sezione medico-pedagogica” ammutolisce chiunque la guardi. C’erano anche bambini di pochi mesi che finivano al manicomio dei piccoli, provenienti da famiglie molto povere o poverissime, questo era il posto degli orfani, dei disabili in carrozzina o con handicap fisici e mentali, qui finivano i ciechi, gli ipovedenti, gli epilettici, i disturbati, nessuno dei quali veniva sostanzialmente curato. Negli anni Sessanta i pazienti di Villa Azzurra erano duecento, divisi in solo due reparti, A per i meno gravi e B per i gravissimi e irrecuperabili. Qui c’erano gli “ineducabili”, quelli con cui non era necessario perdere tempo, le infermiere si limitavano a legarli ai letti o ai termosifoni, quando c’era bel tempo li legavano fuori, ai cancelli, agli alberi, alle inferriate, alle panchine o dovunque ci fosse un appiglio per immobilizzarli. Non si rimaneva per sempre a Villa Azzurra, una volta compiuti i quattordici anni potevano succedere due cose, o i ragazzi facevano ritorno alle famiglie o venivano trasportati in altri istituti, affidati al centro di addestramento professionale Lombroso o all’istituto penale minorile Ferrante Aporti; altrimenti il destino avrebbe potuto condurre quei piccoli alienati al reparto 10 di Collegno, dove li aspettava solo l’annientamento totale dell’individuo.C’è una data simbolica per tutto, quella che segna ufficialmente gli orrori di Villa Azzurra, ed è il 1964, quando il dottor Giorgio Coda viene nominato responsabile della struttura. L’uomo è soprannominato dai suoi pazienti “L’elettricista”, incute timore, spavento, è fedele al principio per cui “il bambino ama solo chi rispetta”, impartisce lezioni attraverso l’uso smodato degli elettroshock, soprattutto nei confronti di quelli che si fanno la pipì addosso durante la notte. Il metodo che usa per risolvere il problema della masturbazione è il “massaggio lombo-pubico”, una delle varianti dell’elettroshock a basso voltaggio con una scossa prolungata, tale da non far perdere conoscenza al piccolo paziente, ma da provocargli dei dolori insopportabili per 20-30 secondi. Il dottore organizza anche degli incontri di box fra ragazzi, perché sostiene siano utili per incanalare e scaricare l’aggressività, i round durano tre minuti, durante i quali i fanciulli possono imparare la dura legge della sopravvivenza: vincere o essere sconfitti. Giorgio Coda nasce a Torino il 21 gennaio 1924, nel 1944 si arruola nell’esercito di Salò, lo appassiona la retorica del fatalismo e lo sprezzo del pericolo, ideali a cui non sono estranei né l’educazione familiare, né quella scuola di regime. Nel 1948 si laurea in medicina con una tesi in antropologia criminale, a fine anno entra a Collegno nel reparto del professor Guido Treves, uno dei padri dell’elettroshock in Italia. A trentanove anni, Coda ottiene la libera docenza in psichiatria presso l’Università di Torino, nel 1964 viene promosso vicedirettore di Villa Azzurra. Diventa consulente del Provveditorato agli studi e giudice onorario del Tribunale per i minorenni. Giorgio, molto stimato negli ambienti accademici e nella buona società torinese, viene descritto come medico garbato, spiritoso, di modi salottieri. Pare non risultare a nessuno che egli utilizzi gli elettroshock per curare i suoi pazienti. Il 14 dicembre 1970 il giudice istruttore del Tribunale di Torino riceve un esposto dell’ALMM (Associazione Lotta contro le Malattie Mentali): è il primo atto di accusa contro Giorgio Coda. Si tratta di due pagine di denuncia, alle quali sono allegati sei foglietti di testimonianze, raccolti dalla Commissione di tutela dei diritti dei ricoverati che alcuni mesi prima operava all’interno del manicomio di Collegno. Giorgio Coda è accusato di aver commesso violenze nel periodo in cui prestava servizio a Collegno e poi a Villa Azzurra, si sostiene che utilizzasse gli elettroshock transcranici e lombo-pubici a scopo punitivo e sadico, e non per fini terapeutici.  Il 12 luglio 1974 viene riconosciuto colpevole dal Tribunale di Torino, condannato per maltrattamenti a cinque anni di prigione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione per cinque anni dalla professione medica. Durante il processo per la prima volta i malati di mente non solo hanno la parola, ma sono ascoltati e presi in considerazione. Coda riesce a farla franca, grazie ad un cavillo giuridico che porta all’annullamento della sentenza di primo grado con la possibilità di avvalersi della prescrizione. Viene amnistiato per i fatti di Villa Azzurra. Il suo rimane l’unico caso in Italia di uno psichiatra incriminato e condannato per maltrattamento dei malati di mente di Collegno. Il 2 dicembre 1977, un “commando” di Prima Linea irrompe nello studio di Coda, di via Goffredo Casalis, lo incatena al termosifone e lo “giustizia” con tre colpi di pistola alle spalle e alle gambe, che gli recidono un’arteria e gli frantumano un ginocchio. Al collo gli viene appeso un cartello su cui è scritto: “il proletariato non perdona i propri torturatori”. Coda però non muore, non viene radiato dall’Ordine e conclude la sua carriera come medico di famiglia a Rivoli. Certi crimini non spetta agli uomini giudicarli.

Alessia Cagnotto

 

Le scienziate dei dati

Anche l’Italia risponde alla chiamata di Women in Data Science. Martedì 5 marzo, dalle 9.30, alleOGR-Officine Grandi Riparazioni di Torino si svolgerà la seconda edizione di WiDS – Turin, unico appuntamento nazionale della conferenza globale ideata dall’università californiana di Stanford e dedicata alle donne che operano in uno dei settori chiave della ricerca contemporanea:la scienza dei dati
 

Organizzato in collaborazione dal laboratorio Data Science for Social Impact della Fondazione ISI di Torino e dalla Fondazione CRT-Cassa di Risparmio di Torino, l’evento, a ingresso libero,si rivolge a studenti, ricercatori, start up e si sviluppa nell’arco della mattinata, attraverso una serie di talk, approfondimenti e tavole rotonde. “Invited speakers” della conferenza saranno Maddalena Amoruso, responsabile Data Science presso Prometeia, e Viviana Patti, professore associato di Computer Science all’Università di Torino e fondatrice del Center for Logic, Language and Cognition dell’ateneo torinese, ai cui interventi seguirà un momento finale di discussione. 

Nata a novembre 2015 a Stanford, Women in Data Science è una conferenza globale che include decine di appuntamenti in tutto il mondo, su temi che spaziano dall’etica dei dati alla privacy, dalla cybersicurezza alla data visualization. L’edizione del 2019 (che a Stanford si terrà il 4 marzo) conta già l’adesione di oltre venti Paesi, per un totale di 45 eventi locali. WiDS – Turin, che nel 2018 si è svolta il 26 febbraio presso la sede della Fondazione ISI, quest’anno si trasferisce alle OGR, riqualificate dalla Fondazione CRT come nuovo hub dell’innovazione di respiro internazionale, con spazi per acceleratori di imprese, laboratori di ricerca e un centro sui Big Data. 

Ingresso libero  con  prenotazione obbligatoria  su  https://goo.gl/Rgvg7f 

Women in Data Science – Turin 
5 marzo 2019, OGR-Officine Grandi Riparazioni (Corso Castelfidardo 22, Torino). 

Programma: 
– ore 9.30: saluti e apertura lavori 
– ore 10: Maddalena Amoruso (keynote) 
– ore 11: Coffee Break 
– ore 11.30: Viviana Patti (keynote) 
– ore 12: discussione 
– ore 13.15: chiusura lavori 

COMUNI E TERRITORI MONTANI IN PRIMA LINEA NELLA PREVENZIONE E GESTIONE DEI RISCHI

Uncem ritiene molto positiva l’approvazione da parte del Parlamento Europeo dell’aggiornamento del Meccanismo di protezione civile UE per aiutare gli Stati membri a rispondere in modo più rapido ed efficiente alle emergenze e alle catastrofi, entrambe ricorrenti e inaspettate. La proposta include anche il miglioramento del piano di gestione del rischio di catastrofi tramite una condivisione più efficiente dei mezzi a disposizione della protezione civile.  La legge istituisce inoltre, su richiesta del Parlamento, il fondo di risorse “RescEU” che metterà a disposizione mezzi aerei per combattere gli incendi boschivi, unità di pompaggio ad alta capacità, ospedali da campo e squadre mediche di emergenza da utilizzare in ogni tipo di emergenza. A seguito di una decisione della Commissione europea, RescEU interverrà qualora gli Stati membri non dispongano di risorse sufficienti per rispondere a una catastrofe. I deputati sono inoltre riusciti a introdurre misure per rafforzare la rete di conoscenze in materia di protezione civile dell’Unione e facilitare gli scambi tra giovani professionisti e volontari della protezione civile. Il testo è stato approvato dl Parlamento europeo con 620 voti favorevoli, 22 contrari e 35 astensioni. La legge entrerà in vigore dopo l’approvazione finale del Consiglio e sarà applicabile entro l’estate. Si tratta di temi, investimenti e opportunità molto importanti anche per l’Italia, secondo Uncem, che ha avviato un percorso virtuoso di impegno e collaborazione con il Dipartimento nazionale della Protezione Civile, guidato da Angelo Borrelli. I Comuni e i territori montani sono in prima fila nella prevenzione delle emergenze e nella gestione dei grandi rischi: vogliamo con il Dipartimento fare nuova cultura della protezione civile, efficientare la seconda fase post-emergenza, semplificare le norme per appalti e gestioni locali, sgravare i sindaci di responsabilità, migliorare i Piani di protezione civile, rendere omogenea l’informazione ai cittadini, dare nuova linfa al volontariato organizzato, nostra eccellenza. Un percorso esemplare, quello italiano, anche per altri Stati europei.