redazione il torinese

Ecco il nuovo calendario venatorio

cacciatori

Non si potranno cacciare pernice bianca, lepre variabile, folaga e fischione, non si potrà sparare alla tortora in settembre, il carniere delle specie migratorie diminuisce da 10 a 8 capi e quello stagionale di tortore e quaglie da 25 a 20 capi

 

 

 La stagione venatoria 2015-2016, come proposto dall’assessore Giorgio Ferrero, inizierà domenica 4 ottobre secondo periodi e carnieri che variano di specie in specie. Stabiliti anche i periodi di addestramento e allenamento dei cani, che variano sulla base delle zone e delle aziende interessate. In particolare, a maggiore tutela delle specie “sensibili”, non si potranno cacciare pernice bianca, lepre variabile, folaga e fischione, non si potrà sparare alla tortora in settembre, il carniere delle specie migratorie diminuisce da 10 a 8 capi e quello stagionale di tortore e quaglie da 25 a 20 capi, il prelievo della tipica fauna alpina è consentito in un solo comprensorio a scelta del cacciatore. Inoltre, si può dare avvio dal 15 aprile al prelievo selettivo dei cinghiali e viene liberalizzata la quota di acquisto dei caprioli, in modo da completare i piani di prelievo e limitare i danni alle colture ed i problemi di sicurezza stradale.

 

(www.regione.piemonte.it)

Praga e Terezìn, l’Europa di mezzo e il “secolo breve”

terezin Praga Ponte Carlopraga1Reportage di Marco Travaglini

Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello (Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Terezìn  si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole

 

 

“Loro” ad Artstetten, “lui”  a Sarajevo

Mentre l’arciduca Francesco Ferdinando e la sua consorte Sofia, uccisi nell’attentato di Sarajevo, sono sepolti nella tomba di famiglia al castello di Artstetten,  nella valle di Wachau, in bassa Austria, il corpo del ragazzo che quel 28 giugno mise fine alle loro vite dando l’avvio all’escalation che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, giace a Ciglane, sobborgo nel centro di Sarajevo. È all’interno di una piccola cappella che non viene segnalata, nemmeno dalle guide turistiche, che sono conservate le spoglie mortali di Gavrilo Princip. Solo una scritta, in cirillico, recita: “beato colui che vive per sempre, perché non è nato invano”.

 

 

Tra una guerra e l’altra

 La regione di Theresienstadt/Terezìn, quella dei Sudeti, era da molti secoli abitata prevalentemente da popolazioni di etnia e lingua tedesca, pur trovandosi in territorio boemo. Dopo l’anschluss dell’Austria nel marzo del ’38, Hitler annesse anche la regione dei Sudeti nell’ottobre dello stesso anno, dopo aver ottenuto il consenso dei governi inglese e francese (ma non di quello Cecoslovacco) alla Conferenza di Monaco. Così, nel 1940, la Gestapo iniziò la costruzione di un enorme ghetto nella fortezza, facendone un campo di lavoro forzato.

 

 

terezin2Da Terezìn alle camere a gas di Auschwitz

Nel periodo in cui durò il ghetto – dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l’8 maggio 1945 – passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezìn perirono circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone. Fra i prigionieri del ghetto di Terezìn ci furono all’incirca 15.000 bambini, compresi i neonati. Erano in prevalenza bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezìn insieme ai genitori, in un flusso continuo di trasporti fin dagli inizi dell’esistenza del ghetto. A maggior parte di essi morì nel corso del 1944 nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. I bambini sopportarono il destino del campo di concentramento assieme agli altri prigionieri di Terezìn.

 

 

Fame, miseria e sofferenza

Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno di dodici anni abitavano nei baraccamenti assieme alle donne; i ragazzi più grandi erano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono assieme agli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto di non poter vivere e divertirsi come bambini. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che venissero concentrati nelle case per i bambini. La permanenza nel collettivo infantile alleviò un tantino, specialmente sotto l’aspetto psichico, l’amara sorte dei piccoli prigionieri.

 

 

La scuola del ghetto

Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita giornaliera e perfino l’insegnamento clandestino. Sotto la guida degli educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo ascoltatori: molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti, fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i bambini. I bambini di Terezìn scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata.

 

 

L’Olocausto con gli occhi dell’innocenza

L’educazione figurativa veniva organizzata nelle case dei bambini secondo un piano preciso. Le ore di disegno erano dirette dall’artista Friedl Dicker Brandejsovà. Il complesso dei disegni che si è riusciti a salvare e che fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000 disegni. I loro autori sono per la gran parte bambini dai 10 ai 14 anni. Utilizzavano i più vari tipi e formati della pessima carta di guerra, ciò che potevano trovare, spesso utilizzando i formulari già stampati di Terezìn, le carte assorbenti. Per il lavoro figurativo i sussidi a disposizione non bastavano e i bambini dovevano prestarseli a vicenda.

 

 

Dalle farfalle alle esecuzioniterezin1

I disegni si possono suddividere in due gruppi fondamentali: da una parte di disegni sul loro passato, in cui i piccoli tornavano alla loro infanzia perduta. Disegnavano giocattoli, piatti pieni di cose da mangiare, raffiguravano l’ambiente della casa perduta. Disegnavano e dipingevano prati pieni di fiori e farfalle in fiore e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi di bambini. La maggior parte della collezione comprende questo tipo di disegni. Il secondo gruppo invece è formato da disegni sul ghetto di Terezìn. Raffigurano la cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere. Qui si vedono raffigurate le caserme di Terezìn,i blocchi e le strade, i baraccamenti con i letti a tre piani, i guardiani. Ma i bambini disegnavano anche i malati, l’ospedale, il trasporto, il funerale o un’esecuzione.

 

 

Credevano in un domani migliore

Nonostante tutto però i piccoli di Terezìn credevano in un domani migliore. Espressero questa loro speranza in alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa. Sui disegni c’è di solito la firma del bambino, talvolta la data di nascita e di deportazione a Terezìn e da Terezìn. La data di deportazione da Terezìn è anche in genere l’ultima notizia del bambino. Questo è tutto quanto sappiano sugli autori dei disegni, ex prigionieri bambini del ghetto nazista di Terezìn. La stragrande maggioranza dei bambini di Terezìn morì. Ma è rimasto conservato il loro lascito letterario e figurativo che a noi parla delle sofferenze e delle speranze perdute.

 

 

terezin praga venceslaoPiazza San Venceslao

Il ritorno a  Praga necessita di una visita  alla piazza di San Venceslao. La Vaclavské , come la chiamano i praghesi,  è un luogo alquanto anomalo. Più che una piazza vera e propria è un largo viale lungo 750 metri nel cuore di Nové Město, la città nuova. Per ammirarne la maestosità si può raggiungere il Museo Nazionale, alla sua sommità, e da lì  – dove è stata collocata la statua equestre di San Venceslao –  guardare il lungo viale. In questo punto, un tempo, c’era la Porta dei Cavalli, che alla fine dell’Ottocento venne abbattuta per far spazio al monumentale museo. Insieme al santo a cavallo ci sono i quattro patroni della Repubblica Ceca (Ludmilla e Procopio davanti, Adalberto e Agnese dietro). Sullo zoccolo si possono leggere delle parole che i cechi hanno sempre invocato nei momenti di difficoltà: “Non lasciarci perire, noi e i nostri discendenti”.

 

 

Simbolo dell’indipendenza 

Piazza San Venceslao, i Piccoli Champs-Élysées,  rappresenta il simbolo dell’identità praghese e ceca da quando, nel 1848, durante i moti rivoluzionari, venne chiamata così. Nel 1918 fu da qui che partirono le rivolte antiasburgiche a favore dell’indipendenza nazionale, dichiarata il 28 ottobre di quell’anno. E fu lì che, nell’agosto del 1968 i praghesi  protestarono contro l’invasione dei carri armati sovietici venuti a stroncare la Primavera di Praga, l’esperimento di “socialismo dal volto umano” (in pratica una vera e propria liberalizzazione e democratizzazione della vita politica) portata avanti dai dirigenti comunisti di quel paese guidati da Alexander Dubček. Alla mente ritorna una delle più belle canzoni di Francesco Guccini: “Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita: come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita, quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce”. La fiamma è quella che, la sera del 16 gennaio 1969, trasformò in una torcia umana il corpo di un giovane studente di filosofia praghese, il ventenne Jan Palach. Il suo sacrificio fu un gesto di libertà, un grido contro tutte le tirannie.

 

 

terezin palachIl “testamento” di Jan Palach

Sul suo quaderno scrisse quello che può essere definito, a tutti gli effetti, il suo testamento politico. Leggiamolo: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”. Il gesto di Jan Palach non rimase isolato: almeno altri sette studenti, tra cui il suo amico Jan Zajíc ( la “torcia numero due” ),seguirono il suo esempio.

 

 

“..la città intera che lo accompagnava”

 Il funerale di Jan Palach ( che venne poi sepolto nel cimitero di Olšany)  fu programmato per domenica 25 gennaio 1969. L’organizzazione fu curata dall’Unione degli studenti di Boemia e Moravia. Vi parteciparono circa seicentomila persone, arrivate da tutto il paese. In silenzio, proprio  come racconta la già citata canzone di Guccini (“dimmi chi era che il corpo portava,la città intera che lo accompagnava:la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga”). Quel giorno, in una Praga plumbea,  scrisse  Enzo Bettiza sul Corriere della Sera .. “il suono delle sirene a mezzogiorno e il rintocco delle campane trasformano l’intera città in un «paesaggio pietrificato», dove tutti rimangono fermi e silenziosi per cinque minuti”.

 

 

A terra, la croce..

 Il monumento in sua memoria ( e di Jan Zajíc ) è poco visibile. Si trova a pochi metri dalla fontana davanti all’edificio del Museo Nazionale, dove Jan si cosparse di benzina e si dette fuoco. Nei giorni seguenti, in quello stesso luogo, si tenne lo sciopero della fame a sostegno delle rivendicazioni espresse da Palach e fu esposta la sua maschera funebre.  Il monumento, realizzato dall’artista Barbora Veselá e dagli architetti Čestmír Houska e Jiří Veselý, è stato realizzato in forma orizzontale. Dal lastricato del marciapiede emergono due bassi tumuli circolari collegati da una croce di bronzo (che simboleggia allo stesso tempo un corpo come una torcia umana). La posizione della croce indica la direzione in cui Jan Palach cadde a terra. Sul braccio sinistro della croce si leggono i nomi di Jan Palach e Jan Zajíc con le rispettive date di nascita e morte. Entrambi , e prima di loro, gli insorti di Budapest nel 1956, furono i primi caduti per la nuova Europa. Ci vollero vent’anni per riconquistare pienamente indipendenza e libertà, fino al novembre del 1989, quando s’avvio la “rivoluzione di velluto” che in breve rovesciò il regime cecoslovacco e filosovietico di  Gustáv Husák ed elesse presidente della Repubblica lo scrittore e drammaturgo Václav Havel, mentre Dubček fu acclamato, riabilitato ed eletto presidente del Parlamento.

 

Marco Travaglini

La Compagnia di SanPaolo ha un programma per le chiese

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Attraverso una cartina propone un percorso in 33 tappe

 

La  Compagnia di San Paolo ha investito 25 milioni in 15 anni per restaurare 23 fra le più belle chiese del centro storico di Torino. E ora realizza un programma per valorizzare le chiese più importanti durante l’Ostensione della Sindone. Attraverso una cartina propone un percorso in 33 tappe, in ognuna delle quali  il visitatore trova una scheda storico-artistica. Tre Chiese ospitano inoltre concerti, letture e conferenze. 

 

(Foto: il Torinese)

Discarica Molinette: le macerie nel cortile

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Per diversi mesi alla fine del 2014 e all’insaputa degli amministratori del complesso ospedaliero, diversi imprenditori edili, che avevano le proprie ditte impegnate nei lavori di manutenzione della struttura sanitaria, scaricavano in cortile sia le proprie macerie che quelle di altri cantieri, materiali pericolosi compresi

 

Quando si sente parlare di rifiuti, discariche a cielo aperto e roghi tossici, si pensa sempre sia un problema riguardante le città dell’ormai “martoriato” Sud-Italia. Invece l’ultima frontiera del degrado riguarda proprio la città di Torino che ha visto l’ospedale Molinette trasformato in una vera e propria discarica abusiva. Macerie, vetri, imballaggi misti imbrattati di vernice e in un caso addirittura la spazzatura di un bar, rappresentano lo scenario di deterioramento ed incuria che nell’ultimo periodo ha visto come protagonista persino uno dei più importanti ospedali del Piemonte.Per diversi mesi alla fine del 2014 e all’insaputa degli amministratori del complesso ospedaliero, diversi imprenditori edili, che avevano le proprie ditte impegnate nei lavori di manutenzione della struttura sanitaria, scaricavano in cortile sia le proprie macerie che quelle di altri cantieri, materiali pericolosi compresi.Ora sette persone, tutti imprenditori eccetto un dipendente della Città della Salute (che nel cortile abbandonava i rifiuti del suo bar), sono indagati con l’accusa di frode, truffa e di gestione di rifiuti non autorizzata, in un’ inchiesta penale della procura di Torino che in questi giorni ha notificato la conclusione delle indagini.

 

L‘inchiesta, nata da una segnalazione dell’ospedale, ha permesso di scoprire una serie di ditte (con sede in Corso Bramante) che approfittavano del libero accesso alle strutture per scaricare nel cortile delle Molinette detriti, macerie e talvolta anche rifiuti nocivi e pericolosi. Quintali di materiali che avrebbero dovuto essere smaltiti secondo rigide procedure e soprattutto in sicurezza, venivano invece abbandonati lì, in attesa che fosse l’ospedale a liberarsene a proprie spese.Dalle indagini condotte e coordinate dal pm Andrea Padalino, è emerso che negli anni “incriminati” 2013 e 2014 sia i titolari delle ditte che soprattutto il proprietario del bar (nonché dipendente delle Molinette), hanno visto praticamente azzerarsi la loro tassa rifiuti. Insomma un modo per gli indagati di ”smaltire” tutto a costo zero, o meglio a spese di una sanità che come purtroppo possiamo constatare ogni giorno, ha già i suoi grossi problemi.

 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili Stella

Scoprire l'Oriente di Marco Polo al Mao

 

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Ci si potrà immergere nei paesaggi e nelle culture piene di suggestioni della MAOTurchia, Iran, Iraq, deserto dei Gobi e del Catai nella Cina del Nord, fino alla corte del Gran Kahn dei Mongoli, e all’India

 

 

Fino al 3 maggio prossimo si potrà compiere al Mao, Museo di Arti Orientali di Torino, un viaggio affascinante guidati da Michael Yamashita, seguendo la Via della Seta, ovvero quelle migliaia di chilometri percorsi da Marco Polo in 24 anni di viaggio a piedi, a dorso di cammello o di asino. Ci si potrà immergere nei paesaggi e nelle culture piene di suggestioni della Turchia, Iran, Iraq, deserto dei Gobi e del Catai nella Cina del Nord, fino alla corte del Gran Kahn dei Mongoli, e all’India, seguendo il reportage di viaggio di questo fotografo americano di origine giapponese, che figura tra gli autori di punta del National Geographic.

 

Attraverso 76 immagini fotografiche, realizzate in quattro anni e suddivise in tre sezioni geografiche, da Venezia alla Cina, in Oriente, e sulla via del ritorno per mare, attraverso le coste dell’Indonesia e dell’India, Yamashita si è messo sulle tracce del grande veneziano, celebrandone l’impresa. Armato di quattro macchine fotografiche, di una dozzina di obiettivi e di un migliaio di rullini, portando con sé una copia della traduzione commentata del Milione, il fotografo  ha ripercorso le tappe del grande viaggiatore, che ha innovato la concezione che l’Occidente nutriva dell’Oriente, e che avrebbe poi affascinato Cristoforo Colombo, stimolato nella sua impresa proprio dal viaggio di Marco Polo.

 

Accanto alle immagini si potranno seguire anche alcuni video documentari, inclusi nella lista dei venti migliori realizzati dal National Geographic Channel negli ultimi dieci anni. Era il 1271 quando il giovane Marco lasciò Venezia con il padre Niccolò e lo zio Matteo, entrambi intraprendenti mercanti, per avventurarsi lungo quell’intreccio di strade che conduceva dalla Serenissima fino all’Estremo Oriente, attraverso l’intera Asia. Era la cosiddetta Via della Seta, fatta di strade, mare e fiumi, percorsa da carovane di viaggiatori e di mercanti, lungo la quale, oltre a merci rare e non ancora conosciute, si diffondevano culture e costumi di popoli  in continua contaminazione.

 

Mara Martellotta

 

Mao, via San Domenico 11

Orari mostra: martedì -domenica 10-18

Dal Quadrilatero ad oggi, la gloria del calcio piemontese

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Quella di Casale è stata una festa di sport con un’attenzione particolare al mondo della scuola: in mattinata i testimonial, in testa il ct della nazionale Antonio Conte

 

Ha avuto parole di elogio per il calcio piemontese Carlo Tavecchio, presidente della Figc. L’occasione è stata mercoledì 15 aprile, quando a Casale Monferrato è stato ricordato il centenario dello scudetto del Casale Calcio, ottenuto nel 1914 dopo un doppio incontro con la Lazio, vinto 7-1 in Piemonte e 2-1 a Roma. Il numero uno del calcio italiano ha ricordato i successi ed il cammino in Regione di Juventus e Torino, passando anche per i fasti dell’antico Quadrilatero, che agli inizi del secolo aveva come confini quelli della Pro Vercelli, del Casale, dell’Alessandria e del Novara. Quella di Casale è stata una festa di sport con un’attenzione particolare al mondo della scuola: in mattinata i testimonial, in testa il ct della nazionale Antonio Conte (ma c’erano anche Paolo Vanoli, Antonio Cabrini, Giancarlo Antognoni, Mauro Sandreani, Angelo Alessio) sono intervenuti nelle scuole. Poi al Teatro Municipale si è svolta la bella cerimonia di rievocazione del titolocon il contributo toccante di Romana Blasotti Pavesi, presidente di Afeva – Associazione familiari vittime amianto, che ha voluto testimoniare che Casale, città martire per i morti d’amianto, grazie allo sport possa avere una rinascita, l’intervento di Fabrizio Manca, direttore del Miur Piemonte e dl presidente del Coni,  Giovanni Malagò. Nel pomeriggio, invece, tutti allo stadio Natal Pallidove la nazionale under 18 azzurra ha battuto 1 – 0 con una rete del primo tempo di Bifulco, i coetanei turchi, in una partita però non proprio esaltante. Ma i colori azzurri a Casale non si vedevano da molto, troppo, tempo.

 

Massimo Iaretti

Finisce la fuga, padre ritrovato in Spagna con il bimbo sano e salvo

padre bimbo

AGGIORNAMENTO E’ stato ritrovato in Spagna il papà da tre giorni in fuga con il figlio di nemmeno una ventina di giorni. Il neonato è in buona salute sta bene. L’uomo è stato individuato dalla polizia, in un centro commerciale di Albacete, in Spagna. Il piccolo è stato trasferito in ospedale per un controllo

 

Un uomo è fuggito da casa con il  proprio figlio di appena 15 giorni. La fuga è stata denunciata dalla madre del piccolo. La donna ha detto che suo marito è scappato in macchina con il bambino, all’uscita del centro commerciale di Rivalta dove si erano recati, e non è più tornato”. Il telefono cellulare dell’uomo, E. C. un impiegato di 39 anni (nella foto), residente a Orbassano, è stato rintracciato a Bardonecchia. Probabilmente ha attraversato  il traforo del Frejus, facendo perdere le proprie tracce in Francia.I carabinieri lo stanno cercando in collaborazione con le autorità francesi. Sembra che l’uomo, in cura  per alcuni disturbi da uno psichiatra, abbia deciso di sospendere all’improvviso le cure. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso la Fiat Freemont dell’uomo, che ha problemi di depressionie, imboccare la strada verso la Francia. Dalle ultime segnalazioni potrebbe essere stato avvistato in Spagna.

"La partita del cuore" vende 10 mila biglietti

juve stadium

Il match di beneficenza tra la Nazionale Cantanti e i Campioni della Ricerca, promosso allo Juventus Stadium il  prossimo 2 giugno

 

Diecimila  ad oggi i biglietti venduti per la Partita del Cuore, il match di beneficenza tra la Nazionale Cantanti e i Campioni della Ricerca, promosso allo Juventus Stadium il  prossimo 2 giugno. Gli organizzatori confidano di superare il record dell’edizione 2013: allora fu raccolto oltre un milione e 750 mila euro, risorse destinate alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro e alla Fondazione Telethon. Sul campo, tra i cantanti, questa volta anche Il Volo, gruppo vincitore del Festival di Sanremo.

 

(Foto: il Torinese)

Il violino di Znaider nel celebre concerto di Cajkovskij

auditorium rai

All’Auditorium Rai di Torino trionfa la musica russa con Cajkovskij e Rimskij Korsakov, giovedì 16 aprile alle 21

 

Atteso ritorno all’Auditorium Rai di Torino del violinista danese Nikolaj Znaider,  che, giovedì 16 aprile alle 21, eseguirà una delle pagine più celebri di Petr Il ‘ic Cajkovskij, caposaldo della letteratura violinistica,   il Concerto in re maggiore opera 35 per violino e orchestra. Eseguito solo tre anni dopo la sua composizione, il 22 novembre 1881, a Vienna, lasciò subito il pubblico stupefatto per il trattamento senza precedenti riservato allo strumento solistico,  capace di passare dal lirismo più estremo  alla furia più accesa. Divenne da allora uno dei brani favoriti dei concertisti, in quanto si tratta di una delle pagine più funamboliche scritte per violino. Nel primo e nell’ultimo tempo, in particolare,  sono affidati compiti trascendentali,  per usare le parole del compositore Giacomo Manzoni. Del musicista russo sono riconoscibili l’impostazione,  lo slancio romantico già tratteggiato nel Concerto n. 1 per pianoforte e i passaggi più teneramente lirici. Il concerto, nei suoi tre movimenti,  Allegro moderato, Canzonetta e nel finale Allegro vivacissimo,  regala all’ascoltatore sensazioni spontanee di felicità.  Cajkovskij si allontana qui dagli schemi formali canonici, innovato una fantasia melodica di un marcato accento slavo, la stessa fantasia che tanto piacerà a Stravinskij. Sul podio dell’orchestra Rai a dirigere sarà il maestro giapponese Kazuki Yamaha,  direttore principale della Jan Philarmonic,  oltre che direttore ospite principale dell’Orchestra della Suisse Romane e della Filarmonica di Monte Carlo. Dirigerà anche l’esecuzione della Suite sinfonica opera 35 Sherazade di Nikolaj Rimski Korsakov,  ispirata al celebre poema delle Mille e una notte.

Mara Martellotta

 

Replica del concerto venerdì 17 aprile alle 20.30

Auditorium Rai Arturo Toscanini, piazza Rossaro

 

(Foto: il Torinese)

Torino regina del fumetto diventa Comics

comics

Tre giorni dedicati a curiosi, appassionati, collezionisti e Cosplayer (pratica di indossare costumi di serie televisive e film)

 

 

Venerdì 17, sabato 18 e domenica 19 aprile dalle ore 9.30 alle 19.30 presso Lingotto Fiere (via Nizza 280 a ‪#‎Torino‬), si svolgerà la 21° edizione della Mostra-mercato del FUMETTO “TORINO COMICS 2015”. Tre giorni dedicati a curiosi, appassionati, collezionisti e Cosplayer (pratica di indossare costumi di serie televisive e film), con proposte di editori, autoproduzioni, gadget, games, videogames, sfilate competitive e numerosi premi in palio. Biglietti: intero 13 euro, ridotto 11 euro, ridotto Cosplay 10 euro.

 

http://www.comune.torino.it/infogio/ric/2015/pub26105.htm