redazione il torinese

I tre giorni del FAI per il giardino

I migliori espositori per la prima e più completa mostra mercato italiana di florovivaismo di qualità

masino parchi verde

Da venerdì 29 aprile a domenica 1 maggio 

Importante compleanno per la “Tre giorni per il giardino” al Castello di Masino a Caravino (TO): la prestigiosa mostra-mercato organizzata dal FAI – Fondo Ambiente Italiano sotto l’attenta regia dell’Architetto Paolo Pejrone, fondatore e presidente dell’Accademia Piemontese del Giardino, nel 2016 festeggia 25 anni e si svolgerà venerdì 29 – dalle ore 14.30 alle 18 – sabato 30 aprile e domenica 1 maggio – dalle ore 10 alle 19.25 anni di consensi e di successi che hanno permesso alla manifestazione, ideata da Marella Agnelli e Paolo Pejrone sul modello di “Les journées des plantes” di Courson, di diventare una dei più importanti e completi appuntamenti florovivaistici internazionali. Alla prima edizione parteciparono 30 espositori, mentre quest’anno saranno oltre 160 i vivaisti italiani e stranieri, selezionati sulla base di accurati criteri di qualità ed eccellenza, che porteranno nel parco secolare del Castello di Masino le loro migliori produzioni e tante novità. Crescita esponenziale anche per i visitatori: dai circa 7.000 del 1992 si è passati a una media di 25.000 nelle ultime edizioni, per un totale di più di 400.000 biglietti venduti.

Anche quest’anno esperti e appassionati potranno scoprire e acquistare, immersi tra colori e profumi primaverili, nuove e rare meraviglie per il giardino e l’orto e potranno conoscere le moltissime specie floreali e arboree esposte: alberi e arbusti per giardini e terrazzi; piante da frutto e da orto; piante da bacca; piante aromatiche ed erbe medicinali; piante annuali, biennali e perenni da fiore; piante decorative per la foglia; piante acquatiche; piante cactacee e succulente; piante alpine e da roccia; frutti antichi e sementi rare.

Tra le novità di quest’anno: specie botaniche rare di hemerocallis, clematidi semisempreverdi a fioritura invernale, dahlie giganti e nerine, tappezzanti per zone aride, nuovi ibridi di garofani e di rose, collezioni di basilici, pesche antiche, campanule, ciclamini, nuove varietà di agapanti, aquilegie, ellebori, iris rifiorenti, peonie, ortensie, sedum, ninfee, gerani, piante da macchia mediterranea e tanto altro ancora.

Oltre a piante e fiori, in vendita anche cesteria, vasi decorati e sculture; abbigliamento e attrezzi per la cura del verde, piscine naturali, prodotti ornitologici, serre, tessuti, lampade e arredi per esterno, pitture botaniche, voliere per farfalle, mangiatoie per scoiattoli e nidi per insetti utili, complementi per il giardino acquatico, editoria specializzata. In più sarà possibile acquistare frutta, verdura e profumi dell’orto di primavera e altri prodotti biologici.

Opportunità esclusiva per gli Iscritti FAI e i Soci dell’Accademia Piemontese del Giardino:

Venerdì 29 aprile dalle ore 9.30 alle 14.30 gli iscritti e chi si iscriverà al FAI (possibilità di iscriversi in loco) e i soci dell’Accademia Piemontese del Giardino avranno la straordinaria possibilità di visitare la “Tre giorni per il giardino” con ingresso gratuito e prima dell’apertura al pubblico ufficiale. Un’opportunità unica per vedere gli ultimi preparativi e gli allestimenti finali degli espositori presenti a Masino e di fare acquisti in anteprima.

La visita alla manifestazione sarà resa ancora più piacevole dalla fioritura del cosiddetto “Giardino delle Nuvole” – composto da circa 7.000 piante di candide Spireae Van Houttey donate al FAI da Fondazione Zegna e messe a dimora dieci anni fa su progetto di Paolo Pejrone – e dalla visita al settecentesco labirinto di carpini, situato alla fine dell’antico viale di accesso al castello.

Si rinnova anche quest’anno il gemellaggio tra la “Tre giorni per il giardino” e un grande giardino italiano. Per il 2016 è stato scelto il Parco di Villa Peyrani, dimora di Alberto e Silvana Peyrani situata in Strada San Michele 14 a Moncalieri (TO). Il grande giardino minuziosamente piantato e ben organizzato, realizzato da Paolo Pejrone, sarà eccezionalmente aperto domenica 8 maggio, dalle ore 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18, grazie alle visite organizzate dalla Delegazione FAI di Torino accompagnate dai volontari della Fondazione. Camminando per il meraviglioso parco, si potranno ammirare terrazze, siepi di carpini e di bosso di centinaia di metri, fontanili con ninfee, rane e pesci, orti, alberi secolari – tra cui numerosi lecci e querce. E ancora numerosi arbusti fruttiferi, bulbose, ortensie, roseti e una collezione di centinaia di peonie… L’ingresso, a contributo libero e a numero chiuso, è riservato ai soli Iscritti FAI (possibilità di iscriversi in loco) che presenteranno il biglietto di ingresso della “Tre giorni”, previa prenotazione obbligatoria da effettuarsi il 29, 30 aprile e 1 maggio al Castello di Masino oppure scrivendo all’indirizzo faimasino@fondoambiente.it o telefonando al numero 0125 778100 a partire da martedì 3 maggio. Per raggiungere la villa è previsto un servizio navetta a/r con partenza ogni mezz’ora, dalle ore 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18, da piazza G. Marconi a Moncalieri.

In occasione dell’evento verranno organizzati presso il Tendone incontri interessanti conferenze e presentazioni di libri sul tema dei giardini e della cura del verde, secondo il seguente programma:

–   venerdì 29 aprile alle ore 14.30 lezione di Davide Pacifico sulle bulbose mediterranee; alle ore 15.30 presentazione della nuova rosa Barni “Lago di Como” alla presenza di Vittorio Barni, Paolo Ferrara e Paolo Pejrone; ore 17.30 presentazione del libro “Un giardino semplice. Storie di felici accoglienze e armoniose convivenze” di Paolo Pejrone (Einaudi, 2016).

–    sabato 30 aprile alle ore 12.30 Laura Caratti, Teresa Luciano ed Eddi Volpato presenteranno il libro “Il giardino svelato”, a cura di Laura Caratti, autori vari (Blu Edizioni, 2016)

–    domenica 1 maggio alle ore 12.30 presentazione del volume “Più orto che giardino” di Simonetta Chiarugi e Camilla Zanarotti (Mondadori Electa, 2016) alla presenza di Simonetta Chiarugi ed Enrica Melossi.

 

Inoltre nel corso dei tre giorni presso gli stand degli espositori verranno proposti oltre 25 incontri con i vivaisti e lezioni sulla coltivazione e la cura di orti e giardini, dalla coltivazione delle orchidee alla naturalizzazione delle erbe spontanee in giardino, dalla manutenzione di un frutteto di frutti antichi all’importanza dell’uso dell’humus per la salute del suolo, alle proposte per il giardino fiorito. Programma completo su www.fondoambiente.it.

 

Sabato 30 aprile e domenica 1 maggio sono in programma anche divertenti laboratori per grandi e piccini. Alle ore 11, 14 e 16 presso il Tendone incontri avranno luogo i laboratori didattici “Con le mani nella terra: piccoli giardinieri crescono” a cura di Nadia Nicoletti. Presso lo stand di Oasi Zegna si svolgerà invece il laboratorio botanico, durante il quale i bambini potranno creare il loro orto tricolore, per un approccio consapevole alla natura.

Con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città metropolitana di Torino e Comune di Caravino.

Il calendario “Eventi nei Beni del FAI 2016”, è reso possibile grazie al significativo sostegno di Ferrarelle, partner degli eventi istituzionali e acqua ufficiale del FAI, al prezioso contributo di PIRELLI, che conferma per il quarto anno consecutivo la sua storica vicinanza alla Fondazione, e Cedral Tassoni, azienda amica dal 2012 e importante marchio italiano che per il quinto anno ha deciso di abbinare la tradizione, la storia e la naturalità del suo prodotto al FAI.

 

Orario:

venerdì 29 dalle ore 14.30 alle 18, sabato 30 aprile e domenica 1 maggio dalle ore 10 alle 19 (ultimo ingresso ore 17.30).

 

Ingresso alla manifestazione:

Intero: € 10,00; Ridotto (bambini 4-14 anni): 5,00; Iscritti FAI e Soci dell’Accademia Piemontese del Giardino: € 4,00; Residenti a Caravino e Cossano Canavese: gratuito.

Opportunità speciale riservata agli iscritti FAI e ai soci dell’Accademia Piemontese del Giardino: venerdì 29 aprile ingresso gratuito alla manifestazione dalle ore 9.30 alle 14.30.

 

Ingresso cumulativo manifestazione + visita al Castello:

Intero: € 15,00; Ridotto (bambini 4-14 anni): € 7,00; Iscritti FAI: € 4,00; Residenti: gratuito

Parcheggi:

Disponibilità di ampi parcheggi gratuiti nelle vicinanze della mostra. Parcheggio interno € 5,00

 

Aree di ristoro:

Area attrezzata per ristorazione, adiacente alla mostra, con piatti caldi, menu tipici della tradizione canavesana.

Ampia Area Bar FAI in manifestazione

Caffè Masino sulle terrazze panoramiche del Castello

– “Ristorante del Castello” presso il Salone Marchesa Vittoria, con menu stagionale (prenotazioni 335.5204114).

 

 

Per informazioni: FAI – Castello di Masino tel. 0125.778100; faimasino@fondoambiente.it

www.castellodimasino.it

Per maggiori informazioni sul FAI consultare il sito www.fondoambiente.it

Maggio in oratorio alla parrocchia Santa Giulia

Un mese intero di eventi, cultura, musica, sport e convivenza che affonda le sue radici nel quartiere
santa giulia
Da fine aprile prenderà il via la XXXVI edizione del Maggio in oratorio, un mese intero di eventi, cultura, musica, sport e convivenza che affonda le sue radici nel quartiere di Vanchiglia e nella storia della Parrocchia S.Giulia e che quest’anno vede la presenza di ospiti come Alessandro D’Avenia, Maurizio Molinari, Paolo Cevoli e molti altri. Tutti gli eventi sono gratuiti e aperti al pubblico.

Calendario appuntamenti:
6 maggio 2016 ore 18.00
Maurizio Molinari 

Il califfato islamico e la minaccia all’occidente Da pochi mesi direttore de La Stampa, ex corrispondente da Gerusalemme dopo aver ricoperto lo stesso ruolo dagli Usa e da
Bruxelles per le istituzioni europee. Grande esperto di politica estera e, in particolare di Vicino Oriente, ha pubblicato recentemente per Rizzoli il libro Jihad. Guerra all’Occidente
10 maggio 2016 ore 21.00
Paolo Cevoli 

Alla scoperta dei propri talenti: come prendersi sul serio..ma non
troppo Si auto definisce un imprenditore con l’hobby del cabaret.A Zelig porta
alla ribalta il personaggio di Palmiro Cangini, Assessore alle «Attività Varie ed Eventuali» del comune di Roncofritto. Perché non parli è la terza commedia, scritta ed interpretata dallo stesso Cevoli, dopo il successo de La Penultima Cena e il Sosia di Lui.
14 maggio ore 21.00
The Cocoon Band Singing Swing with The Cocoon

Jazz Italiano tra gli anni ’20 e
gli anni ’50. Band nata lo scorso anno, ha ripescato il repertorio italiano sorto a partire dagli anni ’30 e che si è sviluppato poi con il Quartetto Cetra. I brani sono letti in chiave Jazz, con una grande varietà di atmosfere, da travolgenti ritmi swing a cullanti ballate.
17 maggio ore 21.00
Vittoria Maioli Sanese 

La sfida dell’educazionePsicologa della coppia e della famiglia. Ha fondato nel 1970 il Consultorio
Familiare di Rimini (associato UCIPEM), di cui è tuttora direttore. Accanto al lavoro clinico, guida da anni gruppi di riflessione e di formazione sulla famiglia.
20 maggio ore 21.00
Alessandro D’Avenia
Il romanzo ai tempi di WhatsApp Scrittore, insegnante e sceneggiatore. Autore di Bianca come il latte, rossa come il sangue da cui viene tratto l’omonimo film prodotto da Rai
Cinema, Cose che nessuno sa, Ciò che inferno non è. I suoi romanzi sono tradotti in più di venti paesi.
21 maggio ore 21.00
I compari a caso

Un mix imprevedibile di cabaret e musica dal vivo. Un attore spiantato e due chitarristi eccentrici, che prenderanno a martellate la noia fino a smantellarla.
29 maggio ore 17.30
FESTA FINALE MIO 2016
Dalle ore 17.30: Processione per le vie del quartiere con partenza dall’Oratorio. A seguire celebrazione solenne della S.Messa Alle ore 20.00: Festa e concerto conclusivo in piazza Santa Giulia
TORNEI SPORTIVI PER BAMBINI dal 26/4 al 27/5
Il Mio promuove ogni anno il torneo di calcio per bambini. Tutte le info sul sito www.maggioinoratorio.it o contattando telefonicamente la segreteria del MIO.
E PER LE BAMBINE….
Contestualmente ai tornei di calcio, nelle domeniche 8, 15 e 22 maggio, saranno promosse attività sportive e momenti di gioco per le bambine

 

www.maggioinoratorio.it
Parrocchia di Santa Giulia
Piazza Santa Giulia, 7, 10124 Torino

La repubblica dei pescatori

Sulla fiancata, spiccava – scritto con la vernice rossa – il nome : “Stella della Castagnola”. Su quella barca ci viveva alcuni mesi l’anno, giorno e notte, buttando le reti dove le correnti lo consentivano e dove il pescato poteva soddisfare almeno i bisogni primari, una volta venduto al mercato ed alle pescherie. “Non ci si arricchisce,caro mio, cùn al pèss dal lag. Ma almeno, puoi star sicuro, si resta liberi. Con il vento in faccia e le stelle sopra la testa. E la libertà non ha prezzo

PESCATORI4

Un fremito. Leggero, quasi impercettibile. Se la vista non lo ingannava, il galleggiante si era mosso. D’altronde, il lago era fermo come una macchia d’olio. Non c’era nemmeno la solita brezza che, a quell’ora del mattino, scendendo dai contrafforti del Mottarone ,increspava lievemente la superficie. L’acqua era immobile e il galleggiante – ne era certo – aveva sussultato. Un breve tremolio. Una volta. Due volte… Mario “Alborella” strinse più forte, con entrambe le mani, la canna. Gli occhi guardavano fissi la lenza e il galleggiante di sughero. Era sicurissimo che quel tappo tondo, colorato di bianco e di rosso, con quel tremolio appena percettibile stava “segnando”. Sulla sua fronte, tra le rughe, si incanalavano goccioline di sudore. Era teso come un archetto, pronto a dare il colpo appena la preda abboccava. Un colpo secco per prenderla all’amo e poi, finalmente, avrebbe chiuso i conti con quella trota di lago che lo faceva ammattire. Era un sacco di tempo che tra i due era aperta la sfida. E, fino ad allora, il risultato era sempre stato lo stesso: la trota gli fregava l’esca e lui restava lì con un palmo di naso, beffato. “Forse, stavolta la frego io”, diceva tra se. Ed ecco che, all’improvviso, il galleggiante sparì di botto sotto il pelo dell’acqua. All’istante Mario “frustò” la canna con uno strappo secco. Ma la sentì leggera , leggera e vide luccicare al sole – con un beffardo bagliore argentato – l’amo pulito, senza esca e – soprattutto – senza trota. “Maledetta bestiaccia”, imprecò Mario “Alborella”, agitando il pugno impotente verso il lago, come se la trota lo stesse a guardare , sogghignando. “ Anche stavolta mi ha fregato il verme e mi ha fatto fare la figura del pirla. Ma un giorno o l’altro la piglio e poi, com’è vero che c’è un Dio, la PESCATORI6metto giù in carpione”. Così, ciondolando sulle gambe malferme, con il cestino dove aveva riposto due dozzine di alborelle lunghe più o meno un dito, frutto della pesca di un paio d’ore, se ne andò verso casa. Quei pescetti erano l’unica specie che riusciva a pescare e che gli era valsa il soprannome che portava. Mentre quella trota di lago, furba e scaltra, era la sua ossessione. Tutti i giorni provava a farle fare il salto dal lago alla padella e tutti i giorni quella si prendeva la soddisfazione di far fare a lui la figura del pesce, soffiandogli l’esca dall’amo dopo avergli dato l’impressione della cattura. Mario “Alborella” era così. Pescatore da terra e da canna, non amava salire in barca nonostante fosse nato sull’isola dei Pescatori. E da quand’era in pensione, dopo aver fatto il giardiniere dei Borromeo, aveva ingaggiato quella sfida quotidiana dall’esito ormai scontato. Altra storia era quella di Giorgio Merati, detto “ Giorgio dell’Inverna” perché sentiva i venti e in quelli leggeva il tempo. Già da piccolo, suo padre l’aveva avviato alla pesca. Com’era accaduto a lui – che aveva appreso abitudini e tradizioni da suo padre – aveva trasmesso al figlio, fin dall’età di 5 anni, i primi segreti della pesca sul lago. Gli aveva parlato delle correnti e dei venti, delle reti e di come andavano calate. Ma soprattutto di quando e dove si poteva fare una buona pesca. “Ci vuole rispetto per il lago e per le creature che ci vivono”, gli diceva sempre.”Noi PESCATORI2peschiamo, certo. E questo ci dà da vivere ma mai abbiamo esagerato. Bisogna sapersi accontentare, perché ogni cosa deve rispettare gli equilibri”.Ancora oggi, nelle notti più chiare, quando si vedevano nitide le sponde da una parte e dall’altra del lago, gettava la sua rete al largo, nel golfo Borromeo. Era di Baveno ma avrebbe voluto vivere a Pallanza. “ E’ la regina del lago. Dal portamento così signorile che lascia senza fiato e , al tempo stesso,così schietta e sincera da sembrare una donna del popolo”. Sì, gli piaceva Pallanza ma dopotutto amava guardarla dal lago più che da riva. Da quand’era nato aveva le spalle coperte dall’ombra lunga del Mottarone e lo sguardo che incrociava il tondo e rassicurante profilo del Monte Rosso , che scendeva su Suna per bagnarsi i piedi nel lago. L’isola Madre l’aveva ospitato tante volte che neppure più teneva il conto. E l’isola Pescatori era un po’ la sua seconda casa. Lì, sulla lingua di terra che andava dal Verbano, il bell’albergo rossiccio che guardava in faccia la patrizia dimora sull’isola Bella, al “codino” che puntava dritto il suo naso curioso in direzione di Feriolo e Fondotoce, c’era quel lembo di terra che qualcuno, in passato, chiamava – non si sapeva bene il perché – la “Repubblica dei Pescatori”. Quante notti aveva passato, tutte intere fino all’alba, solcando lentamente il dolce movimento delle onde, sotto il cielo scuro che veniva bucato dalle piccole stelle lucenti o rischiarato dalla luna che faceva correre le ombre sull’acqua. E le barche le “spezzavano”, con la loro scia lenta mentre si muovevano a colpi di remo verso il largo. “Se hai un cuore e una camicia, vendi la camicia e visita i dintorni del Lago Maggiore” ,   scriveva Stendhal. E come dar torto a lui ed a quei viaggiatori colti che, fin dall’Ottocento avevano scoperto il lago Maggiore e – con le loro descrizioni – contribuirono a fare del Verbano la meta privilegiata di un turismo europeo d’élite affascinato dall’ambiente lacustre nel quale, come delle perle rare, facevano bella mostra di se le isole Borromee. Certo, le isole Borromee erano dei gioielli. Tre belle pietre preziose che arricchivano il diadema del lago. E se l’isola Madre e l’isola Bella spiccavano per grazia, signorilità, la terza era un po’ quella scapigliata, più ribelle. Un po’ come lo spirito, avventuroso, di chi ci abitava. Sì, perché l’isola dei pescatori, conosciuta anche come Isola PESC66Superiore, era   l’unica isola di quel piccolo arcipelago ad essere stabilmente abitata. Quei suoi 350 metri di lunghezza per 100 di larghezza ospitavano un piccolo centro abitato, dalle caratteristiche case a più piani (con lunghi balconi per essiccare il pesce), con la piazzetta, i caratteristici vicoli stretti, molto simili ai “carruggi” o alle “mulattiere di mare” liguri. E poi il lungolago e la via principale , dove le poche decine di abitanti – da sempre – potevano permettersi gli spostamenti ,ovviamente e rigorosamente a piedi, da un capo all’altro dell’isola. Quella era la sua “casa” e , senza ombra di dubbio, la conosceva come le sue tasche. E così anche per i paesi della costa più   vicini. Praticava quasi ad occhi chiusi   il suo braccio di lago per averlo navigato un infinità di volte, dall’alba al tramonto ed anche di notte. Ma l’insieme del Verbano, la terra dov’era nato e dove viveva, aveva imparato a scoprirlo soprattutto grazie ai libri. A scuola e soprattutto fuori dalla scuola, sfogliando avidamente i testi che trovava nella piccola biblioteca della parrocchia. C’era poi un testo di geografia molto dettagliato sul lago che, quasi quasi, era in grado di ricordarsene interi capitoli a memoria. “ Il Lago Maggiore si trova ad un’altezza di circa 193 m s.l.m., la sua superficie è di 212 km2 di cui circa l’80% è situata in territorio italiano e il rimanente 20% in territorio svizzero. Ha un perimetro di 170 km, è lungo 54 km, la larghezza massima è di 10 km e quella media di 3,9 km. Il volume d’acqua contenuto è pari a 37,5 miliardi di m3 di acqua con un tempo teorico di ricambio pari a circa 4 anni. PESCATORI3Il bacino imbrifero è molto vasto, pari a circa 6.599 km2 divisi quasi equamente tra Italia e Svizzera (il rapporto tra la superficie del bacino e quella del lago è pari 31,1), la massima altitudine di bacino è la Punta Dufour nel massiccio del Monte Rosa (4.633 m s.l.m.) quella media è invece di 1.270 metri sul livello del mare”. E ancora, leggendo avidamente i testi di geografia, tendeva ad allargare, curioso, lo sguardo ben oltre al lago in se, cercando di capire bene cosa stava attorno al “suo” lago. Così non mancava di fare qualche nuova scoperta…”Il bacino è caratterizzato dall’esistenza di una trentina di invasi artificiali con una raccolta di circa 600 milioni di metri cubi di acqua che, se rilasciati in modo contemporaneo,   eleverebbero il livello del lago di circa 2,5 metri. La massima profondità è 370 metri (al largo di Ghiffa).Gli immissari maggiori sono il Ticino, il Maggia, il Toce (che riceve le acque del torrente Strona e quindi del lago d’Orta) e il Tresa (a sua volta emissario del lago di Lugano). I tributari maggiori hanno un andamento di deflusso diverso, mentre Ticino e Toce che hanno un bacino imbrifero ad alte quote raggiungono un flusso massimo nel periodo compreso fra maggio e ottobre in coincidenza allo scioglimento di nevi e ghiacciai, gli altri tributari hanno un andamento fortemente influenzato dalle precipitazioni”. Poi c’erano i corsi d’acqua minori, che non riusciva ad individuare sulla carta geografica perché era di una scala troppo grande. Si ricordava però i nomi dei torrenti Verzasca, Cannobino, San Bernardino, Giona, Margorabbia e Boesio.Aveva letto avidamente tutte le informazioni, immaginando rotte e percorsi. Sapeva bene che il lago, pur grande, aveva come unico emissario il Ticino che fluiva lento uscendo all’altezza del ponte di ferro a Sesto Calende. Aveva imparato come l’origine del Lago Maggiore fosse sicuramente glaciale: ne era testimone la disposizione delle colline formate da depositi morenici di natura glaciale. Però , spiluccando qua e là su libri e vecchie carte, aveva scoperto una cosa in più: l’escavazione glaciale era avvenuta su una preesistente valle fluviale. Ed infatti, il profilo del lago – bastava guardarlo – presentava la tipica forma a “V” delle valli fluviali. Una cosa che sapeva bene, essendo pescatore e navigatore di lago, riguardava le isole. A parte le tre borromee, nel Lago Maggiore erano presenti altre   isole meno grandi, piccole o addirittura minuscole che sembravano – viste dai monti e dalle colline – delle capocchie di spillo.   Erano altre cinque nella parte   piemontese, due nell’alto lago svizzero ed una solo, piccola piccola, dalla parte lombarda, per un totale ( aggiunto l’arcipelago delle tre fra Stresa e Verbania) di undici. Partendo dall’alto verso il basso , di fronte al paesino di confine svizzero di Brissago si trovano le due omonime isole alle quali – lasciata la Confederazione per scendere sulla costa tra Cannobio e Oggebbio ci si imbatte nei tre scogli emersi dei Castelli di Cannero dove, su quello più grande, si erge lo scheletro della “Vitaliana”, la rocca fatta costruire all’inizio del 1500 dal conte Ludovico Borromeo sulle rovine del castello della Malpaga, dimora dei pirati Mazzarditi che misero a ferro e fuoco gli abitati delle sponde del lago. Al suo fianco l’altra isoletta con le prigioni e, dalla parte opposta, che guarda verso Maccagno, lo scoglietto del Melgonaro, su cui cresce solo una stenta ma tenace pianta che se ne infischia dei venti e delle intemperie.Per finire c’erano poi l’Isolino di San Giovanni, di fronte a Pallanza, l’isolotto della Malghera – un fazzolettino di terra tra L’Isola Bella e quella dei Pescatori – e , buon ultimo, verso sud,   l’Isolino Partegora nel limitato golfo di Angera, sulla “sponda magra” del lago, quella battente bandiera lombarda. Quella sera di fine autunno, sia Giorgio che il piccolo Filippo – che ormai aveva dieci anni – erano rimasti sull’Isola dei Pescatori. Avevano tirato in secca la barca ed erano andati a cena a casa del Giovanni Farina che, sul lago, era più conosciuto come il “ Giuanin dai Misultitt”. Il soprannome gli era stato affibbiato in ragione della sua fama di pescatore di agoni che, una volta puliti e fatti seccare al vento e al sole, venivano salati e disposti – frammisti a foglie d’alloro – nelle missolte, i contenitori nel quale venivano conservati gli agoni. E com’erano buoni, i misultitt. Riscaldati appena un po’ sulla brace o sulla pietra ollare, venivano PESCATORI2ripuliti dalle scaglie e aperti a metà, per lungo, sfilando via la lisca. Una spruzzata d’aceto e qualche goccia d’olio e via.. Il sapore deciso poi s’ammorbidiva se li si accompagnava   con la polenta calda ed un fiato di vino rosso. Quel vino rosso pungente che non mancava mai sulla tavola del Giuanin e che lui, in vista dell’inverno, provvedeva a “metter via” dopo averlo fatto imbottigliare dal Nazareno, un ex-frate che aveva le vigne di “americana” tra Loita e Campino.La scelta di fermarsi per cena ed anche per la notte era solo in parte voluta. Sul lago, infatti, stava soffiando il Maggiore, il più impetuoso e pericoloso dei venti. Scendeva fischiando da nord, dalla piana di Magadino, in Svizzera, ed era capace di alzare onde alte anche due o tre metri. Il rischio di veder rovesciato lo scafo e di trovarsi a mollo, nell’acqua scura e fredda, era troppo alto. Ed in quelle condizioni ci si poteva anche rimanere secchi, lasciar la pelle, annegando.Meglio andar coi piedi di piombo e non sfidare la furia del lago. Meglio star lì, al riparo, davanti al camino del Giuanin. A cena   c’era anche Mario “Alborella” e, ad ascoltare i loro discorsi, c’era solo da imparare. Iniziarono subito a parlar di venti e di onde ed il piccolo Filippo intervenne per chiedere quanti e quali fossero i venti che soffiavano sul Verbano. “ Caro al me fiò – disse Giuanin -; la risposta a questa domanda dovresti già saperla, visto che sei il figlio del Giorgio dell’Inverna. Ma ho come l’impressione che ti piace sentire anche la nostra versione. Eh, Mario. Cosa dici? Gli parli tu dei venti o lo faccio io?”. Fa tì, Giuanin – replicò “Alborella” – che ti ghè una bella parlantina. E con un bel bicièr da mericanin la lingua ta diventa ancà pussè lunga e svelta”. PESCATORI5Così Giuanin si mise a parlare dei venti. Partì dal “mergozzo”, l’altro vento del nord, che s’immetteva sul lago provenendo dalle parti dell’altro, più piccolo, specchio d’acqua che guardava verso la bassa Val d’Ossola, il   Mergozzo, prendendone il nome, fino a quelli dell’est, come l’Inverna.   “ D’inverna ce ne sono diversi. C’è quella del bel tempo, che soffia di pomeriggio ed è come una carezza un po’ decisa e c’è quella che gonfia e ghiaccia l’aria d’inverno. E’ quella vera, che porta con se la “brisa”, che mette il gelo nelle ossa”. Un fiato di vino e Giuanin, preso slancio dopo l’attimo di pausa per la “gollata”, riprese a descrivere le correnti d’aria. “C’è il “marenc”, il marenco, un’inverna calda che monta su quando da sud spira lo scirocco. E’ l’aria che fa crescere il lago”. Accortosi che Filippo lo guardava con occhi sgranati, anticipando la domanda, aggiunse: “Beh, non è che l’aria faccia crescere proprio il lago. E’ che, essendo calda, fa sciogliere la neve in alto e l’acqua scorre a valle fino al lago che, appunt
o, cresce di livello
”. Poi, preso ancora fiato, raccontò della “buzzasca”, aria che portava la neve; della “vachera” che, scendendo dalle pendici del Mottarone, annusandola, portava con se l’odore delle mucche al pascolo. Il “muscendrin”, originato dal Monte Ceneri ( “tùta roba svizzera”) muoveva l’aria fredda ma secca. Puliva il cielo e portava il sereno. “Vedi, ragazzo mio. Come ti avrà già detto tuo padre, il vento può far bene o far male alla pesca. Quando soffia quello da nord, in primavera, l’è una disgrazia. Raffredda l’acqua e i pesce va più in profondità e chi s’è visto s’è visto..non lo peschi più. Mentre invece quando soffia il marenco si va sul liscio con coregoni e bondelle perché l’acqua sale, entra quella dei fiumi e l’acqua dal lagh la   sa fa turbula, e nel torbido si pesca che è un piacere”. Ma ormai si era fatto tardi ed era ora d’andare a dormire. E se era vero che “chi dorme non piglia pesci”, quella sera – calate le ombre sul lago dove il “maggiore” spazzava le onde – non era sera d’andare in barca a pescare. Marino Balossi era anche lui pescatore. Ma veniva dall’altra “sponda”.Nel senso che era di Pallanza, cioè della parte più ad est del golfo Borromeo. Dopo un bel po’ di anni da operaio in fabbrica, alla Rhodiatoce, si era licenziato e con la liquidazione aveva comprato un burchiello da lago lungo nove metri. Una bella barca da pesca, con poppa e prua praticamente identiche ed il fondo piatto. I “risciunà”, gli arcioni tondi sui quali andava infilata la tela che riparava dalla pioggia, erano – come di regola – montati a poppa. E, sulla fiancata, spiccava – scritto con la vernice rossa – il nome : “Stella della Castagnola”. Su quella barca ci viveva alcuni mesi l’anno, giorno e notte, buttando le reti dove le correnti lo consentivano e dove il pescato poteva soddisfare almeno i bisogni primari, una volta venduto al mercato ed alle pescherie. “Non ci si arricchisce,caro mio, cùn al pèss dal lag. Ma almeno, puoi star sicuro, si resta liberi. Con il vento in faccia e le stelle sopra la testa. E la libertà non ha prezzo”, diceva sempre Marino a chi gli chiedeva qualcosa sulla pesca. Il Balossi ( “prego..il sciur Balossi”, come diceva a quei milanesi un po’ bauscia che avevano un po’ di grana in sacchetta e pensavano con quella di poter comprare tutto ) era conosciuto anche col soprannome di “Ribelle” un po’ perché aveva fatto in tempo a fare il partigiano su in Val Grande, con i garibaldini della “Redi”, un po’ perché non si tirava mai indietro quando c’era da far valere i diritti dei pescatori e, più in generale, di quelli che avevano sempre avuto di meno. Come quella volta che aveva issato una bandiera rossa sull’albero più alto dell’isolino che divideva l’Isola Bella da quella Superiore. C’era calma di vento, quella sera. Ma le acque del golfo, tra Carciano e l’Isola Bella, era comunque agitate. In tutti i sensi. Il matrimonio di una delle ultime principessine Borromeo con un rampollo di una casata di capitani d’industria era l’evento del momento. Un via vai di motoscafi a far da spola tra l’isola e la terraferma, accompagnati dal fastidioso rumore degli elicotteri che volteggiavano a bassa quota, creava disagi per chi – sul lago e dal lago – traeva di che campare. I pescatori, infatti, piuttosto indifferenti all’appuntamento mondano, stavano il più possibile alla larga. Tutto quel can can aveva scombinato l’esistenza,   tranquilla e poco incline alla frenesia, di chi viveva sul lago. Nonostante i turisti che frequentavano i paesi da Arona fino a Cannobio – passandoli tutti in rassegna,quasi sgranando un rosario di nomi, d’alberghi e di ritrovi: Meina, Lesa, Belgirate, Stresa, Baveno, Feriolo, Fondotoce, Suna,Pallanza, Intra, Ghiffa, Oggebbio e Cannero – , la vita per chi era del posto, soprattutto per gli isolani affidata ad un rassicurante “tran tran”.Per questo, per protesta, lui aveva piazzato lì quello straccetto vermiglio, inPESCATORI4 mezzo al lago. Così, per sfida, tanto per disturbare. E nonostante non sventolasse per colpa dell’aria ferma ( “Oh, santa Madonna.. gheva gnanca un bigulin d’aria “) avevano dovuto mandare due motoscafi con quattro guardie del corpo per tirarlo via. “Una cosa da poco, dai,ma pur sempre uno schiaffo di quelli che lasciano il rossore”, raccontava ridendo e tossendo, con il toscano mezzo mangiato che gli ballava all’angolo della bocca. Aveva anche una nipote, Martina, della stessa età di Filippo. Piccola, minuta, dai capelli corvini raccolti in due trecce, aveva uno sguardo sveglio,intelligente. Studiava che era un piacere ma gli piaceva anche tanto giocare purché fossero giochi avventurosi. Ed aveva le ginocchia sempre sbucciate…”Guarda qui, Giorgio, il mio “maschiaccio”. E’ bella, eh? Tutta suo nonno”, diceva orgoglioso, indicando Martina che – quando usciva in barca con lui – era addetta a metter in acqua la lenza quando bordeggiavano a tirlindana. Questa particolare pesca alla traina si effettuava sfruttando il movimento dell’ imbarcazione. Si calavano in acqua diversi cucchiaini ondulanti con infissi degli ami, pensati e costruiti apposta per questo genere di pesca. Questi – che penzolavano a profondità variabili – , richiamavano le prede , ingannandole con il loro sfarfallio. Il grosso mulinello, applicato sul bordo della barca, consentiva di svolgere la lenza, affidando alla corrente la bava che terminava, in fondo, con un bel peso di piombo di diverse decine di grammi che, a sua volta, consentiva di far rimanere ben stesi i cucchiaini. Martina si divertiva un mondo a recuperare piano il lungo filo ed , a volte, quando le prede non erano troppo grandi, riusciva a portarsele fin sotto lo scafo dove il Marino, con una mossa rapida di guadino, le tirava in secco e le liberava dall’amo. Qualche volta capitava che Giorgio e Marino, con figliolo e nipote, andavano a pesca insieme. Con un ritmo lento ,andavano per agoni con la bedina, una rete che formava una specie di sacco, di catino, per come veniva usata. Ed era una fatica del boia, manovrarla. Allora era meglio essere in due perché – se avevi fortuna e la pesca era generosa – c’era da spezzarsi la schiena a tirarla in secco, sul fondo del burchiello. Ma loro erano così, un po’ matti e un po’ all’antica. Quasi nessuno calava più in acqua la bedina perché non avevano il fisico di una volta quando, in una notte, capitava che la rete andava dentro e fuori per sei, sette volte. “ Ti ricordi,eh? Ci venivano dei muscoli così.. E, quando si tornava a riva, all’alba, la schiena non la sentivamo più dal male”, diceva il Marino. Giorgio si limitava ad annuire. Era di poche parole, piuttosto taciturno. Ma dovette fare la sua parte perché i ragazzi erano curiosi e non ci si poteva sottrarre a lungo a quel fuoco di fila di domande sulle reti, i pesci, le correnti. Ed allora, via, a raccontare delle reti volanti da calare a diverse profondità per poi recuperarle magari ad uno o due chilometri di distanza dato che, per l’appunto, “volavano” via, seguendo le traiettorie delle correnti. “Non erano fissate ed i galleggianti di sughero sulla corda superiore navigavano che era una bellezza.Poi, al lume delle lanterne, le individuavamo e, tirate in secca, rovesciavano in barca   il pesce”. “E qualche volta, invece, non c’era imprigionato un bel niente e si andava via con la coda tra le gambe, ad orecchie basse, come dei cani bastonati”, aggiunse il “Ribelle”. Filippo e Martina, tutt’orecchi, si bevevano le parole dei grandi. “Prima che si usasse il nylon le reti erano fatte di canapa, seta e cotone. Erano più spesse, più grosse. E più pesanti”, spiegava Marino. Al quale faceva eco Giorgio, ormai ben disposto al dia
logo:”Non è come adesso che sono belle e robuste. Bisognava “tenerle da conto”, dedicandogli molti lavori di manutenzione. Andavano asciugate, rappezzate, tinte. Le avete viste, no?, quelle vecchie reti stese a prendere il sole sull’Isola? Erano un po’ scure perché erano state tinte. Un po’ per conservarle più a lungo e un po’ per mimetizzarle”. “Come facevano a tingerle?”, chiesero quasi all’unisono Martina e Filippo. “Di tanto in tanto venivano immerse in una grossa caldéra ( “puciate dentro”, precisò Marino ridendo ) dove bollivano nell’acqua insieme alle bucce delle castagne ed alla cenere presa dal camino. Così si irrobustivano e diventavano meno visibili”. “ E come non parlare, poi, delle reti da fondo..“ Quelle le lasciavi lì un bel po’ in acqua. Anche 48 ore. E andavano giù perché avevano dei sassi legati di sotto che le fermavano”. E il tremaglio? Quei ragazzini erano tremendi. Mitragliavano i due pescatori con raffiche di domande e stavano lì, vispi, in attesa delle risposte. “Il tremaglio lo usiamo ancora oggi per il pesce persico, vero Marino?”, disse Giorgio passando la questione al “palanzott”. “ Già, caro il mio socio. E’ una rete a tre maglie che, messa in acqua, resta bella tesa e dritta. Le maglie sono più larghe all’esterno e più strette PESCATORI6all’interno, così che il persico resta dentro, impigliato”. “Quelli della sponda “magra”, invece – aggiunge Giorgio – erano molto bravi con i “legné”, con le legnaie. Facevano su delle belle fascine di robinia che, legate, venivano immerse in acqua lungo la riva. I persici ci deponevano le uova e si riproducevano.Poi, quando tornavano lì ed erano di “misura”, cioè oltre i 18 centimetri..zac! Li catturavi senza fatica. Oggi, invece, per l’inquinamento che di là è un bel problema, visto che i depuratori non sono in marcia, le legnaie sono andate quasi tutte a ramengo. E l’è un vero peccato”. Tra una domanda e l’altra, la notte era scesa sul lago. Sulle sponde si vedevano le luci dei lampioni. Una lunga fila gialla tra Suna a Pallanza, interrotta solo dalla massa scura della Castagnola, il “colle più alto” di Verbania, al largo del quale il lago era ben profondo. Più chiare, quasi bianche, le luci invece tra Feriolo, Baveno e Stresa, dove – negli alberghi – si faceva festa. Cullati dallo sciabordio delle onde sulle fiancate dell’imbarcazione, coperti con un plaid a quadrettoni e sdraiati sul fondo piatto su di un piccolo materasso, i due ragazzini si erano addormentati. E chissà che cosa sognavano..Un giorno, gettarono le reti a poche centinaia di metri dal “codino” dell’Isola, tanto per vedere “ se si riesce a tirar in barca qualcosa” per far cena e, se andava bene, per vendere una cassetta o due di bondelle per il Carlin “Spina”, il pescivendolo di Carciano che pagava bene il pescato. “Ah, al nostar Carlin! Quello sì che non ha il braccino corto”, diceva il Marino, masticando il toscano spento. “Non fa storie sul prezzo perché sa bene che il pesce fresco si piazza bene alle mense delle ville di quei signoroni di Milano che vengon qua a rifarsi i polmoni con   l’aria buona”. Parlavano del più e del meno quando, ormai vicini al vespro, col sole in calo, decisero di tirare in PESC22secco le reti. Filippo e Martina, usciti anche loro in barca, si diedero da fare per dar manforte al recupero. In breve le reti, sgocciolando, finirono sul fondo dei due burchielli insieme a due dozzine di bondelle, tre o quattro coregoni e un luccioperca che – ad occhio e croce – poteva pesare sì e no un paio di chili. Ma, insieme al pesce, nella rete era finito anche una specie di cilindro verdastro. Forse, dato che il fondale vicino all’isola non era propriamente un abisso, la rete aveva “raspato sù” quell’affare lì. I ragazzi lo guardavano curiosi e morivano dalla voglia di scoprire cosa fosse. “Altolà,voi. Lontani e fermi”, intimò Marino. “Non si sa mai che possa essere qualcosa che può anche far male. Nel lago ci è finito di tutto e, soprattutto dopo la guerra, con le reti abbiamo tirato in secca un sacco di porcherie, compreso delle bombe inesplose. State un poi lontani, che ci guardiamo noi”, disse, sospettoso. Non pareva però un’ordigno ma una specie di tubo. Lo prese in mano e lo ripulì con uno straccio che usava per le mani quando trafficava con il motore della barca. “Caspita, Giorgio. Vardà anche tì..Luccica.Sembra d’argento”, esclamò, stupito, il vecchio Balossi. “Sì, dev’essere proprio d’argento”, commentò Giorgio dell’Inverna. “E, guarda…sembra sia avvitato. Chissà cosa c’è dentro!?”. Facendo forza con lo straccio, dopo aver cosparso la parte alta del cilindro – che pareva proprio una specie di coperchio- con lo “svitol” che usavano per sbloccare le viti arrugginite dell’argano e del mulinello della tirlindana, lo aprirono. “Guarda,guarda..c’è una specie di documento. Sembra una pergamena. Dev’essere ben vecchia.Forse è meglio lasciarla così, non aprirla e portarla all’Isola, dall’avvocato Montagnoni”, disse Giorgio. E Marino, annuì. Anche i ragazzi erano d’accordo. L’avvocato era un po’ la “memoria storica” dell’Isola. Aveva fatto gli studi di legge a Milano, all’Università Cattolica, e poi si era preso lo sfizio di una seconda laurea – in storia moderna – all’ateneo di Friburgo. Da quando si era trasferito nella casina azzurra vicino alla chiesa di San Gandolfo, che aveva ereditato da suo padre Raniero, si era dedicato ad indagare sulla storia delle isole e dei loro abitanti. Tant’è che ora veniva indicato da tutti come “l’avùcat dà la storia”. E, una volta a riva, era a lui che si sarebbero rivolti per avere il conforto di qualche notizia in più sul ritrovamento. “Mal che vada – disse il Marino, che teneva sempre “i piedi per terra”, anche se viveva gran parte del suo tempo in barca – si può sempre fare due lire con l’astuccio. Se è sul serio d’argento, ci guadagnamo più che con le bondelle”. L’avvocato Gianmario Montagnoni era intento nelle sua lettura quotidiana della “Gazzetta dello Sport”. Gran appassionato di ciclismo, lasciava volentieri i suoi amati libri di storia per analizzare attentamente le cronache sportive degli assi del pedale sulle pagine del “foglio rosa”. Del resto ,cosa poteva farci? Scapolone impenitente ( “nonostante qualche innocente infatuazione”; di se stesso, amava dire,quasi a giustificazione per il non essersi mai sposato, “non sono mai stato colpito dalla freccia di Cupido e forse anche il mio archetto aveva la corda rotta” ), oltre alle ricerche storiche ed alla buona cucina, non aveva altri vizi. La sua passione per Coppi e per i “grimpeur”, gli scalatori che s’alzavano sui pedali quando la strada iniziava a salire e lasciavano gli altri impiantati sull’asfalto o lo sterrato, con un palmo di naso, era proverbiale. Qualcuno all’Isola, bonariamente, lo aveva ribattezzato “ Pordoi”, ricordando così il suo incontenibile entusiasmo quando parlava della “cima Coppi” del Giro d’Italia. I due pescatori ed i ragazzi, dopo aver bussato alla sua porta ed ottenuto il permesso d’entrare, lo trovarono così: intento a leggere con la lente d’ingrandimento in mano, seduto vicino alla finestra sulla sua grande sedia impagliata. Dopo i saluti e una rapida descrizione degli eventi accaduti, specificando bene dove si trovavano con la barca quando il cilindro d’argento era finito nella rete da pesca, l’avvocato – leggendo avidamente il testo della pergamena, chiaramente vergato a mano e miracolosamente conservatosi grazie all’involucro che
l’aveva mantenuto in buono stato, difendendolo dall’acqua e dall’umidità – si mise a pensare. Ci furono alcuni minuti di totale silenzio. Nessuno osava fiatare. Il Montagnoni corrucciava la fronte, leggendo e rileggendo quelle poche righe. Giorgio e Marino scrutavano le sue espressioni. Martina e Filippo si guardavano intorno, incuriositi da tutti quei libri che c’erano in quella stanza. Dopo un po’, l’avvocato disse: “ Amici miei, cari ragazzi..abbiamo avuto una fortuna immensa. Questa pergamena ha una importanza straordinaria. Forse spiega un sacco di cose. Intanto, ve la leggo.Ascoltate bene. Ve la traduco già pesce lago retesubito perché è scritta nell’italiano di fine settecento”. L’avvocato non riusciva a celare l’emozione. Le mani gli tremavano. Si schiarì la voce e, finalmente, lesse la pergamena. “ Oggigiorno, primo Messidoro 1798”…cioè, se non ricordo male, il 19 giugno.. “ rifocillati e rimessi in forze dalla generosa ospitalità dei pescatori di questa meravigliosa isola che, soccorrendoci all’indomani del 4 Fiorile ( che corrispondeva al 23 di aprile ) dopo il tragico epilogo della battaglia di Gravellona, ci nascosero nelle loro case a rischio e pericolo della loro stessa vita..”. L’avvocato fece una pausa e disse: “Qui si legge poco e male, perché l’inchiostro ha sbavato un po’, ma il senso è chiaro..Vediamo un po’..”. E riprese la lettura: “..sfidando l’ordine regio in un epoca di temperie e funesti presagi, seppero tener alta la fiaccola della libertà e dell’indomito spirito repubblicano. Noi, patrioti e combattenti, ancora in vita grazie al loro coraggio, in procinto di lasciar l’Isola per riparare verso l’Elvezia, dichiariamo questo lembo di terra, abitato da fieri e orgogliosi patrioti, l’ultimo baluardo di Libertà. Viva la Repubblica Lepontina. Viva la Repubblica dei Pescatori. Evviva le genti che voglion vivere a testa alta”. “Ci sono anche tre firme: Lazzaro Prosperi, Filiberto Orioli, Antonio Merati. Eh, caro Giorgio – esclamò l’avvocato Montagnoni – quest’ultimo forse era un tuo antenato. Ecco cos’era il “segreto” che il vecchio prete d’allora, Don Piero, affidò al lago perché nessuno “potesse ghermirlo e, per tramite suo, cagionar malevoli conseguenze ai generosi pescatori di codesta isola”. I quattro lo ascoltavano sempre più stupiti e chiesero, com’era inevitabile, di poterne capire di più. “ Sciur Avucàt, ci faccia capire anche a noi che non siamo “studiati” come lei. Cos’è questa storia? E cosa c’entrano i patrioti, il prete, la repubblica e compagnia cantando?”, sbottò il Marino, grattandosi la nuca, perplesso. “ Giusto,giusto..Scusate ma mi son fatto prendere un po’ la mano”, intervenne l’avvocato. “ Dovete sapere che, nel corso delle mie ricerche, mi sono PESC66imbattuto – consultando le carte dell’archivio della parrocchia – in una specie di memoriale che era stato scritto da Don Piero Lunelli, il parroco che per più di trent’anni officiò la messa e confesso tutti qui all’isola, tra la fine del 1700 e gli inizi del secolo successivo. Si vede che i pescatori avevano tratto in salvo alcuni patrioti scampati dalla carneficina dell’aprile 1798 e questi ultimi, per ringraziarli, avevano messo nero su bianco un attestato di stima nei loro confronti, prima di riparare in Svizzera. Ed il prete, nel dubbio che le guardie dei Savoia potessero metterci su le mani e dar vita ad una rappresaglia contro i pescatori, lo mise in questo cilindro d’argento e lo gettò nel lago”. Infatti, l’anziano studioso , si era già imbattuto in qualche indizio. Come nel caso della descrizione, fatta da Don Piero nel suo diario, dell’ involucro che conteneva alcune reliquie di San Protasio, uno dei due patroni di Baveno, che – svuotato del suo prezioso contenuto religioso – era stato adibito “ ad un compito adatto a suggellar per sempre un temibil segreto”. Eccolo qui, dunque, il “temibile segreto”: la prova di un atto di altruismo e di ribellione degli isolani nei confronti della monarchia sabauda. E si spiegava anche quel riferimento un po’ sibillino alla “prova di generosità manifestata dagli abitanti del basso lago verso la causa giacobina” di cui parlava un vecchio testo sui moti rivoluzionari nell’Ossola e nel Verbano, pubblicata un secolo dopo a Bellinzona, nel canton Ticino. Si era fatta ormai sera. Ma nessuno se la sentiva di rinviare all’indomani il racconto che era stato ormai avviato. Così, preparata alla buona una cena frugale a base di polenta e latte e una mezza dozzina di misultitt appena dissalati, i due pescatori ed i due ragazzi, ascoltarono dalla bocca dell’esperto Montagnoni, la ricostruzione di quanto accadde in quell’epoca. “Intanto, avete mai sentito parlare dell’Azari?”, chiese l’avvocato. “Come no… E’ il nome del viale che attraversa Pallanza, dalla piazza Gramsci fino su al ponte del Plusc”, rispose pronto Marino. “ Beh, sì.Insomma, più o meno. Quello che ha dato il nome al viale, come dici tu, era   Giuseppe Antonio Azari, un giovane, brillante, avvocato di idee repubblicane. Aveva studiato giurisprudenza all’Università di Pavia e lì, sulle rive del Ticino, entrò in contatto con dei giacobini. Affascinato dai propositi rivoluzionari aderì alla loro causa prendendo il nome di battaglia di “Giunio Bruto”. Nel 1796, quando Napoleone alla testa delle sue armate d’oltralpe valicò il confine ed invase l’Italia, progettò di impadronirsi degli uffici del capoluogo Pallanza e proclamare la Repubblica Lepontina. Ma il tentativo insurrezionale non andò in porto. Nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre venne arrestato a casa sua, insieme a   Prospero Bertarelli ed Antonio Bianchi, gli altri capi della congiura.Stessa sorte subirono, a Fondotoce, i piccoli gruppi di rivoluzionari che erano pronti all’azione: le guardie regie li catturarono e li disarmarono. E così, amici miei, in una sola notte, la prospettiva della Repubblica Lepontina andò in fumo”. “E poi, che fine fecero lui ed i suoi amici?”, l’interruppero, ormai completamente “presi” dalla storia, Martina e Filippo. “Eh, finì male. Lo portarono subito a Novara dove venne processato con urgenza e condannato a morte mediante impiccagione. La sentenza, senza possibilità d’ appello, venne eseguita il 3 dicembre nel fossato del Castello. Il suo cadavere venne bruciato e le ceneri sparse al vento. Una lapide, posta 88 anni dopo, nel 1884, sulla sua casa a Pallanza, in “Ruga” al numero civico 45, lo ricordava così: In questa casa nacque l’avvocato Giuseppe Antonio Azari che nel 1796 a 26 anni scontò collaPESC26 vita l’onore d’avere capitanate le squadre della libertà a Fondotoce. Gloria al precursore del secolo XIX e del suo martirologio per la unità e libertà d’Italia”. “Porca l’oca”, esclamò il Marino. “E io che non sapevo nemmeno come mai il viale si chiamasse così. Questo Azari era uno che di coraggio ne aveva da vendere se a meno di trent’anni ha fatto quella fine per le sue idee”. “ Sì, Marino. Era un uomo coraggioso”, continuò l’avvocato. “ E la storia non finì lì. Se nel 1796 fallì un complotto del nostro eroe pallanzese , che intendeva sollevare la regione per farne un dipartimento autonomo, passarono meno di due anni e , nel 1798, il generale francese Léotaud sbarcò proprio a Pallanza con una schiera di giacobini armati, ed occupò Cannobbio e parte dell’Ossola. Poi a
ccadde quel accadde, alla battaglia di Gravellona, dove riuscirono a sopravvivere i tre patrioti della pergamena”.
Signor Montagnoni, ci racconta come andò quella battaglia? Lei che ha studiato la storia lo saprà senz’altro..”, esclamarono insieme Filippo e Martina, eccitatissimi per l’evoluzione che aveva ormai preso quella vicenda. “Ma è tardi, ragazzi..”, provò a resistere, a dire il vero blandamente, l’avvocato. “ A questo punto, cara al mè avucàt, fatto trenta bisogna anche far trentuno e andare fino in fondo con questa storia, non crede?”, disse il papà di Filippo.

E sia. Ho però bisogno di quel libro lì, Martina. Me lo puoi portare? “, disse il Montagnoni indicando un volume rilegato in cuoio nero che stava appoggiato sul piano della cassapanca vicino alla finestra. Avuto il libro tra le mani, cominciò a raccontare, aiutandosi con il testo. “ Era “ il 3 fiorile”, di domenica mattina, verso l’alba, quando – il 22 aprile 1798 –   i reggimenti reali di casa   Savoia, composti da dragoni, granatieri e regia marina, schierati   nei pressi del borgo di S.Maurizio, lasciarono alle loro spalle Gravellona Toce e marciarono verso i rivoluzionari stanziati nei dintorni di Omavasso. Lo scontro in campo aperto avvenne verso le dieci, nella   zona dei prati “primieri”, quella che oggi è conosciuta come il Campone. Il canto della “marsigliese” accompagnò l’attacco dei repubblicani. Si combatté accanitamente tra la sponda destra del Toce e i primi contrafforti della montagna, in un terreno scivoloso, fangoso, reso pesante dalle piogge dei giorni precedenti. I savoiardi erano in difficoltà. Non riuscivano ad avanzare sotto il tiro di un paio di vecchi cannoni caricati a mitraglia. Sbandavano, indietreggiando, nonostante l’assoluta superiorità numerica ed il miglior addestramento militare. Verso mezzogiorno le file dei   repubblicani si irrobustirono ma non a sufficienza per reggere le folate offensive dei soldati del Re. Reso innocuo uno dei cannoni , i soldati regi iniziarono a premere contro il   lato più debole dello schieramento rivoluzionario. Le sorti si capovolsero del tutto quando giunsero , in ulteriore rinforzo , le truppe regie   provenienti da Arona che , sbarcando a Feriolo, arrivarono a Gravellona. Le compagnie di granatieri dei reggimenti di Savoia e della Marina presero d’infilata la compagnia di granatieri della Cisalpina che era stata messa a guardia del fiume , attaccando così alle spalle i   patrioti.  Gli insorti repubblicani , ormai perduti,   si lasciarono alle spalle 150 morti e 400 prigionieri e si diedero alla fuga verso la Svizzera , nascondendosi ovunque fosse possibile. Molti vennero poi scovati e   uccisi dai popolani fedeli al Re, soprattutto in Valle Vigezzo .Il Marchese Enrico Costa di Bearengard nelle proprie “Memorie a proposito del fallito tentativo di far insorgere l’Ossola”, descrisse così la vittoria sui repubblicani : “ La metà dei Patrioti, le loro bandiere, i cannoni sono rimasti a noi; il resto e fuggito sulle montagne,dove i contadini ne hanno fatto giustizia sommaria, d’altra parte voi sapete che,checché si faccia, il contadino ama il Re e vuole la stabilità“. La settimana dopo, tra sabato 28 e lunedì 30 aprile, gran parte dei rivoluzionari repubblicani furono fucilati a Domodossola. Ma non finì lì. Le fucilazioni continuarono più tardi,il 26 maggio, quando PESC22caddero sotto il piombo del plotone d’esecuzione anche il Comandante Leotto – vale a dire il coraggioso generale francese Giovanni Battista Léotaud – e il suo aiutante Lion. Il 29 giugno stessa sorte toccò al ventiduenne Giulio Albertazzi , a Pallanza , mentre ,all’alba dello stesso giorno, una medesima fine venne riservata ad Omegna al ventenne milanese   Graziano Belloni. L’eccidio si concluse con l’esecuzione con la fucilazione , a Vogogna,dell’avvocato Filippo Grolli – uno dei principali artefici dei moti rivoluzionari – guardato a vista da ben 85 soldati regi.

Ah, quanta amarezza, ragazzi miei, davanti a questa brutta fine   “, commentò l’avvocato Montagnoni, togliendosi gli occhiali dalle lenti spesse, sfregandosi gli occhi . “ Eppure il sacrificio di tanti uomini per un ideale di maggior democrazia, non fu vano. Lo volete sapere cosa accadde solo pochi mesi dopo? La Francia ordinò,il 5 dicembre,al Generale Joubert l’attraversamento del Ticino, l’occupazione di Novara e , subito dopo, di Torino. Così, l’8 dicembre 1798 – il 18 Glaciale dell’ Anno VII, secondo il calendario rivoluzionario francese – Carlo Emanuele IV di Savoia abdicò e partì per la Sardegna , scortato dalla flotta inglese. Il territorio piemontese veniva diviso in 6 dipartimenti amministrativi. La casa Savoia , che regnava sul Piemonte e sulla Savoia dal 1418 ( la Sardegna era stata acquisita più tardi, nel 1720 ) non disponeva piu’ di territori continentali e quello che era lo stato sardo prese il nome di Repubblica Cisalpina”. Era ormai notte inoltrata. I due pescatori ed i due ragazzi si congedarono dall’avvocato, lasciando a lui la preziosa pergamena perché potesse poi consegnarla alle autorità e farla esporre in pubblico, magari in quel museo del lago e della pesca che era stato inaugurato a Verbania. L’isola era silenziosa. Le strette viuzze erano illuminate dalla luce fioca della luna che, bella piena, rischiarava il lago. Le stesse ombre sull’acqua e il fruscio della chiglia che rompeva dolcemente le onde nel tragitto verso la terraferma, accompagnavano i pensieri di Giorgio e di Marino, di Martina e di Filippo. Nessuno parlava ma non c’era bisogno. Erano stanchi e felici. La pesca, una volta tanto, non era servita a riempire di pesci luccicanti le cassette   del Carlin “Spina”. Era servita a qualcosa di più importante. A qualcosa che non aveva prezzo. Bastava guardar verso l’isola, verso quella sagoma scura che si allungava sul lago, nel mezzo del golfo Borromeo. Bastava guardare verso la Repubblica dei Pescatori.

Marco Travaglini

Sabato Torino Musei offre la cultura a 1 euro fino alle 23

cc madamaPer le mostre allestite alla Gam, a Palazzo Madama e al Mao

Il biglietto ad 1 euro  con apertura straordinaria fino alle 23, sabato  23 aprile, per le mostre allestite alla Gam, a Palazzo Madama e al Mao, i musei gestiti dalla Fondazione Torino Musei che dal primo maggio cambieranno orari. Il biglietto è valido anche per le collezioni permanenti, così da festeggiare con i turisti e con tutto il pubblico l’inizio del week end del 25 aprile.I musei e la Rocca Medievale dal primo maggio osserveranno il nuovo orario dalle 11 alle 19 tutti i giorni. Per  il Borgo Medievale i nuovi orari riguardano solo la Rocca e il Giardino, a pagamento. Il Borgo osserva invece 9/20 d’estate e 9/19 d’inverno.

(Foto: il Torinese)

E i bambini continuano a morire in mare mentre s'alzano i muri dell'egoismo

Non è consentito voltare la testa da un’altra parte, senza impegnarsi sul tema decisivo del valore di ogni essere umano. Non è accettabile che ci si rinchiuda nell’egoismo, alzando fili spinati e muri. Va detto a chi ha responsabilità: in fondo il cuore della politica è avere cuore per gli altri
migranti22

Ieri, a un anno dalla tragedia di 800 disperati ingoiati dal mare, alcune centinaia di uomini, donne, bambini muoiono affogati nel tentativo di fuggire da conflitti, violenza, malattie, sete e fame. E’ incredibile morire in mare per sfuggire alla siccità che affligge intere regioni dell’Africa. Sabato papa Francesco a Lesbo ha rinnovato con gesti e esempi il senso più vero di una civiltà che l’Europa sta smarrendo. Per tempo aveva trovato le parole giuste per dirlo: è in corso una terza guerra mondiale a pezzi, che divora città, anziani e ragazzi. Anche per sconfiggere terrorismo e paure è indispensabile maturare insieme – il pontefice in questo caso era con i patriarchi ortodossi – la consapevolezza di cosa è questo secolo, con squarci di avanzamenti e tecnologie e il buio di migranti 24antichi e nuovi conflitti. Non è consentito voltare la testa da un’altra parte, senza impegnarsi sul tema decisivo del valore di ogni essere umano. Non è accettabile che ci si rinchiuda nell’egoismo, alzando fili spinati e muri. Va detto a chi ha responsabilità: in fondo il cuore della politica è avere cuore per gli altri. Occorrono i ponti, non i muri. Lo dice il Pontefice che porta questo nome  ( l’etimologia della parola pontifex – “pontem facere”- significa “costruttore di ponti” ). I ponti sono slanciati, leggeri, si vengono incontro con un balzo dai due lati. I muri sono pesanti, tirano verso il basso.I ponti invitano a passare e a incontrarsi. I muri serrano e segregano. “Inframuraria, si chiama nel gergo tecnico l’ esistenzamigranti 23 nelle galere“, scrisse un giorno Adriano Sofri, parlando di ponti che si oppongono ai muri . Bisogna fare una guardia speciale ai ponti, perchè sono il bersaglio prediletto di chi è egoista, invidioso, separatista. Sono il bersaglio di chi vuol dividere perchè sui ponti ci sono persone che arrivano di qua, persone che vengono di là, e si incontrano e si mescolano. Ci sono momenti estremi – o di qua o di là – in cui perfino i ponti fanno da simbolo di una rottura ultimativa. “Avevamo vent’ anni e oltre il ponte, oltre il ponte ch’ è in mano nemica, vedevam l’ altra riva, la vita, tutto il bene del mondo oltre il ponte…“. Era Italo Calvino. Era la Resistenza contro i nazisti. Anche oggi c’è chi resiste e cerca libertà, dignità, giustizia. E anche un briciolo di futuro e di felicità. Per questo non si dovrebbero mai costruire muri! Soltanto ponti in un mondo e in una Europa che deve saper accogliere e non respingere chi per scampare a guerre e miserie rischia il viaggio della speranza e troppo spesso trova la morte in mare e l’offesa in terraferma.

Marco Travaglini

Iaia Forte nella Carmen di Martone

I ritmi dell’Orchestra di piazza Vittorio in scena al teatro Carignano

torino teatro

La Carmen su testo di Enzo Moscato e regia di Mario Martone sarà protagonista della settimana teatrale al Carignano di Torino dal 26 aprile al 1 maggio prossimi. Si tratta di un ritorno molto atteso, dopo una tournée di successo.

Mario Martone ha pensato di dar vita a una Carmen napoletana arricchita dai ritmi contaminati dell’Orchestra di piazza Vittorio, diretta da Mario Tronco, secondo i modelli del teatro musicale popolare, che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata. Il regista ha proposto a Enzo Moscato di scriverne il testo, chiedendone un copione in cui personaggi e dialoghi fossero ispirati alla tradizione, guardando, però, al contempo sia alla novella di Merimee’ sia all’opera di Bizet.

“Quel che mi ha sempre affascinato della novella – spiega Mario Martone – è il fatto che la vicenda sia stata rievocata da molti. L’hanno raccontata, infatti, Bizet, Rosi, Merimee’, Roland Petit, Dada Masilo. Come melodramma è assolutamente perfetto perché narra dell’amore sull’orlo dell’abisso e ha per protagonista una donna evoluta e impura, capace di trasformare tutto in desiderio, accettando il disgregarsi della vita come un evento inevitabile”.

Il mito di Carmen è raccontato in uno spettacolo di energia assoluta, musicale, seducente, in cui appare evidente l’omaggio a un autore come Raffaele Viviani, accanto a quello tributato a forme teatrali in grado di coinvolgere e travolgere logiche e comportamenti, come solo la sceneggiata sa fare. Mario Martone ritrova in questa regia la fisicità presente in alcuni suoi capolavori teatrali quali ” Tango glaciale”; la riscrittura è dovuta a Enzo Moscato, in un ardito napoletano dagli echi genettiani. Scene e costumi sono rispettivamente di Sergio Tremonti e Ursula Patzak. A interpretare Carmen una bella Iaia Forte, che rompe lo stereotipo dell’attrice eterea e filiforme.

Diversamente dall’originale, Carmen non muore. Fin dall’inizio la vediamo malandata, cieca, proprietaria di un bordello nei vicoli di una Napoli piena di diseredati, un relitto come lo è don José, in scena interpretato da Roberto Franceschi, nella vita ex marito di Iaia. Il passato furibondo e passionale che ancora li ossessiona prenderà forma tra rimorsi e tragedie, memoria e presente, in uno spettacolo che fa continuamente i conti con la città di Napoli.

Mara Martellotta

Malato di Parkinson operato alle Molinette fa maestro di sci

molinetteAl Dipartimento di Neuroscienze della Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza

Si è ammalato di Parkinson quando aveva 29 anni e oggi, superato un intervento chirurgico di stimolazione cerebrale  dopo 12 anni di malattia, è ritornato sulle piste come maestro di sci, sua precedente attività.L’ospedale Molinette di Torino annovera anche questo tra 205 casi significativi nel  bilancio di 20 anni dell’impiego di questa tecnica, da parte del Dipartimento di Neuroscienze della Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza. Un altro caso quello della  paziente con esordio del Parkinson a 27 anni e operata quando aveva 51 anni, nel 1999. Era gravissima e totalmente incapace di muoversi. Vive ancora a 68 anni e ha  una parziale autonomia.

(foto: il Torinese)

Non passa tram e disabile blocca rotaie con carrozzina

busPer un’ora la circolazione dei tram è rimasta bloccata nella zona

Un disabile di 72 anni ha protestato questa in piazza della Repubblica bloccando con la propria carrozzella la circolazione dei tram. Anni fa gli era stata amputata una gamba e ora si è fermato con la carrozzina sui binari perché aveva aspettato troppo a lungo un mezzo della linea 3 dotato di piattaforma per farlo salire a bordo. Sul posto la polizia e i tecnici del Gtt, che – dopo molte insistenze –  lo hanno convinto a desistere. Per un’ora la circolazione dei tram è rimasta bloccata nella zona. il disabile ha detto di aver atteso più di un’ora un mezzo attrezzato per far salire una carrozzella.

(foto: archivio)

Più sicurezza equivale a maggiore sviluppo

Parla il candidato nella Circoscrizione Barriera di Milano Raffaele Petrarulo
 

palazzo civicoPiù controlli e maggiore sicurezza nei quartieri periferici di Torino significano maggior sviluppo sul territorio. Di questo sono fermamente convinti il candidato sindaco per il Comune di Torino Roberto Rosso, e Raffaele Petrarulo, candidato nella sua lista per la presidenza della Sesta Circoscrizione Barriera di Milano, Regio Parco, Falchera, Barca, Bertolla, Rebaudengo. Petrarulo è stato consigliere di Circoscrizione in Barriera di Milano dal lontano 2001, quindi è stato eletto nel 2004 consigliere provinciale nella lista Di Pietro e, nel 2010, nella giunta Chiamparino nella lista Italia dei Valori. “Molti sono i problemi presenti – afferma il consigliere Raffaele Petrarulo – in un quartiere come quello di Barriera di Milano, di cui uno dei piu gravi è quello rappresentato dal suk domenicale. Gli ambulanti stessi sono i primi a aver richiesto maggiori controlli in merito al suk, che è stato trasferito da corso Novara in via Monteverdi. Ci si è, infatti, chiesti da più parti se il suk domenicale sia un reale mercato o piuttosto un “mercato della ricettazione”, costituito soprattutto da abusivi. Noi abbiamo avanzato la proposta che il suk, originariamente collocato a Porta Palazzo, possa tornare in zone a esso limitrofe, quali i giardini di corso San Maurizio”.petrarulo

“Già nel maggio del 2014 abbiamo presentato – continua Raffaele Petrarulo – una petizione con oltre mille firme certificate per richiedere una pattuglia interforze in grado di garantire un maggior controllo sul territorio e sulla linea 4. Questa linea, d’altronde, risulta strategica per l’ingresso alla città di Torino, collegando, nella sua prima tratta, l’area dell’Auchan, all’ingresso della città dall’autostrada Torino- Milano, a quella di Porta Palazzo. La linea 4 avrebbe dovuto essere interrata, allo stesso modo si sarebbero dovuti creare dei semafori intelligenti, in grado di diventare verdi al passaggio del tram. Viceversa ora il tram rimane fermo circa cinque minuti”.

“Un’altra problematica di cui ci siamo occupati e che ci sta molto a cuore – prosegue Patrarulo – riguarda l’impiego dei fondi europei, vale a dire dei milioni di euro stanziati per la riqualificazione di Torino Nord. Nel caso del mercato di piazza Foroni non c’è stata, per esempio, un’adeguata sistemazione. È mancato, infatti, il rinnovo dell’arredo urbano, tanto che, nella piazza del mercato, non si trova neanche una panchina”.

“Infine – conclude il candidato consigliere Raffaele Petrarulo – non si può ignorare il problema rappresentato da Lungo Stura Lazio, da dove sono stati spostati i rom, per farli semplicemente defluire verso via Germagnano. A Torino manca la sicurezza e di questa mancanza è imputabile il sindaco Fassino, che dispone dei vigili urbani e potrebbe, per questa ragione, impiegarli in modo più utile e appropriato sul territorio, piuttosto che lasciarne un numero molto elevato negli uffici. D’altronde a Torino i tempi per gli interventi sono lunghissimi. Ci sono voluti be 4 anni per ottenere due nuove stazioni della metropolitana e ciò dimostra che siamo ancora ben lontani dall’essere un centro di innovazione. Torino fa, inoltre, le spese del suo forte indebitamento nel bilancio comunale. In campo sanitario, ogni giorno, assistiamo anche a liste d’attesa sempre più lunghe per gli esami specialistici e alla incombente minaccia di chiusura di centri ospedalieri di eccellenza come l’ospedale Oftalmico, contro cui dobbiamo combattere”.

 

Mara Martellotta

TJF 2016: venerdì una giornata a tutto fringe

 
JAZZ LIBROLa quinta edizione del Torino Jazz Festival durerà dieci giorni e si svolgerà dal 22 aprile al 1° maggio 2016

Realizzato con i main partner Intesa Sanpaolo e Iren, gli sponsor Poste Italiane, Toyota Lexus e Seat Pagine Gialle, il sostegno del Consiglio Regionale del Piemonte, i media partner Rai Radio 2 e Rai Radio 3, il TJF 2016 ha come filo conduttore il jazz e le altre arti: teatro, danza, arti visive, cinema, fotografia e letteratura. Il jazz è stato la più grande novità musicale del Novecento: ha sollecitato artisti e intellettuali a ripensare alcune categorie estetiche occidentali (e non solo). L’inaugurazione del Torino Jazz Festival 2016 sarà venerdì 22 aprile con una giornata ‘a tutto Fringe’ che aprirà l’intera manifestazione musicale. Tra gli appuntamenti del TJF Fringe in programma nella giornata: l’importante gemellaggio con il Festival Jazz di Edimburgo che porta a Torino il batterista inglese Tom Bancroft e il suo progetto originale Edinburgh Project; la partnership con il Jazz:Re:Found che propone l’esibizione di uno dei più acclamati musicisti degli ultimi anni Robert Glasper, vincitore di due Grammy Awards ed l’eclettico pianista statunitense; la performance della tap dancer olandese Marije Nie che dalla zattera in mezzo al Po si esibirà in un assolo eccezionale utilizzando i suoi piedi come strumento musicale, durante l’immancabile Music on the River, davanti al Circolo Canottieri Esperia.

 
PROGRAMMA 22 APRILE
 
Ore 16.00IL CIRCOLO DEI LETTORI, VIA BOGINO 9
PRESENTAZIONE DEL LIBRO IMPROVVISO SINGOLARE
Una storia del jazz costruita con un criterio particolare: una serie di ascolti commentati anziché un racconto, la scelta di brani esemplari anziché l’affresco narrativo. Un modo diverso di affrontare la storia. Claudio Sessa è stato direttore della rivista Musica Jazz e oggi scrive per il Corriere della
Sera. In dialogo con lui il direttore artistico del TJF Stefano Zenni.
 
Ore 16.00AREA DANCE, PIAZZA VITTORIO VENETO
STEPPING IN JAZZ
Snezhana “Snow” Ezhkova, danzatore – Alesya Dobish, danzatore – Pravkina Marina, danzatore – Dino Pelissero, flauto traverso, kalimba, percussioni – Sara Terzano, arpa – Umberto Mari, basso.
Il collettivo moskovita Matryoshki in Jazz darà vita ad una suggestiva performance in cui la danza contemporanea si fonde con elementi di tip tap
e di housedance guidato dalle sonorità squisitamente jazz dell’originale trio musicale Flarping Project.
 
Ore 17.30BARATTI & MILANO, GALLERIA SUBALPINA – PIAZZA CASTELLO 29
ANOTHER DUO
Loris Deval, chitarra – Veronica Perego, contrabbasso
“Un altro duo”…composizioni originali e brani editi ripresentati in chiave acustica, la versatilità di stile e la ricerca di un proprio linguaggio sono gli
ingredienti essenziali di questo progetto musicale. La scelta dei brani spazia da composizioni di natura più classica a rivisitazioni di brani celebri, il sound si concentra sul lirismo dei temi e   sull’improvvisazione jazzistica, con una particolare attenzione al mondo della musica latina.
 
Ore 18.00 – IL CIRCOLO DEI LETTORI, VIA BOGINO 9
PRESENTAZIONE DEL LIBRO JAZZ IN TOWN
Più che un libro quello di Pino Ninfa è un vero e proprio oggetto d’arte, con alcuni preziosi scatti catturati durante le due ultime edizioni del TJF.
La musica, il jazz in particolare, è stata sempre per Pino Ninfa una compagna di viaggio con cui dividere mille esperienze. Come fotografo ufficiale ha seguito alcuni tra i più importanti festival jazz italiani. Tiene regolarmente workshop ed espone in musei in Italia e all’estero. Dialoga con lui il direttore artistico del TJF Stefano Zenni. In collaborazione con Il Labrinto di Casale Monferrato
 
Ore 18.30CAFFÈ ELENA, PIAZZA VITTORIO VENETO 5
SUPAGROOVE NIGHT
Paolo Porta, sax tenore – Alberto Gurrisi, organo hammond – Alessandro Minetto, batteria
SUPAGROOVE rilegge in maniera personale la tradizione dell’organ trio. Ritmo e swing sono la chiave di questa essenziale e dinamica formazione che propone materiale originale e standard sotto il segno della spontaneità e dell’energia. Divertimento e coinvolgimento assicurati.
 
Ore 18.45LA DROGHERIA, PIAZZA VITTORIO VENETO 18
INGENUI PERVERSI
Alessandro Dell’Anna, sax tenore – Fabio Gorlier, piano – Gianmaria Ferrario, contrabbasso – Donato Stolfi, batteria
Dall’hard-bop di Un coltello nell’acqua, alle assurdità kafkiano-sataniche di Cul-de-sac e Rosemary’s baby, fino all’approdo free del capolavoro discografico di Komeda, Astigmatic… Ingenui Perversi è un progetto originale che rilegge la musica di Krzysztof Komeda, grande jazzista e compositore
polacco, stretto collaboratore di Roman Polanski, per cui ha firmato le colonne sonore di alcuni film indimenticabili. Powered by Rosso Antico
 
ore 19.00AREA COOKING&TALKING, PIAZZA VITTORIO VENETO
JAZZ TALK
Durante il Jazz Talk di oggi, condotto da Mauro “MAO” Gurlino, si parlerà dell’essenza delle bollicine e dell’effervescenza musicale.
 
Ore 19.30PALCO FRINGE, PIAZZA VITTORIO VENETO
LUZ
Giacomo Ancillotto, chitarra elettrica – Igor Legari, contrabbasso – Federico Leo, batteria
“…ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale.
Si chiama LUZ in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco” (David Grossman – Che tu sia per me il coltello). Un trio di giovani
talenti del Salento presenta la prima serata della rassegna dedicata alla Auand records. In collaborazione con Auand records
 
Ore 20.00 BLAH BLAH, VIA PO 21
EDINBURGH PROJECT
Tom Bancroft, batteria – Graeme Stephen, chitarra elettrica – Furio Di Castri, contrabbasso – Jacopo Albini, sax tenore, clarinetto basso
Un nuovo progetto nato dal recente incontro artistico tra Tom Bancroft e Furio Di Castri, realizzato in collaborazione con il Festival Jazz di Edimburgo.
I due musicisti e compositori di grande esperienza sono affiancati da due tra i più interessanti talenti del jazz europeo. Produzione originale del TJF Fringe, in collaborazione con Festival Jazz di Edimburgo
 
Ore 20.00 CAFÈ DES ARTS, VIA PRINCIPE AMEDEO 33/F
POST JAZZ PROJECT
Beppe Golisano, sax alto, clarinetto basso – Tolga Bilgin, tromba – Michele Anelli, basso elettrico – Paolo Franciscone, batteria
Un ensemble originale promotore del “Post Jazz”: una corrente musicale che vuole divertire, sovvertire, abbracciare nuovi linguaggi espressivi, creare
sinergia e calore attraverso l’improvvisazione libera.
 
Ore 20.00 NH COLLECTION TORINO PIAZZA CARLINA, PIAZZA CARLO EMANUELE II 15
RAIMONDI PICCHIONI DUO
Barbara Raimondi, voce – Marcello Picchioni, pianoforte –
Lo stile personale di Marcello Picchioni, giovane talento genovese, s’intreccia con il linguaggio raffinato e sapiente di Barbara Raimondi, in un dialogo coinvolgente che ci proietta nel mondo dei grandi classici del jazz.
 
Ore 20.45 CIRCOLO CANOTTIERI ESPERIA, CORSO MONCALIERI 2
DI GENNARO / PONISSI DUO
Sergio Di Gennaro, pianoforte – Alfredo Ponissi, sax tenore e soprano
Nella suggestiva cornice dell’Esperia, un raffinato duo di jazz presenta il primo set di una lunga ed emozionante serata.
*Cena con prenotazione obbligatoria dalle ore 20.00 Per info e prenotazioni: tel. 011.819.06.79 – www.esperiatorino.it  
 
Ore 21.30 CAP 10100, CORSO MONCALIERI 18
ROBERT GLASPER EXPERIMENT
Robert Glasper, tastiere – Mark Colenburg, batteria – Casey Benjamin, sassofoni, vocoder, voce – Burniss Travis II, basso elettrico
Warmup con Massimo Oldani di Radio Capital a seguire Aftershow con il “live” di Mark De Clive-Lowe (NZ) Una produzione esclusiva di Jazz:Re:Found in collaborazione con il TJF Fringe – Ingresso euro 22; in prevendita online euro 20 – Powered by Rosso Antico
ROBERT GLASPER – Dopo un esordio nei primi anni del nuovo millennio da giovane prodigio del jazz e una maturità artistica che lo ha portato a esplorare con piglio e genialità i territori del soul, del funk, dell’hip hop e del blues, Robert Glasper ha dato vita a un universo sonoro di incredibile forza, complessità e raffinatezza. Il risultato sono due Grammy Awards, la stima pressoché unanime di tutte le scene musicali e lo status di grande talento. Da molti viene fringe considerato il nuovo Herbie Hancock. Una serata imperdibile!
 
Ore 22.00 FLORA, PIAZZA VITORIO VENETO 24
ENZO ALBANESE E CHRIS VILLA
Enzo Albanese, dj set – Chris Villa, percussioni
In occasione del Fringe, Enzo Albanese e Chris Villa proporranno un raffinato programma di jazz house di scuola St. Germain e di etichette cult come la
F Communications e la Compost Records.
 
Ore 23.00 MUSIC ON THE RIVER, FIUME PO
MARIJE NIE SOLO
Simbolo del TJF Fringe, l’assolo sul fiume viene aperto quest’anno dalla spettacolare performance della danzatrice olandese Marije Nie.
 
Ore 23.15 CIRCOLO CANOTTIERI ESPERIA,CORSO MONCALIERI 2
VIAGGIANDO
Rosario Bonaccorso, contrabbasso – Dino Rubino, tromba – Eduardo Taufic, pianoforte – Roberto Taufic, chitarra – Darlan Marley, batteria
“Viaggiando” apre una porta sull’universo interiore di Rosario Bonaccorso: un affascinante excursus musicale tra diversi continenti e culture, che attraverso il tema del viaggio, tratteggia le esperienze personali e i ricordi di vita del grande musicista siciliano.
 
Ore 23.20NIGHT TOWERS, PIAZZA VITTORIO VENETO
EDNA
Andrea Bozzetto, fender rhodes, ms-20 – Stefano Risso, contrabbasso, live electronics, synth bass – Mattia Barbieri, batteria e percussioni
I flussi ciclici infiniti, le polimetrie e le modulazioni ritmiche di Edna rimandano al lavoro di Escher, sulle cui scale si scende e si sale nel medesimo momento e le cui ombre sono allo stesso tempo buio e luce. In esclusiva per il TJF Fringe, il trio propone alcuni brani del progetto A-nuda, che verranno pubblicati dall’etichetta Auand, nel vinile che segnerà la cinquantesima uscita della prestigiosa label pugliese. Ricerca avanguardistica, popular dance e coinvolgimento fisico all’ennesima potenza! Produzione originale del TJF Fringe
 
Ore 23.45 MAGAZZINO SUL PO, VIA MURAZZI DEL PO 14
FOOD
Thomas Strønen, batteria, percussioni, live electronics – Iain Ballamy, sassofoni, live electronics – Gianluca Petrella, trombone, live electronics
“Un magico ibrido di tecnologia e improvvisazione, ambient e dance”. Così il BBC Magazine definisce l’ultimo lavoro di Strønen e Ballamy che vantano quasi vent’anni di collaborazioneinternazionale. Suoni, spazi e tessiture di grande profondità e bellezza, impreziositi dalla presenza di Gianluca Petrella, alchimista dell’elettronica e uno dei più straordinari virtuosi del trombone al mondo.
 
Ore 24.00 LAB, PIAZZA VITTORIO VENETO 13
FLARPING PROJECT
Dino Pelissero, flauto traverso, kalimbe, percussioni – Sara Terzano, arpa – Umberto Mari, basso
Il polistrumentista Dino Pelissero propone un viaggio musicale tra le atmosfere del jazz, del funk e della world music alla ricerca di sonorità inedite in cui il suo flauto, il kalimbe e le percussioni si incontrano con il basso di Umberto Mari e con l’arpa, non solo classica, di Sara Terzano. Powered by Rosso Antico
 
Ore 00.30 MAD DOG TANQUERAY TEN SOCIAL CLUB, VIA MARIA VITTORIA 35 A
OPEN SESSION
Fabio Giachino, pianoforte Mauro Battisti, contrabbasso – Tony Arco, batteria & guests
Nella cornice elegante e soffusa del Mad Dog, l’esclusivo speak-easy della città, prenderanno il via le jam session del Fringe durante tutto il TJF.
Ingresso su prenotazione: tel. 011.812.08.74