redazione il torinese

Legambiente presenta il primo rapporto nazionale sulla green society

Tra le 101 storie del rapporto spiccano le piemontesi ZAC!, Pony Zero Emissioni, La Casa Rotta, la pista ciclabile tra Bricherasio e Bagnolo, la rinascita di Ostana

È l’Italia della green society, quella disponibile a muoversi, produrre, spostarsi, consumare in maniera più equa, sostenibile, giusta, quella fotografata da Legambiente nel primo rapporto nazionale “Alla scoperta della green society”, edito nell’ambito del tradizionale volume annuale Ambiente Italia di Edizioni Ambiente, e presentato oggi a CinemAmbiente, il Festival internazionale di cinema e cultura ambientale in corso a Torino. A presentare il lavoro dell’associazione ambientalista il curatore e membro della segreteria nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, il presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta Fabio Dovana, il direttore di CinemAmbiente Gaetano Capizzi e la giornalista Claudia Apostolo.

 

In questi anni si sta assistendo ad una crescita progressiva, lenta ma inesorabile, di tutti gli indicatori economici e sociali che attestano una crescita da parte dei cittadini di scelte e comportamenti ecosostenibili. Lo si vede nella diffusione delle energie rinnovabili -in 10 anni si è passati dal 15% al 35,5% dei consumi elettrici coperti dalle rinnovabili-, nella raccolta differenziata e nella diffusione del riuso –con la crescita costante dei comuni rifiuti free, ovvero quei comuni che, oltre a essere sopra la soglia del 65% di raccolta differenziata, producono meno di 75 chilogrammi annui per abitante di rifiuto secco indifferenziato-. E’ così in agricoltura dove cresce la produzione del biologico -dal 2010 al 2015 sono cresciute del 69% le attività di ristorazione che utilizzano prodotti biologici-, e nei consumi alimentari, dove si sta diffondendo non solo una grande attenzione per la qualità del cibo, ma anche una forte sensibilità contro gli sprechi.

 

Il rapporto di Legambiente è un vero e proprio viaggio di scoperta, un’esplorazione che cerca di individuare le coordinate, che parte dalla raccolta di 101 storie di cambiamento in corso, “di un’Italia che già esiste e che sta sfidando per esempio anche lo storico e consolidato terzo settore schiacciato tra una politica che sempre più ne disconosce il valore e la sua incapacità auto-riformatrice. Un’Italia in cerca di rappresentanza politica ma che non vuole scatole partitiche o padrini elettorali, così frammentata e variegata qual è. Un’Italia che alla delega politica preferisce la pratica civica come nuova forma di rivolta sociale. Una rivolta pacifica e silenziosa che in maniera carsica sta lavorando in profondità e che prima o poi riuscirà a emergere come fenomeno sociale” si legge nella prefazione della presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni.

 

Tra le 101 storie di green society raccontate da Legambiente diverse sono piemontesi. C’è lo ZAC!, cooperativa che ha realizzato a Ivrea un percorso di riqualificazione urbana e di trasformazione sociale per restituire alla cittadinanza gli spazi del Movicentro della stazione ferroviaria, vuoti e inutilizzati da oltre un decennio. Ci sono i Pony Zero Emissioni, società di logistica nata nel 2013 con l’obiettivo di rivoluzionare, con una logica ecosostenibile, la copertura dell’ultimo miglio urbano in bicicletta. C’è La Casa Rotta, progetto nato nel 2011 con l’obiettivo di recuperare una cascina abbandonata sulle colline di Cherasco (Cn) e di farla diventare un centro di incontro e aggregazione, un laboratorio attivo di cultura, un crocevia di scambi tra saperi diversi e prove pratiche di sostenibilità ambientale. C’è la storia dell’impegno delle comunità locali che ha reso possibile la trasformazione di una ferrovia dismessa tra Bricherasio (To) e Bagnolo (Cn) in pista ciclabile e ippovia. E c’è la storia di Ostana, piccolo comune montano cuneese che, fino a 25 anni fa, come tanti altri sull’arco alpino, sembrava destinato a un lento e inesorabile spopolamento e che invece grazie alla qualità architettonica, all’identità e al senso ritrovato di comunità, alla sostenibilità ambientale e all’offerta di un turismo pertinente e rispettoso dei luoghi è riuscito a rispondere con successo all’abbandono facendo un balzo in avanti demografico da 5 a più di 40 abitanti.

 

Storie e processi di innovazione sociale molto articolati da mettere sotto la lente di ingrandimento di una nuova riflessione, ed è quello che il libro cerca di fare. Lo fa con un’intervista collettiva a quattro donne protagoniste di questa società che cambia, che si confrontano sull’innovazione sociale in atto, e poi con 12 interventi di personalità del mondo della cultura, della ricerca, dell’ambientalismo, della politica e dell’impresa sociale che propongono chiavi di lettura e approfondimenti sugli aspetti più significativi di questa società che cambia. I contributi rappresentano una traccia per la costruzione di un pensiero collettivo, un nuovo discorso pubblico che mira a dare diritto di parola alla green society.

 

Mistero sempre fitto sul furto della reliquia di Don Bosco

“Il furto della reliquia è un atto di profonda miseria morale che ci addolora”, aveva detto l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia alla notizia che un frammento del cervello dal santo sociale torinese era stato rubato dalla basilica di Castelnuovo, nell’Astigiano. E proseguono  nel più stretto riserbo le indagini dei carabinieri di Asti, coordinati dalla procura per scoprire il o i ladri. L’accesso alla teca, dov’era custodita la reliquia, dietro all’altare è ora chiuso ai visitatori. Restano aperte regolarmente sia la Basilica superiore, sia quella inferiore.

 

(nella foto di Mihai Bursuc la basiica di Maria Ausiliatrice, fondata da don Bosco a Torino)

A 50 anni dalla Guerra dei Sei giorni

FOCUS

di Filippo Re

Donald Trump intende cambiare il Medio Oriente ma per il momento non si sa come. Mentre l’ex presidente Obama aveva atteso quattro anni prima di recarsi in Israele, Trump ha raggiunto Gerusalemme, dopo un’importante tappa a Riad, ad appena quattro mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca. Mentre i negoziati tra israeliani e palestinesi sono in una fase di stallo da almeno tre anni e Netanyahu e Abu Mazen non si incontrano ufficialmente dal 2010, il presidente degli Stati Uniti fa sapere al mondo che farà tutto il possibile per aiutare le due parti ad arrivare a un accordo di pace ma per ora nessun piano concreto è stato annunciato. A 50 anni dalla Guerra dei Sei giorni, 5-10 giugno 1967, tutti i tentativi di risolvere la questione israelo-palestinese sono falliti o si sono bloccati a metà percorso e la normalizzazione dei rapporti tra Tel Aviv e molti Paesi arabo-islamici è ancora lontana. Quel conflitto si risolse in realtà nell’arco di poche ore: la terza guerra arabo-israeliana fu una clamorosa e straordinaria vittoria di Israele e un’altra catastrofe per il mondo arabo. Furono distrutte le forze armate dell’Egitto, della Giordania e della Siria e lo Stato ebraico arrivò a controllare l’intera Gerusalemme, la Cisgiordania, Gaza, il deserto del Sinai e il Golan. Da alcune settimane è festa nello Stato ebraico: la bandiera con la stella di David sventola ovunque, dai finestrini di centinaia di auto così come dai palazzi pubblici e dai balconi delle case per celebrare il trionfo del ’67 e la riunificazione di Gerusalemme che provocò rabbia e sgomento nei Paesi arabi. La crisi israelo-palestinese è un problema talmente complesso che oggi la comunità internazionale è più propensa a gestirla piuttosto che a tentare di risolverla in tutti i suoi molteplici aspetti, in un contesto mediorientale dove divampano altre crisi, ancora più gravi, dalla Siria all’Iraq, dallo Yemen alla Libia sullo sfondo di un scontro perenne tra il mondo sunnita guidato dai sauditi e quello sciita a guida iraniana. La guerra dei Sei Giorni in cui l’esercito israeliano sbaragliò le Forze armate di Egitto, Siria e Giordania fu uno dei conflitti più brevi della storia eppure è all’origine della maggior parte degli avvenimenti che si sono succeduti in Medio Oriente negli ultimi decenni. Dalla guerra del Kippur del 1973 a quella del Libano, dal Settembre Nero del 1970 allo scontro sugli insediamenti ebraici, il futuro di Gerusalemme, gli accordi di Camp David del 1978 tra Israele e l’Egitto con protagonisti Sadat, Begin e Carter, l’Intifada e i continui scontri tra israeliani e palestinesi nei Territori occupati. Due fatti importanti precedettero l’inizio della Guerra dei Sei giorni. Ad aprile l’aviazione israeliana abbattè sei aerei siriani di fabbricazione sovietica scatenando l’ira di Mosca e a maggio il leader egiziano Nasser decise di bloccare lo stretto di Tiran sul golfo di Aqaba dopo aver chiesto al segretario genereale dell’Onu U Thant di ritirare i caschi blu dal canale di Suez.

Lo stretto di Tiran è l’unica via di accesso al porto israeliano di Eilat attraverso il Mar Rosso. Il gesto di Nasser, che schierò quasi 100.000 soldati nel Sinai con 900 carri armati, fu ritenuto dagli israeliani un classico “casus belli”. Siria, Giordania e Iraq si allearono con l’Egitto mentre un fronte arabo formato da Arabia Saudita, Kuwait, Algeria, Libia e Sudan inviò reparti militari. Lo scontro militare tra i due Paesi sembrava ormai inevitabile. In Israele la preoccupazione salì alle stelle: fu formato un governo di unità nazionale e Moshè Dayan, ministro della difesa, propose di spezzare l’accerchiamento arabo con un attacco preventivo per impedire il collegamento fra le truppe arabe. Fu la mossa decisiva per le sorti della guerra che si svolse dal 5 al 10 giugno 1967. In meno di tre ore l’aviazione egiziana fu annientata a terra negli aeroporti dagli aerei con la stella di David e nello stesso giorno 22 aerei giordani e 55 siriani furono abbattuti. Gli storici sottolineano che si trattò dell’attacco aereo più imponente del dopoguerra, se non di tutti i tempi. Le forze israeliane avanzarono fino al canale di Suez mentre sul versante siriano e giordano raggiunsero con gravi perdite le alture del Golan e la Cisgiordania entrando nella Città Vecchia di Gerusalemme il 7 giugno per fermarsi a soli 40 chilometri da Damasco. Il 10 giugno Israele e gli Stati arabi posero fine alle ostilità accettando l’invito delle Nazioni Unite. Per lo Stato ebraico, che non si è mai ritirato dai Territori occupati respingendo tutte le risoluzioni dell’Onu, si trattò di una vittoria schiacciante sul nazionalismo arabo che uscì devastato dal conflitto che provocò una nuova ondata di rifugiati. Il solo Egitto pagò un prezzo altissimo in vite umane, i soldati uccisi furono circa 10.000 e 350 gli aerei distrutti.

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(dal settimanale “La Voce e il Tempo” )

 

Agnelli: “Il mio pensiero a chi era a Torino”

Il presidente della Juventus Andrea Agnelli, dopo il dramma di piazza san Carlo a Torino,  ha dichiarato a fine partita: “il mio  pensiero di solidarietà a chi era a Torino, non so bene cosa è successo, doveva essere una serata di festa. Abbiamo un buon motivo per invitare a Kiev chi si è fatto male stasera.”

 

(foto: Claudio Benedetto – www.fotoegrafico.net)

Piazza san Carlo, trovato orologio fermo alle 22.07: l’ora del panico

Tra le migliaia di scarpe, borse, cellulari abbandonati in piazza San Carlo nella notte di paura, anche un orologio da polso, trovato dai carabinieri con le lancette ferme alle 22:07: l’ora in cui si è scatenato il panico durante la proiezione su maxischermo della finalissima di Champions League.

 

(foto: il Torinese)
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Saitta: “Perché quelle bottiglie?” Airola: “Farlocchi i dati sui feriti”. Poi si scusa

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Dopo il dramma in Piazza San Carlo è inevitabile la serie di commenti, reazioni e polemiche da parte del mondo della politica. Appena scoppiato il finimondo la sindaca Chiara Appendino aveva scritto su Twitter: “Sono scossa per quanto successo in piazza San Carlo, a Torino, e vicina alle persone coinvolte. Monitoriamo la situazione minuto per minuto”.

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L’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta ha rilevato  invece che “ moltissimi tra i feriti riportano lesioni anche per colpa dei vetri e questo si sarebbe facilmente potuto evitare: non si può pensare di lasciare senza controllo la circolazione di bottiglie in vetro in eventi di massa come questo.

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Il presidente della Regione Sergio Chiamparino ha espresso “vicinanza a tutte le persone che hanno vissuto momenti di panico, paura e di smarrimento, ai feriti e ai loro famigliari, con l’auspicio che presto si riprendano. Inoltre, ha rivolto un pensiero particolare al bambino e alla giovane ragazza ricoverati in condizioni critiche ma stabili, ai quali augura una pronta guarigione e di poter tornare al più presto nelle loro famiglie”.

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Polemiche sui social nei confronti del senatore M5S Alberto Airola per la frase da lui  postata: “Faremo il punto – ha scritto Airola sulla sua pagina Facebook –  ma è sicuro che dopo aver chiamato vigili, prefettura e questura i dati riportati dai media sui presunti feriti a Torino in piazza San Carlo sono farlocchi. Tutto questo per infangare il buon lavoro dell’amministrazione, di prefettura e questura”. Molti i “Vergognati” rivolti all’esponente pentastellato, che ha rimosso il post dalla sua pagina e ha successivamente chiesto scusa, affermando che non era ancora in possesso di dati certi.  Saverio Mazza , responsabile organizzativo del Pd di Torino ha scritto su Facebook: “Ci siamo sforzati di non fare polemiche, anche se le domande da fare sono tante, tantissime. Ci siamo sforzati perché ci sono 1000 feriti, c’è un bambino grave in ospedale. Ci siamo sforzati, noi. Ma questo è un parlamentare  torinese dei 5 stelle. Caro Airola, mi vergogno per te, se  tu non ci riesci” Aggiunge la consigliera regionale di Forza Italia Claudia Porchietto: “Le scuse del senatore del Movimento Cinque Stelle per le sue impronunciabili frasi sui numeri dei feriti da lui definiti ‘farlocchi’ per danneggiare l’amministrazione cittadina arrivano comunque tardivamente. Non si può che rimanere stupefatti che si utilizzi un evento del genere per fare politica. Sicuramente qualche cosa non ha funzionato ieri in piazza San Carlo, di questo ci dovremmo preoccupare come classe politica, per il resto indagherà la Questura e la Magistratura”.

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“Disastro annunciato, che solo per un fortunato caso non si è trasformato in una peggiore tragedia. Nel resto del mondo i grandi eventi sportivi su maxischermo si trasmettono negli stadi o negli spazi aperti, non nelle piazze auliche del centro, che non sono nate – architettonicamente e urbanisticamente – per questo tipo di utilizzo. L’ennesimo esempio di gestione approssimativa si è risolta in vari codici rossi negli Ospedali cittadini e nel rischio di un dramma ancora peggiore. L’incapacità (o la mancata volontà, o la mancata attenzione: è lo stesso) di contrastare il fenomeno dei venditori abusivi ha fatto il resto: decine di migliaia di bottiglie di vetro vendute, molte delle quali finite in frantumi al suolo, significano una pavimentazione lastricata di cocci acuminati. E, in caso di emergenza, una pavimentazione di cocci acuminati significa che ogni persona che cade a terra si ferisce.Vorrei vedere un’Amministrazione Civica meno attenta, anche ai suoi livelli più alti, a esprimere via Twitter la propria fede calcistica e più attenta alla gestione dei fatti della Città. Se ci sono responsabilità, vorrei che fossero identificate al più presto. Soprattutto, vorrei che si imparasse la lezione per la prossima volta. In un momento in cui, dato il contesto internazionale, le persone sono più propense a pensare al peggio e il rischio-panico è più urgente del solito, fare errori è ancora più grave e imperdonabile”, è il commento di Silvio Magliano – Capogruppo Moderati in Consiglio Comunale a Torino.

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«Solidarietà alle migliaia di persone che ieri sera sono andate in piazza San Carlo a Torino credendo di essere al sicuro e trovandosi, invece, esposte al rischio di morire, davanti all’unico maxischermo della piazza, senza controlli nemmeno sulle bottiglie di vetro. La cultura della sicurezza non è purtroppo nelle corde del Movimento 5 Stelle, così come evidentemente la sindaca Chiara Appendino continua a godere di ottime protezioni politiche e mediatiche, se nessuno le chiede conto di quanto è accaduto, contrariamente a quanto avviene per la sua stessa collega di partito, Virginia Raggi, che per molto meno a Roma viene sistematicamente attaccata da tutti. A Torino, l’unica al sicuro è l’Appendino». Così Gianna Gancia, presidente del gruppo Lega Nord in Consiglio regionale del Piemonte, sul grave incidente di ieri sera in piazza San Carlo a Torino.

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 Augusta Montaruli, Esecutivo Nazionale FDI-AN, e Maurizio Marrone, Consigliere Regionale FDI-AN del Piemonte, affermano:<<Dopo aver pensato alle cure dei feriti, sarà necessario individuare i responsabili delle pesanti falle nella gestione dell’ordine pubblico e nell’applicazione dei regolamenti, a partire dalla presenza illecita di migliaia di bottiglie di vetro in vendita in piazza fino all’approntamento delle vie di fuga, altrimenti scempi simili potranno potenzialmente ripetersi a Torino in ogni evento di massa: perché, ad esempio, i civich non hanno fermato le decine di venditori abusivi di bottiglie, mentre i tifosi venivano perquisiti? Proporremo l’avvio di una indagine parlamentare per capire chi ha sbagliato>>.

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Ezio Locatelli, segretario provinciale di Rifondazione Comunista di Torino, osserva: “Quanto successo ieri a Torino ci colpisce e addolora. Quello che doveva essere un gioioso ritrovo collettivo dei tifosi juventini in occasione della finale di Champions  si è trasformato in una tragedia  con più di mille feriti di cui alcuni in gravissime condizioni. Stando ai primi accertamenti la causa scatenante del ferimento di centinaia e centinaia di persone travolte dalla folla di tifosi sarebbe stata la paura per un attentato terroristico che non c’è stato. Ecco il punto. Com’è stata possibile una tragedia di così grandi proporzioni in assenza di un pericolo reale? Quali sono le misure adottate per prevenire incidenti o danni alle persone in una piazza dove si sono accalcate trentamila persone? Sia detto, a scanso del solito gioco delle parti politiche che è in corso in queste ore tra esponenti Pd e M5S, non è da oggi che la Piazza San Carlo viene data per queste iniziative, più o meno alle stesse condizioni e con gli stessi rischi. Prima lo faceva Fassino, adesso l’ha fatto la sindaca Appendino. Il fatto è che non  si può sempre rammaricarsi e piangere il giorno dopo, a tragedie avvenute. Come minimo vanno date delle risposte, vanno accertate responsabilità”.

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Commenta, infine, Federica Fulco, presidente di  TorinoinMovimento ed ex presidente del coordinamento comitati spontanei torinesi CCST. “Ci chiediamo come mai in questa occasione era autorizzata la vendita di bottiglie di vetro e non di plastica che sicuramente hanno provocato le ferite di molti essendo la piazza diventata un tappeto di vetro nella corsa frenetica.  Ci chiediamo se data la situazione che stiamo vivendo, ossia la psicosi da attentati ,non era meglio allestire lo stadio anziché una piazza per vedere la finale della Champions League. I controlli sono sicuramente più gestibili allo stadio. Più di mille feriti di cui un bimbo grave ed un arresto cardiaco. Si poteva evitare tutto questo?  Un plauso alle forze dell’ordine ed ai soccorritori che si sono trovati a gestire l’imprevedibile. Un  pensiero a chi ha vissuto una notte di follia ed un pensiero alla sicurezza . Resta il ricordo di una pagina molto triste per Torino a prescindere dal risultato della partita”

Foto: il Torinese

“Un due tre! Eu…ro…pa”!

I PICCOLI ALUNNI DELLA SCUOLA TOMMASEO SI INTERROGANO SU “INTEGRAZIONE” E “IDENTITA’ CULTURALE” ATTRAVERSO LA MEMORIA DEL LORO VISSUTO

Il titolo sa di gioco. Anche se dietro ci sta un lavoro quanto mai serio, impegnativo, coinvolgente e altamente educativo. E del resto, nulla è più serio, impegnativo, coinvolgente ed educativo del gioco. Quello dei bimbi, s’intende. “Un due tre! Eu…ro…pa”, si intitola così la coloratissima piacevole e ricca mostra – disegni e pensieri raccontati con “scientifica libertà” – allestita presso l’Istituto Comprensivo “Niccolò Tommaseo” di via dei Mille 15, a Torino (tel. 011/8122190), fino al prossimo 8 giugno. L’esposizione è il frutto conclusivo di un laboratorio-pilota di storia eseguito dai 25 bimbi della classe III/D, basato sul racconto della propria storia individuale e famigliare. Un percorso attraverso il quale gli alunni, facendo uso dell’oralità e della visualità, sono andati alla ricerca delle loro radici culturali, studiando la propria genealogia di famiglia, la mobilità migratoria e la diversità delle proprie appartenenze socio-culturali. “Io sono stata felicissima – scrive Emma – quando ho scoperto che la mia bisnonna per lavoro si è dovuta spostare a New York”. E a lei fa eco Lorenzo: “Io mi sento italiano quando vado in pizzeria o quando sono a scuola con i miei amici. Mi sento molto messicano quando mangio los tacos al pasto”. A guidare gli alunni nella ricerca e nell’elaborazione delle informazioni e dei dati acquisiti, l’insegnante Daniela Martinolich, supportata dalla ricercatrice e storica Leslie Hernandez Nova, che nel laboratorio didattico ha trasmesso il case-study della migrazione peruviana in Europa ( la più massiccia per quanto riguarda la comunità latino-americana) con fonti raccolte a partire dal 2001 e ad oggi depositate nell’archivio di AREIA, l’“Audioarchivio delle migrazioni tra Europa e America Latina” con sede presso il DAFIST, il Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università di Genova. “Con l’insegnante Martinolich – racconta Leslie abbiamo cercato di tradurre il mio materiale raccolto nelle interviste autobiografiche ai peruviani: materiale visivo fra cui cartografie emotive, genealogie, rappresentazioni del luogo d’origine inteso non come luogo di nascita bensì come luogo di appartenenza culturale”. Dall’esame e dalla riflessione, collettiva e individuale, su tutta questa mole di materiale è nato pian piano il laboratorio messo in piedi con i ragazzi della “Tommaseo”, protagonisti centrali di una ricerca didattica che li ha visti impegnati nella ricostruzione di genealogie famigliari, così come nella realizzazione di disegni di viaggi e spostamenti che in vario modo hanno coinvolto nel passato e nel presente le loro famiglie, nonché di testi scritti relativi al loro modo di identificarsi in una specifica e ben chiara appartenenza culturale.

“In classe – sottolinea ancora Leslienon c’erano bimbi stranieri, ma piuttosto bambini ‘portatori’ di identità molteplici e fra loro diverse:un italo-messicano, un italo-brasiliano, una bimba italo-spagnola e un’altra italo-marocchina”. Dall’analisi dei loro alberi genealogici appare ben chiara (a loro stessi, soprattutto) la molteplicità delle loro “appartenenze”: dei Paesi e degli infiniti Passaggi geografici che hanno coinvolto nel tempo gli spostamenti delle loro famiglie. Un laboratorio, dunque, per meglio conoscersi. E farsi conoscere ed “accettare” dagli altri. La rassegna prevede anche un video, realizzato da Andrea Bertola, dal titolo esemplare de “La storia della nostra vita”.

Gianni Milani

Nelle immagini:

– La classe III/D

– Daniela Martinolich e Leslie Hernandez Nova
– Alcuni elaborati degli alunni

http://www.tommaseo.it/?p=1492

Gli anni del miracolo economico, quando Torino rinacque

Fino al 31 agosto sarà visibile all’Archivio Storico della Città di Torino, di Via Barbaroux 32, la mostra “Torino rinasce. Gli anni del miracolo economico”

Sono oltre 180 i pezzi esposti (fotografie, documenti, manifesti, riviste e oggetti di diversa natura) che offrono uno spaccato di quei cambiamenti epocali con tutte le loro contraddizioni, a partire dalle grandi trasformazioni urbanistiche legate alla crescita industriale e dal fenomeno dell’immigrazione di massa che Torino ha vissuto. I mutamenti sociali della città in trasformazione si riflettono su ogni aspetto della vita: le tradizionali forme del commercio, la pubblicità e i trasporti vengono rivoluzionati; nuove forme di sociabilità e gli stessi riti religiosi mutano profondamente contaminando le tradizioni locali con quelle provenienti dai luoghi d’origine degli immigrati. L’espansione economica si coniuga, per quanto in maniera talora faticosa, con lo sviluppo del welfare: nuovi ospedali sorgono da nord a sud; l’assistenza sanitaria privata della Fiat e le colonie per bambini organizzate dal Comune ne sono un naturale complemento. Lo sviluppo economico e le conquiste sociali consentono agli individui di disporre di maggior tempo libero e di nuove occasioni e spazi di cultura e svago: ne è l’emblema l’immagine della Lambretta, icona di libertà e mezzo di trasporto ideale per spensierate gite in collina.

 

Ingresso libero.

 

Orari:

maggio e giugno da lunedì a venerdì 8.30-16.30.

luglio e agosto lunedì, mercoledì e venerdì dalle 8.30 alle 16.30, martedì e venerdì 8.30-13.30.

Piazza San Carlo, la festa dello sport si trasforma in tragedia. E Torino ne esce sconfitta

Viviamo in tempi eccezionali e non possiamo fingere che non sia così. Chi finge è un illuso o, meglio, un irresponsabile

Di Pier Franco Quaglieni

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Ciò che è accaduto ieri sera in piazza San Carlo rivela la barbarie di chi lancia i botti, la mancanza  di  collaudi adeguati delle strutture  della piazza prima dell’evento, e potrebbe dimostrare, una volta compiute tutte le verifiche,  anche una certa dose di irresponsabilità da parte di chi doveva sovrintendere alla sicurezza. Diamo per scontata la barbarie di chi non coglie che in tempi di terrorismo  anche solo un botto può determinare il panico delle persone. Ma il collaudo della piazza per un evento che si poteva facilmente immaginare di grande attrattiva per la gente , doveva essere preparato meticolosamente e il controlli  dovevano essere più scrupolosi. Secondo uno stile torinese che non lascia nulla alla fantasia che improvvisa. Inoltre, dopo gli attentati criminali che hanno fatto strage di persone innocenti nessuno può pensare in modo semplicistico che si tratti solo di un momento sportivo,ma deve mettere in conto la possibilità di una tragedia e deve pensare,se proprio vuole promuovere un evento in piazza di quelle dimensioni, alla sicurezza e alla prevenzione. Nulla può essere lasciato all’improvvisazione o al caso.Le vie di fuga vanno predeterminate e , se esse non ci sono, va cambiata piazza o va evitato l’evento. Viviamo in tempi eccezionali e non possiamo fingere che non sia così. Chi finge è un illuso o ,meglio, un irresponsabile. Il numero dei feriti è agghiacciante. Torino si è rivelata impreparata. Ad essere battuta 4 a zero non è tanto la Juventus, ma la città che con questo disastro appanna la sua immagine. Per un po’ di neve non spazzata tempestivamente un assessore nel 1985 dovette dimettersi. Qui l’evidenza dei fatti parla in modo di per se’ eloquente. Ci vorrà molto tempo per rimediare. Torino non è stata inondata dai festanti, e francamente un po’ stupidi, clacson dei tifosi ,ma dal suono  inquietante  delle sirene. La festa dello sport è finita nel dolore e nello sbandamento di migliaia di persone travolte dal panico. Ovviamente vanno ringraziati tutto il personale medico ed  infermieristico e le forze dell’ordine che con efficienza  e grandissima dedizione hanno saputo affrontare questa nuova calamità innaturale. In questo senso , e purtroppo solo in questo senso, Torino ha saputo essere se’ stessa. 

 

(fotogallery www.iltorinese.it)

Come vediamo i colori? Ce lo dicono le neuroscienze

Come le neuroscienze possono aiutarci a capire l’esperienza delle opere d’arte Che cosa significa ‘guardare’ un dipinto o una sua riproduzione in formato digitale? Come l’esperienza digitale cambia la nostra percezione del mondo?

 

Progetto di Ricerca: L’arte del colore nell’era digitale

A cura di Vittorio Gallese, Martina Ardizzi e Maria Alessandra Umiltà

6-11 giugno 2017, ore 9.30-18.30

Castello di Rivoli, Terzo piano

In collaborazione con il Dipartimento Educazione del Museo

Per iscrizioni educa@castellodirivoli.org tel. 011.9565213

 

Nell’ambito della mostra L’emozione dei COLORI nell’arte in corso al Castello di Rivoli e alla GAM – Torino, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea propone il progetto sperimentale L’arte del colore nell’era digitale a cura di tre ricercatori dell’Università di Parma, Vittorio Gallese e Martina Ardizzi del Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Unità di Neuroscienze e Maria Alessandra Umiltà del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco, in collaborazione con il Dipartimento Educazione del Museo.

 

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Lo spazio museale ospiterà per la prima volta una stanza-laboratorio dedicata a indagare l’esperienza del pubblico davanti alle opere d’arte. Il progetto è finalizzato alla realizzazione di un innovativo dialogo tra arte, neuroscienze e ricerca attraverso lo studio dell’esperienza estetica in un suo contesto abituale, il museo. Sarà così possibile comprendere come la modalità di fruizione di opere d’arte, principalmente della componente cromatica, possa riflettersi in differenti risposte fisiologiche e giudizi soggettivi. In particolare, sarà analizzata la differenza fra le reazioni di fronte ad opere pittoriche nella loro realtà materiale e alla loro riproduzione digitale. Il laboratorio mostrerà come l’esperienza del colore possa essere influenzata dalla digitalizzazione delle immagini artistiche. Negli ultimi anni le neuroscienze hanno manifestato un crescente interesse nei confronti dell’arte non solo per studiare il funzionamento del cervello, ma soprattutto indagando il sistema cervello-corpo per comprendere in cosa consista l’esperienza degli ‘oggetti artistici’ frutto dell’espressione creativa umana. I temi dell’arte e dell’estetica si possono studiare da una prospettiva nuova, quella di un’estetica sperimentale che studi le risposte del cervello e del corpo per mettere in luce le componenti ‘invisibili’ indotte dal visibile artistico. Il progetto di ricerca proposto al Castello di Rivoli sarà caratterizzato dalla utilizzazione cross-disciplinare delle metodologie dell’estetica sperimentale e della curatela museale, consentendo di approfondire le conoscenze sull’esperienza dei visitatori focalizzandosi su un aspetto fondamentale della odierna ricezione artistica: l’effetto della digitalizzazione di opere d’arte astratte a prevalente contenuto cromatico. Accanto ad un’esperienza più classica di natura museale, di recente rilievo è l’uso di supporti digitali sfruttati per godere della visione di opere artistiche. La percezione visiva del colore è mutata in profondità da quando siamo immersi nel mondo virtuale.

Non conosciamo come la differente fruizione (nel contesto museale o in formato digitale) possa influenzare la percezione del colore, parte integrante dell’opera d’arte. Il laboratorio allestito all’interno degli spazi museali al Castello di Rivoli permetterà di approcciare queste questioni in via sperimentale, a partire dallo svelamento di alcune opere monocromatiche allestite nell’ambito della mostra e appositamente selezionate, a confronto con le rispettive riproduzioni”, affermano i Professori Gallese, Ardizzi e Umiltà.

Vittorio Gallese, che insieme ai colleghi del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma ha scoperto i neuroni specchio, nel novembre scorso ha partecipato al ciclo di incontri Colors and Mind promosso dalla Fondazione De Fornaris in collaborazione con la GAM – Torino in relazione alla mostra L’emozione dei COLORI nell’arte. Ai visitatori che vorranno arricchire la loro visita museale partecipando al laboratorio verrà chiesto semplicemente di osservare le opere d’arte presentate. Durante l’esperimento verranno registrate le risposte fisiologiche spontanee dei partecipanti mediante procedure non invasive quali elettrocardiogramma e risposte elettrodermiche. Verranno inoltre raccolti alcuni giudizi relativi all’esperienza estetica, sensoriale ed emotiva provata. Il laboratorio, della durata di un’ora, è aperto a 60 partecipanti di età compresa tra 18 e 55 anni, equamente divisi tra uomini e donne.

La partecipazione è gratuita, indispensabile l’iscrizione contattando il Dipartimento Educazione all’indirizzo educa@castellodirivoli.org, tel. 011.9565213.

Per maggiori informazioni circa requisiti e modalità di partecipazione: martina.ardizzi@unipr.it mariaalessandra.umilta@unipr.it

Ai partecipanti sarà riconosciuto l’ingresso ridotto alla mostra L’emozione dei COLORI nell’arte al Castello di Rivoli.