Tutto secondo copione. Sotto il tetto dell’attuale Partito democratico ci sono ormai due partiti con due linguaggi diversi, due prospettive politiche diverse, due approcci diversi e forse anche con due radici culturali diverse. Certo, come sempre capita in politica, le “genuflessioni” a cui eravamo abituati ormai da 4 anni verso Renzi e il Renzismo di larga parte del Pd sono ormai alle nostre spalle. Ne è un esempio emblematico, tra i tanti, l’ex sindaco di Torino Fassino, ultimo segretario della filiera Pci/Pds/ Ds, poi accanito e focoso fan di Renzi e del renzismo al punto da individuarlo come l’ultima speranza della sinistra italiana e poi, puntualmente dopo il 4 marzo, ritenuto un elemento che non può più essere riproposto alla guida di quel partito. Ma, al di là di questi atteggiamenti largamente noti e collaudati della politica italiana, resta il fatto inconfutabile che dopo il disastro elettorale del 4 marzo – l’ennesimo di una lunga serie – il Pd, di fatto, non esiste più. O meglio, e’ un luogo politico che contiene al suo interno due soggetti politici diversi. L’uno interpretato, al di là dell’atteggiamento con cui lo declina, dall’ex segretario Renzi e l’altro legato sostanzialmente alla riproposizione della vecchia “ditta”, seppur in forma aggiornata, rivista e modernizzata. Sono, appunto, due progetti politici diversi in quanto alternativi. Due soggetti diversi frutto di una semplice considerazione. Dopo 4 anni di “partito personale” il Pd scopre all’improvviso che il cosiddetto “partito plurale”, frutto della originaria intuizione dei fondatori e che coincise con la gestione di Veltroni, e’ terminato da un pezzo ed è ormai consegnato alla storia. Fuorché si pensi fanciullescamente che uno dei due contendenti abbassi la testa e alzi bandiera bianca in segno di resa ma anche di insignificanza politica e culturale. Non mi pare, però, che questo possa essere l’epilogo finale della disputa politica e di potere. E la naturale conseguenza di questo risultato non può che essere il ritorno delle tradizionali identità politico e culturali – anche riviste, corrette e modernizzate – che sono e restano disponibili per dar vita ad una coalizione o alleanza alternativa alla destra ma senza confondersi all’interno dello stesso contenitore. Non c’è da stupirsi, quindi che la recente Assemblea Nazionale del Pd abbia riproposto in tutta la sua ruvidezza la presenza di due partiti diversi che formalmente continuano a definirsi entrambi “democratici” ma che sostanzialmente sono già conflittuali e competitivi. Perché se la sinistra coltiva, legittimamente, la necessità di ricostruire dopo la debacle storica del 4 marzo un campo politico e culturale omogeneo e compatto, e’ altrettanto legittimo che chi ha di fatto “distrutto” la sinistra tradizionale, cioè Renzi, persegua un altro disegno politico e culturale. E credo che un disegno del genere aiuti addirittura il centro sinistra ad irrobustirsi e a rendersi maggiormente competitivo nei confronti della destra e del movimento antipolitico e anti sistema dei 5 stelle. Ecco perché in un quadro del genere e’ sempre più necessaria, se non indispensabile, una autentica presenza politica cattolici democratica e cattolico popolare. Ovviamente aperta a tutti in virtù della laicità che da sempre caratterizza quest’area culturale ma consapevoli che con il ritorno delle identità – a cominciare, appunto, da quella della. sinistra – il cattolicesimo politico non può più stare alla finestra a contemplare e a commentare ciò che capita nella politica italiana.
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