Piange il telefono: le nobili rovine delle cabine telefoniche

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FRECCIATE

C’è qualcosa di malinconico, ma anche di indecoroso, nelle vecchie cabine telefoniche che ancora resistono qua e là, arrugginite e scassinate, come relitti di un’epoca che non tornerà. La loro rimozione – ci dicono i piani ufficiali – doveva essere già storia chiusa, e invece eccole lì, in Borgo San Paolo come altrove, come ci segnala il lettore Luigi Gagliano, con le porte che cigolano, i vetri scheggiati, i telefoni pendenti a mo’ di lingue stanche.

Qualcuno, furtivo, si aggira a scassinarle per rubare le poche monete dimenticate, e in questo piccolo atto di sciacallaggio c’è tutta la misura del nostro rapporto con il passato: non lo custodiamo, lo lasciamo marcire, e poi ce ne lamentiamo.

Eppure quelle cabine hanno avuto una vita nobile. Sono state il confessionale laico di generazioni che lì dentro hanno pianto, litigato, dichiarato amori e dato addii. C’era un’epica minuta nel gesto di infilare il gettone o la scheda, nell’attesa del “pronto”, nell’eco metallica della voce amata che arrivava da lontano. Erano spazi di intimità pubblica, dove il mondo si fermava per pochi minuti, chiuso in un parallelepipedo di vetro.

Ma ogni gloria, se abbandonata a se stessa, rischia la caricatura. Quelle cabine oggi non sono più monumenti, ma rottami. Non parlano più di romanticismo, ma di incuria. Tenerle lì, così, non è rispetto: è abbandono. Se davvero vogliamo onorarne la storia, bisogna avere il coraggio di rimuoverle. O si restaurano come cimeli museali – e pochi, scelti – o si tolgono dalla strada, perché la ruggine non diventi il loro epitaffio.

È la legge delle cose: ciò che è stato grande non merita di finire in rovina. Meglio un addio dignitoso che una sopravvivenza da rudere

Iago Antonelli

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