Referendum autonomia differenziata, parla Roberto Castelli

Nel 2001 la Sinistra approvava la riforma del Titolo V della costituzione con la quale si statuiva la cosiddetta “Autonomia Differenziata”.
In base a quella riforma, anche l’Emilia-Romagna nell’Aprile 2022, con Bonaccini Presidente e la Schlein Vicepresidente, chiedeva l’Autonomia nelle materie prevista dall’art 117 della Costituzione Bonaccini, in quel contesto, dichiarava: “L’autonomia differenziata è una opportunità prevista dalla nostra Costituzione che noi vogliamo cogliere.”
Oggi con formidabile faccia di bronzo, contando sulla totale incapacità di memoria degli elettori i due definiscono la norma “Spacca-Italia” e ne propongono il referendum abrogativo.
Di fronte ad esso il PPN sente il dovere di prendere posizione, sottolineando che altro è la norma prevista in Costituzione che prevede una rapida e semplice trattativa tra Stato e Regione richiedente con voto finale del Parlamento, altro è la legge Calderoli che detta una serie complessa di regole che sembra fatta apposta per far fallire l’Autonomia, e precisando altresì che i cittadini dovranno esprimersi sulla legge e non sul testo costituzionale che resta ovviamente in vigore.
Ci rendiamo conto che l’argomento è spinoso, in quanto non sarà facile spiegare agli elettori la differenza tra le due questioni.
Prendere posizione e invitare a votare sì o no significa scegliere tra la padella e la brace.
Infatti, se vinceranno i SI’ (padella) verrà abrogata una brutta e complicata legge, il che è positivo, ma si correrà il rischio che passi la convinzione che gli italiani non vogliono l’autonomia in sé. Se ciò accadesse, è facile prevedere che verrà messa una pietra tombale sulla questione e l’Italia resterà per sempre centralista e assistenzialista andando fatalmente alla rovina.
Il paradosso è infatti che tutti gli argomenti che oggi portano avanti gli avversari della legge, denunciando i tanti mali che affliggono soprattutto il Sud, e che hanno, di fatto, diviso il Paese si sono verificati a centralismo vigente e quindi sono loro stessi che denunciano il fatto che il centralismo che loro difendono stia facendo fallire il Paese. D’altro canto, se vincessero i NO resterebbe in vigore una legge bizantina, complessa e per certi versi, truffaldina per il Nord.
Senza entrare in eccessive tecnicalità che già a suo tempo in altra sede avevamo illustrato, il rischio che si corre è che secondo dati pubblicizzati da alcuni centri studi, tutto l’iter rischia di risolversi in un ulteriore flusso di denaro improduttivo verso il Sud senza che poi, in forza di alcuni articoli della legge Calderoli, succeda nulla. Le stime parlano di 80/100 miliardi.
Sulla capacità di spesa in conto capitale del Sud, le cifre parlano chiaro; se consideriamo i fondi di coesione di cui ha beneficiato l’Italia negli ultimi 15 anni, scopriamo che essi ammontano a 206 miliardi di cui il 70 % destinati al Sud.
Soltanto un quarto dei progetti è stato concluso mentre il resto non si sa che fine abbia fatto.
Perché i fondi che legge Calderoli richiama dovrebbero seguire un destino diverso?
Quindi tutto fa prevedere che, poiché in bisogna raggiungere i famosi Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) prima che si possa parlare di Autonomia per importanti materie quali istruzione, infrastrutture, energia, esse non verranno mai devolute e quindi tutto si risolverà in un gigantesco inganno (la brace).
Quindi che fare?
Di certo va avversata l’abrogazione che per i motivi su esposti, poiché, come detto, ciò significherebbe l’ipostatizzazione del Centralismo nel Paese.
Pertanto la legge va difesa, soprattutto nella parte che consente una sia pur magra consolazione.
Infatti L’Art.7 consente che nove materie non siano soggette alla forca caudina dei LEP e potrebbero essere devolute subito.
Alcune quali commercio estero, beni culturali e rapporti internazionali, peraltro già previsti per certi aspetti dalla Costituzione vigente sono interessanti e bene ha fatto Zaia ad attivarsi in tal senso.
Per concludere, alla luce delle considerazioni esposte, pur con un senso di amarezza per una occasione perduta, il PPN dà l’indicazione

di far fallire il Referendum non andando a votare, affinché non venga raggiunto il quorum previsto dalla Costituzione.
Ciò da un punto di vista costituzionale.
Sul piano politico, vanno contrastati l’ipocrisia del Partito Democratico che prima ha voluto l’Autonomia e poi l’ha rinnegata da una parte, e l’antistorico assistenzialismo dei Cinque Stelle esponenti del più retrivo piagnisteo meridionalista dall’altra.

ROBERTO CASTELLI

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