COSA SUCCEDE(VA) IN CITTA’
Quarant’anni fa, a Vallette … I “migliori” anni della mia scuola
Già, o “sommersi” o “salvati”. Lo so bene. Il paragone è certamente azzardato. Ma quando penso ai miei ex-ragazzi (oggi donne e uomini) di Vallette, il pensiero mi vola, per molti di loro, a “I sommersi e i salvati”, celebre saggio scritto nell’86, un anno prima della tragica scomparsa, da Primo Levi. Un po’ azzardato il parallelismo, me ne rendo ben conto. Vero è anche, però, che per le ragazze e i ragazzi di Vallette fine anni ’70, il margine che separava le due “possibilità” (seguire la strada giusta e salvarsi o sviare in quella sbagliata senza regole né legge, per esserne totalmente “sommersi”) era davvero molto molto sottile. Già a 12 o a 13 o a 14 anni, un buon gruppo dei miei alunni (e alunne) rischiavano infatti, un giorno sì e l’altro pure, di intrappolarsi in dolorosi e tragici “buchi neri” che ne avrebbero segnato l’intera esistenza. A salvarli, solo la libertà e la forza delle scelte. Con chi andare, dove andare, cosa fare, chi ascoltare. Ma spesso la scelta si rivelava sbagliata. Condizionata dal caso. Dalla famiglia. Dagli amici. Dalla scuola. Dal destino? E allora si tramutava in tragico salto all’ingiù verso abissi senza fine e con scarse possibilità di ritorno. Bastava un nulla a imboccare la strada infernale, tutta a curve. E da lì non se ne usciva che a gran fatica e con le ossa rotte. E doloranti, fino all’anima. In pochi, comunque. Volete vedere che in un attimo apro quella macchina e vado a farmi un bel giro per il quartiere? Ululo degli amici Uuuhh, ma non dire cazzate! Replica Scommettiamo? Gli amici Scommettiamo! In questa “scommessa” si riassume tutta la breve storia e le ultime ore di Vincenzo, fra i miei ragazzi della “Carlo Levi”, della succursale all’incrocio fra corso Molise e via Parenzo (oggi succursale del Professionale “Beccari”), primi anni ’80. Vincenzo ha chiuso gli occhi al mondo che forse non aveva ancora quattordici anni. Ripeteva la seconda media. A distanza di anni, il ricordo che ho di lui è ancora oggi più che mai nitido e doloroso. Vincé volò via una notte, alla guida di un’auto che si trovò fra le mani in un baleno (ci metto un attimo ad aprirla!) e in qualche strana via delle “nuove” Vallette, di quelle che allora si incrociavano facendo “paese” all’interno delle cosiddette “case gialle”, più “marroni” che “gialle”, in verità.
Con quell’auto non so bene cosa diavolo sia successo. Quel ch’é certo è che dietro una curva, lo aspettava – mi par di ricordare – il pancione di un autocarro parcheggiato proprio lì all’angolo. La fine arrivò immediata. Ricordo la tragicità della notizia, arrivata a scuola la mattina seguente. Erano passati pochi mesi dall’inizio dell’anno scolastico e non ero ancora riuscito a stabilire un vero rapporto di “complicità”, didattica e a pelle, con lui. Ma di simpatia ed empatia, certamente sì. Più volte gli spiegai che aveva imboccato una bruta strada. Che non era la sua. Professò, voi avete ragione – mi rispondeva – ma io alla sera esco … andiamo a Torino (come dire, andiamo in centro) … e devo fare quello che fanno gli altri. In sintesi: forse già allora fumare (roba varia), fare i bulli, fare a cazzotti con i fighetti e, per finire in bellezza la serata, inventarsi qualcosina, anche “di forte”, che potesse farti bello agli occhi del gruppo. Ad esempio metterti alla guida di una Cinquecento, che sembrava aspettarti lì a bella posta. Proprio lì. Tutta e solo per te. Richiamo irresistibile. Facile preda che ti avrebbe portato ai livelli più alti fra i fighi del quartiere. Ricordo il giorno del funerale … Non ho fatto in tempo a conoscerti abbastanza, Vincé, sussurrai dentro di me, quando la bara mi passò davanti.
Fuori, al passaggio del feretro, si alzò un grande applauso. Quell’applauso – mi sono poi detto- era quasi un segno di “indennizzo” per quanto, tutti quelli che stavano lì, sottoscritto compreso, non erano riusciti a fare per lui, negli anni della sua breve vita … Non seguii la lenta processione che lo accompagnò alla vicina Chiesa parrocchiale. Me ne tornai a scuola, un nodo profondo alla gola. Entrai in classe, Ragazzi dobbiamo subito parlare. Sul suo banco vuoto qualcuno aveva posato un fiore rosso. Mi voltai alla lavagna e scrissi Ciao Vincé, ti abbiamo voluto bene, ci mancherai! Fu allora che tutta la classe si alzò e, in silenzio, fece cerchio fitto attorno alla cattedra. Ragazzi, Vincenzo non lo dimenticheremo mai. Quel banco vuoto, con quel fiore rosso messo lì a gridargli ‘amore’ sarà per sempre il suo. Ma attenzione! Vincenzo, ne sono sicuro, ha voluto lasciarci un messaggio e guai a non ascoltarlo. Un messaggio che vi dovrà accompagnare per sempre. Siate fortemente consapevoli della vostra libertà di scegliere. E, soprattutto, non dimenticate mai che ogni vostra scelta avrà sempre le sue conseguenze. Positive. Ma anche negative. Per voi e per quanti vi stanno attorno e si preoccupano per voi. Riflettete bene su questo. Vincenzo ne sarebbe felice!”. Il silenzio inondava l’aula. E qualcuno, ritornando al proprio banco, sfiorò e accarezzò quel fiore rosso.
Gianni Milani
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