Stendhal, la sindrome d’amore per l’Italia e il lago Maggiore

La scrittore Marie-Henri Beyle, più noto con lo pseudonimo di Stendhal, soggiornò più volte nel Verbano, incantato dalle bellezze del lago e dei territori che lo circondano.

“Niente al mondo può essere paragonato al fascino di queste giornate trascorse ai laghi (…) nei boschi di castagni cosi verdi, che sembrano immergere i loro rami nell’acqua”: l’autore de Il rosso e il nero e La Certosa di Parma così la passione che provò per questo lago diviso tra Piemonte, Lombardia e Svizzera ticinese.

In una famosa lettera si spinse addirittura oltre: ” Quand, par hasard, on a un coeur et une chemise, il faut vendre sa chemise pour voir les environs du lac Majeur …” (..se si ha un cuore sensibile, bisogna vendersi anche la camicia pur di visitare i dintorni del lago Maggiore). Della romantica bellezza delle sue rive si ricordò scrivendo il suo romanzo più famoso, La Certosa di Parma. Sul Verbano ambientò le vicende di due capitoli, il ventiduesimo e il ventitreesimo. E’ lì che si rifugiano il tribolato protagonista Fabrizio e la duchessa Sanseverina, segretamente innamorata di lui. La duchessa “aveva preso una casa a Belgirate, un paese incantevole che mantiene quel che il nome promette“, vale a dire belle gite nei dintorni, sul lago o sulle colline del Vergante.

Ma il giovane era ricercato dalla polizia, e perciò “la duchessa aveva mandato Fabrizio ad abitare a Locarno, una città svizzera sull’estremità del lago Maggiore. Ogni giorno andava a prenderlo in barca e facevano lunghe gite sul lago“. In altra occasione Stendhal visitò le isole Borromee e le definì “divine“. Nella parte bassa della sponda piemontese, poco distante dal centro di Arona, visitò il Sancarlone, la colossale statua di bronzo che sorge nei pressi delle rovine della rocca. “Una superba statua del buon San Carlo colpisce i nostri sguardi: ha sessantanove piedi d’altezza e il suo piedestallo ne ha venti; con un gesto maestoso della mano accenna al porto, con l’altra regge un lembo della cotta; è attraverso questo lembo che si entra nell’interno della statua. Un uomo sta dritto nel suo naso. Tranquilla essa sorge in mezzo al lago. Niente l’aveva turbata da molto tempo, quando ultimamente durante l’assedio di Arona una palla la colpì al petto, per fortuna senza danneggiarla“.

Appassionato dell’Italia, Stendhal ne subì il fascino dell’arte, della cultura e dei paesaggi.   L’opportunità di varcare le Alpi e conoscere la penisola si presentò nel 1800 quando si arruolò volontario nell’esercito di Napoleone per la liberazione di Milano dall’Austria. Da quel momento il suo amore per l’Italia divenne sempre più forte e profondo, portandolo a lunghi soggiorni come quelli a Milano dove conobbe, infatuandosene, la fascinosa Angela Pietragua (  “Senza dubbio la donna più bella che io abbia avuto, e forse anche che io abbia visto (…). Faceva pensare ad un essere superiore che avesse preso la bellezza perché questo travestimento gli si addiceva meglio di un altro, e che, con i suoi occhi penetranti, vi leggesse in fondo all’anima. Era il volto di una sublime sibilla”). Marie-Henri Beyle avvertì per il Belpaese un trasporto tale da preferirlo alla Francia che pure gli aveva dato i natali. Una vera e propria devozione, una vertigine come la sindrome che porta il suo nome e che volle rendere esplicita persino sulla lapide che sovrasta la sua ultima dimora al cimitero parigino di Montmartre dove, in italiano, si legge ”Arrigo Beyle. Milanese, scrisse, amò, visse”.

 Marco Travaglini

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