A ridosso del 7 ottobre, a un anno dal pogrom del 2023, esce per Guerini e Associati, con prefazione del Rettore Lucio d’Alessandro, un libro importante e necessario, della sociologa Clelia Castellano: La società fra memoria e speranza. Sottotitolo Hatikvah. Per un Umanesimo possibile. “Hatikvah” significa, in ebraico, “la speranza”, ma è anche il titolo dell’inno nazionale ebraico, costruito attorno ad una melodia antica che è emozionante ascoltare, oggi, mentre c’è chi nega ad Israele il diritto di esistere sulle carte geografiche.
«Il sottotitolo del mio libro, HaTikvah, non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, un’istigazione pungolante come il tafano di socratica memoria a cercare la luce al di là delle cose. Questa parola ebraica vuol dire “speranza” ed allude, in un canto meraviglioso che oggi è l’inno nazionale, al ritorno alla terra promessa, dopo schiavitù e sofferenze, per vivere in pace. Il canto dell’ebreo errante è una lezione di speranza per tutti i popoli, accoglierlo non significa odiare i palestinesi, ma ricordare una verità semplice: ogni popolo, come ogni uomo, è in cerca di una terra, di un orizzonte, di un luogo da poter chiamare casa e a nessun uomo, come a nessun popolo, dovrebbe essere negato questo diritto». Infatti questo libro, scritto con eleganza e profondità semantica, è dedicato dall’autrice “A tutti coloro che sono sulla via del ritorno”, perché non vuole semplicemente essere un segno di speranza e una presa di posizione nei confronti dell’antisemitismo vergognosamente dilagante, ancora una volta, nel mondo. È anche una celebrazione della memoria intesa come patrimonio dei popoli tutti, in una stagione di crisi dell’Occidente nella quale il recupero della cultura della memoria può essere la risposta all’urgenza di un nichilismo esistenziale che sta privando le nuove generazioni di consapevolezza storica e civile, al di là di spettacolari protagonismi “politici” sui social, talvolta frutto di pregiudizi e disinformazione. Nel dilagare dell’ideologia e della mercificazione di corpi e identità, la memoria è in grado di ridare vigore alla meraviglia della differenza, intesa non come inciampo conflittuale e presupposto di sopraffazione dell’altro, bensì in quanto ideale postura esistenziale per accostarsi all’alterità rispettosamente, proprio perché in dialogo consapevole con le proprie radici. Scrive l’autrice : «La contingenza storica degli avvenimenti recenti […] è stata il motore che ha avviato la riflessione, ma questa è stata sostenuta e temperata dalla volontà di cercare equilibrio e pace. Per lungo tempo si è rinfacciato al popolo ebraico l’ergersi a unico attore della sofferenza nella storia, come se il lavoro sul ricordo degli eventi della Shoah, la cui portata educativa è immensa, fosse colpevole di mettere in ombra altre storie di sofferenza: nulla di più ingiusto, sia perché l’unicità della Shoah come fenomeno storico è innegabile, sia per la vicinanza di una parte del mondo culturale ebraico, nonostante le posizioni della politica ufficiale, ad altre tragedie, come quella armena. Gli ebrei non hanno chiesto di essere deportati, torturati, odiati, dispersi: sulla loro pelle, hanno imparato la lezione della memoria e della resilienza, e queste sono lezioni di umanesimo alle quali tutte le culture debbono attingere».
Il libro della Castellano è un auspicio a considerare la memoria come categoria umana foriera di pace e civiltà, quando il suo uso non è indiscriminato, rimettendo in gioco le categorie che il dilagare del pensiero unico relega ai margini della riflessione collettiva. « L’umile sforzo di questo piccolo libro, che, ripeto, vuole essere un punto di domanda e di partenza, è ribadire l’imprescindibile necessità della memoria per restare umani. Ed è un libro che condanna l’antisemitismo non per tutelare una minoranza etnica o culturale[…], ma per tutelare, attraverso un popolo che è stato reso dalle sferzate della storia Maestro di memoria nell’erranza e nella sofferenza, l’umanità tutta, ed ogni memoria. Dire no all’antisemitismo significa dire sì alla vita, alla tolleranza, al rispetto di ogni essere umano e di ogni popolo. Dire no all’antisemitismo è il primo mattone per costruire un umanesimo globale, cominciando dall’Occidente, che dopo il tramonto preconizzato da Spengler cerca la promessa di una nuova alba. Lungo la strada della memoria si incontrano dittatori, criminali, assassini, bugiardi: ma i popoli meritano che la loro memoria venga accolta! Cercando la verità storica nella consapevolezza della parzialità dei nostri sguardi, della finitudine dei nostri metodi, ma sempre servendo la vittoria della vita sull’omicidio, del rispetto sull’insulto, dell’empatia sull’indifferenza, dell’umiltà sulla certezza del pregiudizio, della pazienza del tempo sulla violenza dell’istante che cristallizza arbitri e ingiustizie – storture che invece la consapevolezza del fluire storico rivela nella loro parzialità. Al servizio del bisogno di poesia e di consolazione dell’umano e contro ogni forma di schiavitù fisica e mentale, cercando la Sapienza con perseveranza e con amore. Ripensare il desiderio di Sapienza, Memoria, Storia, significa rivivificare l’identità offuscata dalla confusione del mondo e bandita dai discorsi politicamente corretti per la sua portata polemica e conflittuale. Identità e nazione sembrano le erbacce da estirpare dall’aiuola del multiculturalismo tollerante, indistinto, fluido. La memoria svela che radici identitarie salde sono invece ciò che permette di accogliere l’altro: perché conosciamo noi stessi ed amiamo le nostre case, i nostri cari, i nostri luoghi possiamo comprendere l’altrui bisogno d’amore e non prevaricare l’altro, ma cercare un punto di equilibrio. C’è sete di memoria, in una stagione in cui si accetta di piangere l’ebreo storico, sbiadito ottant’anni fa nei campi di concentramento, e si esulta per lo sterminio dell’ebreo di oggi: un assurdo generato dall’amnesia generale di una società schiacciata nell’istante e plagiata da oblio e menzogne.»
Ripartendo dalla memoria del popolo ebraico in quanto emblematica, il libro, come scrive l’autrice, si pone come una “istigazione alla lettura e alla riflessione” e lascia spazio, in un lungo capitolo, alla memoria, berbera, armena, curda, palestinese, augurandosi di essere solo il primo tassello di una catena di riflessioni ulteriori, al servizio di tutti i popoli. «Tutte le memorie umane hanno pari dignità, quindi il filo conduttore del libro saldamente rimane, pur nel grande spazio dato legittimamente a Israele, quello della memoria del genere umano. Questo non vuole essere un testo di politica, né una puntuale ricostruzione storica: vuole essere invece un invito, rivolto soprattutto ai giovani studenti, a ripensare il valore della memoria […]Dalla storia, e dalla storia sociale ancor di più, impariamo gli scontri fra campi di forza e gruppi, esigenze materialistiche e aneliti individuali; ma possiamo anche imparare, educandoci reciprocamente alla ricchezza della memoria, che l’altro da sé ha il diritto di essere nella storia non meno di noi, e le nostre libertà e volontà devono contemperarsi. Inutile schierarsi come ad una partita di calcio, com’è avvenuto nelle nostre piazze e persino nelle aule delle nostre università. Fare memoria, condannare l’antisemitismo, criticare decisamente, ma civilmente, le politiche che non riusciamo a condividere, e soprattutto non lasciare che l’odio possa attecchire, fare spazio al sapere storico, invitare gli studenti alla riflessione e allo studio fornendo indicazioni bibliografiche e suggerimenti di approfondimento: questi gli umili obiettivi che questo piccolo libro cerca di realizzare. Soprattutto, e in ciò ha forse davvero qualcosa di ebraico, questo libro spera di scatenare letture ulteriori. Amos Oz scrisse una volta che essere ebrei non era questione di sangue, di cromosomi, di tribù e che per addentrarsi nel continuum ebraico bastava essere dei lettori. Per amor di sapienza, almeno nei luoghi di studio, potrebbe diventare questo il filo che unisce tutti i popoli, con la loro fantasia, le loro aspirazioni, le loro diversità; una matassa intricata, un gomitolo lontano, pochissimi operai disposti a sedersi all’arcolaio… ma vale la pena comunque cominciare ad intessere il filo della memoria».
Un libro scritto come umile atto di Umanesimo, le cui pagine scorrono come una lunga lezione sulla gentilezza e su come l’umano si faccia strada, attraverso gli orrori della Storia: « Mi perplime la tendenza a considerare sempre gli agguati dell’odio che si fa strada nella storia, dimenticando che anche l’amore percorre il mondo, come una forza invisibile, caparbia, spesso silente e non documentata, ma presente nelle traiettorie delle società e degli individui. Una forza che le violenze sembrano voler negare, ma che puntualmente si riaffaccia sull’orlo del baratro. Umanesimo, oggi, vuol dire credere in questa forza positiva, lavorare per essa, forse cercare di scriverne, per quanto ingenuo possa sembrare, proprio quando il baratro sembra più vicino e ineluttabile. Umanesimo significa, oltre i sangui versati e le devastazioni del male, dire no a un presente che opprime, cercare in esso spiragli di luce. E quand’anche fosse il buio, ad avere la meglio, continuare a cercare, e porsi al servizio della storia seguente».
Clelia Castellano, dice « La fiducia nel futuro non è semplice da coltivare, in questo tempo di odio, ma non sono certa che fare a meno di tentare sia la postura più auspicabile per il nostro spirito…Alla nausea sartriana dinanzi alle celebri radici incastrate nel suolo, preferisco i rami protesi verso il cielo, spogli dopo il gelo dell’inverno, ma pronti per le prossime gemme; alla radice esistenzialista, foriera di spaesamento e di nausea, preferisco l’epica radica tolkieniana, tanto profondamente incarnata nella terra da non gelare mai. Alla rassegnazione perplessa, alla constatazione intellettuale dotta, preferisco la saggezza dell’innocenza che vuole credere in un mondo salvato dagli alberi e dai bambini, e si rifiuta di reggere la falce agli orchi con la propria rassegnazione».
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE